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Camera 304
di
Stefania Hauser

Sebastiano dorme beatamente, ne approfitto per uscire sul balcone a guardare il panorama. Il lago è una falsa rappresentazione del mare, se sei nata a Genova e se ci hai vissuto per trent’anni, ma da qui si apre davanti ai miei occhi un panorama che pretende ossequioso rispetto, infatti, prendo una sedia e mi accomodo. Se fumassi, avrei acceso una sigaretta e s Esse fosse qui già l’avrebbe fatto. Dondolo tra i ricordi, come se oscillando riuscissi ad avvicinarmi a tal punto da afferrarli, ma lei qui non c’è e non cambierebbe niente se mettessi più slancio. Quanta acqua sarà? Quanti litri, intendo?

Ho sempre avuto difficoltà a quantificare le cose, devo crearmi un’ipotetica unità di misura e moltiplicarla all’infinito, quindi, quante vasche da bagno sarà questo lago? Prendo la prima e la adagio al porticciolo che vedo ad est, ne metto accanto un’altra, orizzontalmente, e continuo cercando di essere il più precisa possibile, mentre ripeto a voce alta il numero, ogni volta che questo aumenta: trentacinque, e ancora non ho raggiunto la sponda orientale, quarantuno, non sono nemmeno a metà strada, ma resto concentrata sull’orizzonte e aggiungo altre vasche da bagno, cinquantadue, in fondo, si tratta solo di calcolare la prima fila per poi moltiplicarla, no? Ok, ma moltiplicarla per?

Ci penserò dopo… Settantuno. Meglio prenda dei punti di riferimento, però, per capire da dove far ripartire il conteggio se qualcosa dovesse distrarmi, settantanove, dove in linea retta c’è quella terrazza, con le sdraio, ottantuno, l’insegna del bar, novantuno, il lampione, centouno, le fronde dell’albero, centoundici, la postazione del bagnino, centoventuno, la boa del sub, centotrentuno, centotrentadue, centotrentatre, centotrentaquattro. Centotrentaquattro vasche da bagno da una riva all’altra, e adesso per quanto devo moltiplicare? Ops, ti sei accorta che non stiamo parlando di una forma ben definita? Non è un rettangolo, devi considerare la conformazione della costa, quando si apre, quando si restringe, quindi? Quindi parti dalla punta occidentale e ne sistemi una in verticale tracciando una linea immaginaria di vasche da bagno, le conti fino all’orizzonte, ammettiamo per un istante che tutto sia possibile, poi calcoli tutte quelle che stanno alla destra del confine e, come se stessi facendo un puzzle, incastri le vasche da bagno alla litoranea; stessa cosa ad ovest, anche se da questa parte è molto più semplice perché scorre la strada panoramica e non ci sono troppe curve. Ma quanta acqua sarà?

Prova ad indovinare: secondo te? Non riesco ad immaginare, davvero… E mentre il lago assomiglia sempre più al bagno di casa mia, proseguo con le moltiplicazioni, e sono parentesi tonde e quadre, numeri pari e dispari che ondeggiano, acqua trasparente che non ha profondità (non posso permettermi di calcolare anche quella, non ho gli strumenti né l’unità di misura adatta), una distesa di h2o, una spiaggia di vasche da bagno. E poi succede sempre così, quando sto per concludere, quando i miei sforzi stanno per essere ricompensati, ecco che Sebastiano si sveglia e perdo il conto. Quante vasche saranno? Tieni a mente il numero tra una riva e l’altra, ci riproverai un’altra volta.

Essere mamma mi costringe a non lasciarmi trasportare troppo lontano dalle mie divagazioni mentali: se mio figlio non si fosse svegliato, sarei ancora lì a moltiplicare vasche da bagno e, perché no, sarei poi passata ad animare gli oggetti intorno a me (mi diverto a dargli vita propria), oppure, avrei finito con rimanere intrappolata nel mio passatempo preferito: osservare una cosa, o una persona, da un punto di vista specifico e circoscritto e non nel suo insieme, per poi accorgermi che cambia fisionomia. È divertente e più facile di quanto sia riuscita a spiegare, prova concreta è che lo sto facendo proprio in questo momento, mentre cambio il pannolino a Sebastiano: guardo il suo viso partendo dalle labbra – ma sarebbero potuti essere il naso, le orecchie, gli occhi – e lascio che il mio sguardo sul suo viso si estenda a macchia d’olio, palesandomi lineamenti che prima non avevo osservato e che probabilmente non noterei, se guardassi mio figlio nella sua totalità facciale. Va detto che, qualunque sia il punto di vista da cui si osserva, Sebastiano non smentisce la sua bellezza.

Ripasso a voce alta tutto ciò che d’indispensabile va messo nella borsa per una passeggiata con un bambino di venti mesi, ho preso tutto, sistemo Sebastiano sul passeggino, operazione che richiede sempre diversi minuti perché non ne vuole sapere di stare seduto, aggiungo, come sempre, qualcosa all’ultimo momento – in quest’occasione ho preso un libro da leggere – ed eccoci pronti per uscire all’aria aperta.

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2 Commenti

  1. Grazie mille del testo…buono a sapere che non sono l’unica a far pensieri strani ogni tanto :)

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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