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Lettera d’amore da un Opg

Testa pensante

di Cristiano Denanni

Mia madre beveva lo Xanax alla spina. Non era tutta in riga, ti diceva vado a letto e usciva a fare la spesa, ti diceva esco e accendeva la televisione, ti telefonava alle sei di sera e ti chiedeva stai dormendo?

Mio padre invece è orgoglioso di me. Me lo dice sempre. Da quando ero un bambino. Chissà perché le donne dicono raramente la parola orgoglioso, boh.

Mia madre diceva parole tutte di vocali. E si nascondeva negli angoli bui, guardava di sbieco da dietro le porte, sembrava che tutti fossero ladri, che volessero derubarla spogliarla rapirla.

Mio padre è orgoglioso di me. Me lo dice sempre. Da quando ero un bambino. Chissà perché.

Mia madre l’ho ammazzata con delle forbici in gola, qualche anno fa non ricordo quanti, un pomeriggio d’estate che il sangue e il sudore si mischiavano sul collo.

Mio padre è orgoglioso di me. Cioè non perché ho ammazzato mia madre, penso, non so. Però me lo dice sempre. Da quando sono un bambino. Non gli ho mai chiesto perché.

Io invento parole che mi piacciono. E poi le spiego a chi non sa cosa vogliono dire e le uso. Che le parole servono sennò cosa ci stanno a fare.

Mio padre è orgoglioso di me. Anche se non capisce tutte le parole che gli racconto. Me lo dice sempre. Da quando ero un bambino. E io mi fido.

Raffaella mi parlava come se io non ero matto. E mi portava a fare passeggiate, mi abbracciava quando pioveva, mi raccontava di quando era bambina, le raccontavo anch’io.

Io invento parole come alberopoli, che è una città fatta tutta solo di alberi. Oppure pancavola, la preferita di Raffaella, le spiegavo che è una panchina che quando ci sedevamo noi due non stava più ferma.

Mio padre ogni tanto lo vedo piangere. Da quando ero un bambino. Non mi dice mai perché. Però io credo che è stanco. Figurati, a volte lo sono anch’io.

La mia preferita è Raffaellitudine. E’ la mia pazzia per Raffaella. No non quella là. E’ quella bella, che se non c’è non ci sono nemmeno io. E’ la mia terra, il mondo insomma. Il posto dove devo andare. Il posto dove devo stare.

Io fino a poche settimane fa ero in un OPG, non so se sapete che cos’è, vuol dire Ospedale Psi.. qualcosa… e giustizia… o giudizioso… non ricordo… Comunque è uno di quei posti dove mettevano le persone che avevano fatto una cazzata e non potevano metterli in galera perché erano malati con la testa, matti insomma, matti. Ora li hanno chiusi, ma non è che non ci sono più matti, è che là dentro sembrava di stare in una prigione e alle volte ti torturavano quasi e poi con la scusa che sei pericoloso diventavano pericolosi quelli col camice bianco al posto tuo e avevano la scusa per non farti uscire più. Io dovrei starci ancora ma adesso sono con mio padre e sto per andare in galera anche se stanno facendoci aspettare perché non sanno bene dove stiamo meglio, in quale immondezzaio, quindi passo qualche giorno controllato dai carabinieri e assieme a mio papà, quello orgoglioso di me da quando sono un bambino anche se non so ancora perché.

Adesso costruisco oggetti con petali di fiori o con il fil di ferro. Sapete, quei lavori che fanno i coglioni. Ho cominciato nell’OPG. E come sempre invento parole che mi piacciono. E poi scrivo. Scrivo lettere ai morti, che tanto se le scrivo a uno vivo e poi non mi risponde ci rimango male, allora faccio che scriverle ai morti così so già come andrà a finire. Mi diverto, sapete?, più con le lettere o con le parole inventate che a fare orologi o posacenere col fil di ferro, ma il tempo passa e dicono che così costruisco qualcosa, a me non sembra di fare cose belle, e non sono nemmeno utili perché un posacenere coi petali dei fiori brucia subito, e col fil di ferro va tutta la cenere fuori, ma da tenere lì vanno bene. Io alcune cose le do a mio padre da portare a casa che in ospedale rubano spesso e poi il fil di ferro non lo posso tenere che è pericoloso è pieno di matti là dentro allora mio padre porta quelle cose a casa e le mette lì. Il mondo è pieno di cose messe lì. Anche di persone messe lì. Come me. Come tante altre, anche, che credono di essere chissà chi e invece sono solo messe lì. Io poi coi petali faccio anche quadri, come se dipingessi mettendo vicine forme diverse e colori diversi dei pezzi di fiori, tutti su fogli bianchi o su fogli di giornale dipende da cosa trova da portarmi mio padre che è orgoglioso di me e me lo dice sempre da quando sono bambino, dice sono belle le mie opere io non so cos’è un’opera però se è orgoglioso mi fido, così dicevo che coi fiori disegno cose o paesaggi, una volta ho provato a fare una faccia, la faccia di Marlon Brando che mio padre c’ha un poster a casa e me lo sono fatto portare, la faccia di Brando con tutti quei fiori sembra una pietra fatta di foglie, e la faccia di mio padre quando l’ha visto sembrava stanca.

Mia madre si è giocata tutto quello che aveva. Al gioco, proprio. Per quello dico giocata, mica dico per scherzare. Aveva una casa grande e l’ha venduta per una più piccola perché diceva che tanto per noi due era fin troppo e i soldi che le erano avanzati erano spariti in poco più di un anno, poi era andata in pensione e aveva preso la liquidazione, che aveva lavorato da quando aveva quattordici anni e dopo un anno i soldi erano finiti, poi si è fatta prestare un sacco di soldi da parenti amici banche e ora erano finiti da un bel po’ anche quelli e andava avanti solo coi debiti, che per riuscire a pagarli si era venduta tutti i braccialetti gli orecchini gli anelli le collane l’oro l’argento e le tazze, solo che anche quelli erano finiti, e piangeva piangeva piangeva, era una donna bella quando era giovane e ragazza, io mi ricordo che vedevo delle foto di quando ero bambino abbracciato a lei e dicevo ma chi è quella sventola e poi mi accorgevo che era mia madre e chi poteva essere sennò nelle foto con me da bambino, poi era diventata vecchia e rincoglionita, ma proprio tanto, e si era rovinata la vita e l’aveva rovinata anche a me e non era neppure più bella anzi, da vecchia sembrava proprio vecchia, cioè era vecchia ma non è che sembrava più giovane come quando era più giovane ma ne dimostrava comunque sempre meno, no da vecchia ne dimostrava anche di più. Meno male che io sono cresciuto a casa della nonna e del nonno, che il nonno rompeva le palle come tutti gli altri ma mia nonna no, cioè le rompeva ma era proprio brava io le volevo bene, mia nonna al contrario di mia mamma viveva, cioè nel senso che magari faceva fatica era stanca era tutta acciaccata ma viveva, cioè nel senso che le piaceva vivere, ci teneva voglio dire, sì insomma ci siamo capiti, ci credeva, alla vita, voglio dire, ci credeva, bisogna crederci no? Infatti quando faceva le pulizie parlava ad alta voce, contava con le mani e diceva i numeri sottovoce, scendeva per fare la spesa e tornava con la pizza, cambiava le lenzuola e stendeva quelle appena lavate, le stendeva sul balcone come se era un prato, mia nonna mi portava a tagliare i capelli dalla signora di sotto che li tagliava in casa, e quando attraversavo la strada sotto casa mi guardava sempre dal balcone, d’inverno faceva il minestrone e d’estate i frullati con pesche e albicocche, e poi faceva sempre la crostata di amarene che era la mia preferita su tutto e su tutti, che quando adesso qualcuno la fa e l’assaggio dico hmmmm buonaaa… ma mi fa cagare, mia nonna le piaceva cucire, faceva l’uncinetto, mi guardava attraversare e faceva l’uncinetto, una volta ha fatto una tovaglia rotonda, copriva tutto il tavolo del salotto, quello dove facevamo i pranzi di Natale non so se mi spiego, le avevano offerto due milioni ma lei non l’aveva venduta e aveva fatto bene non era ricca anzi ma mica puoi venderti la vita come mia madre, una volta una cosa che aveva fatto con l’uncinetto l’aveva messa sopra la televisione per farci stare sopra il vaso dei fiori, eh… che la sua vita era stata lunga ma soprattutto difficile povera nonna, la guerra la fame il sud i figli il marito i nipoti la lontananza, mia nonna era sempre lì che urlava qualcosa dietro a mio nonno e mio nonno che non rispondeva, mia nonna aveva il sangue nel sangue, mia madre la cenere.

Mia madre diceva qualcosa ma non la capivi, le parlavi ma non ti ascoltava, prendeva le gocce e dormiva, il giorno dopo si svegliava e ti chiedeva se era giorno o era notte.

