“I desertificati” – di Daniele Zinni

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di Daniele Zinni

Mattina, esterno: campo lungo di una rovente piana sabbiosa. Una figura avvolta nel bianco e in una nube di pensieri cammelleggia, senza fretta né entusiasmo, lungo una rotta che lei sola vede, come la mano del disegnatore segue una linea che l’occhio già immagina sulla carta. Forse subconscia delle similitudini che la riguardano, la figura sbadiglia; di riflesso sbadiglia pure il cammello.

Controcampo: a censura integrale dell’orizzonte e delle sue lusinghe si innalza dalla sabbia un massiccio brullo, affettato in due da un crepaccio scuro. È lì, verso il sentiero aperto nella pietra, che punta la figura, e ogni giorno si compiace di poter attraversare la spettacolare Gola del Breikh durante l’orario di lavoro. Con ritualità, il viandante inspira e raddrizza la schiena; ammira la striscia azzurra costretta tra le rupi; gode, detto fra noi, del brividino e della leggera vertigine con cui il suo corpo si adegua al fresco ombroso dell’abisso. Quattro minuti di vacanza al giorno: un affare simile, con Allah, non lo si spunta spesso.

Una volta Sumì è in anticipo, e di minuti a disposizione nella Gola ne ha sedici. Scende dal cammello, si avvicina a esaminare la parete di roccia, la scopre rosa e nera – l’amalgama di due minerali diversi. Da bambino, sospetta, ne avrebbe saputi i nomi e ricordate le proprietà, ora deve limitarsi alle apparenze. Si ripromette di prendere a prestito un manuale di mineralogia e tornare alla Gola il giorno dopo, che è un sabato, per oziare con calma, poi però si solleva una tempesta di sabbia e gli tocca rimanere a casa. La domenica il tempo è bello, ma c’è da sistemare una finestra rotta ed è un peccato, perché il fine settimana successivo lui e la moglie sono ospiti da amici quindi se ne riparla ancora più in là.

Nell’animo di Sumì, comunque, si fa strada la convinzione che il suo equilibrio dovrebbe essere invidiato; le sue quotidiane scappatelle tra bellezza, innocenza e libertà. Ne parla a sua moglie, lei tira dritto alle conclusioni: «Il tuo lavoro non ti piace».

Se l’aspettava mica, Sumì. Si abbatte, si arrovella, passa la notte a incolonnare pro e contro. Al mattino, vestendosi, ritira fuori la questione con disinvoltura: «Macché, mi piace! Mi piace! Non devo fare straordinari, i colleghi sono simpatici, a casa ho la mente libera… E poi che c’entra?». La moglie compie l’impresa di seminare discordia in una sola persona: «Mah, fa un po’ come ti pare». Sumì è interdetto, avrebbe fatto più volentieri come pareva a lei, ma a questo punto gli sembra il caso di tenere duro.

Passano i giorni: dubbiosi, ripetitivi, feriali giorni. La ripetitività fa appena in tempo a poter essere considerata tale che è interrotta dall’incontro di Sumì con un perdone del deserto, uno dei tanti ragazzi che finiscono la scuola e decidono di perdersi fra le dune per mesi o anni, senza una preoccupazione né un obiettivo preciso, come se il tempo non fosse denaro. Troppo vestiti, troppo imprudenti, senz’acqua né mappe al seguito, nessuno sa bene come facciano a sopravvivere o perché lo facciano.

Sumì, senza cattiveria, preferirebbe dare un dito, piuttosto che confidenza agli sconosciuti. D’altronde, i funerali ai quali in passato non ha voluto partecipare gli hanno insegnato una verità: puoi trovare tutte le giustificazioni che ti pare, per non fare certe cose, ma perdi più tempo a reprimere i sensi di colpa per non averle fatte di quanto ne perdi a farle. Ecco perché Sumì ormai frequenta anche i funerali di persone che conosceva molto poco, ed ecco perché si prepara a dare un passaggio al perdone, mentre gli si avvicina a dorso di cammello.

«Ciao amico! Grazie per esserti fermato. Me lo daresti uno strappo?»

«Per dove?»

«Non saprei! Tu dove vai?»

«Torno a Dodaih.»

«Non la conosco ma va benissimo!»

Il perdone monta su mentre Sumì ha un attimo di esitazione, indeciso se scansarsi – rischiando di esser preso per uno che ha pregiudizi sull’igiene personale dei perdoni – o restare immobile, rischiando la figura del maleducato. Avverso al rischio ma favorevole al rendimento, Sumì si sposta accennando un sorriso, per sembrare gentile e comunque evitare il contatto fisico. Obbligandosi alla socievolezza, rompe il ghiaccio:

«Dovresti saperti orientare, prima di giocarti la pelle nel deserto.»

«Me l’hanno insegnato, ma dimentico sempre come si fa!»

«Ci vuole allenamento. Io ritrovo tutti i giorni la strada di casa, potrei andare a occhi chiusi.»

«Lavori nel deserto?»

«Come tanti. Faccio l’esploratore.»

«Avventuroso! Torni da un lungo viaggio?»

«No, sono uscito di casa stamattina. Il contratto di categoria prevede paga tripla, se passiamo la notte fuori, perciò il capo ci chiede di non spingerci a più di quattro ore da Dodaih.»

«Eh ma è limitativo!»

«La scorsa generazione ha lottato duramente per ottenere i diritti di cui godiamo oggi.»

Il cammellostoppista rimane in silenzio, Sumì è accigliato. Dopo un po’ riprende a parlare, anche se sembra che parli da solo.

