Elogio del politeismo – Maurizio Bettini

Prix etranger embargo-Couv avec Bandeau M. Bettini -defIntervista a Maurizio Bettini

a cura di Francesco Forlani

Classicista e scrittore, Professore di Filologia Classica all’Università di Siena, dove ha fondato il Centro “Antropologia e Mondo antico”, curatore della serie “Mythologica” presso Giulio Einaudi Editore e collaboratore di Repubblica, Bettini ha ottenuto il Premio Bristol des Lumières per L’Elogio del politeismo, appena tradotto in francese.

Che cosa ha potuto sedurre il pubblico francese, o almeno la giuria che ti ha attribuito il Prix Bristol des Lumières 2016?

Credo l’approccio generale, l’approccio illuminista dell’impianto, abbastanza laico, decisamente relativista, un libro sicuramente capace di trattare la religione come un fenomeno culturale simile ad altri il che non accade quasi mai: in genere, quando si parla di religione, si dice “beh quella è un’altra cosa”, invece è una cosa di cui si può e si deve parlare, che si può comparare, studiare…

All’inizio citi Tabucchi sul dubbio, su come la letteratura sia sostanzialmente politeista. In un’epoca del Si/No costituzione, questa apologia del forse potrebbe essere una soluzione…

Se non è una soluzione è perlomeno una premessa nel senso che se c’è un dubbio si apre un credito, uno spazio dentro cui mettere le proprie opinioni, le proprie riflessioni. Sono stato per tutta la vita uno studioso: quando uno studia sa per forza quando comincia ma non sa come va a finire. Tutti sanno o vogliono sapere sempre tutto: il referendum è stato un esempio, tutti sapevano già come sarebbe andata a finire, a prescindere da cosa sarebbe veramente successo, da ogni riflessione seria sul cosa si sarebbe andati a votare. Questo è l’atteggiamento generale. La questione delle religioni mi sembra più difficile da tenere perché se si parla ai giovani monoteisti c’è una nozione di fede che è una nozione completamente sconosciuta… non esiste la fede negli dei, esiste questo atteggiamento di “patto”, diciamo, di fede, di cessione totale di sé alla divinità che è sconosciuto, per cui è difficile partire da questo dubbio, da questa apertura di credito. Ecco quello che ho cercato di fare.

Perché nel libro scrivi dei con la minuscola e Dio con la maiuscola? Scelta tipografica o scelta filosofica?

Filosofica, ma anche tipografica. Quando si parla di Apollo che è un dio, viene scritto con la minuscola però spesso dietro alle minuzie ortografiche e grammaticali ci sono dei problemi culturali giganteschi, su tutti la questione del nome di Dio. Assistiamo al paradosso che mentre nelle religioni antiche gli dei hanno nomi propri, si chiamano Zeus, Atena, Afrodite, come se fossero umani, nelle religioni monoteiste, il Dio si chiama come lui, Dio, questo anche per le religioni islamiche, l’ebraismo. Di Dio ce n’è uno solo, quindi è inutile andargli a cercare un nome, perché tanto è lui e basta. Il paradosso linguistico è che mentre posso tradurre Zeus con Jupiter, che è come se io traducessi Francesco con Maurizio, un nome proprio con un altro, diventa impossibile tradurre il nome comune dio da una religione a un’altra. Come paradossale è il secondo comandamento, “non nominare il nome di dio invano”, se non lo puoi proprio nominare, come faccio poi a nominarlo invano?

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Penso alla storia di Nathan il saggio e del re che dovendo dare in eredità il proprio anello pur di non arrecare dispiacere ai suoi tre figli ne fa realizzare due copie perfette: nessuno dei figli però sa qual è quello l’autentico. Una bellissima mediazione linguistica oltre che culturale. Questo secondo te avviene anche passando da Egitto, Grecia, e Impero Romano?

Certo questa è la posizione degli spiriti illuminati, perché bisogna sempre distinguere le religioni dalle persone, le religioni dalle correnti religiose. Gli spiriti più illuminati chiaramente rifiutano questa esclusione, modello esclusivo della divinità è l’eredità, l’esempio dell’opera di Lessing che hai citato è perfettamente calzante. Posizione verso cui tende lo studioso che mi ha molto ispirato che è Jan Assmann, grande egittologo, autore di Non avrai altro dio in cui esprime proprio questo auspicio, questa speranza, cioè che si torni a quel modello settecentesco in cui esiste una religione spirituale che è comune a tutti i vari monoteismi e distinta nelle singole religioni. Chiaramente una soluzione possibile ed auspicabile a condizione che ci sia però anche la possibilità di non avere nessuna religione. Il problema però è che poi tutto ciò urta contro la tradizione, le convenzioni e anche quanto c’è effettivamente scritto nei testi sacri. C’è un intero capitolo dedicato a questo, tra l’altro con molti riferimenti all’attualità francese: il Ramadan, se è giusto o no applicare la pena della lapidazione a una donna. È un problema di scritture, dice. La religione antica invece ti insegnerebbe come fare. Non esiste niente di vincolante. E questo è un’enorme fonte di libertà. La religione poi si realizza, si esplica in pratiche, tradizioni, leggi, però non c’è un momento in cui Dio è venuto ed ha detto: si fa così.

Un concetto-paradigma importante è l’Interpretatio. Puoi dirci qualcosa di questo concetto?

L‘Interpretatio è un’espressione che venne usata una volta da Tacito e funziona così: di fronte a una divinità straniera c’è la possibilità di interpretarla, cioè di tradurla in una divinità locale, nostra, e di stabilire un’equivalenza per cui per esempio Tacito dice che due divinità abbastanza oscure della Germania, gli Alci, nell’Interpretatio romana, siccome sono due fratelli gemelli, sono interpretati come Castore e Polluce. Questo è un processo costante in tutta la religione antica , ma non si può fare nelle religioni di tipo monoteistico: è impossibile dire il mio Dio cristiano è traducibile nel tuo Dio islamico, scatta subito una bar- riera. E’ esattamente l’opposto nel mondo antico dove c’è una grande apertura verso gli dei degli altri, i quali non vengono mai considerati falsi dei, demoni, idoli senza vita e senza poteri, cosa che accadrà nelle religioni monoteiste. Sono in realtà divinità a tutti gli effetti, che posso addirittura non solo interpretare con le mie, e dire non so, Demetra e Iside (l’una greca, l’altra egiziana) ma anche importarle nel mio proprio olimpo, iniziando ad adorare un dio straniero. Per esempio a Roma è una costante: Asclepio, il dio della medicina viene dalla Grecia, Mater Magna, divinità di Pessinunte, viene dall’Asia minore, poi arriverà Iside, insomma c’è tutta una specie di libero mercato….

Foto del 23-11-16 alle 17.04Come per il campionato di calcio, no?

Bravissimo, si possono arruolare i campioni. E proprio per lo scopo per cui si prende un buon centravanti, che si ha bisogno di quella figura lì. A Roma non c’era la divinità della malattia, della salute, allora Asclepio sembrava fare al caso loro e l’hanno importato. Questo che risultato dà? Che non ci si fa mai la guerra per gli dei. A che pro farsi la guerra per distruggere il dio degli altri, quando lo si può accogliere e rispettare tranquillamente?

Tu citi Hegel, cioè il monoteismo della ragione e del cuore e il politeismo dell’immaginazione e dell’arte. L’associazione mi è venuta, forse folle ma ci conosciamo da anni, con il capitolo del presepe dove tu ti occupi della crèche. Nel presepio settecentesco napoletano, quindi non quello di San Francesco che citi, Benino, la statuetta del pastore che dorme, è come se creasse il mondo: la storia della nascita di Gesù sarebbe il frutto di un sogno quindi dell’immaginazione. Come se fosse stato il politeismo a produrre un racconto monoteista?

Mi piace moltissimo quello che dici sul pastorello, anzi dopo me l’annoterò. Un sogno non lo so, di certo all’interno di tutta la creazione politeista antica, in particolare a a livello intellettuale, a livello di filosofi, di poeti come Eschilo, una tendenza al dio solo esiste, ogni tanto emerge. E poi verso la fine dell’antichità si affermerà in via definitiva, quindi se non è un sogno c’è in qualche modo una deriva all’interno del politeismo, però con una differenza fondamentale: il dio solo del politeismo è un dio che raccoglie in sé tutte le altre divinità e non ne esclude nessuna, quindi è un dio inclusivo che serve a raccogliere forze divine non a separarle. Si può interpretare il mondo come se tutte queste divinità potessero essere raccolte in una però se uno vuole tenersi il suo dio al di fuori di questa raccolta complessiva, può farlo. Non lo ammazzano, come invece purtroppo avverrà dopo.

Rete, realtà virtuale, Maurizio Ferraris diceva in un’intervista che i pdf sono come le idee platoniche. Secondo te la rete, il web è politeista o monoteista?

La rete è sicuramente più politeista, è policentrica quindi potenzialmente è infinita perché può moltiplicare punti di riferimento. Uno studioso giapponese, partendo dalla sua religione politeista in cui la divinità è distribuita in vari segmenti, che si possono trovare a volte all’angolo delle strade, diceva che c’è un modo di distribuire il divino che favorisce la frequentazione e l’invenzione della rete. La rete funziona già così, cioè i nostri quadri mentali sono già aperti al policentrismo del web. Naturalmente noi sappiamo che ha anche i suoi lati negativi, tutti questi centri possono sfuggire di mano e diventare imbarazzanti, offensivi. Resta il fatto che è un grande tessuto di libertà. Come lo era il politeismo.

Cosa intendi per quadri mentali?

Per quadri mentali intendo le forme principali di ragionamento che ogni cultura ha, un certo modo di rappresentare il mondo, anche di viverlo quindi di farne un’esperienza che muta a seconda di grandi cambiamenti storici e culturali come per esempio un grande cambiamento religioso. Il politeismo ha quadri mentali diversi dal monoteismo. Lo si vede prendendo un esempio e mettendolo dentro un quadro mentale. Questo io l’ho fatto con il presepio. Se lo metti nei quadri mentali del monoteismo che cosa accade? Poteva sparire o essere imposto a tutti. Perché essendo un simbolo religioso, chi lo venera da una parte immagina già di per sé che dall’altra parte non possa essere accettato. E lì emerge il quadro mentale esclusivo dei monoteisti.

Per concludere la nostra intervista c’è un passaggio nel tuo libro relativo a Jung dove si parla della traduzione nel mondo delle patologie dei miti greci. Quali di questi nomi di medicinali sarebbero papabili per l’Olimpo secondo Maurizio Bettini: Daparox, Euthimil, Seroxac, Prozac, Zoloft, Tatig, Dumirox?

Sicuramente il Prozac sarebbe un ottimo Dioniso.

Intervista pubblicata su Focus-in (marzo\aprile 2017)

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francesco forlani
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Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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