Il male veniva dal mare (Marino Magliani intervista Giuseppe Conte)

MM Il mare. Dalla Liguria dei costoni rivolti all’opaco, è lì ma è più dei turisti che tuo. Troppo facile. Il mare non si risolve mica così, con una battuta. Alla fine quelli come me non ci si mettono neanche, manca il coraggio. Provo a dirmi: sei stato mozzo sul Corsica Ferry, qualche mese… Ma il mare? Non è andarci noi, esplorarlo, è farlo emergere. Era questa la sfida, Giuseppe Conte, dopo aver scritto Il terzo ufficiale con i vascelli carichi di schiavi e dolore, e La Casa delle onde, l’aria inzuppata che hanno respirato Shelley e Byron? Era Il male veniva dal mare (NdR: Longanesi, 2013), il romanzo al quale lavoravi da anni per chiudere la  grande trilogia del mare?

GC La Liguria ha due mari. Uno è quello dei turisti o peggio ancora dei bagnanti. Un mare qualunque, scialbo come la sagoma di un ombrellone, addomesticato, sempre un po’ freddo, totalmente insignificante. Poi ha un altro mare. È quello delle navi, della Repubblica di Genova, dei capitani di Porto Maurizio che partivano da qui per varcare Capo Horn, il mare grandioso e solitario che sta dirimpetto alle scogliere dei Balzi Rossi, che fronteggia le Alpi sino a Savona e poi il verde degli Appennini, che rende tutto verticale e fa di tutto una visione e un miraggio, un mare d’avventura e di metafisca, un mare interiore e terribile, che a noi non resta che guardare, contemplare, seguire nel suo movimento incessante. Io ho cominciato a capire il mare quando sono tornato in Liguria dagli anni passati nelle metropoli del Nord, a Milano soprattutto, e poi anche a Torino. Quando ero un adolescente, non me ne fregava niente del mare, come della campagna. I miei orizzonti erano esclusivamente urbani. Via Cascione a Porto Maurizio (allora era davvero una via viva) era la mia Oxford Street, il mio Boulevard Saint-Germain. Mi vedevo e sognavo in città. I miei parenti materni sono forse gli unici liguri che risiedendo in Liguria da più di quattro secoli non abbiano conservato un pezzo di terra. Poi, i terreni comperati da mio padre a Diano Arentino e a Baiardo e che ho ereditato li ho tutti venduti: ho commesso il sacrilegio di vendere gli alberi. Ma era fatale che prevalesse lo sradicamento. Io amo vincere la forza di gravità, avere radici verso l’alto. Il mare, come gli alberi e i fiori, li ho scoperti tornando. Allora mi aggiravo tra le ville di Sanremo a cogliere gli estremi sussulti di una vegetazione in splendore. Gli agapanti, gli acanti. Solo dei corrotti possono pensare che sono fiori e nomi preziosi, da bandire. Sono fiori comuni, democratici, selvatici alle volte, basta avere occhi selvatici per vederli. E poi pian piano la mia attenzione si è rivolta al mare. Mare padre, per il Montale di “Mediterraneo”. Mare madre, per chi pensa in francese. Mare delle origini, mare della vita. Nei miei romanzi , il mare c’è subito, penso al diario della mareggiata che corre lungo tutta la vicenda raccontata in Equinozio d’autunno ambientata a Baiardo. Una Baiardo che poteva anche essere in Irlanda, per me andava bene lo stesso. Ma certo nei miei ultimi romanzi il mare diventa davvero protagonista, non so se si tratta di una trilogia, caro Marino, ma tu hai colto bene il filo che passa dal Terzo ufficiale a La casa delle onde a questo Il male veniva dal mare. Un mare di libertà e di schiavitù (l’edizione greca del Terzo ufficiale ha intitolato: Schiavi della libertà), un mare scuola di vita, un mare rigurgitante di visioni e di miti, diventa il mare amato da Shelley e Byron, il mare dell’utopia e della bellezza. E infine questo mare, in Il male veniva dal mare, quello di oggi e di un futuro vicino, sempre più avvelenato, infestato da isole di plastica, teatro di morte e di distruzione. Il mare è il filo conduttore. Quello reale e quello fantastico, delle mitologie e delle visioni , che non può essere ucciso dalla avidità e dalla violenza dell’uomo. Il mio è un libro riparatorio. Un libro di resistenza. Senza moralismi e senza soluzioni pronte. Il mare è simbolo della stessa profondità, complessità, tempestosità dell’anima umana. Per chi crede che esista una corrente di energia spirituale che chiamiamo anima, e che esiste un fruitore di questa energia che chiamiamo essere umano.

