Gli anniversari pericolosi
di Giorgio Mascitelli
Il centesimo anniversario dello scoppio della prima guerra mondiale ha portato sui media la consueta scia di iniziative divulgative, memoriali e perfino turistiche, ma non ha dato luogo a nessun grande evento di marketing politico sul modello di altri anniversari come per esempio quelli relativi alla seconda guerra mondiale. Questa maggiore sobrietà mediatica, peraltro vantaggiosa per il pubblico perché ha consentito la realizzazione di prodotti più corretti storicamente e magari non privi di una prospettiva problematizzante, è probabilmente spiegabile con la distanza temporale e anche culturale di quei fatti dal nostro ( eterno) presente. C’è anche da dire che la location quasi obbligata per una celebrazione di quel genere, ossia Sarajevo, presenta troppi ricordi di guerre e devastazioni più recenti, se non nella sua struttura urbana almeno nella memoria collettiva, per poter subire quella sorta di disneylandizzazione simbolica che è necessaria per ospitare i grandi eventi contemporanei ( manifestazioni sportive, concerti rock benefici, firme di trattati e vertici internazionali).
Non è poi così strano che la prima guerra mondiale non dica molto alle attuali classi dirigenti europee e occidentali: la situazione rispetto a un secolo fa è mutata profondamente. L’Europa non è più il centro del mondo, la situazione internazionale è fluida e non caratterizzata dal confronto tra due coalizioni di stati più o meno paritetiche, nella stessa Europa ormai incapace di esprimere potenze mondiali c’è un’unica potenza regionale e comunque i grandi conflitti non avvengono più sul piano militare, ma su quello economico. Le guerre effettive sono ormai asimmetriche e locali e di solito non vengono chiamate guerre, ma operazioni umanitarie o di polizia internazionale.
Certo a ben guardare qualche tratto simile c’è: per esempio in molti stati come la Russia e le altre nazioni dell’Europa centrorientale vi è una rinascita del nazionalismo nelle sue forme storicamente più tipiche. Accanto a queste forme piuttosto classiche anche nei paesi più liberali si è sviluppato un’ideologia aggressiva di esportazione della democrazia e dei diritti umani, una variante del messianismo politico secondo Tzvetan Todorov, che svolge una funzione politicamente e culturalmente simile a quella che ha il nazionalismo più tradizionale nei paesi dell’ex blocco sovietico e che aveva in tutti i paesi europei nel 1914.
E’, tuttavia, nella pervicacia delle classi dirigenti di perseguire i propri obiettivi senza tenere in alcun conto le sofferenze della popolazione che si può trovare la somiglianza più preoccupante tra oggi e cento anni fa. Scriveva Keynes a commento dell’atteggiamento dei capi di governo dei quattro paesi vincitori della prima guerra mondiale in occasione del trattato di Versailles “E’ un fatto straordinario che il problema fondamentale di un’Europa affamata e disintegrantesi davanti ai loro stessi occhi fu la sola questione alla quale non fu possibile interessare i Quattro”. Pur senza richiamare situazioni così drammatiche, queste parole sembrano adattarsi perfettamente all’atteggiamento dei protagonisti delle varie trattative e dei vari vertici internazionali che dovrebbero rilanciare l’economia o salvare la pace.
Infondo è comprensibile che i protagonisti del nostro tempo abbiano una qualche remora a realizzare delle celebrazioni in pompa magna delle prima guerra mondiale: non sembra infatti che abbiano tratto molti insegnamenti da quella vicenda. Così il centenario scorrerà senza commoventi cerimonie con i fiori, i vip e le polemiche dei leghisti e dei cinque stelle su quanto è costato il viaggio ufficiale del governo al contribuente, ma non tutto è perduto: se il 2014 non può essere usato, io non mi farei scappare il 2018.
Che so, potrebbe essere molto suggestivo firmare un bel trattato di liberalizzazione integrale di tutti i servizi pubblici in un vagone ferroviario dalle parti di Compiégne, magari l’11 di novembre.
Il Requiem di Verdi diretto ieri sera da Muti presso il sacrario di Redipuglia (e trasmesso in diretta da RAI 3) riassume musicalmente l’articolo di Mascitelli. Peccato che, soprattutto per ignoranza storica, pochi li capiranno.
Forse la memoria storica della prima guerra mondiale – percepita come una guerra stupida – è offuscata dalla seconda, una guerra senza dubbio necessaria. La prima ha contorni non ben definiti, come tutte le guerre dell’800, e cioè monarchie, nobiltà, cavalleria, territori eccetera; nella seconda risulta molto più chiaro a tutti chi fossero i Buoni e chi i Cattivi. Il 28 giugno è però una data importante – non a caso secondo Hobsbawm coincide con l’inizio del Secolo breve (1914-1991) – e probabilmente il vero motivo per cui nessuno la ricorda è che la maggior parte delle generazioni della fine del 900 è cresciuta in una sorta di presente permanente, privo di ogni rapporto organico con il passato storico.