EREDITÀ ED ESTINZIONE (sette poesie)
di Giovanna Frene
I. Tecnica di sopravvivenza per l’Occidente che affonda
la sostanza è dentro l’occhio
ma l’occhio è di vetro
I.
si sovrappongono, sembrano a tratti coincidere, si proiettano
a poco a poco, in tutta la perfezione si curvano
mattoni di fumo, o colpe riversate
per non essere proprie, crollate
perché alte, e gonfie. piove nero, ad arco.
ma non è così.
II.
inimmaginabile il pericolo del fango, non se ne parli.
esige, una mappa, il secco materiale, seguire
l’avanzata se è rapida, e più rapida ancora la traccia
se disegna in anticipo la falsa coincidenza, che
conta, si sovrappone, sembra collimare:
non piove, ma non è mai così.
III.
si sovrappongono come separazione naturale e mutabile,
approfittano della scissione scindendo, ma tutto è già avvenuto:
frattura misura solo frattura, circoscritta all’intero pavimento
chiamando potere la rovina del tempo. piove.
o non piove, se la pianta della città è la carta
del mondo, se la radice è nemica alla radice, che è.
IV.
perché nemico germogli a nemico, di notte si sostituisce,
si condensa in alto, appare come scuro cavaliere che cavalca
se stesso: fabbrica bene chi fabbrica per ultimo, approfittando
del cambio di azione, lo scopo non cambia mai, se piove,
se dio vuole, invece non piove, no, ma la terra
non è salvata, la carta, sfigurata.
V.
la diplopia su carta, sfigurata, non è del tutto assente, o presente:
ne hanno a metà, una media che mantiene il dire, il fare,
il domandare per scarsità di pioggia: che fece piovere,
alla fine, fu la perfezione del coincidere, cupo vento
diretto a Oriente, ma non è così: molto e giovane
il nuovo orgoglio, abita, qui.
VI.
: che si solleva da sola, per la testa e
che è un arrovellarsi di cerchi, con scarsi
risultati, che è una impotenza tolta
e rimessa per sempre, come un peccato, che è
infinita sete, che è pioggia che non piove
piovuta una volta per tutte
in odio
* * *
II. Sestina bosniaca, o del penultimo giorno dell’umanità
ovunque andassi, la gente mi considerava un debole
(Gavrilo Princip)
I.
se anche andassi per una valle oscura, non temerei alcun bene, perché tu sei con me:
se anche andassi a ritroso, ritroverei il corpo esploso, la pallottola
per l’eternità, una pura paternità in prospettiva: in somma, un impero centrale
II.
…un proiettile non va esattamente dove si vuole: ma due su due sono un bivio
perfetto, imboccato a ritroso come per difetto, o per eccesso di zelo:
si spinge indietro la macchina fino al punto esatto del suo non-ritorno
III.
…devi vivere per i nostri figli: non sembra vero che il ritroso si ripresenti per caso, aspetto
di un gesto grave, vista la fragilità, che afferra al petto, non il posto accanto, vuoto
il vuoto, sussurrato nella corsa del corteo pasquale di famiglia, che ha i suoi Decreti solenni, le sue Astuzie
IV.
come la storia: dobbiamo ricominciare tutto daccapo! il ritroso, il secco, lo sconcerto dei fiori
raccolto con stizza da chi si accorge che non si tratta di una tabacchiera, torna
indietro per cercare di smettere il calcolare, ma in un tempo incalcolabile
V.
…un tipico esempio della barbarie balcanica (…) ma in città non c’è alcun segno di lutto:
un tipico esempio della barbarie viennese, o più che altro europea, ovunque
ci sia musica, nessuno piange a ritroso per più di un quarto d’ora, da sempre
VI.
