A Cure for the Blues
di Orsola Puecher
Nel piccolo saggio ⇨ Come curare la malinconia Mark Twain recensisce l’esordio tardivo, o forse ritardato, sicuramente a scoppio ritardato di un oscuro scrittore di provincia, G. Ragsdale McClintock, con il suo breve ma denso capolavoro “L’amore trionfante”. L’aulica e barocca narrazione delle affinità elettive e dell’amore contrastato tra i due protagonisti, gli indimenticabili, se non altro per i nomi, Elfonzo e Ambulinia.
Il nemico conquistato, ovvero, L’amore trionfante.
di G. Ragsdale McClintock autore di “Un discorso” ecc.
nato a Sunflower Hill, Carolina del Sud
e insegnante alla Yale Law School. New Haven
edito da T. H. Pease, Chapel Street, 83. 1845.
Il libro è delizioso. Lo chiamo libro perché l’Autore lo chiama così, lo chiamo opera perché opera lo chiama l’Autore; ma, in realtà, si tratta semplicemente di un opuscoletto in dodicesimo lungo trentun pagine. Fu scritto per desiderio di fama e di denaro, come l’Autore, molto sinceramente – sì, e anche molto speranzosamente, poveretto – asserisce nella prefazione. Il denaro non affluì mai, il libro non rese neppure un centesimo; e quanto a lungo, quanto pateticamente a lungo, la gloria è stata differita… quarantasette anni! L’Autore era giovane, allora, e tutto ciò sarebbe stato prezioso per lui a quel tempo; ma potrà curarsi ancora della ricchezza e della gloria, adesso?
Mark Twain
Come curare la malinconia [1906]
[ Traduzione di B. Oddera ]
ed.Passigli 2001
Dallas Blues di Hart Wand [1912]
Fats Waller con la Ted Lewis Band [1931]
Se qualcuno lo aprisse, “anche se la casa debba bruciargli intorno”, ne rimarrebbe “incatenato”.
Ci dice Twain.
Ma da cosa?
Il fascino del libro sta nella sua totale “assenza di qualità”, fatto naturalmente ignorato dall’autore, come spesso accade, e nella particolarità che sarebbe raro riscontrare altrove “una bruttezza deliziosa e introvabile” come questa.
“Questo scrittore è un paladino dell’eloquenza”, ci illude Twain, che sarebbe “la sua creatura prediletta”. Egli doveva “essere eloquente o perire” e così ha una prosa “abbagliante, tempestosa, vulcanica“, e man mano si scopre che è così eccessiva da diventare orrendamente kitsch.
Orrido e sublime vi si congiungono quasi carnalmente.
“Le parole roboanti, enfatiche, magari con qualche senso, ma senza rovinare il suono” ci descrivono uno sperimentalista spinto e per di più inconsapevole. Un avanguardista in anticipo.
“La sua eloquenza è un cratere che erutta“ ed è a suo modo un “rivoluzionario”, perché “non permette mai che il significato si intrometta”.
La sua frase simbolo è ”come il più alto topazio su una torre antica”, like the topmost topaz of an ancient tower, un ardita metafora che sprizza altezze, colori&lucori, lasciando intravedere chissà cosa, anche se, per quanto la si rilegga e la si rigiri, “non esiste in lei il minimo significato”.
Come trovare oggi un qualche epigono dello stile del McClintock?
”Egli imita gli stili di altre persone ma nessuno può imitare il suo, neppure un idiota.”
Con quel suo infarcire la prosa di continue metafore?
”Si serve a vanvera delle metafore.”
Con quel suo richiamarsi a episodi di cui non si parlerà mai più in seguito? Con quel suo mettere in bocca ai suoi personaggi un linguaggio da visionari esaltati?
“La pomposità ha la violenza di un uragano.”
”Altre persone possono piagnucolare il sentimento McClintock, lo vomita.”
”Non è mai pertinente in nessuna pagina.”
Una suprema coerenza nell’incoerenza. Un metodo nella follia. Un’oscurità così costante e convinta ebbe poi dei continuatori?
I personaggi, ammesso che meritino questo nome, le entità passeggere e vaneggianti che appaiono qui e là, hanno “nomi esattamente e fantasticamente adatti alla sua pazzia“, come Elfonzo e Ambulinia, appunto.
Tutti usano un linguaggio esagerato e ampolloso.
“Confido , signore, che come l’aquila contemplerò dall’alto delle rocce superne le dimore dell’uomo”
Dirà un certo Roswell a Elfonzo, sprecando tanta vis, non per descrivere un’impresa da eroe classico, come si potrebbe supporre, ma semplicemente per illustrare la sua carriera di modesto praticante in uno studio legale.
