FRANCIS PONGE [ *ronron poétique ]

di Orsola Puecher

 

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2ponge 4ponge

 
FRANCIS PONGE
La Rage de l’Expression [1946]
Poesia/Gallimard, 1976 pag. 7-11

 
Ponge_Berges de la Loire
Argini della Loira

Roanne, li 24 maggio 1941.

  Che niente ormai mi faccia recedere dalla mia decisione: mai sacrificare l’oggetto del mio studio per dar valore a qualche trovata verbale che avrò scovata su di esso, né a trasformare in poesia un po’ di queste trovate.
  Riferirsi  sempre all’oggetto in sé, a ciò che ha di grezzo, di differente: differente in particolare da ciò che ho già, (al momento), scritto su di esso.
  Che il mio lavoro sia una rettifica continua del mio modo di esprimermi (senza preoccuparmi a priori della forma di questa espressione) in favore dell’oggetto grezzo.
  Così, scrivendo sulla Loira da  un punto  degli argini di questo fiume, dovrò senza tregua di nuovo immergervi il mio sguardo, il mio spirito. Ogni volta che si sarà inaridito su una espressione, lo ritufferò nell’acqua del fiume.
  Riconoscere il più grande diritto dell’oggetto, il suo diritto che non può cadere in prescrizione, che può far causa a qualsiasi poesia… Mai nessuna poesia scamperebbe a un processo d’appello con il minimo della pena da parte dell’oggetto della poesia, né all’incriminazione per contraffazione
  L’oggetto è sempre più importante, più interessante, più capace (pieno di diritti): non ha nessun dovere nei miei confronti, sono io che ho tutti i doveri nei suoi riguardi.
  Quello che le righe  precedenti non dicono abbastanza: di conseguenza, non fermarmi mai alla forma poeticadovendo essa dunque essere utilizzata in un momento del mio studio perché predispone un gioco di specchi che può far apparire certi aspetti rimasti oscuri dell’oggetto. Il cozzare delle parole, le analogie verbali sono uno dei mezzi per scrutare l’oggetto.
  Mai provare a trasformare le cose. Le cose e le poesie sono inconciliabili.
  Si tratta di sapere se si voglia scrivere una poesia o descrivere una cosa (nella speranza che lo spirito ne guadagni, faccia qualche passo in avanti  riguardo a essa. )
  È il secondo termine dell’alternativa che il mio gusto (un gusto violento delle cose, e dei progressi dello spirito) mi ha fatto scegliere senza esitazione.
  La mia decisione è presa dunque…
  Poco m’importa dopo che si voglia chiamare poesia ciò che ne risulta. In quanto a me, il minimo sospetto di ronron poetico mi avverte solamente che rientro nella truffa, e mi provoca un  colpo di reni per uscirne.

La rage de l’expression [1946] Poesia/Gallimard, 1976 pag. 7-11
  
  

differente

La differenza fra le cose e le parole, fra le espressioni per descriverle e le cose stesse, non è una differenza di tipo sentimentale, un’impossibilità romantica di penetrare spiritualmente la sostanza del mondo, ma è una questione di metodo di lavoro: il rapporto intrinseco del testo e delle sue parti con il metodo del suo farsi crea un rapporto rigoroso e profondo con ciò a cui si riferisce, con il mondo esteriore.

Mai più sonetti, odi, epigrammi: la forma stessa del poema sia in qualche modo determinata dal suo soggetto.
Francis Ponge My creative method 1947 I pag 33

Contrariamente alla prosa le forme fisse impongono le loro regole di formazione all’oggetto, il verso regolare non si adatta alla descrizione quanto la prosa, perché reclama per se stesso un eccesso di attenzione. Queste esigenze di metrica e rima che sono trascurabili rispetto alla vera ispirazione, ma forse eccitanti per un virtuoso, non possono far altro che distrarre e accaparrare l’interesse.

a priori

sulla

L’oggetto della scrittura deve essere sempre presente nella sua diversità e peculiarità.
Le forme fisse si sostituiscono all’oggetto del mondo con loro proprie leggi, cristallizzate in oggetti del linguaggio. Bisogna trovare di volta in volta una forma adeguata al richiamo particolare che ciascuna cosa presume, al suo lamento silenzioso.
inaridito

il minimo
 
della pena

Un’ironica e surreale causa legale fra mondo muto e parole, un immaginario tribunale semantico che ne istruisca il processo, dei piccoli delitti e delle piccole pene, da cui poche scritture uscirebbero senza le manette ai polsi per il reato di ronron poetico continuato.
ronronpoetique

