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di
Gianni Campi

Mode d’emploi
lettera d’istruzione distruttiva al lettore

Per apprezzare o disprezzare il seguente pezzo di…, si desidera
offrire codesta sorta di vaderetromecum o di prontuario al disuso;
punto per punto si daranno dunque le scoordinate, poco o nulla
cartesiane, per disorientarsi al meglio e orientarsi al peggio. La
historia è breve: il direttore dell’ Eco di Caserta ,
avendo pubblicato un articoletto, tra l’altro di già edito su
Lo Straniero fofiano, dello ‘scrittore’ Antonio
Pascale sul problema dell’immonda immondizia, gli balenò
l’idea di averne un commento da parte del sottononscritto, a suo
(del direttore) dire egli (il Pascale) essendo un ‘mio’ collega. Tra-
lascio – qui non essendo sede per diatribe – di dire di quel pos-
sessivo e della professione di ‘scrittore’, questa, come dire?,
categoria (?) non esistendo affatto, né dunque potendomi impos-
sessare d’un’inesistenza – quest’ultima ipotesi godrebbe d’una
impossibilità a me cara per altri versi. – Ma, come che sia, a
tale richiesta cercai di denegarmi, adducendo che al più avrei
potuto scriverne, visto che l’articolo in questione prendeva le
mosse (è proprio il caso di dirlo) dalla scatoletta manzoniana
plena di ‘merda d’artista’, un altero commento sì, ma solo e
soltanto su d’ella scatola escatologica.

Ed illo, per tutta rispo-
sta: “attendiamo”. Or dunque, essendo la de-negazione una
sorta di negazione della negazione, e data la mia familiarità
– ‘letterale e in tutti i sensi’ – con esso tema, la cosisdetta merda,
tentai di farmene scrivere d’un punto di vista a me altero. Non
perciò il secreto poetar escreto mio, che è poca o nulla cosa,
sibbene appunto partendo d’altera parte. Frequentando il
compagno segreto , decisi di rincongiun-
germi ad un meraviglioso post (si dice così?) di f.c., il quale
pur partendo dall’escatoletta tutta via se ne partiva per altere
vie. E mi misi alla ricerca di cotali vie e viuzze, e vicoli e
vicoletti, quali tenui, ma senza tenuità, quali ciechi, ma senza
cecità, quali retti, ma senza rettitudine. Il risultato giudicherà
il lettore.

altero commento
evacuazione!

(o del vuotar il ‘tristo sacco’)

Codesto pezzo, che per spassatempo reco a Voi, Cari Lettori, è tratto
pari dispari d’alcuni fragmenti sparsi qua e là, e per ogni dove e per
nessuno. Non hassi la pretesa di ricomporne l’unità sì bene di darne
appunto il multiplo del principio della non contraddizione della fine.
Il conto parte da una storia che di già ebbe il suo cominciamento al-
trove, e arriva, per vie traverse e vicoli ciechi, a un altero altrove, il
quale dove che sia nessun sa.

Personaggi:
monna lisa
pieruccio
des champs elysées
mercadante
granullo

atto primo
(o del minuto atto)
– lacrimazione-

Mercadante: – Quivi giungemmo, ove precluso pare l’oltre passare,
se non per un minuto foro.
Pieruccio: – Un malo pertugio. Chi vuole che vi entri?
Granullo: – Non io, di certo.
Des champs elysées: – Io v’entrerò dentro, io: nel ventre v’entrerò.
Pieruccio: – Una volta entratovi, che che ne uscirà?
Mercadante: – Ho un’idea: entratovi, non ne uscirete. E pur nulla via
potreste farci sentire le voci di dentro.
Granullo: – Noi di fuori sentir le voci di dentro? Che meraviglia!
Mercadante: – E Lei di dentro quelle di fuori, così da non farLe sen-
tir di troppo la mancanza.
Des champs elysées: – Quel che manca è mancante: a destra andante
o a manca, mancherebbe per non esserci destro che non sia sinistro.
Granullo: – D’estro sinistro è il suo dire. Non La seguo.
Pieruccio: – Per forza di cose. Non è possibile che più d’uno per volta
v’entri.
Granullo: – Dunque, è un luogo che non accetta l’altro? Un luogo per
l’uno e non per l’altro?
Mercadante: – Per un certo verso è così.
Des champs elysées: – Come non è incerto uno diviso.
Pieruccio: – Lei è ora incerto sul verso da farsi. Si sta forse ricredendo?
Des champs elysées: – Per ricredermi, dovrei prima di tutto credere, e
poi di nulla?
Granullo: – Lei ha dell’incredibile!
Mercadante: – Non è forse credibile l’incredibile? Non è forse vero-
simile l’inverosimile?
Des champs elysées: – In vero simile è l’inverosimile: non trova?
Pieruccio: – Chi ha parlato? Pareva la voce di… ma dov’è ch’è bello
e andato?
Mercadante: – Più che bello l’è brutto e andato, e per brutture.
Granullo: – Andato, è andato.
Pieruccio: – Che che ne verrà?
Mercadante: – Non ne verrà nulla?
Granullo: – Che che ne vedrà?
Mercadante: – Ben ne vedrà il mal visto di fuori, essendo dentro.
Des champs elysées: – Bene detto male, male detto bene…
Granullo: – Chi…
Pieruccio: – Tsch… tsch… Silenzio!
Granullo: – Mi par d’esser commosso, quasi quasi mi scappa.
Pieruccio: – Le scappa la qual cosa?
Mercadante: – Una lacrima, o due.
Granullo: – Non ne basta una? La seconda a che?
Mercadante: – La seconda – altera – a conferma dell’inessenzialità
della prima.
Des champs elysées: – La conferma della negazione del contra-
rio: per venirne diviso, il fiume salirà alla sorgente.
Pieruccio: – C’è forse un fiume all’interno? Ascoltiamone il son.
Granullo: – Lei lo sente? Io non sento nulla, io.
Mercadante: – Sentir essere la qual cosa: e il son di Lei, e il
Suo son.
Granullo: – Io sol non sento, dunque?
Pieruccio: – Dunque l’ultima nota l’è ignota: sol d’io non sente?
Des champs elysées: – Non d’io son son: né do da sol, né viceversa
l’ultimo – principio – da la prima – fine, – o da il primo – fine. –
Granullo: – Fine. Mi par d’ascoltare un canto infernico.
Mercadante: – Non uno sol canto, non l’uno soltanto ma l’altero
insieme: non un sono sol – tanto – di quanto esser vi sia d’essere
tale che non vi sia destino ultimo diverso da che.
Granullo: – Da che dacché?
Des champs elysées: – Da… da… dal tempo dei tempi senza
tempo, qual si sia la cosa e l’esser Suo son senza fine, capo
volto tronco senza volto né capo, e di Lei lo stesso.

(fine primo atto minuto)

