Voce all’Editore
di
Biagio Cepollaro
La Camera Verde, Il Libro dell’immagine, volume quinto. A cura di Giovanni Andrea Semerano.
Sono quindici anni, da quando è venuto a mancare quel prodigioso organizzatore e promotore di cultura che è stato Gianni Sassi , forgiato dall’esperienza Fluxus e dall’amicizia di Cage che non incontravo un ‘luogo’ che mi comunicasse le stesse energie e la stessa qualità intellettuale e morale. Il luogo non è a Milano ma a Roma ed è La Camera Verde ‘curato’ da Andrea Semerano.
Un luogo è qualcosa di fisico, di geografico, certo, ma lo è solo in forza di una sua realtà interiore: il luogo lo fa chi lo pensa e lo abita.
Che si promuovano valide iniziative culturali in Italia non è raro malgrado l’antropologico degrado che sembra non arrestarsi mai e che sempre più trova la sua peculiare voce, al di là del senso comune in cui si è radicato da almeno un ventennio, nelle forme e nella sostanza delle istituzioni. Ma che ci si possa trovare non di fronte a irrelate iniziative ma ad un ‘contesto generante’ il cui spessore e la cui storia sono animate da rigorose e precise coordinate culturali, questo si è davvero raro, anzi: rarissimo. Anche perché spesso ciò che proviene dalla cosiddetta cultura critica oggi spesso non ha vitalità, vuoi per l’irrigidimento ideologico, vuoi per la stanchezza degli attori, vuoi per la pura e semplice mancanze di idee.
Ho ripensato al mio amico Gianni Sassi leggendo il Volume Quinto del Il libro dell’Immagine edito appunto da La Camera Verde. Al di là dell’alta qualità degli interventi testuali e visuali, al di là del valore del libro stesso come oggetto, ciò che mi preme sottolineare è ciò che , a lettura terminata, mi resta di quest’esperienza.
Bene, tra le righe e dentro le righe del lavoro di Semerano (di tutto il lavoro: organizzazione, critica, promozione, azione dentro l’arte, tra le diverse arti, cinema, fotografia, letteratura, pittura etc etc) ciò che fermerei sono tre punti:
1) Il riferimento agli strumenti della critica (riferimento non generico, non casuale ma per intima assimilazione, ma per cosciente attualizzazione).
2) Il presupposto vitale del fare cultura (uomini in carne ed ossa che si appassionano, che comunicano la loro passione, che proprio per questo non fanno il teatrino, perché ci sono e non ci fanno…).
3) L’importanza del luogo di coagulo, di incontro, di produzione e di ricezione: La Camera Verde, appunto, in via Miani 20, a Roma.
E qui i nomi non sono solo nomi amministrati con indifferenza e irresponsabilità. Qui le parole pesano, non sono solo parole.
E se si cita Nietzsche, Bataille, Debord, Artaud, Bene, Fortini, Pasolini, Penna, Celine, Deleuze, Bresson, Rossellini è perché ogni frase si è incarnata o tende ad incarnarsi in un gesto, in un punto di vista, in un’assunzione di responsabilità morale.
Citazioni come quelle da Rossellini punteggiano le pagine e i giorni.
Provocano risonanze, chiamano consonanze, creano incontri, generano affetti, moti di stima, gratitudini…
Sono citazioni di una chiarezza che non lascia scampo, parole di chi ‘guardava’ le cose pensandole:
‘Quando vuoi parlare di qualcuno devi conoscere la cosa. Quando conosci bene la cosa puoi dire cos’è essenziale. Quando non la conosci bene ti perdi in mezzo a un sacco di cose ugualmente suggestive. Io rifiuto le cose suggestive.’
Cosa resterebbe di valido oggi se mettessimo in pratica questo pensiero? Poche cose. E bisogna avere la forza e la capacità di farlo. Perché altrimenti non ne vale la pena. Perché altrimenti resta solo il rumore che è fuori e dentro la rete, che è nelle teste.
Ma allora cos’è questo luogo che tanto mi rincuora al termine della notte?
