Un collage e otto poesie di Eugenio Lucrezi da NIMBUS + due disegni di Paola Nasti
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Turner alla Tate Britain
In un punto centrale del tragitto
tra il molle autoritratto a ventiquattro
anni e la maschera secca che lo ferma
morto anni dopo e dopo molti venti,
nebbie e tempeste, un acquarello
ritrae due tinche, un persico e una trota
composte in lieto stile e in armonia
di cose morte che sono state vive.
Chiaroscuro aggraziato, quasi non
reminds the gap che esiste tra i due stati.
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Bambina senza madre in campo santo
Diceva di piante come razzi accesi
sullo slancio di ossa che frantumano
l’essere morta nel domani ossigeno,
diceva come sempre svagato
e masticava sussurri, forse songs
che non sopporto, maledetto lui
e l’inceppo che dice reologico
perché è impossibile, diceva
e lo diceva a modo, ridendo
con la rima labiale, con poche rughe
serrate come bocca divina
imperscrutabile o almeno di santo,
per me che sono stupida e stupisco
per poco più di niente, per mani,
per dita che mi tengono la testa
lungamente leggiadre, che l’accolgono
come piaga leggiadra, diceva,
sì, nobilmente diceva che è impossibile
e la preghiera della mia faccia
storta che amaramente allunga
sorrisi, come non bastasse
stare qui storta in caritatevoli
mani e perlomeno non nell’anima,
mentre stare lì sotto, dare fili
alla pianta, oltre il prato che decide
l’ossigeno ed i fiati a menadito,
diceva benedetto e la mia testa
pregava insieme a lui e a lui diceva
che questo dire di mani è impossibile
e sono mute le labbra, le rime,
diceva a me che non so stare viva
se non barcollo, se non scuoto l’albero
diceva di mia madre e non sa dire
cosa che non mi manchi e non mi dolga,
tu lasciami se puoi, gli dissi, fammi
tenere dritto il capo e poi riprendimi.
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Dodici finestre
Alcuni edifici sono per stare quali
facce di pietra negli angoli diversi.
La rifrazione mite esegue l’ordine
di dare luce eterna per un attimo.
La strada, il frontespizio, lo specchiarsi
ineluso che fugge dallo sguardo
non so dove si arrampica. Ogni cella
opera buiamente. Nell’umano
abita l’invisibile. L’opaco
tiene profilo d’ape oltre la tenda.
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Vento Cardinale
Sera d’estate, torna il peso rapido
delle nubi all’ingrosso, che si stingono
nella gamma del grigio, gonfie d’acqua.
Passano e vanno via, mentre dispiega,
eretto all’abitudine del vento,
magre dita un palmizio.
E’ la pazzia dell’aria,
che l’isola prosciuga, l’energia
del sale sconfinato del Tirreno,
di quello anidro e scuro confinato
nelle saline. Si gonfia
d’aria, magnifico, il tuo scialle
tinto di giallo, e pare che respiri.
Tu, per tuo conto, tieni il fiato, aspetti
l’urto da capra dell’ottavo
scoglio che asciutto ti sibila tra i denti,
mentre serri le ciglia, mentre,
imprudente, dilati le narici.
Parleremo, stanotte, del poeta
che di venti siffatti fu geometra.
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Angelo del Pontormo
Nube. Nubesco. Potenza delle ali.
Testa rivolta ai venti della volta.
Un gran soffione d’aria nel vestito.
Sono nube di guerra. Non sorrido.
Vento che ti schiaffeggia. Non mi vedi.
Arrivo nel gran peso delle ossa.
Non c’è buco che tenga la caduta.
Angelo dell’intonaco, sono orma
della grazia sul ponte, sono inchino
di veleggi rigonfi al paradiso
chiuso nella navata.
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Su Rosso e sul Pontormo a casa Strozzi
È dunque tripartita la ventura
terrena – ma non solo – dei gemelli
diversi, sortiti, come uova virgiliane,
dal sedere del Sarto e senza errore.
Romani nel ritratto a mano lenta.
Ubriachi nel decoro cortigiano.
Voluttuosi e perduti nelle chiese.
Il Rosso vira al nero, somigliando
al Novecento per le sue brutture,
solo che lui, nel nero, spruzza a pieno
pagliuzze d’oro d’irrappresentabile.
Pontormo va per cieli, ha più paura
dei peccati e dei gravi.
A sera muore
un’ombra affumicata.
Arriverà,
nel superare cortesi appagamenti,
lo smalto successivo del Bronzino.
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Moon and bat
(landolfiana)
Sei il battito o la luna che da lontano guarda?
Il pipistrello cammina esattamente
col tuo battito d’ali sul selciato.
Ed all’inizio, anzi, non ti vidi
se non nel fremito battente di quel sangue,
nell’ovale notturno di quel viso.
La luna o il pipistrello? Quale cielo?
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Nimbus
Nimbus water pregnant
standing in the sky.
It’s going to rain.
Between the nimbus
and solid ground
drops and drops
of sound.
Le immagini:
- Eugenio Lucrezi, Nimbus, collage, 2015
- Paola Nasti, Angelo del Pontormo, china e acquarello, 2014
- Paola Nasti, Deposizione del Pontormo, china e acquarello, 2014
- Alcuni esemplari del libro
Eugenio Lucrezi, Nimbus. 100 esemplari in piccolo formato, numerati, firmati e personalizzati da interventi a mano dell’autore sulla copertina di ciascun esemplare.
Info: EUREKA Edizioni c/o Associazione Culturale EUREKA, via T. Tasso, 30 – 70033 Corato (BA) e-mail: eureka.corato@gmail.com rossanabucci@libero.it oronzoliuzzi@hotmail.com
Eugenio Lucrezi (1952) è di famiglia leccese, vive a Napoli, fa il medico, il musicista e il giornalista. Ha pubblicato cinque libri di poesia: Arboraria, Altri termini, Napoli 1989; L’air, Anterem, Verona 2001; Freak & Boecklin (con Marzio Pieri), Morra-Socrate, Napoli 2006; Cantacaruso : Lenonosong (con Marzio Pieri), libro + CD musicale, La finestra, Lavis, Trento 2008; Mimetiche, Oèdipus, Salerno-Milano 2013. Ha pubblicato il romanzo Quel dì finiva in due, Manni, Lecce 2000. Suona nel quartetto “Serpente nero blues band”, il cui ultimo disco, intitolato Frieda e altre storie, è uscito nel 2013. Già redattore della rivista internazionale di letteratura Altri termini, diretta da Franco Cavallo, è attualmente responsabile della rivista di poesia e arte Levania, che pubblica inediti di autori italiani e stranieri, privilegiando le esperienze di intersezione tra discipline artistiche diverse e il dialogo tra letteratura, filosofia e scienza.
Between the nimbus
and solid ground
drops and drops
of sound.
Ho sempre apprezzato la poesia in lingua inglese, soprattutto quella composta da poeti italiani.
La brevitas e la forte sonorità della stessa rimandano inevitabilmente agli “epigrammi” inglesi di Pavese!
Dove è possibile acquistare l’intera silloge?
gentile Direttore (di Mosse di seppia. Rivista di giovani napoletani dal titolo azzeccato ai contenuti: movimento che scuote l’antico (il seppia, il seppiato) per avvivare il sedimento), l’inglese va bene. Lingua straniata, per un italiano della mia generazione, almeno quanto il dialetto per un Baino o un Di Natale.Lingua, poi, che mi parla da sempre, a me ben poco parlante l’inglese (leggente, sì; ma parlante…). Thank you.
eugenio
Il volumetto si può richiedere all’editore, che è indicato, insieme a tutti i recapiti, in fondo all’articolo. Costa 10 euro. Se la tiratura dovesse essere terminata, o se non vuoi spendere 10 euro, ti mando il pdf
Davanti a queste nuove, perfette poesie di Eugenio Lucrezi, non posso che confermare quanto avevo già scritto su di lui a proposito di un altro suo libro:
http://www.larecherche.it/testo.asp?Tabella=Recensioni&Id=827
e in particolare quando dicevo che:
…Siamo all’interno di un teatro barocco (e se non barocco, che altro potrebbe essere questo franoso, labirintico, polimorfo, evanescente palcoscenico?). Siamo in una scatola delle meraviglie affollata di doppifondi, doppiaggi, sdoppiamenti, cunicoli segreti, vie di fuga. Siamo in un bucherellato “panopticon” dove si svolge, armonica e scintillante, la grande kermesse degli “esercizi mimetici” e delle citazioni disposte a spaglio in forma di collage sonoro. Siamo in un delizioso groviglio espressivo dominato dai moti serpentini e ingovernabili delle metamorfosi. Perché, appunto, La mimesi qui non è mai un cerchio concluso e, come scrive a proposito di questo libro Giorgio Linguaglossa, «le azioni verbali sono “mimetiche” di altro, stanno per altro e in luogo di altro; sono azioni alienate da una interna condizione di alienazione: nessuna cosa è così come viene detta (e ridetta) e nessuna cosa è così come appare ri-scritta».
L’operazione è perigliosa, ma non tende all’informe; l’orizzonte dei sommovimenti emozionali e della ricerca di senso non è mai perso di vista, mentre la perfetta tenuta ritmica, la raffinata costruzione retorica, l’accortezza delle scelte lessicali – esiti di una lunga sperimentazione espressiva giunta a piena maturazione – salvaguardano i versi di Lucrezi dal rischio di derive caotiche e li pongono sul piano di un’idea di poesia (o di meta-poesia) dove il pensiero, senza mai farsi tale, preme e risuona sulla membrana elastica dei suoi confini.
