Gaetano Cappelli, Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo
di Matteo Di Gesù
A quanto pare una delle sfolgoranti virtù di Gaetano Cappelli consisterebbe nel fatto che, pur essendo uno scrittore del sud (della Basilicata, per la precisione) e pur ambientando al sud (in Basilicata, per la precisione) le sue storie – come questa controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo – egli ha coraggiosamente rinunciato a scrivere «varianti di Cristo si è fermato a Eboli, oppure storie di mafia, di sangue, di miseria, di incesti» (D’Orrico): si è rifiutato, insomma, di dare fondo al consunto bigoncio di luoghi comuni al quale sovente si attinge per infarcire i libri ambientati qualche chilometro sotto alla linea gotica. Detestando anche noi codesto esotismo domestico che tanto lustro ha dato alle patrie lettere contemporanee, ma soprattutto ai bilanci dei loro editori, ci assoceremmo senza indugio all’encomio. Tuttavia titubiamo, tormentati da un insinuante rovello: viene da chiedersi, infatti, se davvero di un merito dell’autore si tratti, o non di un colpevole ritardo dei critici. I quali, nell’elogio sperticato e stupito del postmoderno letterario lucano, tradiscono una deplorevole mancanza di aggiornamento: paiono ignorare, infatti, che da qualche lustro, al sud (nonché in Basilicata, per la precisione) ci sono l’acqua corrente, le strade asfaltate, e perfino l’università, le scuole di scrittura creativa e i bisogni indotti tipici della società dello spettacolo (critici che però magari, con candida incoerenza, poi vanno in brodo di giuggiole quando il summenzionato esotismo domestico è declinato, per esempio, in chiave sarda).
Ad ogni modo, sembrerebbe comunque che Cappelli abbia voluto scrivere un romanzo di costume, per quanto postmodern, o meglio un romanzo che esibisca, deliberatamente, lo scrupolo sociologico con il quale sono assemblati i suoi materiali narrativi e di finzione (sono rivelatori, in questo senso, i titoli dei paragrafetti nei quali è spezzettato il testo). Tuttavia, come del resto si conviene nella patria di Carlo Goldoni e Lina Wertmüller (più in quella della seconda, come denuncia del resto il titolo del libro) per realizzare la nobilissima aspirazione a praticare questa antropologia del presente, l’autore non ha trovato di meglio da fare che imbastire una vivace commediola all’italiana: Riccardo Fusco, un quarantenne ricercatore di antropologia – per l’appunto -, senza possibilità di carriera, padre di quattro figlie e marito di una esuberante e fedifraga produttrice teatrale, spera di ‘svoltare’ aggregandosi al seguito di un suo vecchio compagno di scuola, diventato nel frattempo, con mezzi loschi, il dodicesimo uomo più ricco d’Italia. Il facoltoso neocafone arruola Riccardo per lanciare sul mercato il suo Aglianico, prodotto per adeguarsi ai costumi dei milionari à la page e per vendicarsi di uno snobissimo aristocratico suo rivale.
Sapientemente, con non poca maestria, Cappelli riscalda il repertorio precotto del genere nazionale per eccellenza, non lesinando pennellate di misoginia, spruzzi di amoralità e spolverate di cinismo, restituendo così il tipico gusto della tradizione: un misto di ripugnanza perturbante e di appetitoso rispecchiamento autoassolutorio. Per completare il piatto, poi, devolve alla terza persona narrante il compito di imbandire un contorno di frattaglie ideologiche (che vorrebbero essere sardonicamente reazionarie ma sono penosamente qualunquistiche), lasciandola ogni tanto divagare sullo stalinismo o sugli anni Settanta, sul banditismo o sul postfemminismo. Il tutto, come detto, guarnito dell’impareggiabile aroma del nostro sud (della Basilicata, per la precisione).
«Penso che la mia vita sarebbe stata sicuramente diversa se Levi invece che a Eboli si fosse fermato a Sondrio o a Lecco», pare abbia dichiarato il brillante Cappelli. A lettura compiuta, pur compiaciuti del fatto che il nostro abbia finalmente regolato i suoi conti con chi ha rattristato la giovinezza sua e di un’intera generazione di scrittori meridionali (della Basilicata, per la precisione), non abbiamo comunque resistito alla tentazione di mettere da parte Storia controversa per tirare fuori dalla libreria Cristo si è fermato a Eboli. Ci è sembrato, pur con tutti i suoi limiti, un libro assai più intenso e più nuovo del romanzo di Cappelli, facendocelo apparire, ancora di più, vecchio e consueto: già viste le sue guittate, già noto il suo cinismo, già letti i suoi ammicchi. Ma evidentemente, per alimentare il grande lavacro della commedia italiana, va benissimo l’acqua fresca dello scrittore lucano
(pubblicato su Il Giudizio Universale, n°28, Novembre 2007)
E’ finito il postmodernismo, non è più di moda.
Cappelli lo hanno pompato; la sua prosa fa acqua da tutte le parti e a leggerlo effettivamente gli sbadigli si sprecano
Di controverso c’è poco se da noi d’orrico viene considerato un critico
Vorrei sapere cosa ti ha fatto Carlo Levi e “Cristo si è fermato a Eboli”. Ce ne fossero di libri del genere, libri che scoprono, altro che “luoghi comuni”. E l’aglianico vero, alla fine, o lo bevi sul posto o ti attacchi. Le cose buone d’altronde sono così: inafferrabili.
Non sono d’accordo con l’autore dell’articolo. Occore stare attenti a non fare di ogni erba un fascio quando un autore – è il caso di Cappelli -inciampa negli elogi di D’Orrico.
Cappelli è uno dei più bravi scrittori di oggi. Il suo Parenti lontani trova pochi altri romanzi che possano stargli a pari.
Di questo romanzo e dei suoi 2 precedenti mi sono occupato qui:
http://www.bartolomeodimonaco.it/online/?p=566
Cristo si è fermato a Eboli è uno dei romanzi più belli del Novecento italiano.
Madonnina (oh Di Gesù) quanta acidulità vacua… leggetevi piuttosto quel capolavoro di Parenti Lontani (Mondadori) che, non a caso, è primo nella classifica ibs dei remainders da mesi. Lo pagate la metà e dopo, son sicuro, avrete un’idea più precisa della prosa cappelliana. Con buona pace di Carlo Levi, che viene disturbato inutilmente. Buona lettura.
stroncare è raro, e nuoce, non ai (falsi) bersagli, ma a chi non ha il passo per questa arte complessa e fuori stagione. ipse dixit.
la prosa cappelliana… mah, a potenza hanno trovato una gloria locale e non gli pare vero… quando la provincia si condanna a esserlo per sempre: scimmiotta ammicca vagheggia
@storia
studia meglio l’importanza della provincia in letteratura…
Beh, a me ha fatto venir voglia di leggerlo.
Il brio è la cosa più difficile da ottenere in letteratura.
IO “QUESTO CAPPELLI ” L’ HO VISTO PER LA PRIMA VOLTA DALLA DANDINI e catturato dalla sua aria scanzonata ho comprato il libro.Ho 30 anni , e il libro , devo dire deludendola ,mi e’ piaciuto molto e sa perche’? :- Perche’ parla la mia stessa lingua – perche’ parla di situazioni a me contemporanee. Lei invece chi va a riesumare? Carlo levi………. Scusi , ma lei si guarda intorno ? IO IL LIBRO DI CAPPELLI L’HO Letto in metropolitana. L’autore di cui lei parla avrebbe richiesto “la diligenza” . Rendo l’idea?
Francesco, io in metropolitana ci voglio leggere sia Cappelli che Levi. Altrimenti che faccio di Tolstoj, di Dante o di Omero? Li brucio?
Poiché cotronoski (!) parlava di falsi bersagli, mostrando ahinoi doti che preferiremmo non riconoscergli, mi permetto che, come quasi sempre, la mezza messe di repliche qui profuse a commento è del tutto fuori bersaglio anzi proprio salta il bersaglio a pie’ pari con scelta consapevole, direi con encomiabile … diligenza, lo ignora perché postmodernamente mentre lo insegue già è corsa oltre, lo ha … bypassato, già lo ha disarcionato cioè declassato d’importanza. Il pezzo da cui tutto ciò origina non si comporta diversamente. Diciamo quello che è, provato nero su bianco dal libro di Gaetano Cappelli in oggetto. Quel libro è esso stesso lasco e distratto, e in questo semmai è la sua grandezza: aver assunto il limite del nostro attuale antropocène come proprio abito, anzi aver scelto di dimostrarlo esercitandolo. La centratura in sé che invece mostra come proprio pregio il ‘Cristo’ di Levi semplicemente non è più possibile. E poiché il romanzo non è psicologia e men che meno sociologia …… !
Scusate, poiché anch’io da par mio pratico solo distrazione e concentrazione lasca, ho prodotto un refuso odioso già nella seconda riga del commento immediatamente precedente cui provo a riparare: “… non riconoscergli, mi permetto DI SOTTOLINEARE che, come quasi …”. Ecco. Ho riparato.
A me Cappelli piace, molto, e Parenti Lontani è un gran bel libro. Questo lo comprerò e sono quasi certo che Cappelli non mi deluderà.
Blackjack.
gianni, io in metropolitana preferisco ascoltare i kraftwerk
http://www.youtube.com/watch?v=SDIyDA9wbUY
effeffe
a me cappelli appalla