Idioletto (seconda parte)

Biagio Cepollaro, L'inizio, 2008

di Biagio Cepollaro

[Pubblico qui la seconda parte di Idioletto. La prima parte si legge qui. Si tratta di una delle voci del dizionario della contemporaneità che circa venti anni fa Lucio Saviani aveva raccolto in un volume dal titolo Segnalibro (Liguori Editore, 1995). La contemporaneità di venti anni fa lasciava certamente presagire in parte quella attuale che ha caratteristiche ancora diverse. Per me si trattava di approfondire alcune considerazioni di poetica, legate alla scrittura di due libri di poesia, Scribeide  e Luna persciente, all’ interno di una visione più generale del rapporto tra linguaggi e mondo, delineando appunto una sorta di ‘condizione idiolettale’.]

 Idioletto e paesaggio

L’idioletto si accampa oggi tra scrittura e paesaggio, gioca la sua carta antropologica, la sua massima ambizione. Da un lato la poesia sembra riprendere le strade del simbolo, richiamare a sé vecchie prerogative, prestarsi al gioco dell’evasione e della nobilitazione (14), dall’altro la sua confidenza con il linguaggio le chiede una parola che possa un po’, solo un po’, illuminare ciò che fuori del linguaggio preme. Il testo idiolettico potrebbe produrre un paesaggio in cui la pressione e l’osmosi tra le radici e i flussi etnici si mescolano alle tecnologie dell’informazione e producono sedimentazioni. Lo spessore sociolinguistico di queste sedimentazioni potrebbe permettere al testo poetico di uscire dalla separatezza tradizionale per calamitare in quelle sedimentazioni nuove costellazioni di senso. Dialetti privi di identità, metamorfosanti, attraversanti «tubi catodici delle emittenti private», costretti a contaminarsi con sintassi assolutamente impreviste e soggetti ad estranee regole del gioco: il fenomeno della “oralità secondaria” (15) scompagina il vecchio tessuto della scrittura e le relative implicazioni individualizzanti.

Il materiale di partenza per la sintesi idiolettale è costituito da questo fermento che ribolle sulla “base” di una Kora pubblicitaria. La sintesi idiolettale, sganciata dalla ripetizione della tradizione simbolista, dall’illusione, anche, di una mimesi a cui non corrisponde più la situazione mediale, emergerebbe dalla concretezza delle tensioni e dei conflitti delle realtà linguistiche, nella fruizione incessante e nell’agire di parlanti e scriventi in carne ed ossa. La concretezza del nuovo idioletto può implicare a monte della sua costituzione, la virtualità della società “mediatica”, con le relative trasformazioni delle percezioni dello spazio e del tempo. Dall’idioletto “corporale” delle ricerche ultralettriste all’idioletto che si propone come una «metamorfosi del realismo» (16): in mezzo trent’anni di trasformazioni tecnologiche che hanno interessato i modi della comunicazione e quindi le forme, le relazioni, le modalità della produzione del senso. L’attuale «generazione di realtà» (17) ha assunto caratteristiche simili a ciò che restava come sfondo utopico nell’immaginario delle avanguardie storiche. La parola poetica, anche la più rischiosa, sembra spiazzata dalla “velocità” e dalla “simultaneità” delle percezioni ordinarie. La compressione sintattica del videoclip ha spinto verso una generalizzata ellissi la molteplicità dei discorsi possibili, la sensibilità ai ritmi di montaggio si è acuita rispetto a quella propriamente “narrativa”. Il montaggio risulta il vero protagonista: la normalizzazione dei processi di “spiazzamento” estetico ha costruito una nuova base del convenzionale, una nuova percezione dell’ovvio. Narrazione e montaggio si alleano sempre più profondamente: la parola poetica trova ulteriori motivi per incontrarsi col tema della narrazione. La traumatizzante “passeggiata” del Baudelaire benjaminiano nelle strade della Parigi del XIX secolo, origine dello choc della  modernità, l’esperienza dell’artificiale, fanno parte della nostra seconda natura: quel trauma è scomparso per dar vita ad un secondo choc, legato, questa volta, all’estetizzazione diffusa dei linguaggi e dei consumi, alla seconda perdita dell’aura dell’opera d’arte, dopo il trauma della Pop Art. L’ambigua consapevolezza di Warhol è ancora legata alla dinamica dello choc, sullo sfondo, in negativo, può ancora leggersi l’idea dell’uomo integrale (18), la stessa idea che, in positivo, suggeriva McLuhan a difesa del “torpore” indotto dai mass media e dall’utilizzo “commerciale” di essi. Quell’idea, l’estinzione di quell’idea, costituisce il vero discrimine tra una concezione idiolettale (e una situazione idiolettale) da una parte, e le ultime avanguardie, dall’altra. Dopo il crollo della torre di Babele, dopo lo choc della seconda modernità, la fusione dei materiali originari danno vita a luoghi senza origine, a tratti in cui lo sfondo non ha più senso ma solo le relazioni degli elementi in gioco, nel mutare incessante delle regole del gioco (19). Memoria di linguaggi, comunque, che vanno stratificandosi e riattivandosi, memoria di conflitti, anche, che la provvisorietà linguistica fa tornare a galla come ritorno inopportuno e imprevisto. L’idiolettico fa sua la suggestione della nuova epistemologia biologica che pone al centro del suo sospetto la categoria di «individuo». La definizione di cellula, di relazione cellulare, la difficoltà di stabilire un livello di pertinenza per l’individuo nell’esplosione delle gerarchie tradizionali dell’organismo, rimbalzano sul senso da conferire all’idioletto (20). All’irrisione gaddiana per la “monolingua” e alla tensione che si stabilisce sul piano retorico-stilistico tra pastiche e idioletto, fa riscontro il concetto di «sé virtuale» di Varela: «fondato su un’identità che si specifica come un bricolage» (21). Risvolto cognitivo dell’idioletto ma anche confusione tra natura e paesaggio.