Già… a parte le trombe di Gerico (o i tamburi di Santerre), peccato che queste poesie non siano affatto perfette, peccato che “una lunga sperimentazione espressiva” lasci intravedere solo a tratti esiti interessanti e passaggi rimarchevoli (laddove un poeta “puro” non sarebbe mai scivolato sul sìnolo aristotelico). Tra l’altro, perché arrischiarsi nell’uso di una lingua che — a dire dell’autore stesso — non si conosce bene (si fa già fatica con la propria)! A cominciare dall’epigrafe calligrammatica, dove quello “standing” è scelta facile e grossolana (io ci avrei visto più un “dwelling” o addirittura un “wandering” ecc); per non parlare dell’intera suite ecfrastica a mo’ di Ricordo (personale) di Viktor Hartmann… dal risultato per nulla organico. Endecasillabo sciolto in serie continua senza rima? Anisosillabismo impazzito? What else – (So weird) – Serious?
Standing per stare fermo; non è descrittivo. E poi non conosco bene alcuna lingua, neanche la mia. Conoscere la lingua è utile nella comunicazione. La letteratura è approssimazione perenne a significati che si allontanano. Grazie a Eclaro per il commento. Ovviamente, le mie poesie sono tutt’altro che perfette. Lentini si è fatto prendere dall’amicizia e lo ringrazio. Poi, la lunga sperimentazione espressiva si riferisce di certo all’età più che matura.
Avevo inteso bene. Appunto per questo volevo essere anche costruttivo con la mia critica. Le nuvole stanno ferme, o dànno solo un senso di immobilità? Non voglio sindacare la scelta stilistica dell’autore, tutt’altro, le vengo incontro. Per questo pensavo (ma il pensare di un poeta — imperfetto quale io divento — è sempre paradossalmente velato d’una aura apparentemente apodittica alimentata in realtà da un forte credo e da tanto “non-lavoro”) che la connotazione visiva del suo carmen figurato desse già un’impressione di pseudo-immobilità, ragion per cui avrei preferito un verbo che aggiungesse un tocco di maggiore pregnanza semantica… magari nel senso di un abitare incerto, fluttuante e ondivago ecc, senza offrirsi ridondante alla ricezione.
Inoltre, le dico la mia anche sul resto. Conoscere le lingue è utile, conoscerle bene è problematico, ma l’uso che si fa anche di una singola lingua in letteratura è un azzardo. La comunicazione è di tutti, la letteratura dovrebbe esser di pochi, di pochissimi. L’espressione muore sempre più con la comunicazione. Ma a noi artisti non interesserebbe né l’una né l’altra. Noi poeti la smettiamo col voler dire, abbiamo imparato perfino che l’esser detti è l’ultimo vanto del secolo scorso che non-fu. E allora cosa resta? [Ecco, forse, la po-è-sia?] Un balbettio che ha del miracoloso.
Ho omesso di dire al lettore -lo dico adesso ad Eclaro- che Nimbus (il testo lineare; il calligramma l’ho fatto apposta per la plaquette)è una vecchia poesia che nasce dall’ascolto di una composizione omonima presente in un vecchio disco di Ralph Towner intitolato ‘Solstice’, sortito a pochi anni di distanza (pochi anni prima) dalla sua partecipazione all’album dei wheather report ‘I sing the body electric’,che è del ’75. Towner, dagli Oregon in poi, è sempre stato un chitarrista straniato, straniatissimo e in preda all’abbandono, essendosi accostato allo strumento in età adulta (aveva studiato piano;ha suonato la tromba). La poesiola è dunque venuta a galla vent’anni dopo l’ascolto di un disco, non riascoltato in corso di stesura, e neppure dopo. Mi viene da dire, leggendo Eclaro: l’esser detti, ultimo vanto, è anche il più antico. Essere attraversati dall’onda del linguaggio che come corpo vivo trascorre è quanto accade nello scrivere. Come dire che la consapevolezza, anche storica, è nel linguaggio, e che allo scrivente è favorevole una dose di inconsapevolezza, come al panista-trombettista che suona la 12 strings.
Un grazie di cuore alla Redazione di NAZIONE INDIANA per aver considerato la nostra collezione CentodAutore di EUREKA Edizioni alla seconda uscita con NIMBUS di Eugenio Lucrezi.
Rossana Bucci e Oronzo Liuzzi
Sempre bello leggerti Eugenio. Un caro saluto. a.
grazie, Englishman
La poesia di Eugenio, si sa, parla il linguaggio delle emozioni. È un flusso distante di suoni, odori e immagini che ti piombano addosso come il più inatteso dei temporali estivi. Non facciamo gli intellettuali:la poesia non dovrebbe raccontare, né comunicare né esprimere. La poesia dovrebbe semplicemente suscitare.
Grazie ad Emmanuel. la poesia racconta la figura che si fa, suscita la materia linguistica, smuove il sedimento dell-antico, non fa altro che quello che la letteratura sempre fa. Lascito resta solo se lavora il linguaggio. Le emozioni le hanno uguali scriventi e non. A te un abbraccio.