come sempre vivere attentamente in perenne mobilitazione, anzi
pensare finalmente a un’eredità biologica senz’altro fondamento,
dove un riformato non riformi mai davvero il mondo, ma solo sempre lo finisca
* * *
III. Liquefazione – Sestina Bizantina
…essere in sé quello che si è costruito, e allo stesso tempo
galleggiare in superficie. buio come un pugno, dai piccoli padri
presenti, sempre presente il carro del vincitore, la discesa
strategica con le armi degli altri, tutte o poco
per volta, l’invisibile forma un monolite stridente
con la sconfitta, e la rigetta diritta a Ovest come
occasione per rispedire indietro le insegne del principio
“Orienta la spada sul seme della vicina distruzione”
: detronizzato il diminutivo, e prima destabilizzano
ancora il vuoto infiltrando l’ignoto, e altro, e in alto
si perda il gioco universale di unire ciò che l’uomo ha diviso
smembrando piuttosto il mondo che il suo potere
* * *
IV. Stenditi a terra – Sestina di Crimea
tutto ciò che si sapeva
rimarrà come eredità
…come spesso gli uomini singolarmente intelligenti, aveva un numero limitato di idee,
un numero limitato di supposizioni, per ogni singolo soldato steso a terra:
rifare il campo di battaglia, se non si può proprio tutta la guerra, girare
al largo da queste vere carogne repellenti, ricreare da vicino se non il morbo
del vero, il vaccino del veritiero: fare la carogna per intero, in sostanza,
dare la notizia non della mattanza, ma della “bellavista”:
vedi che il braccio non sia fuori retta con la testa rotta, assesta
il colpo definitivo al cavallo centrale, centra la vera carne
malata, prima che infetta: una degenerazione veramente battagliera
di una schiera di inermi frantumati, a sfondo perduto, una quinta di fondamento
per una storia fotografica del genere umano davvero alla mano:
quella che raccolto ora, sanguigna, dal bordo della scena
[Su come nell’Ottocento si ricreavano a posteriori i campi di battaglia per fotografarli]
* * *
V. Emblema I – Ex bello pax, ex pace ubertas
…quel che ancora non si sa è che, e si conquistasse quel posto, il sole tramonterebbe:
nel mezzo troneggia un sasso, sovrastato da una spada capovolta riversa contro il cielo
piovuto a rovescio, olio nero in pace sui tanti-troppi-frutti:
come fondamento una pietra, come pietra un altare, patria
di pelle, come pelle un serpente torto nell’arma,
il frutto è per spirare in pace, ci sono già i fiori, sparati su
* * *
VI. Emblema II – Nescius unde
…mi dicevo che in fondo esiste un modo oggettivo di osservare, di cui ero esperto:
guardare fuori, fuori dall’ottica assoluta dell’ombra della cosa, se vedere significa
bifronteggiare al lume di candela in pieno giorno un panorama apparente:
il fumo torto evolve in nube spessa o altro, ma intanto ci si ferma alla latta
del contenitore, al suo specchiato-speculare-vivere, vero
o presunto che sia – brucia comunque la carne, le cose
* * *
VII. Sestina come canto funebre ai logoteti Andrea ed Emilio tra Ossari e Dichiarazioni, detta Sestina Funebre
su queste rovine non ho fondato che rovine
(T.S.Eliot)
I.
all’ossessione, si aggiunge la certezza, l’esattezza: aperti
gli occhi, ha visto il nulla. e tu, piccola Cleveland, città sepolta,
sarai chiamata beata tra le genti, perché hai aperto gli occhi
sul sotterrato: sottoterra, vedrai, nulla cambia,
o soldato: timbra il biglietto, non occorre
rispetto, per questa rovina
II.
che cammina in ogni direzione, quest’ombra da dentro attende
la sua prevista canzone, nel circo di sangui, ma non ricorda il passo:
il motivo scritto in un crepuscolo di sasso solo previsto, prima incenerito
del dovuto, annulla l’attesa, se finisce l’azione: sparisce il ricordo
con tutta la canzone
(…..senza assoluzione)
III.
cade con una fretta irragionevole, anche lei da cavallo
e non vede nulla, o vede proprio il nulla
all’incontrario di chi si chiama vincitore, sottoscritto
fermo sull’attenti che nella guardia si avvicenda,
trascinando rime, maiali, in miglia tutte le possibili
canzoni, colonne sonore di frantumati commilitoni
IV.
che sono in pieno fermento, ribollimento, ammutolito
in un rettangolo sollevato da terra: aperti
gli occhi, vede la guerra delle ossa in sfacelo, del
fiume tagliato a pezzettini con tanto zelo: zero vita. in cambio
di una partita col morto, fui poeta, pigro di patria o
di pietra, sostanzialmente a torto
V.
sentivo da bambino, quand’ero bambino, o soldatino-pennino,
visto disteso nel catino, lucidato, fucilato, quasi
imbalsamato: quando morto, morto. lucidato.
o l’unghia conficcata nell’impronta-urna s’avventa
sbagliata nel momento, o le cose non viste alla luce
nera del buco non sono, o il tumulo tiene, tormento, cenere (?)
VI.