Cito Semerano: ‘Un piccolo grande vetro in costruzione che da sei anni mette insieme idee diverse fino a farne un corpo nella Stanza. Si cercano le cose e si fanno le cose, non tutto chiaramente riesce e può capitare che schegge di vetro vadano in frantumi ma l’Officina resta aperta e soprattutto mai, mai perdere la tenerezza dello sguardo.’ (pag.4).
Oppure la comunicazione tra mancanze di Bataille trova concreta realizzazione nelle indicazioni di fondo, esortazioni, richiami a ciò che dovrebbe essere ovvio ma che in questi tempi non lo è per nulla : ‘Cercare di avere un orientamento che non risponda a vezzi o calcoli di pseudo bigotte transavanguardie che defluiscono nell’indecenza dei salotti, ognuno con la sua caratteristica, cioè i poeti da una parte, i pittori dall’altra, i romanzieri di là, i registi di qua, e eccetera, a fare fischi nel naso che il critico di turno delinea come arte il puerile mocciolo che mira alla gloria!
L’artista non deve essere un malato, un presenzialista del nulla..(…)’
Le coordinate culturali sono tali perché sono continuamente verificate: sia sul piano di ciò che si richiede (alle persone, agli artisti, agli interlocutori di un’ora), sia sul piano di ciò che si offre (alle stesse persone, artisti, interlocutori di un’ora).
Questo implica una riflessione radicalmente personale sull’oggetto del proprio sguardo, sia esso un testo, un quadro, un film o un gatto che sguscia via all’angolo di una strada.
L’organizzazione della cultura, la sua promozione, la critica non possono non respirare la stessa aria, lo stesso ritmo, la stessa altezza delle cose di cui parlano, che maneggiano. Non può non esserci che un’aria di famiglia tra questi momenti diversi di uno stesso flusso, di una stessa corrente creativa (che è poi energia umana, desiderio di configurare senso e bellezza).
Chi fa seriamente arte lo sa e a naso distingue, a naso si accorge quando c’è teatrino e fuffa, quando non c’è reale ricerca.
E la reale ricerca si accompagna alla lucidità della diagnosi: ‘Questa è di nuovo l’epoca della propaganda, e tutto viene concimato e deglutito nelle pastoie dell’apparire, abbiamo comici intelligenti che devono pagare le bollette e scendono in piazza quando viene tagliato loro il fondo, abbiamo poeti centauri sul picchio consunto di un’avanguardia sterile e noiosa, abbiamo critici che scrivono pettegolezzi e altri futili manovre (…)’(pag.143).
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Biagio, grazie davvero di queste parole incisive e penetranti e che mi fanno davvero sentire “un’aria di famiglia”; un post bellissimo, la prima volta che vado a Roma mi precipito in via Miani. Francesco, perché non pubblichi Biagio più spesso?
Sono contento di leggere questo “sfogo d’entusiasmo” di Biagio. La Camera Verde di Gians Semerano è veramente una delle buone anomalie italiane: invito a tutti coloro che stanno o passono per Roma, di constatare con mano, occhi & cervello. Andateci. Una lezione di come si possa fare, in termi culturali editoriali artistici, tantissimo, e senza indulgere in nessuna lamentela e piagnisteo.
camera verte apparisce nell’ottimo manifesto del communismo di Francesco Forlani.
Via Mani, forse sono passata vicino l’estate scorso, ma non so dove si trova la via.
Una questione: è sempre aperta?
posto ottimo dove passare in pace!
W la libertà del BUON LIBRO LIBERO!
la Camera verde è aperta tutti i giorni (tranne il lunedì) dalle cinque di pomeriggio fino a tarda sera. la cosa migliore, prima di andare, è telefonare.
qui tutti i dati:
Via Giovanni Miani, 20
00154 Roma
tel. 340-5263877
Grazie mille Marco.
Tornero a Roma, è una bella città . Quest’estate ho la voglia di visitare Milano ma non so quando è il momento piu piacevole: luglio o agosto?
Penso anche fare una visita a Genova.
Non vedo l’ora di fare un giro in Italia, l’ambiente, la gente, la lingua mi mancano.
[…] e qui: https://www.nazioneindiana.com/2008/04/30/voce-alleditore/ […]
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