[(il vero) *ronron (è molto) poetico (di per sé) ]

Anche una dichiarazione di poetica può seguire una specie di metodo scientifico di procedere, un movimento di speculazione epistemologica:
evento —-> descrizione —-> spiegazione —-> legge
di conseguenza

poetica – dovendo

Dopo Il partito preso delle cose i testi di Ponge sono composti da note, ricerche lessicali, frammenti poetici, riflessioni filosofiche, ripetizioni, appunti, come fossero bozze in chiaro del testo che sta scrivendo ed esemplificazione in diretta del suo metodo di lavoro.
Non un solo mezzo ma molti mezzi possono far parte del lavoro di scrittura e del suo metodo.
 

Bene. Allora, per prima cosa, rispondo alla vostra prima domanda. Come è successo che sia passato dalla forma chiusa ( de L’Ostrica” ad esempio) alla forma aperta che avete rilevato nel testo de La rage de l’expression, e soprattutto ne Il garofano. In primo luogo ne avevo abbastanza di fare sempre la stessa cosa, il che mi annoia moltissimo, e non è perché Il partito preso delle cose ha avuto un certo successo, che io voglio rinchiudermi la dentro. Ciò che m’importa è cambiare, cambiarmi, ed è anche perché mi è sembrato utile mettere sul tavolo, come avevo già detto in un’intervista precedente, di mettere sul tavolo il modo di procedere intellettuale, il lavoro.
in VII Entretien da Entretiens de Francis Ponge avec Philippe Solliers pag. 114 Gallimard [1970]

uno

trasformare
 
le cose

Forse solo una nuova scienza poetica, rigorosa ma sognante, può riunire poesia e cose, senza trasformarle e tradirle.
 

[…] la scienza fa appello a una cosa come l’ipotesi, per esempio, vale a dire a qualcosa che dipende dallo spirito umano nel suo funzionamento più segreto, più profondo, vale a dire del sogno, volendo, della fantasia, del sonno (quando Newton ha fatto la sua scoperta? Quando se ne stava sdraiato sotto un melo. Evidentemente, aveva molto riflettuto prima, ma è al momento del suo riposo che egli ha trovato; e si può dire altrettanto di Archimede, che era nella vasca da bagno, pare, quando fece la sua scoperta. E assolutamente non quando era al suo tavolo da lavoro), se dunque, dobbiamo fare appello alle facoltà intuitive (e la divisione dello spirito in ragione e in intuizione è una delle antinomie significative del mondo occidentale, da moltissimo tempo, ed è questa che dobbiamo eliminare, insieme a molte altre antinomie) e dunque! se la scienza ammette che l’ipotesi sia importante, allora perché non tutto il resto?
in VII Entretien da Entretiens de Francis Ponge avec Philippe Solliers pag. 124-125 Gallimard [1970]

 


da ⇨ Jean-Daniel PolletDieu sait quoi [ 1994 ]
[ ispirato a Ponge – nel commento molti suoi testi ]

IL GAROFANO 1
da La rage de l’expression
[1946] Poesia/Gallimard, 1976 pag. 55-72

 
    Rilevare la sfida delle cose al linguaggio. Per esempio questi garofani sfidano il linguaggio. Non avrò tregua finché non avrò assemblato qualche parola alla lettura o all’ascolto della quale uno debba gridare necessariamente: è di qualche cosa come un garofano che si tratta.
    E’ questa la poesia? Non lo so e poco importa. Per me è un bisogno, un impegno, una collera, una questione d’amor proprio ecco tutto.
 

*

 
      Non pretendo di essere un poeta. Credo che la mia visione sia molto comune.
    Data una cosa – la più ordinaria possibile – mi sembra che essa presenti sempre delle qualità veramente particolari sulle quali, se queste fossero chiaramente e semplicemente espresse, ci sarebbe un’opinione unanime e costante: queste sono quelle che io cerco di liberare.
    Che interesse ha liberarle? Fare guadagnare allo spirito umano queste qualità, di cui egli è “capace” e di cui solo la sua abitudine gli impedisce di impadronirsi.
    Quali discipline sono necessarie al successo di questa impresa? Quelle dello spirito scientifico senza dubbio, ma soprattutto molta arte. Ed è perché io penso che un giorno una tale ricerca potrà essere legittimamente chiamata “poesia”.
 

*

 
    Si intravedranno attraverso gli esempi che seguiranno 2 quale importante lavoro di scavo ciò suppone (o implica), a quali utensili, a quali procedimenti, a quali rubriche uno deve o può fare appello. Al dizionario, all’enciclopedia, all’immaginazione, al sogno, al telescopio, al microscopio, a due lenti di ingrandimento, alle lenti da presbite o da miope, al gioco di parole, alla rima, alla contemplazione, all’oblio, alla volubilità, al silenzio, al sonno, ecc.
    Si vedrà anche quali scogli si devono evitare, quali altri bisogna affrontare, quali navigazioni (quali bordate) e quali naufragi – quali cambiamenti di punto di vista.
 

*

 
    E’ molto probabile che io non possieda le qualità richieste per portare a buon fine una tale impresa – in alcun modo.
    Altri verranno che utilizzeranno meglio di me i procedimenti che indico. Saranno gli eroi dello spirito del domani.
    (Un altro giorno.)
    Cosa c’è di particolare, insomma, nell’ingenuo programma (valido per tutte le espressioni autentiche) esposto solennemente qui sopra?
    Senza dubbio solamente questo, il punto seguente : … dove io scelgo come soggetti non dei sentimenti o delle avventure umane ma degli oggetti i più indifferenti possibile… dove mi appare (istintivamente) che la garanzia della necessità dell’espressione si trova nel mutismo abituale dell’oggetto.
    … al tempo stesso garanzia della necessità di espressione e garanzia di opposizione alla lingua, alle espressioni comuni.
    Evidenza muta opponibile.
 

I

 
    Tetragono: fortemente attaccato alla sua opinione.
    Farfallette 3, farfalle, papille: stessa parola di vacillare.
    Lacero: dalla parola tedesca skerron. Lacerato.
    Denti e merletti 4.
    Chiffons. Crema, cremoso.
    Garofano: Linneo lo chiama mazzo perfetto, mazzo completo.
    Satin.
    Festoni: “Queste belle foreste che decorano con un lungo festone mobile la sommità di queste coste”.
    Sbattuto: crema sbattuta, che a forza di essere sbattuta diventa tutta schiuma.
    Starnutire.
    Gracchiare 5 e Giocasta.
    Jabot: appendice di mussolina o di pizzo.
    Sgualcire: spiegazzare, fare prendere pieghe irregolari. (l’origine è un rumore)
    Increspare (un tovagliolo): piegare in modo che faccia delle piccole onde.
    Stropicciare, nel senso di spiegazzare. Si confonde con fespe, da fespa, che vuol dire chiffon e anche frangia, una specie di peluche.
    Frange: etimologia sconosciuta. 2° termine anatomico: sinonimo di sinoviale.
    Lacerare: tagliare a brandelli, facendo diversi tagli. Lacerarsi, farsi dei tagli.
 

2

 
    In contrapposizione ai fiori calmi, rotondi: calle, gigli, camelie, tuberose.
    Non che lui sia folle, ma è violento (sebbene bello folto, assemblato in limiti ragionevoli).
 

3

 
    In cima al gambo, fuori da un oliva, da una ghianda morbida di foglie, si sbottona il lusso meraviglioso della biancheria.
    Garofani questi meravigliosi chiffon.
    Come sono se stessi.
 

4

 
      Ad annusarli si prova un piacere il cui rovescio sarà lo starnuto.
    A guardarli, ciò che si prova vedendo delle mutandine frastagliate a dentelli, di una ragazza cha ha cura della sua biancheria.
 

5

 
       Per “sbottonarsi”, vedi bottone. Vedi anche cicatrice.
    Bottone: visto che, non si possono accostare punta 6 e bottone, né sbottonare nella frase, perché è la stessa parola (di appiccare 7, spingere).
 

6

 
    E naturalmente tutto non è che movimento, e passaggio, altrimenti la vita, la morte, sarebbero incomprensibili.
    Sebbene abbiano inventato la pillola da sciogliere nell’acqua del vaso per rendere il garofano eterno – nutrendo di succhi minerali le sue cellule – nonostante egli non sopravvivrà per lungo tempo in quanto fiore, il fiore non è che un momento dell’individuo, che gioca il suo ruolo come la sua specie gli ingiunge.
    (Questi primi sei pezzetti, la notte del 12 al 13 giugno 1941, in presenza di garofani bianchi del giardino di Madame Dugourd.)
 

7

 
    Sulla punta del gambo si sbottona fuori da un’oliva morbida di foglie uno jabot meraviglioso di satin freddo con un vuoto d’ombre di neve verde, dove c’è ancora un po’ di clorofilla, e il cui profumo provoca all’interno del naso un piacere quasi al limite dello starnuto.
 

8

 
Farfalletta 8 straccetto arricciato
Strofinaccio di lusso dentellato
Chiffon arricciato di raso freddo
Fazzoletto di lusso smerlato
Stracci di lusso in raso freddo
Di smalto
 

9

 
Jabot farfalletta 9 o fazzoletto
Strofinaccio di lusso smerlato
Chiffon
Di raso freddo smerlato
Odoroso montato a neve fuori di sé
Sulla punta del gambo di bambù verde
Un rigonfiamento d’unghia lucida
Si gonfia una ghianda morbida di foglie
Sacchetti multipli odorosi
Da cui scaturisce il vestito montato a neve.

13 giugno

 

10

 
Faro da asola 10
Proiettore
Lampada portatile
Magondo 11
 
Jabot chiffon farfalletta 12 o fazzoletto
Cenci stracci brandelli
 
Sbuffi di biancheria o ruche
Di raso freddo
Ricco opulento assemblaggio
Competizione associazione
Manifesto riunione
Di petali di un tessuto umido
Freddamente satinato
 
Folla uscente ad ala a delta dalla comunione
O mutandine dai bei smerli di fanciulle che hanno cura della loro biancheria
 
Spandendo profumi di un tipo per ogni istante
Che rischiano quel piacere di mettervi sull’orlo dello starnuto.
 
Trombette piene gole ostruite.
Per la ridondanza della loro propria espressione
 
Gole interamente ostruite da lingue
 
I loro padiglioni le loro labbra strappate
Per la violenza dei loro gridi delle loro espressioni
 
Arricciature spiegazzate crespe sgualcite
Frange merlettate montate a neve
Stracciate ricciolute insellate
A cannolé goffrate arricciate
Ritagliate strappate piegate frastagliate
A ruche storte ondulate dentellate
 
Cremoso spumoso bianco nevoso
Omogeneo unito
Mazzo perfetto mazzo completo
Fuori dalla ghianda morbida dell’oliva morbida e appuntita
 
Che si fa socchiudere che si fende
Alla fine del suo gambo fine bambù verde
Dai rigonfiamenti distanziati lucidi
E languidi il più semplicemente possibile
 
Così fino all’approssimarsi di luglio
Si sbottona il garofano
 

14 giugno

 

11

 
    All’estremità del suo gambo fine bambù verde dai distanziati rigonfiamenti lucidi da dove si dipartono due foglie simmetriche molto semplici piccole sciabole si gonfia con successo una ghianda un’oliva morbida e aguzza che si forza di socchiudersi che fende un occhiello da dove si sbottona
    un jabot di raso freddo meravigliosamente increspato una ruche a profusione di linguette storte e strappate dalla violenza dei loro propositi:
    specialmente un profumo tale e quale produce sulla narice umana un effetto di piacere quasi starnutatorio

15 giugno

 

12

 
Il gambo
di questi magnifici eroi – segue esempio –
è un fine bambù verde
dagli energici rigonfiamenti distanziati
lucidi come unghia
 
Su ciascuno di essi si sguainano questa è la parola
due o tre semplici piccole sciabole
simmetricamente inoffensive
 
All’estremità destinata al successo
si gonfia una ghianda una oliva morbida e appuntita
 
Che improvvisamente da luogo a una modificazione
sconvolgente
la forza di socchiudersi che la fende
e si sbottona?
 
Un meraviglioso chiffon di raso freddo
un jabot a profusione di faville fredde
di linguette dello stesso tessuto
storte e strappate
per la violenza dei loro propositi
 
Una trombetta colmata
dalla ridondanza dei suoi stessi gridi
dal padiglione strappato dalla loro stessa violenza
 
Finché per confermare l’importanza del fenomeno
si spande continuamente un profumo tale che provoca nella narice umana
un effetto di piacere intenso
quasi starnutatorio.
 