prossima alla terra: guerra, carcassa del pensiero. si brucino
i corpi ma non le carte, ‘che al ritorno ritroverà
il posto, posto tra lo sterno e il cervello, povera pieve
del non-pensiero, mai putredine all’apparir del vero
campo, e santo, santi voi, enigmi incistati
nella vostra lingua morta,
[mai più mia
[2012-2014]
[Le immagini incluse nella prima sezione sono di Orlando Myxx]
* * *
Nota dell’autore
Ho letto questi sette testi di recente, in occasione della 7a edizione di RicercaBo a San Lazzaro di Savena. Non tutti sono inediti, anche se inedita è la loro strutturazione in un textus preciso, che avrà il titolo complessivo di Eredità ed estinzione, e che ormai da mesi sta prendendo la forma del libro: la prima sestina, Tecniche di sopravvivenza per l’Occidente che affonda, pubblicata inizialmente nella rivista “Semicerchio” XLVIII-XLIX (2013/1-2) nella sezione antologica ‘Poesia del lavoro’, è stata poi ripubblicata in rete nel blog di “Nuovi argomenti” (8/8/2014) con le immagini fotografiche di Orlando Myxx, formando da allora un tutt’uno con esse; la poesia finale, Sestina funebre, scritta in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita di Emilio Villa, è presente nel volume collettivo Parabol(ich)e dell’ultimo giorno, per Emilio Villa, a cura di Enzo Campi. Devo a Niva Lorenzini una suggestione notevole emersa a RicercaBO, suggestione che divideva in due blocchi precisi le sette poesie: mentre nel primo testo la dimensione umana sembra assente, o presente solo nella sua forma fantasmagorica, nei successivi sei appare in tutta la sua consistenza il male, nella sua dimensione pancronica. Da tempo lavoro sempre più da vicino attorno all’idea di potere e di storia; il fatto che vi sia un preciso richiamo alla Prima guerra mondiale non è casuale, al di là del fatto contingente del Centenario del suo inizio ricorrente quest’anno: sono nata e cresciuta all’ombra dell’Ossario monumentale del Monte Grappa, e dunque necessariamente sono stata spinta a cercare un punto di incontro, allegorico, tra la mia storia e la Storia – con la felice presunzione di trovare nella Storia una perfetta allegoria della mia storia personale. Perché, d’altro canto, io non posso essere che io, per quanto sia increscioso e limitante. Questo fatto fa sì che le voci che attraversano i testi, riportate in corsivo anche se non sono citazioni, non siano coincidenti con la mia voce: sono le voci che da qualche parte non hanno mai cessato di risuonare, come lo sparo di Sarajevo: parlano, ora come allora, Princip, il Kajser Guglielmo II, l’Arciduca Francesco Ferdinando, i diplomatici, gli ambasciatori, i giornali, ma anche il Morselli di Contro-passato prossimo. Gli emblemi sono, allo stesso modo, altre voci: le immagini sono voci. Questa furia del sempre-presente, qualcosa che Zanzotto aveva già notato riferendosi al mio Datità (2001), non poteva che chiudersi in una corsa rapsodica (una sorta di Liszt che trascini con se tutta la scena mentre suona): la Sestina funebre mescola, direi impasta, ma anche frantuma definitivamente, lacerti delle poesie di Villa, Zanzotto e mie, sul terreno di San Paolo, Sant’Agostino, Foscolo e Leopardi – e ne prende congedo. Molti padri sono morti, tra cui il mio. Un secolo fa.
Giovanna Frene
*
(Giovanna Frene, asolana di nascita, vive tra Padova e Crespano del Grappa (TV). Il suo libro di poesia più recente è Il noto, il nuovo (Transeuropa 2011). Ha pubblicato in molte riviste ed è inclusa in varie antologie poetiche, tra cui: Nuovi Poeti italiani 6, a cura di G. Rosadini, Einaudi 2012; Poeti degli Anni Zero, a cura di V. Ostuni, Ponte Sisto 2011; New Italian Writing, a cura di J. Calahan e R. Palumbo Mosca, “Chicago Review”, 56:1, Spring 2011; Parola Plurale, Sossella Editore 2005. Ha collaborato al progetto “Calamita/à”: http://calamitaproject.com/en/ . È studiosa di Zanzotto e di altri poeti contemporanei, e come storica della lingua ha pubblicato in varie riviste accademiche. Appassionata dell’immagine, collabora sempre più di frequente con il fotografo Orlando Myxx, con il quale sta portando avanti il progetto poetico-fotografico Maschilità XX, pubblicato per la prima volta nel Blog di “Nuovi Argomenti”, agosto 2013.)
I commenti a questo post sono chiusi
Davvero dense ed attraenti queste sestine fondate sulla dualità non degli opposti, bensì del raddoppiamento che rende incerto ogni affidamento ad una coordinata inestirpabile. Il sopra e il sotto, il prima e il dopo, il fatto ed il da fare sono riflessi della stessa lanterna che sprigiona significati sulla storia e sul futuro, facce dal medesimo peso di un presente simbolicamente appiattito, aggrappato ad “una quinta di fondamento” su cui scorre il calembour della poesia, fabbricata con continui giochi di suoni a tramare “tutte le possibili/canzoni, colonne sonore di frantumati commilitoni”. Dalle canzoni perdute dobbiamo riprendere il discorso polistrumentale della conoscenza di noi, attraverso noi, noi tutti.
mdp
Belle davvero. E sono contento di leggerle su NI.
parafrasandoti:
non piove, ma non è così male.
mi sono piaciute
in realtà: piove sempre, e va molto male
(grazie a voi)
(ovviamente: il ringraziamento era per i commenti :)