Scrittori per scrittori (Eugenides, Krauss, Lahiri)
di Davide Orecchio
Mesi fa (settembre 2011), al festival del New Yorker, tre scrittori pop molto quotati e famosi (Jeffrey Eugenides, Jhumpa Lahiri e Nicole Krauss) parlarono di scrittori per scrittori, o di scrittori amati da scrittori, o anche di superscrittori. Ciascuno dei tre presentò la sua lista di autori preferiti (quasi tutti del secolo scorso) e lesse un passo del più importante.
Eugenides (The Virgin Suicides, Middlesex, The Marriage Plot), iniziò con Denis Johnson (e poi Vladimir Nabokov, e Saul Bellow).
Lahiri (Interpreter of Maladies, Unaccustomed Earth, The Namesake) scelse Mavis Gallant, Andre Dubus, Gina Berriault.
Nicole Krauss (Great House, The History Of Love, Man Walks Into a Room), virò verso la Mitteleuropa: Thomas Bernhard, Bruno Schulz, W.G. Sebald e Danilo Kiš.
Nessuno dei tre si trovò d’accordo sui nomi. Ma neppure sui modelli. Nel senso che, ad ascoltarli, si scopriva che uno scrittore per scrittori può essere di tanti tipi. Un autore d’insuccesso, troppo sofisticato per il grande pubblico (secondo Lahiri). Uno straniero non tradotto o che magari mostra nuovi percorsi stilistici ad autori che leggendolo decideranno di emularlo (secondo Krauss). Oppure, anche, un maestro riconosciuto che, al pari di un jazzista, comunica su più livelli e con interlocutori diversi (Eugenides).
Forse la definizione più acuta la diede Lahiri: un “writer’s writer” è uno scrittore che non perde la furia, l’idiosincrasia e la purezza dell’esordio. Non le baratta per sentieri facili. Vive uno stato creativo da opera prima perenne.
Lahiri era intelligente, bella, non sorrideva mai. Serissima. Forse scocciata. Neppure le battute di Eugenides (dei tre, l’oratore faceto) le strappavano un sorriso. Krauss era la secchiona del gruppo, molto Oxbridge e coltivata, più imbarazzata degli altri dalle domande del pubblico.
I tre vendono milioni di copie in tutto il mondo. Così che potremmo definirli autori WWW: worldwide writers.
“A writer’s writer maintains an integrity, a certain purity of vision”: “Uno scrittore per scrittori conserva in sé un’integrità, una sorta di purezza”, sentenziò Lahiri.
Ma volendo se ne può ascoltare la voce.
Il primo a parlare è Eugenides, la seconda Krauss, la terza Lahiri. Poi le voci si mescolano un po’. Quella che pone domande è la moderatrice, la redattrice del New Yorker Deborah Treisman, che in un passaggio si lamenta di Denis Johnson: “Non risponde mai al telefono quando lo cerco. Risponde sempre la moglie che m’informa: ‘E’ fuori a pescare’”. Dal che si deduce che Mr. Johnson sarà anche uno scrittore per scrittori, ma non è uno scrittore per giornalisti.
E’ strano che con gusti complessivamente così buoni, poi non riescano ad andare al di là di una più o meno aurea mediocritas. O forse no, se sono WWW.
Certo è difficile valutare Krauss raffrontandola a Sebald, o Lahiri a Gallant e Dubus. Ma forse sarebbe anche unfair. Il fenomeno del loro successo probabilmente è sganciato dalla raffinatezza dei loro gusti. potrebbe anche darsi che qualcosa o qualcuno nell’industria editoriale impedisca a Eugenides & Co. di seguire fino in fondo la strada dei loro scrittori preferiti (alcuni dei quali, vedi Dubus, rimasero sempre piuttosto negletti). Oppure è una loro scelta consapevole: quella di non voler fare la fine di Dubus.
interessante! grazie mille!
grazie a te!
Dei tre, ho letto solo le opere di Jeffrey Eugenides, e Eugenides non mi sembra affatto di mirare in basso, nelle sue storie, anzi.
Un saluto!,
Coda
Be’ se gli scrittori non trovano più punti di riferimento in quelli più bravi, possiamo chiudere bottega tutti quanti. Uno su x poi magari ce la fa a dimostrarsene, a modo suo, all’altezza.
credo che l’ammirazione di Lahiri per Gallant sia veramente sincera, ai limiti della devozione letteraria. Alcuni anni fa Granta pubblicò una lunga intervista-saggio Lahiri/Gallant (http://www.granta.com/Archive/106), che nacque durante un ciclo di letture: qui c’è anche il video http://www.granta.com/New-Writing/Lahiri-Gallant