atto secondo
(o dell’atto medio)
– solidificazione –

Granullo: – Ma che dice? E chi? Lei dice lo stesso?
Pieruccio: – Ma che macché. Più tosto: sì sì sì.
Mercadante: – Deve essere?
Des champs elysées: – Lo stesso Lei di’, e insieme diverso – di’
d’io apostrofando il son di verso in verso, per allontanar la
strofa, o per distinguerla, e perderla.
Granullo: – Lei si è perso, si sente solo la Sua voce.
Mercadante: – Inverso cosa da pensare a voce alta. Forse si
sente sol, e la Sua voce, da basso: da basso continuo, per la
discontinuità, o per il garbuglio.
Granullo: – Questo sì che un bel garbuglio.
Mercadante: – Men che bello, direi, e più che brutto, com’anzi
detto, e via andante ad agio, ma non troppo, per brutture.
Pieruccio: – A pensarne il peso, ad esempio, potrebbe darsi il
caso del caso nostro.
Granullo: – Non potremmo pensarne la leggerezza?
Mercadante: – Il peso del pensare lordo o netto?
Pieruccio: – La tara del pensiero – d’un tratto detratto, un conto
senza dar di conto e né più né men dando conto di; – o il pensiero
della tara – d’un tratto differente: – al lordo del netto, al netto
del lordo.
Granullo: – Altro che differenza!
Des champs elysées: – Altro che altero ché: le è propria solo
la proprietà, e la somma? Le è propria solo la proprietà della
somma, e la somma della proprietà? O forse che le sia improprio
l’esproprio? Non si appropria proprio di niente d’improprio?
E pur tutti, via, si sa, son pieni d’improprietà – e così fan: – è
così che si fa: ci si disfa del proprio peso superfluo alla bisogna.
Che sia lordo, il peso, e non netto, è per ché tarato o ché diviso:
il prodotto diviso, la divisione del prodotto.
Granullo: – Non capisco. Non capisco più nulla. Da dove
proviene codesta voce?
Des champs elysées: – Forse non viene pro ma contro. O
forse è una voce fuori dal comune, fuori dal coro: una
nota stonata, che accolga in sé la differenza: la raccolga,
codesta raccolta di differenza! o le è indifferente?
Granullo: – Ora la sento, se pur lontanamente. Lei mi sta
forse venendo incontro.
Pieruccio: – Ne sente il peso adunque? Le si sta radicando
la tara? Ora non c’è netto che tenga: Le è lordo il tutto?
Granullo: – Quale orrore! Quale orrore!
Mercadante: – L’immondo mondo Le fa orrore? Non era
per ciò un errore il non aver orrore? Le è necessario il
differenziarsi?
Granullo: – Ma qual è in fine la differenza?
Des champs elysées: – Che non ci sia accordo tra le parti, o tra
le parti e il tutto, o tra il tutto e il nulla; che ci sia disaccordo
tra ogni male operare per il bene che non è bene e ogni bene
operare per il male che non è male: forse è tale, forse è tal
altero.
Granullo: – Il bene non è bene, il male non è male?
Pieruccio: – Niente male!
Granullo: – Tutto bene, allora?
Mercadante: – E pur dovrebbe essere altero, e cioè a dirsi
in corso d’opera il male andrebbe operato. Se non venisse
operato, non ci sarebbe possibilità di cura. Lei non si cura
del male?
Pieruccio: – Lei non ha cura del male. Lei lo trascura. Lei ha
cura solo del bene?
Granullo: – A ché aver cura del male piuttosto che del bene?
Mercadante: – Lei pensa che sia bene dire bene del bene? E
bene dire male del male? Non pensa che ci sia anco un male
dire male e del bene e del male?
Pieruccio: – Lei pensa che sia male dire male del bene? E
male dire bene del male? Non pensa che ci sia altro?
Granullo: – C’è sempre altro? Mai che non ci sia altro.
Mercadante: – Altro e altero, altro o altero.
Des champs elysées: – Altro altero in testi… no?

(fine secondo atto)

terzo atto e ultimo
(o del grand’atto)
– implosione esplosa
o
implosa esplosione? –

Pieruccio: – Per l’ultima parte?
Mercadante: – Ci son varie ultime parti, e vari primi: e vario
e varia… di natura naturale, naturalmente, e innaturale.
Granullo: – Quanta varietà d’ogni genere, e d’ogni grado!
Pieruccio: – Ma non certo d’ogni ordine, se non disordinata:
un divariato ordine, una matassa, e difficile da sbrogliarsi.
Granullo: – Se soltanto si riuscisse a vederne un capo, o la
fine! Si potrebbe vederne qualcosa? Io non vedo, io.
Mercadante: – Cosa vederne? Lei tanto meno ne vede quanto
più ne vedrebbe.
Granullo: – Lei non è ragionevole.
Pieruccio: – Non Le è ragionevole la ragione? Non vuol sentir
ragioni?
Granullo: – Al contrario, io voglio sentirne le ragioni, io; io
voglio vedere, e toccare con mano, io.
Mercadante: – Non pensa sia viceversa necessario pensarne la
cosa e il suo essere insieme? Pensarne insieme la cosa dell’essere,
e l’essere della cosa?
Granullo: – Per ché da cosa nasca cosa?
Pieruccio: – Pensiamone le parti. Di che son fatte le parti?
La cosa di cosa è fatta?
Granullo: – Cosa fatta, capo ha.
Des champs elysées: – Pur avendo capo, resterebbe a dirsi se
tale capo sia fine o principio, o fine e principio; o se sia la fine
del principio, o il principio della fine, o l’uno e l’altero, sempre
che altero sia, e non uguale; o se sia in fine il fine del principio,
e il principio del fine, o tutti e due, sempre che sian due, e non uno:
altero due in uno diviso a sua volta copia d’esemplare prodotto.
Granullo: – Lei non ha principio né fine. Lei non ha principi né
fini. Lei non ha capo né coda. Lei non ha più la testa in testa.
Lei ha proprio perso la testa.
Des champs elysées: – Perso la testa, per ritrovarla in testi… no?
Non trova che là la si possa ritrovare?
Granullo: – Là… là! Ma dove? Dov’è che si trova?
Des champs elysées: – Altrove, in altero altrove, ove è l’altero:
il grand’altero.
Granullo: – Dov’è chi? Chi è dove? Chi è là? Chi c’è? Non c’è
essere, qui.
Mercadante: – L’essere? L’esserci dell’essere? Di che è fatto
l’essere ? Di cosa è fatto l’essere?
Granullo: – L’essere è fatto di cosa? Non mi par che l’essere sia
fatto di cosa.
Pieruccio: – Se non fosse fatto di cosa, potrebbe dirsi che se ne
sia disfatto? Che l’essere si sia disfatto della cosa?
Granullo: – Sempre a disfarsi di tutto, mai che si sia qualcosa.
Mercadante: – Qual cosa, di grazia?
Granullo: – Di grazia? Non siete certo pieni di grazia.
Pieruccio: – Non plena di grazia la qual cosa, né l’essere, né
gli esseri, ma di disgrazia?
Granullo: – Quale disgrazia!… Quale disgrazia? E mi par
che si sia di dentro a un sogno, senza senso alcuno, o ad un
incubo.
Des champs elysées: – In cubo ha detto? Non proprio un
cubo, ma, dandosi figure e geometrie, potrebbe dirsi un
cilindro, svolto e riavvolto su se stesso, sull’affermazione
della negazione di sé, e più e più cilindri collegati l’uno
all’altero attraverso pieghe su pieghe, e flesse flessure, e
dotti, qual biliosi d’edurre un secreto antiquo, qual panici
d’indurre l’escreto timor della carne a incarnarsi, senza
però che lo si accarni del tutto.
Mercadante: – Lei si dà, Lei si nega.
Granullo: – Come darsi negandosi?
Pieruccio: – Dandone il negativo, per far apparir chiaro
l’oscuro, e viceversa.
Granullo: – Non potrebbe darsi il positivo, più semplicemente?
Mercadante: – Forse il più Le è semplice e il meno complicato?
Non potrebbe darsi il caso inverso?
Des champs elysées: – Più o meno enumerarne la differenza
nell’uguaglianza.
Granullo: – Come differenziare l’uguale?
Mercadante: – Contando e cantando: un, due, un due, tre,
un tre, quattro, un quattro, e via e via, fino a novanta.
Pieruccio: – No… vanta! Novanta cilindri, tutti uguali,
tutti diversi: pleni di no, di rifiuti, di prodotti di scarto.
Granullo: – Per farne cosa?
Mercadante: – Appunto per farne cosa, per essere cosa.
Des champs elysées: – Per l’artefatta cosa fatta arte.
Granullo: – E mi par altro: La mi par soltanto altro.
Altro ché se La mi par altro.
Des champs elysées: – Altro ché altero che, relativo forse
a un assoluto domandare: intestino ad esso, adesso, non
comune, per sprofondare la superficie, e liberarne il pro
fondo.
Pieruccio: – Vada fino in fondo. Sia retto: s’imbratti e
s’imbrutti, risalga il fiume, curva dopo curva, piega
dopo piega, flessura dopo flessura, dotto dopo dotto.
Non Le è nota la causa? Le è noto sol l’effetto?
Granullo: – Io non noto, mi pare, se non l’ignoto, io: non
effetti, non cause.
Mercadante: – Lei liberato d’io, per altro altero verso.
Granullo: – Dio mi liberi da Lei, e dalla Sua scatola, e
dalle Sue scatole. E mi par niente più che un morbo.
Mercadante: – Che pute di per sé, ma che puote dì
mandando, e se, pur senz’accento, diviso.
Des champs elysées: – Di viso in viso dell’inviso vis o
d’amar volto ad altro.
Granullo: – Lei si volge, ora.
Pieruccio: – Una fiamma La infiamma.
Granullo: – Lei si ritrae.
Mercadante: – Deve essere così.
Pieruccio: – Sì sì sì, così deve essere.
Granullo: – Perché così ritratto ora?
Mercadante: – Lei ha una smorfia.
Granullo: – Di disgusto?
Pieruccio: – Una gioia dolorosa, un dolore gioioso.
Granullo: – Lei ride. Lei piange.
Mercadante: – Una lacerazione La lacera.
Pieruccio: – Una lisi La elide.
Granullo: – Ma…
Pieruccio: – Donna…
Mercadante: – Lisa…

(Era un gran caldo.)

Des champs elysées: – Ella ha caldo au cul de sac.

postilla impropriedeutica

forse il titolo esatto nella sua inesattezza avrebbe dovuto essere:

è vacu’azione!