 

MM È un mare che ci ha osservato, ci ha spiato (con le sue meduse, la grande invenzione del romanzo), e noi nel frattempo l’abbiamo sporcato. Una delle cose importanti di questo romanzo è stata quella di legare felicemente l’invenzione al grido di dolore oceanico: parlo tra l’altro dell’isola della spazzatura, la Great Pacific Garbage Patch.

GC Le meduse sono esseri misteriosi e bellissimi. Primordiali, dovevano essere sul pianeta alle origini dei tempi e della vita. Ci sono stupende immagini di meduse che flottano e pulsano in una sequenza enigmatica di The tree of life di Terence Malick. Io mi sono letteralmente innamorato delle meduse. Tutti le odiano sulle spiagge. Come se fossero loro ad attaccare l’uomo, e non l’uomo a sbattere contro di loro nello spazio che appartiene a loro. Mi sono innamorato della loro leggerezza, trasparenza, luminosità, capacità di pulsare e di danzare. Sono stato anche colpito dalla rapidità del loro degrado, un mutamento repentino dalla bellezza all’orrore è quello che capita a loro quando vengono catturate e gettate sulla sabbia; da creature splendide diventano orribili ectoplasmi. Come la Medusa della mitologia greca, ragazza dai capelli bellissimi che una maledizione degli dèi trasforma in mostruosi serpenti. Nel romanzo, le meduse portano notizie dalle profondità. Non solo dai fondali feriti dallo sversamento dei rifiuti tossici, ma anche dalle profondità dello spirito della vita. La vita è venuta dal mare. Se il mare muore, siamo tutti fottuti. E gli uomini, presi in un gorgo di corruzione, incoscienza, miseria spirituale, non se ne rendono conto. Allora una specie più evoluta di quella degli umani viene a ricordarci tutto. A farci pagare tutto. Certo, i due simboli chiave del romanzo sono le meduse e la meganave Sirena. La meganave che trasporta sedicimila anime e chissà quante migliaia di fusti di sostanza tossiche nel suo interno. Un Leviatano, una balena bianca senza nessun Capitano Achab, una che gli uomini stessi si sono costruiti, dopo avere cacciato e ucciso tutti i cetacei dal pianeta. La scoperta che nel Pacifico, ma ormai anche nell’Atlantico, esistono isole di rifiuti plastici, isole inabitabili e di morte, su cui si immolano a milioni uccelli di mare e pesci, grandi ormai come una parte degli stessi Stati Uniti, è stata capitale per la storia immaginata da questo romanzo. Che sembra un romanzo fantastico, forse lo è, ma contiene credo una dose di realtà superiore a quella ristretta di certi romanzi sedicenti realistici.

 

MM Siamo nel terzo decennio del secolo XXI, a Nizza, sulla spiaggia, un barbone, a poca distanza di tempo, s’imbatte in due cadaveri. Due giovani donne di colore, bellissime e mutilate. A Cavallero, un commissario che annega la sua malinconia ingozzando salumi e formaggi, toccano le indagini. A Nyamé, un giovane giornalista tocca scriverne sul suo giornale. Il mare luccica e ribolle come popolato da distese di famelici piraña. È luce di meduse. Si muovono non distante da una grossa nave, la più grande della storia marina, che ha gettato l’ancora nella Baia degli Angeli.

GC Sì,  il romanzo contiene molti fatti, privilegia movimento e avventura, è una mia scelta precisa, antinovecentesca, meno ingenua di quello che i miei avversari credono (non si ricordano mai che a ventisette anni ho pubblicato  un libro, La metafora barocca, che oggi è in tutte le biblioteche europee e americane, e che da allora la mia consapevolezza del manufatto letterario è particolarmente acuta, ma forse è per questo che i miei avversari mi attaccano, perché “rompo” come ebbe a scrivere una volta Aldo Nove (in fondo il più simpatico tra quelli che mi detestano). Mi interessano poi le trame come disegni del destino e i personaggi come grumi di movimenti dell’anima. Poi ai miei personaggi dò anche corpo, linguaggio idiolettico, coscienza etica, rilievo simbolico, un gran lavoro, insomma. Anche questa volta. Quattro anni, non so quanti rifacimenti, quante parti sacrificate, lavoro sempre come un Don Chisciotte, quello di Unamuno e Turgenev, l’incarnazione di un idealismo utopico, che avevo da ragazzo e ho mantenuto. A 16 anni sognavo di cambiare la letteratura italiana. A 67 continuo in questo sogno del cazzo, che non vale niente. Ma io sono fatto così. E, almeno in Francia e in America, qualcuno crede che dopo L’Oceano e il Ragazzo (1983) la poesia italiana un po’ è cambiata. Col romanzo ci provo ancora. Con romanzi “fuori schema e fuori legge”, come ha scritto di Il male veniva dal mare Sette del Corriere della Sera. Mi piace essere un fuorilegge. Aspetto che gli sceriffi della legalità romanzesca vengano a catturarmi. Se ce la fanno.

