TELP.1

Perec_Telp di Romano A. Fiocchi

 

Georges Perec, Tentativo di esaurimento di un luogo parigino. TELP.1, a cura di Alberto Lecaldano, Voland, 2011.

Telp è l’acronimo di Tentative d’épuisement d’un lieu parisien. Telp è un piccola perla letteraria. Telp è un talismano per gli amanti di Perec. Ma ci sono due cose da fare prima di acquistarlo e di leggerlo. Non perché sia un libro difficile (“libretto”, ad essere precisi: appena 63 pagine, di cui 6 di postfazione e 14 di immagini), ma perché è un libro altrimenti incomprensibile. Insomma, ci vuole la chiave giusta. Con la chiave giusta, quella che può sembra un’elencazione ossessiva e apparentemente insulsa di oggetti, persone, azioni si fa magia. La magia di Georges Perec.

Due cose da fare a priori, dicevo. La prima, leggersi le 500 pagine di La vie mode d’emploi, vera e propria “opera mondo” che oltre a racchiudere 107 storie (non per nulla Perec utilizzò il sottotitolo romans, al plurale, in luogo di roman), un indice dei nomi di 50 pagine, un elenco di riferimenti cronologici veri ed inventati che vanno dal 1833 sino al 1975, è un grandioso tentativo di trasformare in un puzzle la storia di tutto uno stabile parigino con i suoi inquilini, e indirettamente l’intera storia dell’umanità.

La seconda cosa da fare, complementare oppure anche semplicemente alternativa qualora il potenziale lettore di La vie mode d’emploi avesse l’impressione di dover affrontare un Ulysses francese, è guardarsi i video dell’intervista che Viviane Forrester fece a Georges Perec il 22 marzo 1976. I video sono messi a disposizione dall’INA, l’ente nazionale francese incaricato di archiviare le documentazioni audiovisive. Il primo lo trovate qui. Non so di chi sia la regia. Perec appare in cima a una scalinata (oggi scomparsa) nel quartiere Belleville di Parigi, osserva le “cose” della sua città, compresa la vecchia porta in legno di quello che fu il negozio di sua madre, deportata in un campo di concentramento nel 1943 e mai più tornata (il padre era morto in guerra tre anni prima). Perec è un affabulatore straordinario. La Forrester, giornalista e scrittrice, scomparsa a ottantotto anni nell’aprile scorso, sembra affascinata dalle sue parole, dai gesti, da quello strano modo di reggere la sigaretta tra il medio e l’anulare (in Telp, pag. 21, Perec noterà per la prima volta un passante con la sua stessa abitudine). Perec, nel corso dell’intervista, arriverà a spiegare il progetto grandioso di La vie mode d’emploi, mostrando disegni, schizzi e schemi relativi all’andamento della narrazione: il movimento a “elle”, come il cavallo degli scacchi, con cui la voce narrante salta da un appartamento all’altro. Non occorre conoscere bene la lingua francese, basta ascoltare la sua voce, seguire la sua gestualità, e Perec vi darà la chiave per Telp.

E ora veniamo a Telp. La suggestione comincia dalla copertina grazie a una fotografia scattata nel 1974 dall’amico Pierre Getzler: Perec chino sulla penna a un tavolino del Café de la Mairie, sigaretta nella sinistra, tazza di caffè o tè da cui spunta il cucchiaino. Resterà lì, in place Saint-Sulpice, per tre giorni consecutivi, spostandosi ora al Bar tabacchi Saint-Sulpice, ora al caffè Fontaine Saint-Sulpice, ora sedendosi su qualche panchina della piazza. Perec cambia il punto di osservazione, osserva ed elenca ciò che vede: animali, persone, atteggiamenti, azioni, mezzi di trasporto, variazioni atmosferiche, luci, ombre. Talvolta cerca di catalogarli, di dare un ordine all’apparente casualità. Elenca “quello che generalmente non si nota, quello che non si osserva, quello che non ha importanza: quello che succede quando non succede nulla, se non lo scorrere del tempo, delle persone, delle auto e delle nuvole”.

Alberto Lecaldano cura la postfazione (chiamata semplicemente Appendice) fornendo quelle informazioni indispensabili e contagiando il lettore con il suo entusiasmo. Nel risvolto di copertina, le immagini eleganti (a colori) e utili di alcuni oggetti ormai scomparsi che Perec cita nel testo, come la Due-cavalli verde mela, vecchio modello Citroën, evocazioni apparentemente prive di nostalgia che ritorneranno in Je me souviens, 1978. Anche il progetto grafico, curato dallo stesso Lecaldano, è in perfetta sintonia con il testo. Onore dunque, ancora una volta, al vecchio diavolo di estrazione bulgakoviana, Voland, che a trent’anni dalla morte di questo straordinario scrittore francese ci regala, per soli 12 euro, un autentico gioiellino letterario.

