Articolo precedente
Articolo successivo

Tutta colpa di Tarzan

CIMG5367
Villaggio in Somaliland. Non c’è elettricità, ma ci si ricarica il cellulare con il pannello fotovoltaico.

di Gianni Biondillo

Le rare notizie che giungono da Bangui, la capitale della Repubblica Centrafricana, sembrano confermare un pregiudizio inossidabile: la violenza per le strade, gli omicidi sommari, la guerra fra etnie… insomma, la pacificante certezza di un’Africa immobile, identica a se stessa, irredimibile.

È incredibile quanto un personaggio letterario possa aver influenzato la nostra visione di un continente così complesso. A noi è Tarzan che ci ha fregati. L’Africa è, ancora oggi – per un popolo colpevolmente distratto quale quello italiano, così ignorante di politica estera, con un giornalismo claustrofobico tutto chiuso nel gossip politico nazionale – è, dicevo, il continente selvaggio, quello dei leoni, le zebre, le liane. E dei selvaggi. Che magari devono essere aiutati e/o educati, grazie al nostro spirito umanitario e (post) colonialista. Ma sempre di selvaggi si tratta. Gente che vive nella preistoria, che se vede volare un aereo in cielo lo chiama “uccello di fuoco”. Quindi, in fondo, perché interessarci di loro, cosa può importarci per davvero, con tutti i problemi che abbiamo a casa nostra? Dell’Africa conosciamo, dai telegiornali, solo gli sbarchi sulle coste di Lampedusa. Qualche anima bella piange i morti, qualcun altro, nel nome della difesa del sacro suolo, erigerebbe un muro per tenerli fuori dal nostro giardino dorato. Non molto di più. Come al solito la reazione di fronte a ciò che non conosciamo fa scaturire, freudianamente, il sommerso: meno sappiamo di una realtà e più, nel nostro agire, evidenziamo i nostri pregiudizi e le nostre debolezze.

L’Africa è un continente smisurato, pieno di contraddizioni, un crogiuolo di etnie, religioni, lingue, usi, costumi, immaginarlo come uno scenario immobile racconta il nostro immobilismo, non il loro. Basterebbero i dati bruti, quelli dell’economia per capirlo. Quest’anno il PIL africano crescerà mediamente del 5,4%. Nell’Eurozona se ci va bene, dopo 5 anni di recessione, saremo all’1,2%. In Italia non ci schioderemo dallo zero virgola qualcosa. In Etiopia viaggiano attorno al 7,5%, il Sud Africa è ormai una potenza economica internazionale, la Nigeria lo sta diventando. Non ostante la crisi economica globale, il Wall Street Journal scrive che nel 2014 gli investimenti stranieri in Africa raggiungeranno la quota record di ottanta miliardi di dollari. Investimenti che giungono dalle economie sviluppate che decidono di lasciarsi alle spalle la recessione investendo in quel continente. Cina, Usa, Germania, Turchia. Inutile cercare l’Italia fra gli investitori.

Per noi l’Africa è il paese del babau. Lo spauracchio da sventolare nell’ennesima, stagionale, campagna elettorale. La politica della paura ci ha bloccati da oltre vent’anni, dimostrando d’essere un paese incapace di un pensiero agile e  innovativo. Vogliamo restare saldi nelle nostre sicurezze calcificate: loro sono selvaggi, noi, nelle migliori delle ipotesi, “brava gente” che s’è stufata d’essere ospitale. Anche se poi noi storicamente in Africa “bravi” lo siamo stati davvero poco, basti a pensare alle violenze perpetrate durante il ventennio contro le popolazioni civili della quarta sponda – donne, vecchi, bambini – e “ospitali”, oggi, meno che meno, si guardino le condizioni subumane dei profughi che diciamo d’accogliere, o della forza lavoro che usiamo come schiavi nei nostri campi.

Pubblicità di rivista femminile a Kampala.
Pubblicità di rivista femminile a Kampala.

Ci crediamo intelligenti, civili, “superiori”, e ci dimostriamo in realtà poco furbi. Già parlare d’Africa è una generalizzazione (è un continente lungo come dal Portogallo alla Cina, per capirci), ma tant’è, cerchiamo di arrivare al nocciolo: l’Africa non si trova su un altro pianeta. È qui, a pochi passi da noi. Ci bagna lo stesso mare. Anche a non voler toccare i soliti argomenti umanitari che solleticano la nostra pelosa coscienza, non capire che questa distanza geografica potrebbe essere un’occasione di sviluppo reciproco è più che miope, è folle. L’età media del nostro paese è di 46 anni, quella dell’Egitto, per fare un esempio, è di 26. Il 70% della popolazione africana ha meno di 15 anni. Non sono loro ad avere bisogno di noi. Siamo noi che non potremo avere un futuro senza di loro. Insomma, un’Africa più ricca farebbe più ricchi anche noi.

Il prossimo anno, all’Expo di Milano, per la prima volta nella storia delle Esposizioni Universali, saranno presenti più di 40 paesi africani. Mi sembra un chiaro indicatore di come e quanto il continente si stia muovendo. Saranno da noi, si metteranno in mostra, portando le loro storie, i loro scienziati, le loro invenzioni, i loro artisti. Vorranno fare affari. Saremo abbastanza furbi da capirlo, o colmi d’alterigia e senso di superiorità,  come vecchi nobili decaduti, lasceremo ad altri paesi, molto più dinamici e umili di noi, di creare quei ponti, quei collegamenti, da pari a pari, che noi non abbiamo mai saputo costruire?

