Articolo precedente
Articolo successivo

Thoureau e la ricerca di una comunità cosmica

 

Una prospettiva strutturata sul concetto di ere geologiche e di spazio planetario

di Laura Dassow Walls –

traduzione di Alessandra Giannace

 

Che filosofi imberbi, e che sperimentatori senza esperienza,  noi siamo!

Non c’è nessuno dei miei lettori che abbia vissuto una intera vita umana

 

                                                         Henry David Thoreau, Walden

 

Chiunque arrivi a leggere Thoreau ha una storia alle spalle. La mia comincia in una modesta libreria di quartiere nel momento in cui scelsi un libro semplicemente perché era piccolo e verde; proprio come il piccolo libro verde che mi portavo sempre dietro (sottratto alla biblioteca di mio padre) dello scrittore Ralph Waldo Emerson. “C’è un pensiero comune a tutti i singoli uomini”, così cominciava. “La storia è la memoria delle opere di tale pensiero”. Per una teenager idealista ed irrequieta come me fu folgorante. In più, adesso avevo anche un secondo libro verde. Questo qui si chiamava Walden – La disobbedienza civile e recitava: “Vivo su questo pianeta da quasi trent’anni e non ho ancora sentito neppure la prima sillaba di un consiglio prezioso e autentico dagli anziani”.

Era vero. Era proprio quello che noi giovani ci dicevamo: non fidarsi di nessuno che avesse più di trent’anni, perché per gli adulti il mondo era soltanto un posto folle.

Tutti i pomeriggi, con il giornale sul portico di casa, leggevo di migliaia di soldati morti in Vietnam, dove ancora infiammavano le ultime rivolte. Quale eroe era appena stato assassinato?

“È questa la vita,” continuava la fresca voce verde, “un esperimento che in gran parte io non ho ancora tentato; ma questo non mi persuade che loro l’abbiano fatto”. Altra folgorazione! Comprai il libro e lo portai con me a scuola. Qualche tempo dopo fui costretta a partecipare ad uno di quei noiosi football rally, ma mi allontanai immediatamente; mi sedetti su un’altura erbosa e quindi aprii la mia copia di Walden,  tenendola in bella vista cosicché i miei insegnanti potessero leggerne il titolo. Fui lasciata in pace e da allora “marcio al suono differente di quel tamburo”.

Cominciai a scrivere una biografia sull’autore per delineare meglio la figura di colui che aveva aperto le porte al pensiero indipendente; volevo capire come egli stesso vi si fosse avvicinato. Come diceva Emerson “l’uomo è un guazzabuglio di connessioni, un intreccio di radici i cui fiori e frutti sono il mondo.” Le radici di Thoreau erano a Concord, Massachusetts, dove nacque nel 1817, in una realtà ancora lontana dalla Seattle degli anni 70, e visse una vita normale. Il mondo è sempre a portata di mano, per certi versi, come un fiore o un frutto. Duecento anni fa la democrazia americana era ancora rudimentale, sperimentale, ed incerta soprattutto a Concord, dove l’America era ancora soltanto un affare di famiglia, la conquista di una generazione in procinto di passare ad un’altra. Thoreau avvertì il peso di questa responsabilità molto più degli altri e tornando a casa dal college decise di riesaminare i principi della democrazia. A questo punto gli fu chiaro che la rivoluzione americana era incompleta: l’ineguaglianza era diffusa, il materialismo rampante, l’economia totalmente basata sulla schiavitù e, ironia della sorte, gli anziani sembravano preferire che lo stato delle cose, del quale tutti loro beneficiavano, rimanesse tale. No, non erano degni di fiducia. Thoreau doveva tentare l’esperimento per se stesso.

Ormai maggiorenne e alle prese con la costruzione di una piccola casa sul lago di Walden, Thoreau cominciò a frequentare il circolo di intellettuali radicali chiamati “Trascendentalisti” i cui ideali, per l’appunto, trascendevano la vita quotidiana. Emerson ne era il leader; si era trasferito a Concord proprio mentre Thoreau era ad Harvard, e da lì dichiarava l’indipendenza intellettuale dell’America, supportato da un entourage familiare che si scagliava apertamente contro la schiavitù. Il giovane Thoreau prese parte senza indugio alla nuova rivoluzione, ma quasi subito si rese conto che Emerson, ormai suo mentore, non aveva tutte le risposte. Un punto era più critico degli altri: in che modo la Rivoluzione Americana poteva cessare di essere qualcosa di appartenente al passato e divenire invece un’esperienza reale e viva, in grado di trasformare le convenzioni retrogradi in consuetudini più agevoli?

Il trasferimento a Walden Pond ebbe così un duplice risultato: offrire a Thoreau un rifugio ideale in cui rispondere alla chiamata in veste di cercatore spirituale, filosofo e poeta e nel contempo procurargli il contesto adatto in cui inscenare la sua personale rivoluzione della coscienza, portando avanti la protesta come arte performativa. In Walden, Thoreau incoraggiava i lettori a “tentare l’esperimento della vita” per loro stessi invece di ereditarne le condizioni dagli altri. Concluso il periodo nei boschi e diventato nuovamente membro attivo della sua famiglia, lo scrittore di Concord tentò di inculcare nel cuore di un’America annoiata la sua idea di vita come ricerca di una verità più nobile. Spesso si dice che Thoreau si sia rivolto alla Natura, ma quello a cui si rivolse davvero furono più precisamente i “beni comuni”, vale a dire quei luoghi che in passato erano ancora accessibili a tutti: i boschi, i campi, le colline, gli stagni e i cespugli di mirtillo, i fiumi, le praterie, i sentieri di montagna e le sconfinate spiagge sulla costa Atlantica. Mari e monti che nei suoi scritti espandevano il nostro patrimonio naturale ed intellettuale fino a raggiungere lo stesso Cosmo. Le navigazioni sui fiumi Concord e Merrymack furono per lui un viaggio nel flusso del tempo; a Cape Code, scalpicciò i fondali degli oceani selvaggi di tutto il globo; sulla vetta del monte Katahdin respirò la sottile aria tagliente di un pianeta immerso nello spazio stellare.

Le ere geologiche così come il concetto di spazio planetario strutturarono il suo pensiero dagli anni di Harvard in poi. Lesse libri in sei lingue diverse perché per lui la letteratura era letteratura del mondo che aveva inizio dalla stessa parola scritta – Omero, Virgilio, La Bibbia, le antiche scritture dell’India e della Cina, la poesia arcaica inglese – fino alla più recente filosofia e scienza tedesca, alle storie francesi sul Nuovo Mondo, alla più moderna poesia romantica in Inghilterra e, infine, alla più vigorosa prosa scozzese. Thoreau riempì dozzine di taccuini con estratti di centinaia di volumi, dando vita alla sua nutrita biblioteca ricca in poesia, storia, scienze, antropologia, viaggi ed esplorazioni. Grazie alla sua fervida immaginazione, il più piccolo dettaglio in cortile gli parlava di tempi e terre lontane: i contadini nei campi evocavano le Georgiche di Virgilio, gli esploratori dell’Artico gli dicevano dell’inverno inglese, i braccianti irlandesi gli narravano del Bhagavad Gita sulle acque del Walden.

Tra gli anni 40 e 50 dell’Ottocento, il suo contributo all’attivismo sociale si fece più intenso quando realizzò che tra la politica del Nord e il perpetrarsi della schiavitù nel Sud vi era una forte connessione che portò ad alcuni dei suoi più noti atti di protesta: una notte in cella per il mancato pagamento delle tasse,  il saggio intitolato Disobbedienza civile, seguito da una spietata denuncia in Schiavitù in Massachusetts e in ultimo, L’apologia in difesa del capitano John Brown. Quando la morte placò la sua voce subito dopo l’avvento della Guerra Civile,  gli amici piansero non solo per lui, ma anche per la perdita di tutto quello che aveva cominciato e che non aveva potuto terminare.

Quando mi accinsi a scrivere la biografia, il termine Antropocene era una novità: per gli scienziati, gli esseri umani erano diventati una forza geologica che stava cambiando il pianeta. Scrivendo di lui, realizzai che la vita di Thoreau, seppur breve, era stata lunga abbastanza da testimoniare l’arrivo dell’era dell’Antropocene in America.

Era nato in una fattoria, in epoca coloniale, all’interno di un sistema economico di sussistenza basato su una terra che aveva sfamato la consistente comunità angloamericana per ben due secoli e, ancor prima, le comunità di nativi americani per 11.000 anni. Lo scioglimento dei ghiacciai spinge oggi a rivolgersi ai paesaggi di cui Thoreau scriveva. Alla sua morte, nel 1862, la Rivoluzione Industriale aveva già rimodellato il suo mondo, in particolar modo la rete ferroviaria aveva trasformato l’economia di piccole fattorie e industrie artigianali di Concord in un nodo periferico di una rete globale di imprese industriali e fabbriche. I suoi amati boschi erano stati spazzati via e i piccoli fiumi che aveva navigato nella sua giovinezza alimentavano ora cotonifici. Sebbene nel 1843 la ferrovia attraversasse di già il piccolo angolo di Walden Pond, Thoreau decise ugualmente di costruire qui la sua casa; un’accettazione non passiva della ferrovia quale parte integrante della sua realtà. Quando lasciò i boschi di Walden, all’incirca venti treni merci e treni passeggeri stridevano davanti al suo rifugio. La sua reazione fu quella di invitare i vicini a “semplificare, semplificare” e a sottrarsi alla corsa al denaro da spendere in gadget e merci dalla Cina, dall’Europa, o dalle Indie Occidentali, alimentando un’economia dalla crescita fuori controllo come quella delle erbe infestanti. Fece appello ad una più consapevole conoscenza dell’interiorità, alla creazione di una comunità migliore, ad una crescita spirituale attraverso l’istruzione, l’arte, la musica e la filosofia. Quando scrisse che “un uomo è ricco in proporzione al numero di cose di cui può fare a meno” faceva riferimento non di certo ad una rinuncia ascetica, bensì ad una ridefinizione del concetto di vera ricchezza che per lui combaciava con l’interiorità ed era in grado di rendere la vita, anche nei suoi aspetti più modesti, una forma d’arte. Uno dei suoi più cari amici una volta disse: “Eccolo Thoreau, dategli la luce del Sole, un pugno di noccioline, e per lui è abbastanza.”

Nata nella miseria, la sua famiglia raggiunse la rispettabilità della classe media quando il padre avviò una piccola fabbrica di matite; Thoreau era un appassionato di macchinari e le sue invenzioni così come i miglioramenti apportati ai processi di produzione diedero prosperità alla sua famiglia. Per pagare le sue spese, incluse quelle della pensione di famiglia, lavorava come operaio alla giornata, e all’occasione come agrimensore. Quando non si occupava dei confini di proprietà, li superava da scrittore errante; le pubblicazioni e l’insegnamento gli permettevano di guadagnare a sufficienza per pagarsi i viaggi.

Più viveva e lavorava a contatto con la natura più si sentiva attratto dalla scienza, poiché da sempre il meccanismo delle cose lo aveva affascinato. La tensione costante a quel “guazzabuglio di connessioni” fece di lui un pioniere dell’ecologia molto prima che divenisse una branca della scienza. Tuttavia, più si addentrava nelle scienze naturali, più intensamente si rivolgeva a qualcosa che era al di là della comprensione, a ciò che per lui rappresentava il mondo selvaggio.

In Camminare, uno dei suoi saggi più famosi, Thoreau dichiara il suo credo: “La salvezza del mondo è nella natura selvaggia”. Negli anni successivi, monitorò dettagliatamente la natura, compresa quella umana, annotando la data di fioritura di ogni singola specie, quella del disgelo a Walden Pond, quella in cui le foglie cambiavano colore e infine quella delle nevicate con annessa profondità. Vantava di riuscire ad indicare il giorno esatto del mese osservando i fiori. Ancora oggi gli scienziati utilizzano i suoi meticolosi appunti per stabilire con precisione l’arrivo della sempre più precoce primavera, così come la durata dell’autunno, poiché di anno in anno i cambiamenti climatici non solo accorciano gli inverni, ma alterano anche la composizione della flora di Walden. Oggigiorno, il suo calendario dei fiori è fuori tempo poiché le sincronie da lui documentate stanno perdendo il ritmo. I suoi appunti dunque ci aiutano a misurare l’arrivo dell’Antropocene, la nuova era che minaccia di cambiare qualsiasi cosa. Thoreau sapeva guardare alla Natura come ad una eterna sorgente di rinnovamento e rigenerazione, una forza sacra in grado di guarire persino gli atti più irreversibili della distruzione perpetrata dall’uomo, comprese la schiavitù, la guerra e la devastazione ambientale. Nella conclusione di Walden, Thoreau annuncia l’estatica visione delle forze rigenerative del Cosmo, e solo più tardi, leggendo l’Origine delle Specie di Darwin gli fu chiaro che la teoria dell’evoluzione altro non era che un’allusione alla natura intesa come “creazione costante e continua”, un principio creativo incessantemente all’opera, ovunque e sempre. Più di quanto Thoreau avesse previsto, le azioni degli esseri umani e dei combustibili fossili da loro estratti, sono riusciti ad alterare i processi naturali tanto profondamente da cambiare la composizione chimica dell’atmosfera e degli oceani, da sciogliere le calotte polari e da annientare l’inverno e la vita stessa.

Può il suo credo sopravvivere alla distruzione della natura? Io penso di sì e così sarà.

Thoreau ipotizzava che anche solo una minuscola variazione nei processi naturali – un inverno un po’ più freddo, un’alluvione più intensa – avrebbe potuto mettere fine alla razza umana, assuefatti come siamo ad una natura selvaggia che non ci dà garanzie. Siamo dunque invitati a vivere “deliberatamente”, cogliendo e soppesando le conseguenze morali delle nostre scelte che, come sottolineato in Disobbedienza civile, plasmano l’ambiente in cui viviamo sia dal punto di vista naturalistico sia da quello politico; tutte le scelte, persino quelle che ci sembrano irrilevanti.

La loro totalità è tarata sui parametri del pianeta stesso, un pianeta delicato e vivo, veloce a cambiare suono e forma. Da qui lo straordinario ottimismo dello scrittore di Concord: man mano che la piccola cittadina si ingrandiva e gli alberi secolari venivano abbattuti, questi ne piantava altri deliziando nuove foreste. Anche se i colonizzatori inglesi avevano sterminato molte delle specie animali del New England – come il castoro, il lupo, l’orso e il puma, l’alce, il cervo ed il tacchino selvatico – ve n’erano rimaste abbastanza da assicurare che la natura selvaggia fosse ancora lì, pronta a germogliare a nuova vita e a reclamare ciò che aveva perduto.

Le sue opere incomplete Wild Fruits (Frutti selvatici)  e The Dispersion of Seeds (La dispersione dei semi) esaltano l’idea secondo cui anche il più piccolo dei semi, trasportato dal vento o dalla più piccina delle bestiole, può trasformare il mondo.

Tutto ciò che gli umani hanno bisogno di imparare è lavorare con e non contro i flussi vitali.

Gli scritti incompiuti di Thoreau insegnano a costruire una comunità cosmica; lasciò questo mondo nella speranza che le sue parole, proprio come i semi, avrebbero messo radici e proliferato. Ed è perpetuando e condividendo il suo credo che lui oggi continua a parlarci.

 

From Henry David Thoreau: A Life. Used with permission of University of Chicago Press. Copyright © 2017 by Laura Dassow Walls.

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

Pratolini poeta. Un mannello dimenticato

di Marco Nicosia
«Sono fregata, Casco, la morte non è un sollievo, è un’imboscata.»

Un bon élève

di Simone Redaelli
Ma questa è una menzogna. Nulla nel mondo ha di queste sensazioni. Tutto continua a girare: gli esseri umani procedono indisturbati, gli alberi generano foglie, i muri continuano a reggersi.

“A man fell”, dell’eterna diaspora palestinese

di Mariasole Ariot
Un'esistenza che sanguina da decenni e protesa a un sanguinare infinito, finito solo dal prosciugamento di sé stessa.

Amelia Rosselli, “A Birth” (1962) – Una proposta di traduzione

di Marco Nicosia
Nel complesso, la lettura e la traduzione esigono, come fa l’autrice, «[to] look askance again», di guardare di sbieco, e poi di nuovo scrutare e ancora una volta guardare di traverso

Sopra (e sotto) Il tempo ammutinato

di Marco Balducci
Leggere queste pagine-partiture è in realtà un perdersi nei suoni: suonano nel ritmo delle sillabazioni, nelle pause degli spazi bianchi

L’occhio di Dio

di Silvia Belcastro
Dal mio corpo escono tubi da mungitura perché devo allattare la notte, devo mettere al mondo le sue creature: su un nastro trasportatore sfilano, a distanza regolare, i miei fantasmi contornati di luce.
mariasole ariot
mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot ha pubblicato Essendo il dentro un fuori infinito, Elegia, opera vincitrice del Premio Montano 2021 sezione opera inedita (Anterem Edizioni, 2021), Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), poesie e prose in antologie italiane e straniere. Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato a esposizioni collettive.  Aree di interesse: letteratura, sociologia, arti visuali, psicologia, filosofia. Per la saggistica prediligo l'originalità di pensiero e l'ideazione. In prosa e in poesia, forme di scrittura sperimentali e di ricerca. Cerco di rispondere a tutti, ma non sempre la risposta può essere garantita.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: