Tre hurrà per Sergej Dovlatov
di Tiziano Scarpa
E’ da poco in libreria Il Parco di Puskin di Sergej Dovlatov, tradotto da Laura Salmon e pubblicato da Sellerio come gli altri libri dello scrittore sovietico, emigrato negli Usa, dove è morto nel 1990. Per far festa a questa nuova traduzione, ripropongo qui sotto tre piccole segnalazioni che nel corso degli anni ho dedicato ai libri di Dovlatov, sui giornali e in rete, a cominciare dalla più recente.
Sergej Dovlatov è una cura dello spirito, una giostra di buonumore, un dono di saggezza senza saccenza. Leggete uno qualsiasi dei suoi libri, non sbaglierete in nessun caso. Nel Parco di Puskin farete un sacco di incontri indimenticabili.
Il primo è con lo stile: rapido, rapinoso, sa fare il ritratto di una persona con una sola frase spiritosa e profonda. Il secondo è con il protagonista, Boris, uno scrittore trentenne che nessuno vuole pubblicare nell’Unione Sovietica degli anni Ottanta. Lascia a casa moglie e figlia, va a fare la guida turistica nel parco-museo dedicato a Puskin. Il terzo incontro è con una folla di personaggi: le funzionarie devote a Puskin, donne sole, maleamate, affamate di affetto; i bevitori sfaccendati; i turisti che vengono a visitare il parco per sentirsi più colti… Poi c’è la moglie di Boris: non ne può più dell’Unione Sovietica e delle velleità letterarie del marito, viene a dirgli che sta per emigrare negli Stati Uniti: tra di loro c’è una scena di seduzione coniugale che non scorderete mai. Incontrerete anche la stupenda traduzione di Laura Salmon, che ha scoperto Dovlatov e l’ha introdotto in Europa Occidentale: la sua lingua italiana incisiva, arguta, umanissimamente viva è un’opera d’arte in sé.
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Come nasce il passaparola? Come cresce? Come si muove? Serpeggia? Striscia nell’ombra? Si insinua nelle catacombe? Spiffera dalle fessure?
Il passaparola è la forma più simpatica di pubblicità. È la piccola fionda che ci resta in mano di fronte al volume di fuoco di trailer, spot, jingle, slogan. Sul passaparola fantasticano soprattutto gli editori. Un libro può avere buone recensioni, vincere premi, andare in tivù: ma se non c’è il passaparola dei lettori, non si vende (vuoi vedere che è la letteratura l’ultimo posto dove circola ancora un pochino di autenticità?).
“Dovlatov, l’hai letto?” mi chiede il mio amico libraio a Venezia.
Prendo in mano un paio di titoli. Sellerio editore. Copertine tristi. Un uomo col muso lungo. Un vaso di fiori brunastro. Mi fido del mio amico. Compro La valigia.
Tre giorni dopo, a Milano, entro in libreria a chiedere come mai hanno messo in vetrina un libro di Dovlatov, che non è neanche recente. “Scherzi?” mi fa la libraia. “Noi qui Dovlatov ce lo strappiamo di mano”. (Chi l’ha detto che i librai non leggono?).
La settimana scorsa un mio amico parte per New York. Vuole consigli per leggere in aereo.
“Straniera di Dovlatov“, gli dico.
“Un russo?!”
“Sì, ma emigrato a New York nel settantotto. È la storia di una russa con la puzza sotto il naso che si innamora di un sudamericano, a New York. Vedrai che non resisti.”
Ieri ricevo un messaggio di posta elettronica: ” Ho letto Straniera, Dovlatov è già tra i miei preferiti! Adesso comincio La valigia. Saluti dalla grande mela”. Capito? Insomma, non dite che non vi hanno avvertiti.
Da dove vi conviene cominciare? Forse proprio da Straniera. Ve ne ricopio una riga: “Tu, gli dico io, sei un lurido muso nero sifilitico. E lui mi dice: ti amo”.
Da qualunque libro di Dovlatov iniziate, non sbagliate. Anche perché sono tradotti splendidamente. Noi italiani siamo fortunati, Laura Salmon ha fatto un lavoro che lascia ammirati: la vivezza della frase, l’umorismo formicolante. In Francia, per dire, Dovlatov proprio non lo conoscono (ma ho esteso il passaparola al mio editore francese). In Giappone ne vanno pazzi. In America era piaciuto a Vonnegut.
In Russia è un mito. Lo è diventato col tempo. Il perché lo spiega bene Laura Salmon: lontano dai toni roboanti dei dissidenti, pur essendo morto da dieci anni, Dovlatov ha prefigurato il dopo-perestrojka, questo tempo del tutto nuovo per i russi, un tempo senza “nemico” e senza “ideale”.
La valigia contiene nove racconti: i nove oggetti che Dovlatov si è portato in America. Calzini finlandesi contrabbandati in un commercio fallimentare. Un paio di scarpe rubate al sindaco di Leningrado durante una cerimonia. I guanti da automobilista con cui ha recitato la parte dello zar Pietro il Grande in uno scalcagnato film…
Compromesso presenta dodici suoi brevissimi articoli di giornale, e dodici retroscena di come è arrivato a scrivere quelle grandi o piccole menzogne. In Unione Sovietica ha fatto soprattutto il giornalista. Prima o poi lo sbattevano sempre fuori.
Sergej Dovlatov è nato nel 1941. A trentasette anni è emigrato in America. Nel 1990 è morto. In mezzo ci sono una decina di libri: una specie di ininterrotta autobiografia genialmente travisata. Quattro sono stati tradotti in italiano.
A proposito, l’ultimo è appena uscito. Si intitola Noialtri. Snocciola ritratti dei suoi familiari, dai nonni fino al cane. È bellissimo.
Ne ho vista una pila bene in mostra accanto alla cassa di un’altra libreria milanese…
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Per parlare di Sergej Dovlatov senza far torto al suo piglio antiretorico bisognerebbe tralasciare i superlativi. Due mesi fa un amico libraio mi ha consigliato la raccolta di racconti “La valigia”. Ho preso una scuffia per questo scrittore sovietico che ha fatto il giornalista, è emigrato a New York nel ’78 ed è morto nel ’90, a quarantanove anni. Ringrazio di cuore Laura Salmon, che non conosco ma, lo dico da lettore, è diventata una delle persone che mi sono più care, per aver scoperto e ricreato questo narratore in un italiano smagliante. Le sue traduzioni sono una delizia, un vanto della letteratura italiana contemporanea. Dopo “Straniera”, “Compromesso” e “La valigia”, quest’anno è uscito “Noialtri”. Tredici ritratti di famiglia, dal bisnonno alla cagnetta di casa. Non c’è nessun altro scrittore che sappia fare delle “copie dal vero” così vive degli esseri umani. Cagnette comprese.
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Grande, grandissimo Dovlatov!
Anche Paolo Nori lo ama alla follia Dovlatov e anche Erofeev e Charms.
Sono bravi i russi.
grazia complimnta lusingo me mlto bene. ciao italia letori boni, scritori no. scimie voltoline proprio noia noia no. meglio muoiono come me, persempre: qui nel niente sista bastanza bene. dasdrovie. ciao scarpa ancore grazia ciao.
Che buffo che è Scarpa. Pensa di sapere cos’è la vera arte, cos’è la vera letteratura. Io sapete cosa farei? Lo legherei come un salame, gli presserei due cuffiette del walkman nelle orecchie e gli farei sentire Piero Ciampi a ripetizione: il vino, in un palazzo di giustizia, mia moglie, livorno, bambino mio. Roba vera, sincera. Allora – forse – capirebbe cos’è la vera arte, la vera letteratura…
Avete finito de rompe lì cojoni? La vera letteratura, Piero Ciampi, Livorno bella, ma famme er piacere. Fatte un bicchiere de vino davero e nun sta a rompe. Scarpa e Voltolini se postano quello che je pare. De Divlatov Dovlatov o come cazzo se chiama, e le scimmie e pure gli oranghi se je gira. E tu smamma se no m’encazzo sur serio.
credo che a tarzan possa piacere oltre a Piero Ciampi anche erofeev lo vedo, e vedo Ciampi e Erofeev, sulla stessa lunghezza d’onda
A me me piace pure er presidente Ciampi, vabbene? E nun me rompe pure tu. Ciampi era mejo de tanti artri. Parlo der cantautore, der poeta. Pure er presidente è mejo di quell’artro, come se chiama, er mezzo prete, mo’ nun me ricordo er nome,vabbè, chissenefrega.