(pubblicato su L’Ordine del 22 giugno 2014)

Print Friendly, PDF & Email

3 Commenti

  1. Standing on the beach with a gun in my hand
    Staring at the sea, staring at the sand
    Staring down the barrel at the Arab on the ground

    See his open mouth

    but I hear no sound

    I’m alive
    I’m dead
    I’m the stranger

    Killing an Arab

    I can turn and walk away or I can fire the gun
    Staring at the sky, staring at the sun
    Whichever I choose it amounts to the same

    Absolutely nothing

    I’m alive
    I’m dead
    I’m the stranger

    Killing an Arab

    I feel the silver jump smooth in my hand
    Staring at the sea, staring at the sand

    Staring at myself
    Reflected in the eyes of the dead man on the beach
    (The dead man on the beach)

    I’m alive
    I’m dead
    I’m the stranger

    Killing an Arab

    The Cure – Killing An Arab, Lyrics

  2. Caro Biondillo,
    la leggo, ormai da diversi anni,con forte interesse e piacere, condividendo molto di quanto lei scrive.
    In riferimento a quanto scritto sopra ” un popolo colpevolmente distratto quale quello italiano, così ignorante di politica estera, con un giornalismo claustrofobico tutto chiuso nel gossip politico nazionale”, non posso far altro che condividerla, aggiungendo pero’ che esistono anche realta’ (certo minoritarie), come quelle di gruppi missionari e di mondialita’, che dimostrano, nei fatti e sotto il profilo culturale e dell’informazione, di avere orizzonti piu’ ampi ( e ci mancherebbe direte!)
    Le riporto un’ estratto di “appunto di missione” dall’Etiopia, scritto dal sottoscritto recentemente:
    ” Nella capitale etiope, dopo quel viaggio, dopo quelle conversazioni e conoscenze occasionali, vi ero arrivato un po’ piu’ arricchito, con un forte desiderio di visitare l’Eritrea (desiderio, per il momento, non ancora appagato, anche perche’, con i visti etiopi che ho timbrati sul passaporto, e’ praticamente impossibile entrare in Eritrea, vista la guerra continua, seppur ufficialmente conclusa, tra i due Paesi gemelli), e con un’immagine dell’Italia e degli italiani un po’ diversa da quella a cui ci si abitua, se non si viaggia, specie in certi luoghi: l’immagine di un Paese vivo e dinamico, che cerca ancora, con gran fatica visti i nuovi equilibri mondiali, di dire la sua.
    Mi ritornava l’immagine, forse un po’ asimmetrica, di un Paese fatto di donne e di uomini- ognuno con il proprio ruolo e nei propri ambiti (a volte tanto diversi da apparire quasi contrapposti)- impegnati in prima linea nel Mondo: missionari, cooperanti, funzionari governativi o di organizzazioni non governative, militari.
    Un viaggio fortunato, come peraltro, gia’ mi era accaduto sulla rotta Milano-Roma- Addis Abeba.
    Assai meno “fortunato”, sarebbe stato il viaggio di ritorno, costretto a cedere- per evitare discussioni, nonostante il mio biglietto indicasse quel posto- il sedile accanto al finestrino, ad una donna di mezz’eta’ , ingioiellata pacchianamente, “preoccupata” che la sua abbronzatura, dopo un mese in un resort a Malindi, potesse pericolosamente affievolirsi, durante il volo; ma in effetti, quell’aereo, era “zeppo” di “vacanzieri” provenienti da Malindi, compreso un noto personaggio Mediaset delle televendite (forse addiritura il volto piu’ noto tra i televenditori!?)”

  3. […] come Gianni Biondillo con il suo “L’Africa non esiste” (leggete questo suo articolo sulla “nostra” Africa), è già un bellissimo risultato. Vuol dire che il mio libro Il […]

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Il venditore di via Broletto

di Romano A. Fiocchi
Sono trascorsi molti anni ma mi ricorderò sempre di quel giorno gelido di fine gennaio in cui lo incontrai. Lavoravo come fotoreporter da circa tre mesi, mi aveva assunto in prova l’agenzia Immaginazione.

Il cuore del mondo

di Luca Alerci
Vincenzo Consolo lo incontrai, viandante, nei miei paesi sui contrafforti dell’Appennino siciliano. Andava alla ricerca della Sicilia fredda, austera e progressista del Gran Lombardo, sulle tracce di quel mito rivoluzionario del Vittorini di "Conversazione in Sicilia".

Apnea

di Alessandro Gorza
Era stata una giornata particolarmente faticosa, il tribunale di Pavia l’aveva chiamata per una consulenza su un brutto caso. Non aveva più voglia di quegli incontri la dottoressa Statuto, psicologa infantile: la bambina abusata coi suoi giochi, i disegni, gli assistenti sociali e il PM, tutti assieme ad aspettare che lei confermasse quello che già si sapeva.

Spatriati

Gianni Biondillo intervista Mario Desiati
Leggevo "Spatriati" e pensavo al dittico di Boccioni: "Quelli che vanno", "Quelli che restano". Il tuo è un romanzo di stati d'animo?

La fuga di Anna

Gianni Biondillo intervista Mattia Corrente
Mi affascinava la vecchiaia, per antonomasia considerata il tramonto della vita, un tempo governato da reminiscenze, nostalgie e rimorsi. E se invece diventasse un momento di riscatto?

Una vita dolce

Gianni Biondillo intervista Beppe Sebaste
"Rompere il ricatto della trama": credo di non avere mai fatto altro da quando ero un ragazzo. Da una parte perché sono sempre stato dalla parte di chi trasgredisce, e la trama è sempre, anche graficamente, un’uniforme e una messa in ordine, un ordine del discorso.
gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: