Breve storia dell’emergenza rifiuti in Campania
Primavera del 2007. Petra e io passeggiamo nel Parco Ventaglieri, nel centro di Napoli, facendo attenzione ai gradini rotti e alle grate su cui poggiamo i piedi, la manutenzione dello spazio è scarsa e l’effetto della furia dei ragazzini e degli agenti atmosferici trovano poco rimedio. Lei è una giornalista tedesca, di Monaco, e ha voluto incontrarmi per parlare della mia città, sa della situazione dell’emergenza rifiuti, chiede delucidazioni e, dall’alto della sua tradizione civica, esclama “Capisco tutto: la corruzione, il malgoverno… ma come è possibile che qui i politici siano arrivati al punto di permettere un disastro ambientale che umilia anche loro?”. Non so rispondere, ma la domanda mi rimane nella testa, diventa anche la mia e ancora oggi cerco di trovare le ragioni profonde di questo oltraggio. “Come è potuto accadere tutto ciò?” domanda da olocausto, instillatami da una bavarese.
I fatti non sono mai inequivocabili come voleva Jack London in “Martin Eden”. Dopo Einstein e l’11 settembre provi a parlare di realtà e ti ritrovi nell’immaginario e viceversa, ma intanto, nelle cronache di questi giorni, fioccano le interpretazione e gli opinionisti mentre la gente non ci ha capito niente. Qui in Campania, non siamo ad alti livelli di mistificazione, non a quello che scriveva Debord per cui “Il vero è solo un momento del falso”, qui si fa solo una gran confusione, anche da parte di chi denuncia le cose, le rivelazioni arrivano a tratti e sempre per la forza del glamour o delle vicende: il call center milionario di Bassolino, le manganellate alle donne di Pianura e così via. Ma questo disastro non era annunciato? I documenti degli attivisti (tutto loro è il merito di aver portato a galla la situazione) non sempre sono chiari, a volte oscillano tra l’ermetismo tecnoambientalista e il proclama contro l’imperialismo, le immagini delle pecore morenti dei fratelli Cannavacciuolo ad Acerra e il percolato che filtra da discariche che sarebbero state bonificate con i prelievi della Tarsu. I cittadini campani poggiano la loro indignazione sul generico assunto per cui “Chi comanda è corrotto” e “Si sono mangiati i soldi”. La stampa nazionale, che ha finalmente accolto la gravità della situazione, recita a memoria “Gli affari della camorra – La rete delle ecomafie – Un intreccio tra politica e criminalità organizzata”. La strategia di chi ha delle responsabilità sembra avvantaggiarsi di questa confusione, tra i suoi fumi è più difficile intravedere i fatti, perfino equivocarli.
Emergenza rifiuti, perché? In Campania viene dichiarata nel febbraio del 1994, e questo fa sì che la gestione passi a un delegato del capo del governo, allora limitata alla figura del prefetto, con poteri speciali che mirano a riportare la situazione verso l’ordinario. La Campania ha in quell’anno le proprie discariche piene o in via di saturazione ma ciò accade perché è in ritardo nell’adozione di un nuovo piano per i rifiuti che non si basi sul ciclo, ormai superato, di raccolta e sversamento. Commissariare significare gestire i rifiuti con fondi prevalentemente non regionali, avvalersi di competenze tecniche straordinarie e poter attuare scelte emergenziali che altrimenti non sarebbero possibili. L’altro grande caso di commissariamento a sud è quello del dopoterremoto del 1980, i danni che ha prodotto nelle terre dove la criminalità organizzata è diffusa potevano forse far prevedere che anche commissariare i rifiuti in Campania avrebbe riproposto problematiche simili, ma di questo è inutile scrivere oltre.
Parliamo con un Mr. X che ne sa molto ma non vuole comparire come fonte:
“Tu hai avuto un ruolo dirigenziale alla Provincia di Napoli fino al 1996, come mai ti sei dimesso?”