Idioletto e Dialetto

Su di un altro versante, quello dei dialetti, il venir meno delle comunità di parlanti dialettofoni, la loro progressiva diminuzione, le trasformazioni indotte dalle varietà regionali di italiano, spiazzano radicalmente il poeta dialettale che diventa “neodialettale” (22). Per ironia della sorte, la trappola più forte del naturalismo, si trasforma in laboratorio vivente: nel tramonto di ogni mitico rapporto col “popolare”, il poeta “neodialettale” forgia il suo dialetto come pura virtualità, come idioletto. Il localismo, proprio a tanta letteratura dialettale del passato, si rovescia in un’espressione che rimette in questione il rapporto tra il centro (della lingua) e la periferia. L’incontro tra la poesia di ricerca in lingua e la poesia neodialettale, lo scambio talvolta di alcune significative esperienze, sembrano accerchiare e risolvere le tradizionali antinomie. È l’idioletto che macina, tra l’altro, il dialettale nella sua sonorizzazione televisiva. Tale fagocitazione restituisce il dialettale in condizioni irriconoscibili; a sintesi avvenuta, resterà solo una persistente eco dello spessore diacronico convocato. Il campo della lingua esteticamente utilizzabile si allarga, in una mutata situazione sociolinguistica, fino a contenere le tracce di un’esperienza del quotidiano che sedimenta nuove condizioni massmediali.

 Idioletto: sintesi di parlata e scrittura

L’idioletto tende alla sintesi tra parlata e scrittura: il testo non sembra più appartenere, sin dall’inizio, all’universo analitico- tipografico della scrittura, ma al contrario, sembra disporsi alla complicità con l’esecuzione orale. Tale “oralità secondaria” è pregna, però, di analiticità: l’idioletto sviluppa l’ossimoro della condizione in cui versa l’insieme della scrittura, da un lato minacciata dall’universo telematico, dall’altro esaltata dalle retroazioni che i nuovi media producono sui media precedenti. La scrittura, con tutto il suo spessore diacronico, tende  a mobilitarsi, ad alleggerirsi al ritmo delle compresenze: la storia, sottratta all’archivio informatico, ritorna nelle incessanti e imprevedibili mescolanze della parlata. Non più la “voce” del poeta, ma la sua “parlata”: estinzione del mito dello Stile insieme all’analiticità gutenberghiana. La parlata, ricca di tutta la densità e la lentezza della scrittura, va a situarsi in un territorio che un tempo era riservato all’improvvisazione e al mutare del pubblico e delle strade. La parlata, come memoria del detrito metropolitano, è tanto “locale” quanto globale: i riferimenti e le allusioni, le matrici e le tracce delle esperienze, sembrano giungere da ogni parte dello spazio culturale. Se lo sviluppo di ciò che si è soliti definire “poesia sonora” prevedeva ancora il predominio del mondo della scrittura e contro quel mondo concentrava tutti i suoi strali nell’apoteosi del significante, nell’indebolirsi di tale predominio, la parlata può anche coinvolgere la scrittura e le sue caratteristiche analitico- individualizzanti: un testo poetico può così essere letto ed ascoltato, senza l’imbarazzo di trovarsi a cavallo tra due epoche tecnologiche, tra due modalità di fruizione e di percezione estetica. Nel silenzio della lettura mentale, vi è anche il clamore polifonico della nuova “oralità secondaria”. Dialogismo e conflittualità delle lingue completeranno il quadro dell’idioletto come luogo di crisi della intensificata “partecipatività” della telematica. Le perplessità che sembrano rendere difficile una definizione dell’idioletto in ambito retorico-stilistico, possono essere fugate, forse, se all’idioletto si associa, non l’idea tendenzialmente solipsistica del “proprio”, quanto piuttosto quella, oggi sempre più manifesta, di una condizione di compresenza che mescola intimamente i tratti un tempo riferibili con sicurezza a codici di provenienza. L’idioletto si sposta dal fantasma dell’incomunicabilità egoica all’idea di privilegiato sensorio delle trasformazioni collettive: una sorta di princicipio “ologrammatico” (23) ne forma la costituzione, muove il tutto a comunicare con la parte, a farsi contenere. Il dentro e il fuori della letteratura, un racconto di sé che è racconto del mondo.

