La rapina del secolo!!!
A noi è Hollywood che ci frega. Immaginate la scena: una rapina rocambolesca in una highway della California, colpi di kalashnikov, traffico bloccato da camion in fiamme e chiodi sull’asfalto, il flessibile che scardina il portello del portavalori. Dieci milioni di lingotti d’oro trafugati nel volgere di neppure venti minuti. Roba da film, appunto. Subito ti figuri alla testa della banda criminale uno con l’eleganza di George Clooney, come braccio destro uno con l’espressione ribalda di Brad Pitt. Poi trasferisci tutto a Merate e la cosa si sgonfia. Se ci sono di mezzo rapinatori che si chiamano Antonio o Giuseppe, se vengono da Cologno Monzese o Andria si perde istantaneamente la poesia. Altro che action movie, sembra un poliziottesco di bassa lega, non ostante i giornali abbiamo parlato di far west e di “rapina del secolo” (che, detto fra noi, mi pare un po’ azzardata come dichiarazione, dato che il secolo è appena iniziato).
Non vorrei buttarla in burletta, ad aprile dello scorso anno i ladri avevano fatto davvero un lavoro coi controfiocchi: nessun ferito, nessun incidente grave, il piano aveva funzionato alla perfezione. Roba da orologiai. Bravi i poliziotti insomma, che pazienti non hanno mai perduto le tracce. Ma, diciamocelo, dimenticare un foglietto con indicato un numero di cellulare di un complice proprio nel nascondiglio di Origgio (mica Los Angeles!) sembra una burla. Non siamo più in area poliziottesco, caschiamo nel grottesco spinto, nella commedia all’italiana.
O forse no. Forse siamo nel cuore del noir. Che è una condizione narrativa (ed esistenziale) ben differente dal più consolatorio giallo. Il noir ci dice che qualunque piano, anche il più razionale, geniale, cervellotico, ha sempre una falla. Perché il mondo è più grande, la vita più complicata. Perché le persone sbagliano, spesso in modo ridicolo. Avessi lasciato un indizio del genere in un mio romanzo i lettori non me lo avrebbero mai perdonato. Troppo banale. I lettori di gialli sono viziati, non vogliono essere messi di fronte alla vita, ne vogliono una sua rassicurante sublimazione.
Quindi già me li vedo a fantasticare chissà quale arguto nascondiglio per la refurtiva. Gli inquirenti insistono a dire che neppure i ladri sospettavano un bottino così corposo. Non ho modo di saperlo, di certo tutto quell’oro non è facile smerciarlo, occorre una bella rete di ricettatori, anche oltreconfine. Oro, sia detto per inciso, che è la storia della crisi di questi anni. Il giallista ci vede un bottino, il noirista ci vede famiglie indebitate che vendono le catenine della nonna. È questa la differenza.
Dove stanno i lingotti? In qualche cassetta di sicurezza di chissà quale istituto compiacente? Stipati sotto una montagna di sterco di qualche fattoria della zona? Seppelliti nel cimitero di guerra dei caduti inglesi di Milano? In quale loculo? C’è una mappa del tesoro da qualche parte? C’è una nuova appassionante avventura da raccontare?
Probabilmente la maggior parte della refurtiva è già dispersa. E, per quanto altri complici verranno sicuramente catturati, chi sta dietro, ma dietro per davvero, non lo arresteranno mai. Ché, Brad o Antonio che siano, George o Giuseppe, i ladri, tutti i ladri, sono destinati a perdere, nella realtà prima ancora che nei romanzi, perché non hanno capito la regola fondamentale del capitalismo: per fare soldi non bisogna rapinare le banche. Bisogna fondarle.
(pubblicato ieri su La Provincia di Como)
fondare una banca…..bella conclusione