“Ho preso parte a quella che chiamerei ‘fase 1’ dell’attuale emergenza. Allora già subodoravo che questa faccenda del commissariamento non sarebbe valsa a risolvere la situazione ma, anzi, a peggiorarla. Nel 1995, con la giunta regionale di Antonio Rastrelli di An, ho visto il prevalere di criteri di consociativismo proprio a partire dalle possibilità che la situazione di emergenza offriva ai politici. Io stesso presi parte alla gestione del primo bando di formazione per operatori ecologici che poi portò all’assunzione di 2.500 persone. La cosa che mi scandalizzò fu che Regione, Provincia e Comune aggirarono il collocamento e scelsero i corsisti tra liste di disoccupati create anche all’ultimo minuto, con evidente presenza della camorra che comprava gli elenchi dei nomi da gruppi già esistenti. Fu una spartizione tra destra e sinistra, divisa in quartieri e aree, secondo le esigenze di ciascun partito che ne guadagnò bacini di voti, cedendo, attraverso i fondi per l’emergenza rifiuti, denaro alle cooperative che poi, in seguito, venivano incaricate di svolgere servizi di nettezza urbana. Da questa prima manovra, ripresa dal commissario e governatore dell’Udr Losco, nel 1999, e poi subito dopo dalla giunta Bassolino, siamo arrivati ad avere oggi in Campania 12.000 addetti alla raccolta dei rifiuti, cioè 1 ogni 400 abitanti mentre la media italiana è 1 ogni 9.000. Una rete di clientele che poi il centrosinistra al potere dal 1999 ha perfezionato con il ricorso alle società miste; gli Lsu, i lavoratori socialmente utili, sono stati resi stabili con lo stesso meccanismo. Sotto Losco le assunzioni vennero fatte anche attraverso l’azienda speciale Asia, o meglio per assorbire quei lavoratori fu creata questa azienda che gestisce l’igiene ambientale a Napoli. A me bastarono i primi due anni, quando mi resi conto di ciò che stava accadendo diedi le dimissioni, altri invece sono rimasti e vedo che hanno fatto carriera.”
Sempre durante la giunta Rastrelli, nel 1996, il governo amplia i poteri dei commissari speciali e dà la possibilità, ai limiti del legittimo, che queste cariche possano essere ricoperte dai presidenti eletti delle Regioni. L’allora governatore viene scelto a guidare l’emergenza e vara un piano con cui affida l’intero ciclo dei rifiuti a imprese private, riducendo via via la funzione di controllo istituzionale e, come gli è permesso dallo stato di emergenza, mutando le valutazioni di impatto ambientale in pareri sulla “compatibilità”. Con il ciclo dei rifiuti nelle mani dei privati, dal momento che l’individuazione delle discariche spettano alle aziende, iniziano subito le speculazioni su terreni da adibire a siti di stoccaggio o discariche, la creatività del profitto fa sì che i terreni – spesso di proprietà dei clan – vengano comprati a prezzi folli dalle società appaltatrici – spesso infiltrate – pesando sul bilancio del commissariamento. Alla fine, oltre alle diseconomie, ne viene fuori una mappa regionale dei siti assurda, dettata solo dalla speculazione, comprendente territori dove sarebbe invece necessaria una bonifica e dove il tasso di morbilità è ormai allarmante. Già prima che venga pubblicata la ricerca del fisiologo del Cnr Alfredo Mazza nel 2004, le popolazioni comprese tra i comuni del napoletano di Nola, Acerra e Marigliano, soprannominato il triangolo della morte, capiscono che qualcosa non va. In questa zona abitata da oltre mezzo milione di persone l’indice di mortalità per tumore al fegato ogni 100 mila abitanti sfiora il 35.9 per gli uomini e il 20.5 per le donne rispetto a una media nazionale che è del 14, lo stesso per quanto riguarda il cancro alla vescica, al sistema nervoso e alla prostata. Intanto, la giunta Rastrelli prepara il grande appalto che consiste nel cedere il ciclo dei rifiuti a una sola azienda “amica”, lo fa con una gara indetta nel 1998 e vinta poi dalla società Fibe, del gruppo Impregilo allora sotto la presidenza di Cesare Romiti e che annovera colossi della finanza italiana. La Fibe vince con un progetto tecnico modesto ma promettendo velocità e risparmio, due bufale come sappiamo oggi. La tecnologia è vecchia e probabilmente il progetto era stato pensato prima che il decreto del ministro Ronchi del 1997 stabilisse una gerarchia dei rifiuti, facendo prevalere raccolta differenziata e termocombustione – per la quale vengono previsti degli incentivi – e mettendo in ultima posizione discariche e incenerimento. La Fibe ottiene così, nel 2000, dal nuovo commissario ai rifiuti Bassolino, l’appalto per la costruzione di 7 impianti di stoccaggio di ecoballe e di due inceneritori per esse, la gestione della raccolta differenziata e la creazione di discariche. I ministri dell’ambiente e dell’industria sottoscrivono l’accordo, è un piacere fatto a pezzi importanti dell’economia nazionale, frutto di accordi politici trasversali e misteriosi. L’appalto del ciclo è previsto solo per la provincia di Napoli, il commissario speciale e governatore Bassolino lo estende in breve a tutta la regione. Nel 2000 il gruppo Impregilo si trova in mano un affare colossale, devono finanziarlo ricorrendo alle banche e le banche lo trovano interessante, molto interessante.
Filippo Granara, rappresentante del gruppo San Paolo Imi, nel 2005 ha riferito a riguardo di questo appalto alla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti: “Quindi, bruciare energia e venderla era parte fondamentale del business di Fibe e per noi rappresentava il 60 per cento dei ricavi del progetto, con uno sfasamento temporale. Il nostro finanziamento ha riguardato un sistema integrato. È stato anche simpatico spiegarlo, perché si tratta non di un termovalorizzatore o di un impianto di trattamento, ma di un sistema integrato, anche abbastanza grande, certamente pionieristico, il primo in Italia di quelle dimensioni – ancorché operazioni in project financing in questo settore ne sono state fatte almeno tre o quattro – e uno dei più significativi in Europa, tant’è che la nostra presentazione del progetto al mercato ha generato notevole interesse a livello delle banche europee. Un rischio che sapevamo di correre era che il termovalorizzatore non si sarebbe mai fatto, per eventi indipendenti dalla volontà delle banche, del commissario e di altri.”
Il commissario speciale ai rifiuti Antonio Bassolino, dal 2000 al 2004, porta ad alti livelli il meccanismo visto finora; più che di una continuità forzata con le giunte precedenti, come ha dichiarato di recente il governatore, si tratta di una progressione del malaffare. Il primo livello è costituito dal ricorso alle società miste, pubblico e privato, che l’ideologia dei Ds si mette all’occhiello in tutta Italia. La rete clientelare passa per gli affari, gli affari passano per la concessione di servizi pubblici ai privati, gli imprenditori amici ricevono denaro, ne restituiscono una parte nelle campagne elettorali e intanto assumono personale creando lavoro inutile e dispendioso, tanto, nel caso dei rifiuti, e non solo, a pagare sono il governo e la Comunità Europea. Inoltre è anche un modo per collocare i compagni di partito che non sono stati eletti e per tenersi buona l’opposizione che ottiene la sua fetta. L’amministrazione della regione non è più una funzione centrale, la classe politica che nel 1993 aveva soppiantato quella di Tangentopoli bada solo a gestire il potere attraverso la committenza pubblica, ma l’ex sindaco della rinascita diventa commissario della riesumazione dei vecchi poteri, si lega a essi e li sistema pur di restare in sella. Basta solo pensare che le spese della dirigenza del commissariato ai rifiuti salgono dai 16.638 euro del 1998 a 1.140.000 nel 2003, mentre nel 2004 arrivano a ben quattro le sue sedi, con un costo di 857 mila euro l’anno. Intanto i costi delle consulenze sono un pozzo senza fondo, specie nell’ambito universitario, ricorrendo a servizi esterni per obiettivi che venivano fino ad allora forniti dalla stessa pubblica amministrazione: Riccardo Di Palma, ora presidente della Provincia di Napoli, riceve per una sola consulenza su un riassestamento idrico la cifra di 400.000 euro. Intanto sono 2.361 gli assunti e stipendiati per una raccolta differenziata mai iniziata, 50 gli automezzi acquistati per la stessa raccolta che vengono rubati appena dopo la consegna, 9.270.401 gli euro spesi per il progetto “Sirenetta” che vorrebbe controllare via etere lo spostamento dei camion dei rifiuti e che incontra l’opposizione dei loro conducenti ai quali poi la magistratura dà ragione.