13

 
All’estremità di una stoppia energica
le trombette di cencio
strappate dalla violenza dei loro propositi:
un profumo d’essenza starnutatoria
 

*

 
L’erba dalle rotule immobili
 

*

 
Il bottone di una stoppia energica
si fende in garofano
 

14

 
O tagliato in OE
O! Bottone di una stoppia energica
tagliato a OCCHIELLO!
L’erba, dalle rotule immobili
ELLA oh vigore giovanile
L dagli apostrofi simmetrici
O l’oliva morbida e appuntita
spiegata in OE, I, due L, E, T
Linguette strappate
Dalla violenza dei loro propositi
Raso umido raso freddo

ecc.

    (Il mio garofono non doveva poi essere una gran cosa: devo insinuare due dita per poterlo tenere)
 

15

 

Retorica risoluta del garofano.

 
    Fra i godimenti che comportano le lezioni da trarre dalla contemplazione del garofano ce ne sono di molti tipi e io voglio, graduando il nostro piacere, cominciare dalle meno eclatanti, le più terra a terra, le più basse, le più vicine al suolo e le più solide forse, quelle che escono dallo spirito e nello tesso tempo fanno uscire dalla terra la piccole pianta stessa…
    Questa pianta all’inizio non differisce molto dalla gramigna. Si aggrappa al suolo che pare in quel punto di volta in volta laminato e sensibile come una gengiva che sente dei canini appuntiti. Se cerchiamo di estirpare il piccolo ciuffo non ci riusciamo se non con difficoltà, perché ci accorgiamo che esso ha là sotto una specie di lunga radice che segue orizzontalmente la superficie del suolo, una lunga volontà di resistenza molto tenace, relativamente molto considerevole. Si tratta di una specie di corda molto resistente e che sconcerta chi la estirpa, lo costringe a cambiare la direzione dei suoi sforzi. E’ qualcosa che assomiglia molto alla frase con la quale io cerco “attualmente” di esprimerla, qualche cosa che si srotola meno di quanto essa non si strappi, che si tiene al suolo con mille radichette avventizie – e che è probabile che si spezzerà di netto (sotto i miei sforzi), prima che io abbia potuto estrarne la principale. Conoscendo questo pericolo io rischio viziosamente, senza vergogna, a più riprese.
    Basta così, non è vero? Lasciamo la radice del nostro garofano.
    – La lasceremo, certo, ma ritornati a uno stato d’animo più tranquillo, ci domanderemo pertanto, prima di lasciar risalire i nostri sguardi verso il gambo – seduti sull’erba per esempio non lontano di là, e contemplandolo senza più toccarlo – le ragioni di questa forma che essa ha preso: perché una corda e non un perno o una semplice arborescenza sotterranea come sono di solito le radici?
    Non dobbiamo cedere in effetti alla tentazione di credere che questo sia soltanto per provocarci questi arrovellamenti che io vengo a descrivere che il garofano si comporta così.
    Ma si può scoprire forse nel comportamento di un vegetale una volontà di abbracciare, di legarsi alla terra, di esserne la religione, i monaci – e di conseguenza i maestri.
    Ma torniamo alla forma di queste radici. Perché una corda piuttosto che un perno o una arborescenza come sono di solito le radici?
    Può aver avuto, per la scelta di questo stile, due ragioni, valide l’una o l’altra a seconda se si decida che si tratti d’una radice aerea o al contrario di una radice rampicante.
    Forse, se si tratta di un arbusto atrofizzato, di un arbusto stanco e senza forza e senza abbastanza forza per elevarsi verticalmente dal suolo, forse qualche esperienza millenaria gli avrà insegnato che gli conviene meglio riservare la sua altezza al suo fiore.
    O forse questa pianta deve condurre attraverso una vasta distesa di terreno la ricerca dei rari principi convenienti alla nutrizione dell’esigenza particolare che ha portato al suo fiore?
    L’ampiezza stessa di questi paragrafi consacrati alla sola radice del nostro soggetto risponde a una preoccupazione analoga, senza dubbio… ma ora ne abbiamo abbastanza.
 

*

    Così, ci siamo, il tono è stato trovato, dove l’indifferenza è stata raggiunta.
    Era questo l’importante. Tutto a partire dalla collera della radice… un’altra volta.
    E posso anche starmene zitto.

