Si chiama noi

pattumiera
di Fiammetta Galbiati 

Il mutuo gliene dissipa la metà e la figlia lontana un altro terzo. Il resto se lo fa bastare, tanto nipoti non ne ha e magra, era già magra prima. A tavola mette solo pasta e patate, e le verdure marce che raccatta all’imbrunire al mercato. Il sapore del pane è un ricordo antico, come tante altre cose, la speranza per esempio, ma finché ha un tetto ha tutto.

La sua giornata è ridotta all’osso, scava, scava. Da mattina a sera. Conosce ogni offerta dei discount della città, non oltre perché la macchina se n’è andata con il lavoro del marito e comunque fuori città ci sono solo i grandi centri commerciali che si sono mangiati campi di mais e risaie. Se vanno avanti così, fagociteranno pure i parchi cittadini e lei non saprà più dove andare la domenica.

Le sere le passa a ritagliare coupon: se ne sta a testa china sotto il cono di luce grigiastra del tinello, le forbici in mano, e sull’incerata i buoni paiono carte. Non avrebbe neanche voglia di giocare: la sua è una vita appoggiata su obiettivi miopi, oltre non può guardare. Oltre ci sarebbero le vertigini di un baratro.

Va in chiesa con il vestito buono e prega che non le si rompa nulla, fuori e dentro. Sulle panchine del parco saluta tutti e parla d’altro, della figlia soprattutto: è finita in Spagna, annaspa pure lei, ma questo non lo racconta, perché lei non si lamenta e non vuole aiuto: il solo pensiero di chiedere, le impedirebbe di uscire. Eppure resiste e resisterà a lungo. Forbici, occhi, matita per i conti e volontà sono le armi che ha scelto. Speriamo sopporti fino alla fine di questa osteoporosi finanziaria e globale.

Si chiama Anna, e Bianca, e Paola, e Chiara, e Teresa, e Maria. Si chiama noi.

Se solo la vedesse qualcuno di quelli che ancora vanno via nei week-end, quelli che hanno le auto coi cerchi e che chiamano risorse i colleghi, quelli che si possono permettere un abito al mese e che parlano un italiano tutto imbrattato d’inglese, ecco, quelli si prostrerebbero. Impariamo a scuola ricavo, guadagno, spesa e perdita, ma lei questa parola non la vuole conoscere, mentre quelli la sanno dire in inglese. E ci parlano di profittabilità mentre cavalcano una nave bucata.

Se solo la notassero, la scoprissero, la studiassero, ne farebbero il loro vessillo.

(Nata a Pavia nel 1973, dove si è laureata in fisica teorica e dove vive, Fiammetta Galbiati per diversi anni è stata tra quelli che chiamano “risorse” i colleghi, poi, nel 2008 ha iniziato a scrivere racconti. Alcuni di questi sono stati pubblicati in raccolte della Giulio Perrone Editore, divisione LAB e sul magazine 30×60 della Scuola Holden di Torino.)

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3 Commenti

  1. Molto toccante, una vera pagina di questa crudele realtà che viviamo oggi.
    Complimenti per il racconto!

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Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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