Un’assurda vicenda è quella che riguarda il trattamento dei rifiuti speciali in Campania. Nel 2002, Antonio Bassolino, prima in qualità di commissario approva e poi il suo consiglio regionale delibera, l’ingresso in Campania, in piena emergenza, di rifiuti speciali provenienti da altre regioni che poi vengano sottoposti a trattamento presso impianti di proprietà di industriali campani. È una follia, vista la situazione, ma con questa delibera pare si voglia favorire un settore nascente tra gli imprenditori locali. Il libro di Saviano non è stato ancora pubblicato ma vari dossier di Legambiente e l’inchiesta “Cassiopea” condotta dal magistrato Donato Ceglie già stanno denunciando il traffico di rifiuti tossici della camorra dal nord Italia alla Campania. Il seguito viene quando il commissario che succede a Bassolino nel 2004, Corrado Catenacci, giustamente prova ad impedire l’ingresso in regione di questi rifiuti speciali ma senza riuscirci perchè l’Unione Industrali napoletani fa ricorso al Tar e vince. Cosa può segnare un limite agli interessi degli speculatori? Possiamo pensare che un’attività del genere, visti i precedenti e la situazione regionale, sia del tutto estranea al traffico criminale? Intanto, nel 2007, l’inchiesta “Cassiopea” arriva a mettere sotto sequestro, per accettarvi la presenza di rifiuti tossici, 18 aree tra cui cave, fornaci, aziende agricole e impianti di recupero adibiti a discariche abusive. A maggio dello stesso anno, quando ormai il disastro campano sta venendo a galla in Italia, Giorgio Napolitano firma un decreto-legge che prevede degli interventi straordinari per superare l’emergenza in cui si dispone che “Il Commissario delegato può altresì utilizzare, previa requisizione, gli impianti, le cave dismesse o abbandonate… anche sottoposti a provvedimenti di sequestro da parte dell’autorità giudiziaria”. Che cosa sta succendo? Follia, ma univoca? O la perdita di qualunque ritegno?
Intanto, nel 2000, dopo l’affidamento dell’appalto del ciclo dei rifiuti, la Fibe inizia la sua attività. Eppure, non solo l’individuazione delle discariche risponde alle solite logiche di speculazione e di collusione criminale, non solo la raccolta differenziata invece di aumentare diminuisce, ma le ecoballe prodotte non sono bruciabili e in più, anche volendo, gli inceneritori, ad Acerra e Santa Maria La Fossa, non vengono realizzati nemmeno dopo 5 anni di gestione. Si racconta che alcune delle ecoballe campane della Fibe arrivino al nuovo inceneritore di Terni e che, quando entrano nell’impianto, facciano suonare gli allarmi dei rilevatori di diossina e radioattività, suggerendo che nelle aree dove vengono stoccate si inseriscano anche rifiuti tossici. Qualcuno tuttavia ipotizza che da parte della Fibe non ci sia mai stata alcuna intenzione di realizzare dei termovalorizzatori – questo termine è stato abrogato dalla Comunità Europea – ma che li abbiano spacciati per tali allo scopo di ricevere gli appositi incentivi come impianti di energia rinnovabile. In realtà, secondo questa ipotesi, si tratterebbe di inceneritori a griglia mobile capaci di bruciare i rifiuti “tal quali” ma con enormi effetti inquinanti. In ogni modo, in cinque anni, la Campania si avvia verso il disastro ambientale, le masse di finte ecoballe, cinque milioni di tonnellate, languono nei vari siti senza possibilità di essere eliminate, le discariche in funzione si saturano, le denunce e gli allarmi sanitari fioccano e i soli atti che il commissario Bassolino porta a termine durante il suo mandato sono quelli di concedere ulteriori agevolazioni contrattuali alla Fibe. Si eliminano i controlli previsti sui tempi e sulla qualità della realizzazione del ciclo dei rifiuti da parte della società, le si conferisce sempre maggiore liquidità per far fronte ai suoi debiti verso le banche, si elimina ogni prospettiva di penali e risarcimenti per le sue inadempienze, si assumono sui bilanci del commissariato le spese di adeguamento degli impianti in costruzione. Così, quando la magistratura interviene, nel 2005, ormai il contratto con la Fibe viene rescisso dal governo Berlusconi senza grossi problemi per la società, la quale però continua a percepire soldi per mantenere, in via transitoria, i servizi di smaltimento e di impiantistica. Due successive gare d’appalto – l’ultima è del settembre 2007 – per l’affidamento del ciclo dei