«Mi piace, mi piace, è un bel mestiere, sto all’aria aperta… Anzi, tra un po’ passiamo dalla Gola del Breikh, è un gioiello, la devi vedere. Ma non hai caldo, così coperto?»

«Solo ora che me lo dici. Strano! Sono due settimane, che vado in giro vestito così – lavandomi, s’intende.»

«Chiaro, chiaro.»

***

Giorno di mercato: Sumì passeggia in cerca di un paio di sandali o una mucca, non fa differenza. Mentre sbircia tra le bancarelle è affascinato dalla fortuna del fioraio, che sa i nomi di tutte le piante e certo vive una costante ebbrezza di odori e colori; dalla fortuna della cartomante, che conosce gli affari privati di tutti e quindi tutti la rispettano; dalla fortuna del pizzicagnolo, che può tenere per sé i salumi migliori e più magri e inoltre fa un mestiere con un nome divertente. Sumì si chiede se non abbia davvero sbagliato impiego, se non avrebbe dovuto fare il fioraio, il cartomante o il pizzicagnolo, magari tutti e tre insieme, ciascuno part-time. A essere onesto, sa benissimo come in passato avesse accarezzato con la medesima prurigine l’idea di diventare un esploratore, e un commerciante di tappeti prima di quello, e un farmacista prima ancora. Nessuna professione era riuscita per più di pochi mesi a sedare quell’animo irrequieto; e finché si è giovani, la cosa è fisiologica, ma da adulti un comportamento simile può ricordare quello… della trottola. (Come tutti sanno, anche se pochi sanno di saperlo, darsi della trottola è per i pragmatici abitanti del deserto l’insulto più caratteristico.)

Sumì è immerso in queste congetture e nell’osservare la figlia della merciaia, piegata a raccogliere un barattolo, quando si sente chiamare: ma guarda, di nuovo il perdone, ha deciso di trattenersi a Dodaih per qualche giorno. Una volta tanto, a Sumì fa piacere una compagnia imprevista, che gli permetta di sottrarsi alla pressione dei dubbi. Si susseguono saluti di circostanza, chiacchiere di circostanza, inviti di circostanza: i due vanno a bere un bicchiere di circostanza da Sumì, il quale a ripensarci avrebbe dovuto riparare quella famosa finestra, prima del rientro di sua moglie.

«A proposito, dov’è tua moglie?»

«A proposito di che?»

«Non so, mi è venuto da dirlo. Te ne verso un altro?»

«Sì grazie. Ancora. È uscita, sarà da un’amica.»

«Sicuro? Ieri ho conosciuto Amuah, mi ha detto di essere il suo amante.»

«È… possibile. Può darsi che sia da lui.»

«Non sei geloso?»

«No: Shisma rimane una buona moglie, anche se infedele. Bisogna saper distinguere.»

«Però non sei contento, ti si legge in faccia.»

«In questo periodo sono un po’ demotivato, ma lei non c’entra. Passerà.»

«È il lavoro che ti annoia? Perché non cambi?»

«Guarda ho provato di tutto e mi è successo ogni volta, devo essere proprio fatto così. Mi riempi il bicchiere?»

«Forse sei depresso! Nel raggio di un mese a dorso di cammello, Dodaih è circondata dal nulla.»

«Il deserto bisogna saperlo apprezzare. E poi c’è la Gola, tu l’hai vista, lo sai che un posto così ti rigenera lo spirito.»

«Non sarà  un palliativo? Il buono nella tua vita non dovrebbe essere un’eccezione. Dovresti davvero spostarti un po’.»

«Ma io viaggio! Sono stato in Europa, in America, in Cina; l’anno prossimo io e mia moglie festeggiamo 25 anni di matrimonio e andiamo in Polinesia. Passa la bottiglia, và.»

«Non parlo di turismo, parlo di andarsene per sempre.»

«No, non esiste: io ho i miei amici, mia moglie deve scoparsi Amuah… E gli abitanti del resto del mondo non sono più felici di me; non hanno niente più di me, che in tutto possiedo un cammello e mezza casa. Anzi, io ho la Gola, tutte le mattine, e quella loro non ce l’hanno.»

«A me pare che tu faccia dei sacrifici inutili. Mi versi due dita? Così. Basta, basta.»

«È questione di disciplina, Allah sa. E non mi prendere per uno stupido: lo so che Allah esiste solo nella mia testa, ma è un modo di dire, un modo per riassumere che voglio essere un uomo buono, umile, onesto e generoso. Anzi, se io non fossi così, tu saresti ancora perso in mezzo al deserto.»

«Lo dici come se fosse una cosa negativa! Tu a perderti nel deserto ci vai otto ore al giorno, cinque giorni alla settimana.»

Dopo quella volta, il perdone non si è più visto. Sumì si è tenuto moglie, casa, lavoro e con questi, ogni tanto, una settimana di dubbi laceranti che si risolvono regolarmente a tarallucci e vino. Negli ultimi tempi ha preso a fare delle incisioni sulle pareti della Gola del Breikh: le forme riproducono cammelli, serpenti, oasi, stanze da letto. Si è convinto che un giorno, se continuerà a incidere la montagna animato da una passione disinteressata, s’imbatterà per caso in un filone d’oro o di un altro metallo prezioso. Tale convinzione, va detto, non trova il supporto di alcun dato reale.

 

*

L’illustrazione è di Andrea Chronopoulos, di Studio Pilar

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4 Commenti

  1. Sono contento di leggere un racconto stralunato di Zinni, uno perché amo i racconti stralunati, d’ambientazione saudita, e poi perché Zinni è, tra gli amici di Facebook che non conosco personalmente, quello che fa i commenti più spiritosi.

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renata morresi
renata morresi
Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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