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12 Commenti

  1. Efficace presentazione! Apprezzo particolarmente il suggerimento – del tutto ragionevole – della via corta, per apprezzare veramente questo testo di Perec, ossia leggere le 500 pagine della “Vita istruzioni per l’uso”. Nel caso qualcuno volesse scegliere la via lunga, non ha che da cominciare subito “Tentativo di esaurimento di un luogo parigino”, per poi saltare a pié pari a “Specie di spazi” e a quel punto può risalire o scendere il novecento a piacere, andando per Debord e Lefebvre fino al vero “Ulisse” irlandese, e all’esaurimento dello spazio dublinese, oppure può risalire saltando tra Harry Mathews e l’Enciclopedia dei morti di Kis, fino alla poesia francese contemporanea: Roubaud, Jouet, Viton, Leslie Kaplan.

  2. Ah, Gianni: uno dei sogni della mia vita è fare una cosa del tipo:
    – reclutare 100 persone;
    – accordarsi con loro perché in un certo giorno a una certa ora si siedano a un tavolino di un bar, in piazza o con vista sulla piazza;
    – (ovviamente 100 piazze diverse);
    – accordarsi affinché le 100 persone per un’ora osservino e annotino ciò che passa davanti ai loro occhi;
    – accordarsi affinché le 100 persone mandino entro sera il loro testo a un editore specializzato in libri digitali;
    – lavorare tutta la notte;
    – far apparire il libro digitale il giorno successivo.
    Interessa?

  3. Elenco poetico, avanguardia della poesia odierna, nella sua precisione di sguardo.
    Una poesia quasi fotografica.
    In Perec mi piace l’ossessione della memoria.

    “Je me souviens” è una piccola goccia di profumo (la frase) in capacità di svegliare la memoria colletiva.

    “Je me souviens des scoubidou”
    mi rende felice come una bambina.

    “Je me souviens quand on revenait de vacances, le 1 septembre, il y avait encore un mois de vacances. ”
    Tempi felici: l’estate era un tempo infinito di maturazione.

    “Je me souviens que Stendhal aimait les épinards” mi lascia perplessa.

    “Je me souviens de Brigitte Fossey et de Georges Poujouly dans Jeux Interdits.”
    Il film che mi ha fatto piangere.

    “Je me souviens que le mot robot est un mot tchèque, inventé, par Carel Capek.”

    Molti nomi dimenticati. Chi conosce oggi Martine Carol, Fausto Coppi, Louison Bobet,Henri Salvador

  4. “Je me souviens des six jours au Vel d’hiv.”

    Ogni volta che leggo questa frase sento un brivido di paura . Qualcosa ferisce il centro del corpo. Sono francese. Questa memoria rimane viva, piena di dolore.

  5. E anche la traversata malinconica dell’Andrea Doria:

    “Je me souviens de l’Andréa Doria.”

  6. Eh, si naufragare un corno, anche perché si naufraga ogni giorno a più non posso. Una premessa per fare il punto della situazione. Ebbene, non ho commentato gli ultimi due post, prima di questo, perché ho avuto da fare e non c’è stato verso di trovare un minuto o dieci minuti per suicidarmi. Voglio dire, mica è facile suicidarsi su due piedi. Un minimo di progettualità ci vuole, anche perché quando non c’è programmazione e progettualità si mena il can per l’aia. E se il cane è uno di quelli come il mio che abbaia ad ogni stormire di fogli, figli che rientrano o escono e sbattono la porta e rumori vari buonanotte ai suonatori. Che poi questi suonatori pare assomiglino a quel tizio che si chiama Prezzomolo Ogni Minestra:in pratica te li ritrovi tra la capa e la noce del collo così, su due piedi o seduto all’aperto o disteso su una amaca o un lettino da spiaggia a guardar le stelle sognando di dormire nel sonno che ci possiede.

    Detto ciò, solo adesso mi sono messo al computer a battere queste quattro annotazioni, per dire che stamattina sono partito per Roma. Caspita, per cui anche oggi mi è assai difficile suicidarmi. No, no non parlo di stanchezza che forse se uno è stato gli verrebbe meglio suicidarsi.

    Però, secondo me, un suicida non può minimamente essere paragonato a un ubriaco, bensì a una persona che comunque è in sé. Un suicida deve essere lucido, altrimenti non ammazza se medesimo ma un altro, semmai un suo Alter Ego che sarebbe un po’ come il fratello gemello. Due gemelli per quanto somiglianti in maniera impressionante, pur avendo lo stesso identico cognome, hanno però nomi diversi.

