Inedite brevi
di Daniele Ventre
1.
A volte la misura non ricorda
sé stessa nel ritorno dei rintocchi,
nell’eco della forma in coda agli occhi
o nel vibrare incerto d’una corda.
E questa voce roca che si accorda
al dissono tinnio dei miei balocchi
o al ruvido dissolversi dei fiocchi
non sente più ragione o se ne scorda.
In questo tempo futile di vetri
spezzati a una follia di sassaiole
non sento più che un’iride riflessa.
E tu che forse a questo gioco arretri
non mi risparmierai le tue gragnuole
in cambio d’una favola irriflessa.
2.
La storia, questa farsa che si encomia,
non è gran cosa: un’abusata danza
fra la vana promessa e la speranza
cionca sotto un cancello di latomia.
3.
In quieta forma si richiude a imbuto
il piano decadere delle vite
in tracce consumate al disco muto
che scricchiola fra mura illividite.
E i mattini digradano tranquilli
fra le carte ingiallite dell’archivio
per la ragione duplice che oscilli
reso all’amena ambiguità d’un bivio.
4.
L’incognita misura della prova
si riversa nell’onere scurrile
dal fuoco della cenere che cova
il gusto compiaciuto della bile.
La vacuità gridata fra le mura
nella polvere grigia della bega
è il filo della trama che non lega
per questo intreccio di materia impura.
5.
Gli esoterismi infine hanno il difetto
di mescolare il simbolo e la carne.
Si dovrebbe mostrare più rispetto
dell’immediata ragione e poi farne
tesoro: in fondo la saggezza antica
non era più che un decotto d’ortica
ritmato al gioco delle filastrocche,
con le prefiche a battere le nocche.
6.
È facile trovarsi fuori posto:
nessuno infine arriva a tempo e luogo:
è facile sottendersi nel giogo
che il conio indifferente t’ha composto.
Ci vedo troppa luce e ombre cinesi,
troppe misure della dismisura,
ci vedo troppi dèi senza sicura
e troppi salmi d’armonie cortesi.
7.
Il pilastro che segna gli equilibri
cerchi proteso nel vento che scorre
fra le bifore aperte della torre
a scompigliare le albagie dei libri.
Così il respiro teso fra gli sguardi
muove gli esili spiriti dei sogni
nell’orbita remota ai cieli tardi
dell’orizzonte inquieto in cui ti sogni.
8.
Dicono che la traccia dell’assenza
paghi per la ragione della voce
oltre la forma del dominio atroce
teso sul velo dell’inconsistenza.
Però che la ragione si disfaccia
nella forma disutile dell’eco
non è che il segno del destino cieco
che nell’assenza sperpera ogni traccia.
I commenti a questo post sono chiusi
Daniele, porca misera quanto sei bravo.
Son rime queste, che sono fonte certa
d’ispirazione, maestro lessicale,
l’endecasillabo risulta assai ventrale
la ritmica del verso mai sofferta.
e dalli col ventrale e col panciasentire :D
“La storia, questa farsa che si encomia,
non è gran cosa: un’abusata danza
fra la vana promessa e la speranza
cionca sotto un cancello di latomia.”
…Chapeau Maestro! Sono ammirato…