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12 Commenti

  1. Mi succede questo: quando apro l’home page di NI mi appare il titolo, poi l’immagine, faccio scorrere, arriva la firma dell’autore, il sommario, e a questo punto penso: questo post è a cura (cioè pubblicato) di Francesco Forlani. Ci prendo il 100 % 100 dei casi. Anche con altri ci prendo, ma non sempre. Con te sempre. Hai un marchio di fabbrica ragazzo, uno stile inconfondibile nelle scelte, nell’impaginazione, tutto.

  2. a proposito mon camarade
    ho comprato la riedizione di cuore (‘o magazine di michele serra)
    è proprio vero che frigidaire stava agli anni settanta come tango gli anni ottanta e cuore ai novanta. per i duemila, tu che fosti in frigidaire cosa prevedi?
    effeffe

  3. Visto il contenuto andrebbe scritto scatola ‘scatologica’, invece di ‘escatologica’. Così, a modesta opinione. A meno che il fine ultimo di noi tutti sia la merda. In tal caso il gioco funziona.

  4. Hai ragione, Baldrus, effeffe possiede uno stile proprio, una creatività sempre in movimento: immagine e titolo che giocano con la pluralità dei sensi, un’intelligenza dei testi, un arte della provocazione, ma anche sensibilità. E’ raro trovare una tale diversità nella tonalità e il registro.

  5. Mon ami, la vedo male. Il coro unanime di orrore per due performances di attori comici durante una manifestazione mi urla nelle orecchie che la retorica, l’ipocrisia, e soprattutto la paura dominano questo paese. Temo che la creatività dello sberleffo, la pernacchia in faccia al potere siano ingoiate per sempre dal regime dei bigotti, dei tromboni, e soprattutto degli spaventati, dei terrorizzati. Ricordi le vignette inglesi con Reagan che sodomizzava la Thatcer vestita sadomaso, e viceversa? Te l’immagini oggi, in questo paese dove si fa a gara a chi s’indigna di più?

  6. E quanto sopra non si riferisce alle questioni di opportunità politica, per cui è “inopportuno” oltrepassare certi limiti per non essere strumentalizzati dal nemico, perché bisogna puntare ai contenuti ecc. No, spazzo via tutto questo. Non si tratta di fare i bravi, gli educati. Con questi presupposti non sarebbero esistiii il surrealismo, né il dadaismo, né il situazionismo, né i provos, né i kabouters, né i diggers. Niente.

  7. Leggo nel post citato da Francesco Carbone che:

    “sogni sesso e cacca – vedi sia Freud che la Smorfia – sono fratelli indubitabili”.

    Restando in campo freudiano le feci offerte dal bambino sono un’estensione del sentimento di affetto nei riguardi della figura parentale. Una tale affettività resta come reminiscenza residua nell’adulto sotto forma di valore simbolico rappresentato dal denaro. Incosciamente per l’adulto il denaro è l’antica cacca e dunque l’aspetto presentabile di un’affettività ormai giudicata sconveniente. L’equazione soldi – affetto è facilmente riscontrabile quando ci giudichiamo ingiustamente truffati in un affare. L’insulto è costituito dalla rapina apportata a ciò che ci è più intimamente caro. Non già il denaro ma l’affetto dato spontaneamente e in questo caso mal ripagato.
    Un esempio palpabile è rappresentato dal dono di un amante alla propria donna di 50000 euro. Trattasi di 50000 euro di antica cacca. Paradossale ma vero.

  8. Se per commento
    [e convinta ammirazione per l’estensore]
    al testo non ho altro da offrire che questa umile frase:
    “Senso non so se non sono senso”

    invece

    voglioso di aggregarmi al meritorio Baldrus
    convenendo nella riposta a Effeffe:
    “Mon ami, la vedo male”

    tentando di entrare in tema

    propongo di eleggere a Grande Eroe Nostro
    [fulgido esempio, per noi, in questi tempi bui]
    l’anonimo che rese vedova Matilde di Canossa,
    fosse o non fosse lei, la mandante:

    *
    Il marito Goffredo il Gobbo nel 1076 (come riporta Lamberto di Hersfeld) cadde vittima di un’imboscata nelle sue terre nei pressi di Anversa: durante la notte spinto da bisogni corporali si recò al gabinetto e un sicario che stava in agguato [nella fossa, immerso nella merda] gli conficco’ una spada tra le natiche lasciandogli l’arma piantata nella ferita.
    Sopravvissuto a fatica, una settimana dopo, il 27 febbraio, morì.

    Vikipedia.

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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