    A Roma poi siamo prima andati a Tor Vergata e poi con la macchina abbiamo attraversato il centro storico e abbiamo beccato una multa nella zona Ztl. Ci eravamo anche fermati davanti al scritta Ztl attiva, ma dietro di noi si è formata una piccola coda e poiché non volevamo creare ingorghi abbiamo superato di due metri il dispositivo che fotografa la targa. Di fianco alla nostra auto sostava un tassista che ci ha detto: – Mi sono fermato dietro di voi per farvi fare retromarcia –

    L’ho ringraziato molto e poi siamo andati. Avevamo a disposizione un ora e mezza per poi tornare a Tor Vergata dove nella mattinata si sarebbero svolti i test per l’ammissione a varie discipline professionali. Ci siamo fermati un po’ distanti piazza della Repubblica per chiedere informazioni a una tabaccaia molto disponibile e simpatica che ci ha detto: – Non sostate qui. Se volete andare a Trinità dei Monti e piazza di Spagna e poi in piazza Navona vi conviene andare ai parcheggio sotto Villa Borghese. Una volta lì chiedete quale strada percorrere –

    Sbucati dal parcheggio sotterraneo ci siamo diretti giù per una strada in cui facevano sfoggio di sé Alberghi e Hotel extra lusso, infatti i Taxi che si fermava davanti agli ingressi c’erano gli addetti in divisa e livrea che aprivano le portiere delle auto per far scendere i clienti che nonostante molti erano vecchi in pantaloni corti e canottiere come quelle che indossano gli abitanti dei vicoli che dalle facce si vedeva che erano gente ricca piena di soldi in tasca e nei caveau di banche europee e innanzitutto degli States.

    Quando siamo scesi lì, per le scale di Trinità dei Monti, abbiamo visto che c’erano un sacco di turisti seduti su queste scale di Trinità dei Monti e quindi abbiamo constatato che quelle scale erano le scala di Trinità dei Monti. Tra le donne c’erano ragazze che si baciavano con i propri ragazzi(era una sola coppia però che si baciava a più non posso)alcune erano chiatte, altre erano bellissime come una in particolare che era magra ma aveva le zizze talmente toste che io e Salvio abbiamo pensato: Questa ha le protesi perché le zizze sono toste ma veramente toste. Ho detto a Salvio, Salvio questa ragazza bellissima ha il seno e sia come si fa a vedere così a occhio nudo che quella ha il seno ‘mpupazzato? Beh!, i seni implementati non ballano e non sobbalzano tanto da essere due mummarelle piene di acqua ferregna andata a male.(L’acqua ferregna era un acqua del tutto particolare che si beveva nei vicoli della mia città venduta da un venditore ambulante che portava in due cesti tenuti a braccia queste mummarelle di creta e la cosa meravigliosa era nel fatto che l’acqua era bella fredda e aveva un odore inconfondibile di uova marce) A quel punto nella discussione si è inserita mia moglie che ha detto: Si, quella ragazza passata prima ha le protesi al silicone. Si vede. Una donna ha sempre più fiuto di un uomo quando vede un altra donna. Quando siamo giunti giù alle scale di Trinità dei Monti, ci siamo messi di spalle alla fontana a osservare tutte quelle persone sedute tra cui c’erano anche svariati uomini che più che altro facevano foto alle loro partners(a Massimo Troisi piaceva questa parola che questa parla è inglese e si dice Partners)ed erano, almeno all’apparenza, molto contenti.

    Ma a noi quello che ci ha colpito di tute quelle persone che erano sedute sulle scale di Trinità dei Monti che ci davano l’idea dei pinguini quando stanno tutti azzeccati gli uni con gli altri. Eppure a Trinità dei Monti c’era un caldo e una luce e un sole che inondava le strade rendendole lucide.

    Siamo andati al bar e abbiamo consumato acqua e caffè e percorso qualche altra strada a guardare i prezzi che sfoggiavano i negozi nelle vetrine.

    Certi negozi che stanno a Roma stanno pure qui e i prezzi di certi negozi erano abbordabili come quel vestito nero o grigio da 99 euro, ma se è per questo ce n’era un altro di 79 euro, allora ci è sembrato che tutto il mondo è paese quando si tratta di vendere merce.

    Siamo ritornati all’università 2 Tor Vergata a riprendere nostra figlia e poi abbiamo chiesti a dei signori che parlottavano dove potevamo andare a mangiare un qualcosa e non uscire con le ossa rotte, visto anche la multa che ci siamo beccati.

    Beh, non abbiamo mangiato male e anche il presso finale è stato commentato in maniera positiva perché onesto. Dopo ci siamo messi in macchina e correndo in maniera sostenuta(a me non piace correre, specie sull’autostrada)siamo arrivati sani e salvi.

    Domani è un altro giorno, parafrasando paro paro, poi, come in ogni cosa di questo mondo, se son rose fioriranno e allora si vedrà. Intanto domani è giovedì.

    E così, in attesta della riposta dei test, onestamente parlando e con tutta la buona volontà, credo, al momento che non sono assolutamente in grado e nelle condizioni di suicidarmi. Forse sono un vigliacco o all’opposto coraggioso, intanto ho da vedere un po’ di cose seduto ai piedi delle scale di ogni scala.

  7. la scalinata del video dell’INA è stata ora inglobata nel “Parc de Belleville”; quella che si vede alle sue spalle è la rue Piat (molto squatterata negli anni ’70, e ora molto trasformata)

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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