 

MM Racconta qualcosa dei personaggi, dei libri che amano.

GC Marlon, il senzatetto che sempre più lettori considerano centrale nel romanzo, legge soltanto due libri, Le metamorfosi di Ovidio e Foglie d’erba di Whitman. Una colossale enciclopedia di mitologie antiche e eterne e una colossale celebrazione della istantaneità della vita e dell’universo. Dice più volte che non ha bisogno di altro. Il commissario Cavallero, di origini piemontesi, legge Jean Giono. Mark Breton, il direttore del giornale dove lavora Nyamé legge Borges e ne tiene un poster in redazione. Il suo vice Zeno legge una scrittore immaginario, autore di un romanzo sulla crisi di impotenza creativa di un trentenne e un  quarantenne che si chiama Franco Andrea Corti.  Questo nome dovrebbe dire a qualcuno che l’autore è immaginario ma che forse rispecchia un autore reale, forse due.

Quanto alle mie letture , sinora le recensioni uscite hanno parlato di influenze di Borges,Verne, Conrad, Melville, Stevenson, Neihardt, Jack London, Philip Dick, Victor Hugo, Mario Soldati, Italo Calvino, Cormack McCarthy, Murakami.

 

MM Ci parli di cosa hai fatto per ripulire la costa da mafie, cemento, corruzione?

GC Non certo tutto quello che basta. Ci vorrebbe una pulizia ben più radicale. Una tabula rasa. Non sono per i compromessi, in questa fase storica, ma per la lotta frontale, anche durissima. Ho soltanto scritto editoriali per il quotidiano di Genova. Senza paura e parlando chiaro, da uomo libero e da libero scrittore. Ma mafie cemento e corruzione sono ancora lì. Certe volte penso che scrivere sia poco. Ma poi mi dico che è tantissimo. Almeno per me. Che ho sempre vissuto per scrivere. Qualunque cosa, ma scrivere, che per me è come respirare e nutrirmi. Scrivere. Contrapporre la propria scrittura alle brutture e alle barbarie della società. Farne intravedere una migliore. Lascia che i miei avversari (spesso sono linguaioli che davanti a qualunque potere se la fanno ampiamente sotto) ridano. Io rido più di loro. E sono in buona compagnia.

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6 Commenti

  1. “Se la profondità non ha letto per l’acqua
    resta richiamo d’inferno e pietre, occhi di bambino
    prestati a voglie adulte, il gioco è strada secca
    coi morti che arrivano e uomini in ray-ban
    acconciati di nero mentre il sensale
    comanda di aspettare il feretro e campane
    segnano le ore dell’antistoria, disappartenute
    al mondo e infuocate panchine tracciano i fatti
    del reale con occhi e bocche protesi all’estranea
    portata da mondi sconosciuti a interrogare
    la poca misura d’acqua tra il mare e il male.”

    Ilaria Seclì

    http://www.youtube.com/watch?v=3vEktE8Uh6k&list=PLBF0835AF57F21975

  2. Leggerò!

    Il mare è diventato per me l’essere mitico dal corpo femminile e maschile; lingua materna ( il francese) e lingua d’amore ( l’italiano).

    Chi ha vissuto nella presenza del mare, quando abita nell’ interiore delle terre ha sempre l’illusione della linea blu e il vento assomiglia al rumore dell’onda.

    E’una forma di amore: vedo quello che mi manca.

    Il mare è anche rifletto del dolore e del male umano. A volta gli uomini nascondono il mare con cemento, perché trascurano la bellezza o non possono più affrontare la luminosità sopra il mare.

    Quest’estate vicino a Marsiglia non si vedeva più il fondale. Tutto dentro il mare una nebbia verdastra.

    Il mare fu la prima forma di vita e forse l’ultima.

    Mi è piaciuto il post. Grazie.

  3. Gentilissimo elogiodelleccedenza,
    il contenitore è un caso, coevo alla scoperta di Conte. Mi spiace quindi smentirla. :-) A questo punto ci toccherà rileggere l’intervista. Per un momento, mi pare, abbiamo dimenticato Medusa, la Baia degli Angeli (e un polpo sbattuto).
    Un saluto affettuoso.

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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