Sono stato sette anni nell’OPG. Ora che aspetto che il giudice decide per quale altra galera prendere la strada mi sento meglio e mi sento peggio. Perché sono a casa qualche giorno anche se i carabinieri sono qua sotto, ma fra qualche giorno dovrò tornare in prigione. Fanno bene, perché ho fatto una cosa indicibile, anche se io l’ho detta e la dico, però la gola l’ho bucata a me stesso.

Io in quella stanza mi sentivo solo. In quella stanza di quella prigione, mi sentivo solo. Tutti i giorni. Solo, proprio. Cioè, abbandonato. E’ brutto passare il tempo dovendo passare il tempo. Meno male che facevo quelle cose le lettere e gli oggetti, ma la vita è già finita, ne hai un mucchio ancora ma è già finita, deve solo passare, ma non è questo che deve fare la vita. Io quando ho ammazzato mia madre stavo con Raffaella da due anni, quella ragazza che dicevo prima, piccola e ben proporzionata come diceva il mio amico Riccardo, con le lentiggini e i capelli neri neri neri che si è innamorata di me anche se io non so perché e non gliel’ho mai chiesto, come l’orgoglio di mio padre. Raffaella ha quattro anni meno di me e studia Economia, cioè credo che adesso è laureata, è da sette anni che non la vedo più, quando ho ammazzato mia madre lei lo ha saputo dai suoi genitori che erano amici dei miei vicini di casa e hanno visto l’ambulanza e la polizia. Io sono entrato nell’OPG dopo qualche settimana di ospedale normale, cioè non quello per i matti perché fino ad allora non ero matto cioè nessuno pensava che ero matto nessumo mi aveva detto che ero matto. Raffaella è venuta una volta sola ma è rimasta fuori dall’OPG, mio padre ha detto che non poteva entrare o che non voleva entrare non lo so, ma se non voleva entrare perché è arrivata fino lì? Raffaella però mi ha visto da dietro quella grande porta che ha i vetri sopra, come le porte delle macchine ma più grandi, la parte sotto è tutta bianca e la parte sopra ha il vetro, e mi ricordo Raffaella dall’altra parte del vetro, forse si vergognava di me, forse mi vergognavo di me, avevamo fatto l’amore qualche giorno prima, io e Raffaella facevamo l’amore perché sennò che cazzo fai con una persona che ami lo facevamo sempre a casa sua perché a casa mia c’era mia madre, mio padre no perché se ne era andato da tantissimi anni sennò l’ammazzava lui mia madre, invece a casa di lei al mattino e a volte anche al pomeriggio non c’era nessuno, e allora quando non eravamo in giro stavamo a casa sua, ascoltavamo musica a me piacciono i Led Zeppelin e i Pink Floyd, a Raffaella di più i Pink Floyd, quando invece eravamo in giro facevamo delle passeggiate e ci tenevamo per mano e stavamo sulle panchine o nelle viuzze del centro, parlavamo di quello che ci capitava ma soprattutto di noi non era mai troppo buio quando stavo con lei, cioè non era mai come quando non so più come fare, mi manca Raffaella, anche se sono passati sette anni, perché è come se avessi buttato giù dal balcone il mondo, è come se hai una cosa sola e non la devi distruggere e io invece l’ho distrutta. Raffaella era bella e i suoi baci mi portavano dove dovevo stare, dove la vita è mia, e dove la vita è sua, Raffaella io non ho mai capito perché si è innamorata di me, io non so se sono bello anche se lei diceva sempre di sì, è che ora mi vedo matto perché mi hanno detto che sono matto e non penso più se sono bello, sono impegnato tutto a essere matto, però Raffaella è come quando c’è un temporale e piove forte e c’è vento e ci sono i tuoni e i fulmini e tu corri sul marciapiede e quando sei tutto bagnato trovi un portone aperto e entri, Raffaella è così, come quando i cani ti mordono e ti strappano la pelle ma è solo un incubo e ti svegli e vedi il comodino e la luce nella finestra, Raffaella è quella stanza lì, io ho commesso la colpa io devo pagare, ma pagare significa buttare la vita, e la vita come faccio adesso a farla?, Raffaella è l’unico motivo che mi fa sentire che ho voglia di uscire, anche se lei non so dov’è, però quando mi ha guardato dietro quella porta mi sembrava che stavo allungando un braccio verso il mio posto quello dove devo stare, il mio mondo, dove la vita è mia, dove la vita è sua, e mi facevo pena mi fanno pena tutte le cose, è la cosa più brutta quando la vita non è più tua, non hai più un posto nel mondo, ma nemmeno a casa o sotto casa o in un parco, da nessuna parte, mi fanno pena le persone che non riescono a toccare il loro mondo, però io ho la colpa io devo pagare, e invece mi fanno rabbia le persone che non hanno la colpa ma non vivono, quando non hanno buttato tutto dal balcone ma non vivono lo stesso, sono ancora più matte di me. Io in quella stanza mi sentivo solo. Tutti i giorni. Io in quella stanza mi sentivo solo. Solo. Ed è un peccato che avevo conosciuto Raffaella, perché stare da soli è brutto ma è come se non lo sai, invece avere Raffaella e buttare tutto dal balcone è come essere abbandonati, e un conto è essere soli un conto essere abbandonati, è come essere solo mezza giornata e essere solo tutto il giorno, avere Raffaella e non averla più è come essere solo tutta la vita.

