cinéDIMANCHE #24 KEN RUSSELL Amelia and the Angel [1957]
KEN RUSSELL nasce in Gran Bretagna il 3 luglio 1927 nella città marittima di Southampton, dal cui porto il 10 aprile 1912 era salpato il Titanic per il suo primo e ultimo viaggio. Il padre, un uomo severo e distante, ha un negozio di scarpe. Fin da piccolo Ken mostra il suo talento artistico, inizialmente molto incoraggiato in famiglia, soprattutto dalla madre, sensibile e afflitta da disturbi mentali. A soli quattro anni ottiene di accompagnarla ai té danzanti e al cinema. La sua passione per la musica e per le immagini in movimento è già evidente. All’età di 10 anni gli viene regalato un proiettore giocattolo, con cui organizza spettacolini cinematografici in garage con i film di Charlie Chaplin. I genitori vi assistono al caldo, chiusi nell’auto di famiglia. Non è molto bravo a scuola e scappa spesso di casa per rifugiarsi nei cinema della cittadina, dove, fra gli altri, vede due film che saranno ispirazione cruciale della sua futura carriera di regista e del suo stile visionario, la serie Die Nibelungen [1924] di Fritz Lang.
“Scaloni monumentali, cattedrali in cemento, prati brumosi disseminati di margheritine artificiali, foreste dagli enormi tronchi di cartapesta, castelli e fortezze in miniatura, grotte anch’esse di cartapesta, draghi meccanici, tutte quelle enormi costruzioni per metà merovingie e per metà cubiste, presero vita grazie a Otto Hunte, Eric Kettelhut, Carl Vollbrecht, scenografi abituali di Lang.”
[Georges Sadoul Storia del cinema mondiale dalle origini ai nostri giorni, pp. 202-203, Feltrinelli, 1964]
Questo periodo sereno si interrompe, quando a 15 anni viene mandato in collegio al Pangbourne Nautical College nel Berkshire, una scuola pubblica che prepara i giovani all’ingresso nella Marina Mercantile, con una disciplina durissima e insegnanti tirannici, che il giovane Ken sopporta solo con il miraggio di futuri esotici imbarchi nei Mari del Sud, come nei film d’avventura della sua attrice preferita, Dorothy Lamour. Due anni dopo la dura realtà di membro più giovane dell’equipaggio di una nave cargo nel Sud Pacifico, con un capitano folle convinto di essere continuamente attaccato da sommergibili giapponesi e che lo costringeva a estenuanti turni di vedetta sotto il sole tropicale, lo condurrà in breve a un forte esaurimento nervoso. Tornerà a casa sconvolto: “Stavo seduto sul divano del salotto con lo sguardo nel vuoto, mentre la domestica mi passava l’aspirapolvere intorno.“, racconta. A farlo uscire dal suo stato catatonico riuscì solo la musica del famoso Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in SI Bemolle minore Op. 23 di Pëtr Il’ič Čajkovskij; e sarà proprio il Primo Movimento di questo concerto che userà nella colonna sonora del suo film sul compositore russo, L’altra faccia dell’amore [1970]. Si arruola in seguito nella Raf. E’ poi attore, ballerino e fotografo professionista. In virtù di un certo numero di film amatoriali, in particolare l’affascinante Amelia and the Angel del 1957, viene assunto dalla BBC. Si afferma con una serie di documentari artistici nel programma MONITOR, prodotto da Hue Wheldon, per cui lavora durante tutti gli anni 60. Notevoli i suoi studi sui compositori classici, come il capolavoro ⇨ Elgar [1962] e ⇨ Song of summer [1968] su Frederick Delius. Questi cortometraggi mescolano abilmente informazioni reali, dette dalla voce fuori campo di Wheldom, con immagini liriche ed evocative riprese da Russell. Sentendosi limitato dalla lunghezza imposta in MONITOR, in seguito nel programma OMNIBUS potrà esprimersi in veri e propri film quali ⇨ Debussy e il controverso e censurato ⇨ Dance of the seven veils su Richard Strauss. La passione per la musica e questo insieme di realismo e visionarietà, cifra saliente di tutto il cinema di Russell, saranno poi ripresi e portati al culmine nella sua trilogia musicale, L’altra faccia dell’amore [1970], su Pëtr Il’ič Čajkovskij, La perdizione [1974] su Gustav Mahler, Lisztomania [1976] su Franz Liszt e in alcune, spesso discusse, regie d’opera, The Rake’s Progress, Madame Butterfly, Faust e La Bohème in vari teatri europei.
In Amelia and the the Angel cinque bambine, Amelia, Margaret, Mary, Rosemary e Jane, provano una danza per la recita scolastica. Sono vestite da angeli, con soavi e traballanti ali piumate. Miss May, l’insegnante, dice loro che non le devono assolutamente danneggiare. Dopo la prova, le bambine si cambiano, tolgono le ali e tornano a casa. Ma Amelia non può resistere alla tentazione di portarsi via le sue.
Di soppiatto torna nello spogliatoio e le ruba. Nonostante vari tentativi di afferrale e rovinarle di cani, gatti, traffico, folla e ragazzini dispettosi, riesce a portarsele a casa sane e salve. Ma il giorno dopo suo fratello le prende di nascosto e dopo violente scorribande in un parco giochi, con la musica di Rossini velocizzata all’organetto, fra scivoli e altalene, le rompe e le straccia irrimediabilmente. Amelia piange, inconsolabile, e prega nella sua cameretta, rivolgendosi alle immagini di un Angelo e di un Santo pittore. Prende i suoi risparmi e va in giro per la città in cerca di ali simili alle sue, ma non riesce a trovarne di adatte.
