Violenza di genere e genere di violenza: Aldo Masullo
Una società senza senso del limite
di
Aldo Masullo
articolo pubblicato su IL MATTINO – 13 Agosto 2013
Come in un libro di qualche anno fa osservava Massimo Recalcati, rigoroso psicanalista d’ispirazione lacaniana, «la consapevolezza che nessun sapere può rispondere esaustivamente al mistero della vita, e che niente è tutto, proprio questo è ciò che rende possibile la vita» in altri termini, dove manca la consapevolezza che non tutto ciò che vorremmo è possibile, si produce la morte. Suprema intuizione dell’antica sapienza greca fu porre al centro della condotta umana il metron, la «misura», la coscienza del limite e considerare invece come ubris, suprema «violenza», il tentativo di rompere il limite.
La «misura» non è una qualsiasi qualità di cose ma una umana consapevolezza derivante da ragionata esperienza, tanto profonda da trasformarsi in un sentimento spontaneo che segna il carattere stesso degli uomini e qualifica l’altezza della civiltà a cui essi appartengono. Si parla infatti di «senso della misura». Il nolano Giordano Bruno nella tempestosa aurora della modernità affrontò la morte sul rogo e testimoniò che, essendo la realtà infinita, nessun momento di essa può arrogarsi di essere l’assoluto centro e considerare ogni altro momento come subalterna periferia. Ogni momento è centro. La modernità e la faticosa e spesso contrastata maturazione di questa idea del mondo, che peraltro il Cristianesimo evangelico sia pure nei termini di un mondo altro dal nostro, aveva assunta come l’unica possibile base salvifica dell’umanità.
Lungo questa drammatica storia si è venuto chiarendo che l’invalicabile limite, dinanzi al quale il «senso della misura» esercita la sua funzione decisiva nella vita degli uomini è, per ognuno di noi l’esistenza di ogni altro essere umano. E poiché noi non riusciamo a concepire la nostra esistenza se non come libertà, non possiamo non assumere come nostro invalicabile limite la libertà di ogni altro. Perseguitare o addirittura uccidere la donna che non si sente, o non si sente più, di dividere con noi la sua intimità, così come oltraggiare fino a indurlo disperato al suicidio un giovane essere umano orientato sessualmente in modo diverso dal nostro, è compiere la ubris, la estrema violenza. Si nega all’altro essere umano la sua esistenza che, sia pure nei suoi invalicabili limiti o è libertà o è nulla, pura e semplice morte. È come gridargli con stupida ferocia: tu sei nulla (sottinteso: io sono tutto). Il che suona forsennata stupidità.
Se tutto ciò segnala la diffusa mancanza di «senso del limite», dunque l’incapacità della società attuale di farlo nascere nella mente degli individui allora si può parlare di un incombente totalitarismo della stupidità. Si comprende perché, dinanzi al decreto legge del governo italiano contro la violenza di genere, qualche criminologa come Francesca Garbarino avverta: «La detenzione non basta perché gli autori di questo tipo di violenza non riconoscono di aver compiuto un reato, si sentono vittima, disconoscono la realtà». A costoro, avrebbe detto Giambattista Vico, manca il «pudore», cioè la vergogna per il crimine compiuto.
Ugualmente si comprende perché Nichi Vendola, dinanzi alla tragedia dei giovanissimi suicidi, schiacciati dall’ostilità sociale per la loro sessualità diversa, condanni «una intera classe dirigente per aver consentito che l’odio per la diversità diventasse lessico ordinario della contesa politica». L’asprezza delle leggi è necessaria come un tardivo «pronto intervento» ma essa varrà veramente come condanna storica di una società stupida ben più che come efficace deterrente. In questa dolorosa vicenda della nostra società viene allo scoperto certamente la mancanza sempre più diffusa del «senso del limite», e quindi del sentimento di responsabilità dinanzi all’esistenza di ogni altro essere umano. Si esibisce però anche in tutta la sua patologica deformità culturale la corrente idea del sesso.
Il sesso è la fondamentale potenza della «intimità», di quel luogo ideale in cui gli esseri umani pervengono a sperimentare la verità come reciproca illimitata fede tra compagni di elezione, e dunque la verità come dono della libertà nella mobilità del tempo. Ma nella stupida cultura tuttora diffusa il sesso è ancora ridotto all’appropriazione, da parte di un essere umano, di ciò che è l’inappropriabile stesso, ossia del corpo vivente e pensante di un altro essere umano. Il cammino dinanzi a noi è ancora molto difficile e molto lungo.
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Mi è piaciuto il testo. Solo l’arte non osserva il senso della misura. Uguaglia il potere divino nel cielo mitologio. Si mette fuori della limite. Un testo interessante supera il senso della misura.
Invece una società civile vive nel senso della
misura.
La violenza è privata, dentro i muri della casa, ma riguarda tutti. In particolare la manera di immaginare la figlia, la madre, la sposa, la fidanzata.
Effeffe, Misstic artiste femminile riflette sempre su l’impegno della donna con poesia.
Misstic è presente a Arles.
Di fronte alla mia porta: l’éternel féminin di Misstic. Provo da staccare una foto e mando a nazione indiana.
L’omofobia è stupida, illiberale, antiquata e via stigmatizzando. Necessaria una legislazione ad hoc, ma -come l’articolo dice con maggior eleganza- se il sesso è il “luogo” ove la misura con maggior difficoltà diviene regola di comportamento, essa scarseggia anche in altri, meno intimi e compromettenti. Comincerei da quelli (razza, pelle, provenienza, lingua…), a scuola, negli stadi, in politica a non tollerare/punire il mancato rispetto del diverso, sovente accetto e/o strumentalizzato.
Effeffe, hai ricevuto la mia foto di Misstic?