rifiuti campani vanno deserte, tra le condizioni contrattuali viene richiesto che l’affidatario del servizio, per ben 20 anni, si assuma un costo iniziale di quasi 2 milioni di euro per subentrare alla Fibe acquistandone gli impianti e i debiti. Intanto, nel 2007, la procura di Napoli deposita la richiesta di rinvio a giudizio per Antonio Bassolino, Piergiorgio e Paolo Romiti e altri 25 indagati nell’ambito della gestione dell’emergenza rifiuti in Campania dal 1994. La posizione del governatore campano in questo futuro processo, se mai si svolgerà viste le tante difficoltà e opposizioni che incontra, sembra sempre più avviarsi verso la prescrizione dei reati. E del resto le accuse per lui e per gli altri 27 rinviati a giudizio, truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato e frode in pubbliche forniture, sono di una natura ben più lieve di quel disastro ambientale a cui stiamo assistendo. Intanto, dal luglio 2007, a dirigere la Fibe, è stato chiamato Bruno Ferrante che, per accettare l’incarico si è dimesso dall’incarico (ma certo non dalle conoscenze) di Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica amministrazione. L’impunità e la strategia degli accordi politici sottobanco sembra essere il destino dei tentativi di fare emergere le responsabilità di questo oltraggio civile e ambientale che, oltre all’oppressione di una popolazione, ha causato lo spreco di 1 miliardo e 300 milioni e debiti per circa 500 milioni di euro, chiaramente a carico dei contribuenti.
Come è stato possibile tutto questo? Dove arriveremo ancora? Basta “la banalità del male” per spiegarlo? Forse il male ha una sua evoluzione che ci lascerà sempre più sorpresi, fino a morirne senza averci capito nulla.
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Posso dire che, leggendo i giornali (della TV meglio non parlare, le solite immagini d’effetto e i talk show coi politici sono inutili) non ho mai capito granché di questa tragedia. Ottimo quindi questo articolo, anche se – e non so perché, forse per una sorta di attaccamento disperato a residui di certezza , a una difesa più pisicologica che altro – mi sembra impossibile, non riesco a credere fino in fondo che il Bassolino sia come gli altri, ma proprio COME gli altri, e mi sussurro da solo: ma no, in qualcosa sarà un po’ più meglio, più migliore almeno un piccolo poco, una sfumatura, una svirgolata, tipo che dice ogni mattina quando si fa la barba “vorrei, ma non posso”, non può essere che è uguale sputato a tutti gli altri, allora, come diceva Leo Ferrè, “non c’è più niente”…
[…] Il primo è il racconto di Helena Janeckzek sulla sua visita a Chiaiano. Il secondo porta alla storia dell’emergenza rifiuti raccontata da Maurizio […]
Dopo il Divo, il Principe. Ma non ci sono Garroni in giro.
Questa breve storia di Braucci mi sembra indispensabile per comprendere ancora una volta come funziona il capitalismo all’italiana, come si articola in modo criminale sulla pelle della gente la triade costituita da imprenditori privati, politici e camorristi. Un’articolazione che crea complicità diffusa, fino agli strati più popolari, secondo l’immutato sistema democristiano dell’elargizione feudale del posto di lavoro inteso come favore personale.
Un lavoro di controinformazione nel momento stesso in cui l’informazione inflaziona l’emergenza rifiuti.
Sono nata e vissuta in questa terra campana. Dopo anni di attente riflessioni, vi posso assicurare che il nostro problema non è la camorra o la malapolitica. Il problema siamo noi. Ed è arrivato il momento di avere il coraggio di ammetterlo. Siamo noi che abbiamo permesso a chiunque di abusare della nostra terra.La camorra è solo il contrario della civiltà. E’ l’interesse privato al di sopra di tutto. Quei pochi che hanno una mentalità veramente diversa possono fare solo una scelta: barricarsi in casa o fare le valige.
http://www.graziellamazzoni2.blogspot.com
Nella mia terra non ho mai visto nessuno protestare. Nessuno, in Campania,ha mai detto una sola parola per le scuole fatiscenti, le palestre inesistenti, gli uffici pubblici inefficienti, le strade rotte, per i parcheggiatori abusivi e minacciosi, e per il verde soffocato dal cemento. Questa è la protesta della rabbia, dell’impotenza, di una terra senza Stato, senza leggi. Ed è, forse, la protesta del pentimento, del mea culpa per non essersi svegliati prima.
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Non dobbiamo preoccuparci, il nuovo governo risolverà tutti i problemi:-)
Il nuovo governo risolverà tutti i problemi come li ha risolti la sinistra che per anni ha gestito la Campania. Comunque , per me, le ideologie sono finite! Io non credo più nè alla destra nè alla sinistra . Sarà retorica ma è cosi.
Ma l’aspetto più terribile è che veramente non ci sono colpevoli perché, come al solito, sono colpevoli tutti. Contrapporre una presunta “società civile” alla triade impresa/amministrazione/criminalità, o diversificare chi subisce da chi esercita il (un) potere, è ingenuo e fuorviante. Un sistema di potere (economico, politico o violento tout court) così longevo e intangibile postula necessariamente una partecipazione diffusa, un consenso esteso alle sue stesse vittime, peraltro perfettamente consapevoli. Prima della sua ufficializzazione televisiva, l’emergenza-rifiuti allignava a Napoli da decenni, con piena coscienza e blanda soddisfazione dei cittadini/elettori. La logica democristiana dell’inclusione a raggiera (ce n’è per tutti: di più per i più vicini, un po’ meno per gli altri, ma comunque per tutti) affibbiava a chiunque una briciola o una speranza di potere: una casa popolare grazie a un protettore, un posto di lavoro per raccomandazione, un ricovero dovuto a conoscenze… Avrebbero potuto destra e sinistra post-DC non fare propria e perfezionare questa logica? E in nome di quale rivolta civile, di quale sacrosanta sollevazione a venire? Quanti napoletani (categoria di cui faccio parte) avrebbero ceduto la propria fettina di potere potenziale in cambio di cinque minuti di “buona amministrazione”, cioè imparziale, legalitaria, efficiente? Troppo facile, oggi, iscriversi al partito dell’indignazione.
L’articolo di Braucci è interessante, mette ordine tra tanti fatti sparsi, individua nessi, dà un nome e una storia a tante responsabilità che chi come me vive in Campania sente aleggiare da tempo, intuisce, conosce…
Ma questo è anche un problema di civiltà, di rispetto di sé e degli altri: Napoli è una tragica metonimia della questione dello sviluppo sostenibile, che è tra le più rognose di tutto l’occidente, ed ora anche dell’oriente. E qui la questione assume dimensioni e forme parossistiche perché manca una coscienza civile, un senso di appartenza; perché c’è la camorra; perché i politici locali sono poco capaci o corrotti e nominano nei posti direttivi persone incapaci o corruttibili. Quando i Panebianco parlano della latitanza della borghesia meridionale mi viene da ridere, mi viene da piangere: quale sarebbe questa borghesia napoletana: gli avvocati dei camorristi? i direttori d’ospedale nominati dai politici? i professori universitari messi lì dai potentati di turno e in attesa di commesse e prebende?
Quello napoletano è un popolo abituato ad essere servile e poco propenso a organizzarsi per il bene comune. Qui non abbiamo avuto un medioevo di Comuni e Signorie. C’era il sole, il mare era bello, la costiera affascinante. C’era sempre qualcuno che cercava tra le terre e le spiagge campane il suo posto al sole: ci conquistava, ci dominava e noi fingevamo di crederci, gli facevamo credere che era veramente lui il padrone; ma ci chiudevamo nelle nostre case, che normalmente tenevamo e teniamo molto pulite; e tutta la monnezza la buttavamo fuori, che tanto le strade sono dei dominatori, dei signori; qui non esiste una res pubblica e nemmeno la campagna, la spiaggia e il sole ci appartengono… Quelle restano nelle canzoni. Tutto il resto è niente e non è di nessuno. Nihil et res nullius.
“del resto la mia inserzione riguarda una casa in cui non voglio più abitare” ( b.hrabal, da una poesia di viola fischerova)
napul’è:.dal colera all’immondizia passando per la speculazione edilizia per arrivare all’erosione dell’uomo
napoli 1973
ha due volti, , dei traffici, della necessità di non intralciare lo sviluppo commerciale della contrada e del sottosviluppo, della degradazione igienica e ambientale. Il primo prevale sul secondo. i topi sono più numerosi delle persone e, poco prima dello spettacolo serale alla TV, fanno un carosello pazzesco che si svolge fra i chiusini dei pozzi neri, le scale di casa e i corridoi, i vicoli del quartiere
ancora napoli 1973
June Chambers che, una volta dimessa dal Cotugno dove era stata ricoverata, pubblica sul quotidiano “Times” il diario delle sue giornate napoletane definendole “da incubo” e denunciando l’abbandono in cui era stato lasciato, nel suo stesso reparto, un bambino di due anni.
ancora una perla 1973
Napoli nel 1973 1973 Napoli vive in una situazione di atavica miseria e arretratezza. Le condizioni igieniche della città partenopea sono disastrose, la speculazione edilizia è irrefrenabile, la mortalità infantile sensibilmente più alta di quella delle città del nord e l’aspettativa di vita decisamente inferiore.
trentacinque anni nel vuoto trentacinque anni di stato di necessità che ha generato mostruosità
oggi come ieri mi sento come un rigorista nella sua solitudine prima del tiro decisivo preda di una confusione inenarrabile appesi ad un sole insaguinato emergiamo dal cono rovesciato di Bosch la nostra è una visione dall’aldiquà
inconcepibile
tutto sotto gli occhi di tutti fino al prossimo primo gol della nazionale agli europei per proseguire con il calciomercato la manovra finanziaria le autorità ai funerali di questo o quel morto ammazzato le intercettazioni le interrogazioni parlamentari fino alle ferie e poi alle olimpiadi nel paese più assassino del mondo dove basterà un record per far dimenticare ancora una volta dimenticando i ragazzi di tienamen ancora in carcere i morti per gli espianti degli organi per far brillare il made in italy per coprire di ombre e nebbia la civiltà degli umili
ps il vibrione che causò il colera isolato in laboratorio du denominato O’Gawa. che destino crudele
ossequi
c.
[…] per farvi un’idea dell’emergenza rifiuti in Campania leggete qui: è un articolo di Maurizio Braucci (partenopeo come me) apparso qualche giorno fa su […]
[…] breve storia dell’emergenza rifiuti in campania […]
L’articolo è senza dubbio interessante nello spiegare la situazione… mi sembra pero’ ci sia una confusione di termini: l’impianto di Acerra non è un “semplice” inceneritore, ma è un termovalorizzatore (produce energia elettrica recuperando parte dell’energia contenuta nei rifiuti). Gli impianti a griglia mobile sono molto diffusi in Europa, e la produzione di inquinanti non dipende dal fatto che ci sia una griglia, ma piuttosto da come viene realizzata e gestita la linea di trattamento fumi.
Forse sono precisazioni di poco conto, pero’ credo sia necessaria un po’ di chiarezza…
Non ho niente da commentare, è tutto chiaro.
grazie a daniela della notazione sui termovalorizzatori, in effetti dall’articolo non viene chiarita tale questione. Il termine termovalorizzatori è stato abrogato dall’Unione Europea, visto che creava confusione, in quanto era stato adottato per far rientrare gli inceneritori nella categoria di produttori di energia rinnovabile, cosa che oggi viene messa in discussione, ma la questione rimane legislativamente ancora aperta perché la lobby dei produttori di inceneritori preme sui politici in quanto la convenienza a produrre energia dagli inceneritori permane solo grazie gli incentivi europei detti CIP6 (che prevedono 55 euro per tonnellata bruciata). Insomma, la sola cosa che è cambiata è che per legge non si chiamerebbero più termovalorizzatori.
L’altra questione, a griglia mobile, secondo alcuni celerebbe la possibilità tecnica di bruciare ogni tipo di rifiuti, quindi non solo CDR, e per questo i comitati di Acerra sospettano che le finte ecoballe erano in fondo volute perché l’inceneritore avrebbe una tecnologia capace di bruciare il tal quale, senza necessità di selezione (come purtroppo è avvenuto) dei rifiuti e con notevole risparmio di soldi per la Fibe. Ma mi rendo conto che sono questioni tecniche molto complesse, almeno per me.