Io una volta ho scritto una lettera a Raffaella ma non è come quelle che scrivo ai morti perché Raffaella è viva anche se non la vedo più, e allora un giorno mi sono messo nel cortile a uno di quei tavolini dove stiamo al pomeriggio quando il tempo è bello e ho scritto, mio padre diceva poi provo a fargliela avere che ne dici?, anche se non so più dove abita ma magari trovo qualche parente o qualcuno che la conosce, io però alla lettera avevo paura che non rispondeva e allora la tenevo io infatti ce l’ho ancora qui e l’ho fatta leggere solo a quello Stefano perché è venuto all’OPG tre volte e tutte e tre le volte si era messo a parlare con me, e una volta anche con mio padre, e insomma

Raffaella io ti dicevo sempre che i tuoi baci mi portavano dove dovevo stare. Raffaella io ho capito perché i tuoi baci mi portavano dove dovevo stare, dove la vita è mia, ti ricordi che te lo dicevo sempre e tu ridevi, no sorridevi, mi dicevi che si dice sorridere non ridere, io ho capito cosa mi capitava, l’ho capito adesso, la vita non è quasi mai mia, sono io siamo noi che ci stiamo dentro ma succedono tante di quelle cose e sono di tutti c’è dentro tutto, il rumore mio padre l’autostrada la musica il telegiornale la rabbia le cose che fanno bene le cose che fanno male, ma i tuoi baci mi portavano dove la vita è mia, e sai perché?, come non lo sai?, perché lì non decide il mondo lì decidiamo noi, lì non stiamo ad aspettare che si libera un posto lì il posto lo occupiamo noi, lì non siamo in balìa del mondo lì è il mondo che guarda altrove mentre noi viviamo, hai capito Raffaella?, io l’ho capito adesso che non c’è più niente da fare, adesso che non ho più niente da fare perché ho ammazzato mia madre e ho una colpa e pago stando qua dentro. Mio padre dice che quando uscirò troverò un’altra ragazza ma io ho capito anche questo che quando fai qualcosa e vedi che sei arrivato dove la vita è tua tu quel posto lo devi chiudere da tutte le parti come fanno con le opere d’arte che così non le rubano e non le graffiano e ci mettono anche la temperatura giusta perché stanno bene e non si rovinano, come fanno con i campi dove cresce il grano o la vite, si chiama la vite quella dove nasce l’uva?, e lì non ci deve mettere piede nessuno, mio padre mi aveva detto che dove l’uva fa il vino proprio buono ci sono dei cannoni che sparano verso il cielo tipo delle onde d’urto per fare allontanare le nuvole e i temporali che possono rovinarla, Raffaella i tuoi baci per me sono un posto così, che devi sparare coi cannoni per non fare avvicinare nessuno e devi mettere la temperatura guista perché l’amore sennò si affloscia o si crepa come le opere d’arte, è una questione di spazio e di tempo, io alla televisione sento sempre la parola Amore e Ti Amo e su e giù ma ho capito anche questo che dirlo non vuol dire niente che l’amore si costruisce e si spara coi cannoni se qualcosa si avvicina e se poi finisce per i cazzi suoi va bene ma se lo lasci perdere in un campo qualunque a bordo strada come ho fatto io quando ho fatto quello che ho fatto e sono finito qua dentro è perché sei uno stronzo. Mio padre dice che vuole provare a farti avere questa lettera anche se non sa nemmeno lui dove sei e dove abiti ma io gli ho detto che no la tengo io che se poi non mi rispondi sto male e allora preferisco tenerla io e se mai ti vedrò di nuovo te la darò io se ce l’ho dietro in quel momento sennò ti chiedo di aspettare e poi te la porto. Sono qua dentro perché sono un assassino e perché mi hanno detto che sono matto, cioè hanno detto un’altra parola veramente, ma vuol dire quello. Raffaella chissà dove sei e se ti sei laureata in Economia era Economia o era altro che studiavi?, e chissà se hai ancora le lentiggini, si possono non avere più le lentiggini dopo che le hai avute?, io sono un assassino e sono un matto e mi manca la vita e mi mancano i tuoi baci perché lì la vita è mia, lì la vita è amore e la vita vive poche volte nella vita ho capito anche questo e tutto il resto è prima e tutto il resto è dopo, e tutto dove non è amore sono effetti collaterali della vita, com’è che questo non lo abbiamo capito?