Vede un cagnolino con delle alucce attaccate alla schiena, lo segue e scopre che fa parte di un numero di un artista girovago; gli chiede se gli può dare le ali, ma poi si rende conto che sono troppo piccole. Le sue speranze rinascono, quando vede una bambina che disegna un angelo con il gesso sul marciapiede. Dopo aver ricevuto indicazioni su dove possa trovarlo, corre nel parco, ma scopre che l’angelo è solo una statua. Ormai scoraggiata di trovare altre ali in tempo per la recita, si siede sotto un grande albero ed ecco che all’improvviso vede una donna che corre per il parco con delle splendide ali piumate. La insegue fra balie, statue e fontane, ma la perde.
Fortunatamente all'”angelo” è caduta una piuma, fuori della casa in cui è scomparso. Amelia vi entra, sale diverse rampe di scale, spaventata da un vestito volante, che in realtà è trasportato su un manichino da uno strano personaggio. Arrivata in cima apre una porta e si scopre che l’angelo è la modella di un pittore, che per fortuna ha un certo numero di ali di scorta ed è contento di regalarne un paio ad Amelia. Così lei corre via felice, il viso raggiante trasfigurato dalla gioia, con le sue magnifiche nuove ali, la sagomina che rimpicciolisce in controluce, illuminata dal sole al tramonto, in dissolvenza.
Mercedes Quadros con la frangia tagliata corta e il suo visetto elfico, sempre in bilico fra vivacità, ingenuità e turbamento, senza mai far sentire la sua voce, dona al personaggio di Amelia il sapore dolceamaro di una moderna Alice che attraversa lo specchio correndo a rotta di collo. Nel piccolo spazio di Amelia and the Angel ci sono già in nuce i temi ricorrenti e lo stile di Russell. Traspare innanzitutto la dimensione spirituale, Russell e sua moglie Shirley, che era la costumista, si erano appena convertiti al cattolicesimo, ma sempre intriso di una religiosità profonda e affatto bigotta. La storia è una specie di dichiarazione e di percorso di fede. Amelia è caduta in tentazione, ha peccato, rubando le ali, è stata punita, ma alla fine le sue preghiere vengono esaudite e riesce a trovarne un’altro paio. Nonostante il budget minimo, il film ha numerosi tocchi da maestro nelle immagini di raro nitore ed efficacia di un mondo, di una città vista dalla parte dei bambini, di certo frutto della sua esperienza di fotografo per la Universal Pictorial Press Agency negli anni ’50. Il taglio inconsueto delle inquadrature, il loro contrapporsi rapido, crea un movimento continuo, non lineare e fantastico. Russell in un piccolo cameo si raffigura come un passante con le mani in tasca, che urtandola interrompe solo per un istante la corsa vorticosa di Amelia. Le riprese di una città altra e minimalista, ancora con le rovine della guerra, abitata da strani personaggi dropout, come la buffa venditrice di abiti usati e l’artista di strada con il cagnolino e la scala nella stazione in disarmo, ricordano le atmosfere di Mary Poppins [1934], il romanzo, di Pamela Lyndon Travers dove dietro una porta c’è sempre un’altra porta e dietro le cose consuete ci sono sempre nascoste e mimetizzate quelle inconsute. La coreografia ingenua del balletto iniziale degli angeli, i piedini nudi e quelli calzati della maestra, l’organetto a manovella che gira il suo disco di metallo traforato insieme al cerchio delle bambine, danzanti figurine di un carillon, ci fa subito capire che stiamo entrando in una dimensione delicata e parallela. Ken Russell racconta questa sua favola insolita con leggere e sottili pennellate: l’ironica tapezzeria di farfalle alate della cameretta di Amelia, mentre piange disperata per la perdita di altre ali, la camera a mano che imita un bambino che corre a zig zag, l’espressionismo della scena in cui Amelia sale le scale, la sacralità della musica di Bach in sottofondo, con la surreale apparizione del vestito volante, la salita in Cielo del pittore, raffigurato come il Cristo di un’icona, su una lunga scala a pioli, attraverso uno sfondo di nuvole dipinte, prima di scendere con le nuove preziose ali. Avere ali adatte è una cosa essenziale, nelle favole, in certi sogni di volo, nelle vite.
Nella pausa delle domeniche, in pomeriggi verso il buio sempre più vicino, fra equinozi e solstizi, mentre avanza Autunno e verrà Inverno, poi “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera“, riscoprire film rari, amati e importanti. Scelti di volta in volta da alcuni di noi, con criteri sempre diversi, trasversali e atemporali.
- cit. KEN RUSSEL da The Guardian Philip French ⇨ Britain’s best film directors show some early promise Sunday 26 September 2010↩
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I tuoi post sono straordinari. I più belli in assoluto.
Sempre speciale, leggerti
Grazie!
Sempre più difficile, scriverli.
Sono tempi orribili, prosaici, vessatori.
Ma come dicevano John Keats e Mary Poppins:
“A thing of beauty is a joy for ever”.
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