 

Roanne, 1941, Paris-1944.


da ⇨ Jean-Daniel PolletDieu sait quoi [ 1994 ]
[ ispirato a Ponge – nel commento molti suoi testi ]


 

E resta, infine, come in una favola di La Fontaine, che Ponge molto amava, la lezione della chiocciola, felice in solitudine, saggia ma fiera, occhi sensibili su antenne vibranti, con il suo guscio, la sua opera, il suo monumento parte di lei, ma staccato da lei, che le sopravvivrà, come le opere artistiche ai loro autori.


 

*traduzioni dei testi di Orsola Puecher

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NOTE
  1. in francese œillet ha il doppio significato di garofano e occhiello/asola e il gioco verbale di questo doppio senso viene portato avanti da Ponge per tutto il testo
  2. “Il garofano” non è che uno di questi esempi
  3. bigodino in fr. papillote
  4. in fr. dentelles
  5. in fr. Jacasse
  6. in fr. bout
  7. in fr. bouter
  8. bigodino in fr. papillote
  9. bigodino in fr. papillote
  10. faire une boutonnière: dare una coltellata
  11. in ⇨ lingua Shona, lingua bantu dell’Africa Meridionale, iena maculata
  12. bigodino in fr. papillote

14 Commenti

  1. Mi unisco al coro delle lodi e delle laudi. Sentita gratitudine per questo lavoro di traduzione, scelta e organizzazione.

    ” Si tratta di sapere se si voglia scrivere una poesia o descrivere una cosa (nella speranza che lo spirito ne guadagni, faccia qualche passo in avanti riguardo a essa. )
    È il secondo termine dell’alternativa che il mio gusto (un gusto violento delle cose, e dei progressi dello spirito) mi ha fatto scegliere senza esitazione.”

    Chissà, da noi si farà finta di aver digerito Ponge senza averlo letto e meditato. Spero che questo nuovo materiale pongiano reso disponibile da Orsola, rallenti e impedisca la troppo facile digestione.

  2. Al di là di ciò che presenti e ci offri da leggere, i tuoi lavori vanno guardati anche nel loro insieme, come un grande affresco sul muro, un collage di Cornell, una scatola delle meraviglie in cui ogni elemento trova il suo giusto equilibrio e collocazione.

  3. Grazie a tutti.

    E’ questo un lavoro che va avanti da parecchio tempo: molti materiali si sono accumulati, hanno fatto da cuscino a gatti, sono stati cercati e trovati, si sono cercati, trovati e incrociati, hanno trovato forma così. Il foglio web con la sua tridimensionalità offre una libertà divertente e infinita.

    Oh ça va sans dire che Harpo con il suo harpeggio è il mio maestro: gli occhi per un istante sbarrati e anche sorpresi quando gli sfugge dalla dita un certo complesso virtuosismo, il nascondersi dietro le corde intimidito alla fine…

    Al rornron Ponge contrappone un vero risveglio, un colpo di reni ginnastico fatto anche di’ironia, di autoironia e di lampi sognanti, di scavo che porta alla luce aspetti inediti delle cose e dello scriverne.

    Non so se Ponge sia stato digerito o meno, ma si è masticato davvero molto poco dei suoi scritti da noi, e trovarobato lessicale e formale, ronron a iosa, piccole truffe&trovatine minacciano continuamente quel che si scrive.

    Quella che lui chiama forma aperta di scrittura, in “La rage de l’expression”, la trama del suo farsi e disfarsi nello scrivere dello e sullo scrivere scrivendo, è ancora di una attualità enorme e inesplorata.

    ,\\’

  4. Mi unisco all’elogio di queste “scritture per il web”, che andrebbero salvate sia graficamente (magari in formato .jpeg) che a livello di codice (.html e fogli di stile sottostanti) per consentire la replicabilità. L’elemento davvero rimarchevole è che tecniche ed intenti non sono programmatici, ogni “composizione” (non “installazione” ma nemmeno “testo”) risulta autonoma ed auto-conclusa, quindi originale ed in questo caso dotata di vita propria. A queste latitudini indiane, che fanno grossomodo da Stretto di Gibilterra fra cittadella canonica ed oceano informe del web, tali composizioni hanno una portata meritevole di attenzione in quanto davvero aprono a forme differenti.

      • Grazie a lei. La “forma sempre determinata dal soggetto” è proprio quello che conferisce vita propria, riconoscibilità e memorabilità, artisticamente parlando, ai suoi migliori lavori. Il rischio in questi casi è la maniera. Saluti.

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orsola puecher
orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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