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11 Commenti

  1. Questo scritto è un estratto da un romanzo a cui sto lavorando da qualche mese, e nello specifico è la prima parte di un capitolo di circa 30 cartelle (che porta il titolo che ha qui su NI). Sto scoprendo, tramite i social, il sito e soprattutto i contatti privati, che sta “arrivando” come non avrei mai pensato. Non perché non vi riponessi fiducia o non vi credessi, tutt’altro, è però vero che scrivere e leggere sono indubbiamente attività autonome. Che dire, grazie ancora per ciò che mi state “restituendo”! ;)

    • Senz’altro quando uscirà (spero presto) sarà mia premura procurarmelo.
      Mi colpisce la sensibilità con la quale viene trattato un argomento “difficile” e per certi versi scomodo.

  2. Guarda, Nicola, il problema è che non ho ancora un editore, e quindi alcun contratto. Il lavoro dovrei riuscire a terminarlo entro il mese di ottobre, ma come dicevo questi giorni a qualcuno… il lavoro duro comincerà dopo, quando dovrò cercare un editore che NON mi pubblicherà! ;)
    In ogni caso, grazie ancora per ciò che mi scrivi, e che in queste ore mi stanno scrivendo tantissimi. E’ un incoraggiamento importante per continuare a lavorare. L’argomento dell’estratto, nello specifico, non è in effetti così semplice, ma per motivi vari in passato m’è capitato di toccarlo, facendo volontariato prima, e per interesse personale poi. Il libro non è incentrato su questo ambiente, ma quel che è certo è che sarà pervaso quasi tutto da temi non “comodi”. Spero però di stare riuscendo a trattarli sempre col massimo della “leggibilità”, che è uno degli scopi miei principali.

    • Avevo immaginato ci fosse un “approfondimento” a livello personale del tema. E’troppo scritto bene. Mi dispiace molto che non ci siano ancora un contratto ed un editore.
      Ti faccio i miei migliori auguri nella speranza che tu riesca, una volta finito, a pubblicarlo, pensando per altro che il mondo dell’editoria non sia uno dei più “facili”.
      In bocca al lupo!

      • Grazie tantissime per gli auguri!
        Non credo che il mondo dell’editoria sia così facile, ma del resto ne conosco pochi di “mondi” semplici da entrarvici e gestire. ;)
        In ogni caso… spero avrai modo di poter trovare il libro, prossimamente, in qualche libreria!
        :)

  3. non mollare e se hai fatto un nodo alla parola “emozioni” anche così… “strategicamente” per cercare di far leggere qualcosa di tuo, per non passare come una scia, come la vita che si ricorda (con i suoi effetti collaterali), allora vedrai ci riuscirai..anche a trovare un editore, chissà non accada a me lo stesso, in bocca al lupo:)

  4. Mi dispiace che abbiano chiuso gli OPG. Per un intellettuale disoccupato erano un’opportunità interessante, ci ho pensato spesso. Sempre meglio del vagabondaggio o della prostituzione, come sottolinea M. Houellebecq in Rester Vivant. Certo, immagino che il cibo facesse schifo e non ti facessero ubriacare, ma almeno non mancavano gli psicofarmaci. Azzarderei la scommessa che siano stati gli ultimi luoghi pubblici in cui si poteva fumare liberamente. Ora non c’è più nemmeno quello, se perdi reddito casa figli, tipo per un divorzio, e si sa che vince sempre la moglie, alla faccia delle pari opportunità, sei fottuto. Strada, Caritas. Sogno una crociata di homeless italiani, rigorosamente maschi dalla pelle rosa, che invadono Lampedusa esigendo vitto e alloggio a tempo indefinito. Questa sarebbe la vera rivoluzione italiana.

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davide orecchio
davide orecchio
Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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