Repoetage: ode ai penultimi
I Penultimi
di
Francesco Forlani
Se ne stanno seduti i penultimi
alle cinque e mezza del mattino
tutti occupati i sedili sulla banchina
prima che il primo treno del giorno
salpi e porti per mari di moquettes
e vetri negli uffici le donne delle pulizie
o gli operai giù in fabbrica, i travet per piani
senza più nulla chiedere né altro domandare
– colpisce del signore ben vestito accanto
la cura che malgrado il buio dell’ora
ha messo nel lucidare le sue scarpe .
Fa un certo effetto vedere passare senza sosta
il primo treno senza persone, scivolare via
fino al capolinea da cui ripartirà subito dopo
come se fosse quella la rincorsa necessaria,
e pare salutare tutti come un medico
che all’orario di apertura ai pazienti sussurra
-buongiorno, nella sala d’attesa, senza indossare il camice
e fa solo un cenno per aria a dire,
è ora, siamo pronti a partire .
*
27 settembre 2017
Come davanti alle vetrine dei negozi
della haute couture in Avenue Montaigne
così il convoglio dei penultimi
passa davanti alle metrò dei ricchi
e famosi l’Odéon, St Germain de Prés
valgono il passaggio in questa vera alba
perché nero è il colore della pelle
e perché fuori l’alba è ancora senza luce.
*
Come penultimi oggi eravamo tanti
e del nuovo anno avevamo l’estro
di schienadiritta non piegata ancora
dall’ora presta, dal rintocco genuflesso.
E sul tratto di strada- questo volevo dire-
che ci separa, stavolta all’uscio dei portoni
v’erano pini muti e senza luci,
su un lato riversi parevano dormire,
Custodire tra i rami come nidi il ciuffo
dei sogni sognati dai bambini coi pacchetti
regalo degli adulti apparenti donatori.
così ci diamo al mondo anche noi.
*
Perfino tu, penultima luna
te ne stai appoggiata su un tetto
come una virgola ingrassata
e gravida di penurìa di tempo.
Così ripenso a quella notte
che alla coperta del clochard
distesa sul marciapiede ,sulla grata
del metrò che sbuffa ad ogni ora
era cresciuta la faccia con un raggio
di luna che la faceva pulita e fine
come la maschera del poeta Baudelaire
al cimitero a Montparnasse
E bello è stato, quando oramai il vagone
lambiva l’incerto confine della Normandia
levando al cielo gli occhi ed il cappello
vederti alta in firmamento scuro come un’origine.
*
Cari penultimi vi devo raccontare
di come per tratti di strada
a quest’ora che perfino il vento pare
sussurrare cose dai portoni delle case
la Ville Lumière espone dei tableaux vivants
nella morsa di freddo e tra le grate
che sbuffano nuvole di fumo bianco.
Ora i due amici sulla strada coricati
come un allora facevamo da bambini
capa e piedi, cappa e spada,
come una scarpa fa con l’altra
per guadagnare spazio in quella congruenza.
Mentre più in là oltre l’insegna
ci sono i due amanti sopra a un materasso
matrimoniale e senza muovere un dito
– a stento respirare-
come il filo al gomitolo l’uno intorno all’altra.
Così mentro scendo le scale
appena illuminate dalla scritta gialla
mi chiedo quando è stato
che il vulcano ha incendiato i corpi
e ricoperto di cenere ogni grazia.
*
C’est l’heure! C’est l’heure!
pare che dica dall’alto della torre
l’orologio che domina la strada
e il palazzo della mairie del dodici.
Dei penultimi ora mancano all’appello
i bianchi, le donne delle pulizie,
i commessi viaggiatori e i pendolari
ci sono solo gli operai e la pelle è nera.
(per lo più, innanzitutto)
Poco distante c’è un signore
che a prima vista pare normale
pure a quell’ora che è minima
se non avesse per calze delle buste
di plastica che dall’orlo sbuffano.
Le ginocchia di un manovale
contro le mie altrettanto
impegnato nel flusso passeggero
della prima metro.
E ce ne stiamo attaccati
studenti ed operai
come le lancette
di un orologio che segni
l’esatta metà del giorno
(e della notte)
c’est l’heure! c’est l’heure!
Così penso alla runner
incontrata all’incrocio poco prima
e al braccialetto che portava al gomito
orologio anch’esso divenuto
da misuratore del tempo contabile dei passi.
*
Nelle ore in cui soltanto i topi
la fanno da padrona
e l’eco dei passi non li sveglia
né li fa fuggire dalle feritoie
che accolgono l’asfalto delle strade
s’ode dei matti l’orazione
alle stelle ormai scappate via
una nenia che è una forma di preghiera
una ninna-nanna al cuore che protegge
il sonno in quell’ora presta dei piccini
disseminati nei palazzi tutti intorno
cullati da lucine di notte disposte dalle madri
ma sono loro, i matti, che sorvegliano i sogni
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Frà, questa la usero’ come ninna nanna per mia figlia: c’è tutta l’animaccia della notte dentro!
Nelle ore in cui soltanto i topi
la fanno da padrona
e l’eco dei passi non li sveglia
né li fa fuggire dalle feritoie
che accolgono l’asfalto delle strade
s’ode dei matti l’orazione
alle stelle ormai scappate via
una nenia che è una forma di preghiera
una ninna-nanna al cuore che protegge
il sonno in quell’ora presta dei piccini
disseminati nei palazzi tutti intorno
cullati da lucine di notte disposte dalle madri
ma sono loro, i matti, che sorvegliano i sogni
Concordo con Andrea, ma anche assolutamente belli i momenti in cui confronti le percezioni del tempo e quando ti misuri con le molteplici forme assunte dalla luna nei tanti luoghi di poesia:
“Perfino tu, penultima luna
te ne stai appoggiata su un tetto
come una virgola ingrassata
e gravida di penurìa di tempo.”
Chapeau, bravo!
vi ringrazio ragazzi, soprattutto a nome loro.
effeffe
mi chiedo quando è stato
che il vulcano ha incendiato i corpi
e ricoperto di cenere ogni grazia.
l’eruzione non si è mai fermata
anche per i penultimi del treno di Pioltello
stessa alba, stessa luna
stesso sussurrare cose dai portoni delle case
,\\’