Il confessore
di Gianni Biondillo
Jo Nesbø, Il confessore, 542 pagine, traduzione di Maria Teresa Cattaneo, Einaudi, 2014
Sonny Lofthus è Il confessore, un eroinomane che s’incolpa dei delitti altrui per espiare le colpe di un padre poliziotto corrotto e suicida. Ma la verità, dopo dodici anni di prigionia, sembra un’altra. Sonny decide perciò di fuggire dal carcere di massima sicurezza e portare a termine il suo piano di vendetta. L’unico che ha capito cosa collega la serie di omicidi che tempestano il romanzo è l’ispettore capo Simon Kefas ex collega del padre di Sonny. La caccia all’uomo diventa così una caccia alle verità recondite di un passato comune.
Quando ci saremo lasciati alle spalle la deleteria moda per il giallo scandinavo saranno pochi i nomi che ricorderemo. Fra questi probabilmente Jo Nesbø. Non certo per lo scavo psicologico dei suoi personaggi – Sonny sembra tagliato con l’accetta, spigoloso e senza profondità, molto meglio il suo deuteragonista, per quanto altrettanto stereotipato (solitario, a un passo dalla pensione, con doti intuitive uniche, etc.)-, né per la scrittura, che manca di ricerca linguistica tutta tesa com’è a raccontare per immagini cinematografiche (pare una sceneggiatura), e neppure per la lettura sociale del territorio, Oslo, tranne che per alcuni involontari esotismi causati dai nomi dei quartieri o delle strade, sembra una qualsiasi metropoli tentacolare dove la malavita internazionale impazza senza regole.
La forza di Nesbø sta nel mantenere la promessa che fa al lettore: leggerai per oltre 500 pagine senza annoiarti mai. Il dispositivo che ho fabbricato per te sarà complesso (e tutto da decrittare) eppure fatto di elementi che già conosci, di modo che non ti perderai mai per davvero.
Nesbø è un artigiano, un orologiaio. Il bello per lui non sta nel decoro, nell’intaglio, nella nobiltà del metallo. Sta nel meccanismo. Inesorabile.
(precedentemente pubblicato su Cooperazione, n° 3 del 13 gennaio 2015)
Mmm…ci sto facendo un pensierino :D
Andrea Rosso