Note

(14) Sulla funzione sostanzialmente evasiva di molta poesia tra il 1975 e il 1985, riflette Luperini, parlando di «rimpianto nostalgico del passato e il tentativo di una sua restaurazione». Romano Luperini, Una nuova razionalità?, op. cit, p. 30.

(15) Cfr. Walter J. Ong, Interfacce della parola, tr. it. di Gino Scatasta, Bologna, 1989.

(16) Cfr. Biagio Cepollaro, ‘La stagnazione del Poetico e metamorfosi del realismo’, in Le voci della poesia, Quaderni di cultura letteraria, n.1, luglio 1992

(17) Paul Virilio, in Appuntamenti con la filosofia, Milano, 1989, pag.148.

(18) Su tale questione rimando a Biagio Cepollaro, Arte inconciliata e contaminazione, in Invarianti, autunno-inverno, 1989-90, anno III, n.11.

(19) Ibid.

(20) E’ un caso di possibile prossimità tra ricerche in campi anche molto distanti, quasi sintomo ulteriore della crisi dei vecchi paradigmi.

(21) ‘Implicazioni epistemologiche della distinzione vita/non vita’, intervista a Francisco Varela a cura di Marco Castrignano, in Methodologia, n.11, 1992, pag.59.

(22) E’ l’impostazione adottata, nella definizione di poeti neodialettali, anche se non vi è molto sviluppata l’implicazione idiolettale, per la specificità della materia, da Franco Brevini in Le parole perdute, Torino, 1990. In tale lavoro non poteva ancora essere considerata, per motivi cronologici innanzitutto, la parziale e singolare convergenza tra la poesia di ricerca e poesia ‘neodialettale’, come in parte è emerso nel corso della X edizione di Milanopoesia (1992) nella serata intitolata significativamente Dialetto/Idioletto. Cfr. Catalogo, Milanopoesia, X Ed., Milano,1992, pp.32-41.

(23) Cfr. Edgar Morin, «Le vie della complessità» in La sfida della complessità, Milano, 1991, p. 52. Vi si legge: «[…] ognuna delle nostre cellule, anche la cellula più modesta come può essere una cellula dell’epidermide, contiene l’informazione genetica di tutto il nostro essere nel suo insieme». Tale prospettiva può in qualche modo scavalcare la dicotomia tra olismo e riduzionismo, con implicazioni importanti relative alla compatibilità degli stili conoscitivi propri alle scienze e alla letteratura.

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2 Commenti

  1. mi viene in mente il comisso di zanzotto, così come lo trovai in ‘fantasie di avvicinamento’ (a proposito di dialetto e idioletto)

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Biagio Cepollaro, nato a Napoli nel 1959, vive a Milano. Esordisce come poeta nel 1984 con Le parole di Eliodora (Forum/Quinta generazione), nel 1993 pubblica Scribeide (Piero Manni ed.) con prefazione di Romano Luperini e Luna persciente (Carlo Mancosu ed.) con prefazione di Guido Guglielmi. Sono gli anni della poetica idiolettale e plurilinguista, del Gruppo 93 e della rivista Baldus . Con Fabrica (Zona ed., 2002), Versi nuovi (Oedipus ed., 2004) e Lavoro da fare (e-book del 2006) la lingua poetica diventa sempre più essenziale aprendosi a una dimensione meditativa della poesia. Questa seconda fase del suo percorso è caratterizzata da pionieristiche attività editoriali in rete che danno vita alle edizioni on line di ristampe di autori come Niccolai, Di Ruscio e di inediti di Amelia Rosselli, a cui si aggiungono le riviste-blog, come Poesia da fare (dal 2003) e Per una Critica futura (2007-2010). Nello stesso periodo si dedica intensamente alla pittura (La materia delle parole, a cura di Elisabetta Longari, Galleria Ostrakon, Milano, 2011), pubblicando libri che raccolgono versi e immagini, come Da strato a strato, prefato da Giovanni Anceschi, La Camera Verde, 2009. Il primo libro di una nuova trilogia poetica, Le qualità, esce presso La Camera Verde nel 2012. E' in corso di pubblicazione il secondo libro, La curva del giorno, presso L'arcolaio editrice. Sito-archivio: www.cepollaro.it Blog dedicato alla poesia dal 2003: www.poesiadafare.wordpress.com Blog dedicato all’arte: http://cepollaroarte.wordpress.com/
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