”Tra mille e delicati e armoniosi strumenti spicca la nota squillante del “trombone” e “sfonda la nebbia musicale.”
E’ quasi impossibile trovare un altro scrittore dotato di questa rara e sorprendente abilità di stuzzicare la curiosità del lettore e poi subito di deluderla, saltando di palo in frasca. Delocalizzarla, straniarla, in un continuo, profetico, detournement.
I personaggi appaiono a sorpresa, come succede per la fidanzata del protagonista, Ambulinia. Si materializza dal nulla, in un boschetto, e, mormorando, nel nulla sparisce, così, senza alcuna preparazione o spiegazione.
“Nel seno di Ambulinia dormiva un’anima nobile… un’anima indefettibile… un anima che non poteva mai essere conquistata”.
E infatti il saggio padre della ragazza, prima di concederla a quel fanatico di Elfonzo, si opporrà in ogni modo alla conquista e alla sospirata unione, costringendoli a continui piani di fuga. Non si rivela l’esito dell’ultimo, il piano di fuga numero 16 e il clamoroso finale per non rovinare la suspense all’eventuale e forse davvero improbabile lettore. Sì. Perché c’è un solo piccolo particolare: McClintock non esiste, in una finzione borgesiana Twain inventa lo scrittore e gli ampi stralci della sua opera per scrivere questa sua impareggiabile arguta stroncatura. Il che sarebbe, a tutt’oggi, ancora un’ottima idea. Il metodo critico twainiano è una magistrale e graffiante antifrasi. L’intento profondo è il descrivere, apparentemente lodandone per eccesso i difetti, il totale opposto, il vero e proprio negativo, di quella che era la scrittura stessa di Twain, del suo tentativo di creare un linguaggio che, attraverso l’introduzione della lingua parlata, riproducesse del mondo una visione naturale, vicina alla gente. Con il desiderio di essere letto, non dalle élite intellettuali, dagli accademici, ma dalla moltitudine meno colta, quella che secondo lui aveva più bisogno di parole, quella a cui lui si rivolgeva, il pubblico delle sue affollate e applauditissime conferenze, quello dei lettori dei giornali popolari. E, al contempo, è come se egli ci volesse mettere in guardia dal McClintock annidato dovunque, pronto a contaminare le pagine, pronto a impadronirsi delle parole, a piegare il senso a un puro delirio estetico, il sentimento alla retorica più deteriore e a far entrare in scena gli spiriti afflitti di Elfonzo e Ambulinia.
La cura per la malinconia dunque in cosa consisterebbe? Forse nel fatto che leggere l’altrui bruttezza rallegra e consola, massaggia e lenisce l’ego del genio sepolto, anche nei migliori. Bisogna però dire che raramente uno scrittore è riuscito a parlare del mestiere di scrivere con tanta ironia e leggerezza, ma anche con una simpatia così paradossale e comprensiva per un collega sfortunato, per il Mr. Hyde semantico, per l’alter ego diabolico che ci par sempre di vedere appollaiato malignamente sulla spalla sinistra della scrittura.
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A dir la verità lo stile di G. Ragsdale McClintock mi ricorda molto quello di tanti autori italiani miei contemporanei… ;-)
ma no..!!
Davvero notevole. Il mio primo pensiero era stato: vuoi mettere un passero solitario rispetto al più alto topazio? poi ho letto fino alla fine e… W Orsola Puecher e Mark Twain!
Piccola aggiunta: l’antifrasi si riferisce in genere a una singola parola o a un breve enunciato. Il discorso ‘antifrastico’ è governato dall’ironia, come categoria più generale, e diventa spesso quello che i greci chiamavano il ‘logos eschematismenos’, o’discorso figurato’, un discorso, appunto, che ‘traveste’ il suo contenuto.
Oops: speriamo non mi legga Mark Twain
ecco a chi si sono ispirati i politici nostrani per i loro roboanti panegirici che profumano di supercazzola lontano un miglio..
http://www.rockofthearts.com/mp3s/09%20-%20GARBAGE%20-%20Blood%20for%20Poppies.mp3
“Un giorno incontrai Pesca alla trota in America, indossava un pianoforte a mezza coda e suonava la tromba. Le note uscivano dalla campana e, dopo aver suonato i tasti del pianoforte, rimbalzavano per terra e se ne andavano a spasso tra la gente…mi fermai e gli chiesi come mai fosse così elegante e lui con gli occhi mi indicò qualcuno che stava passando di lì..era Chet Baker.. che mi disse “ Il pianoforte ha in se tutta la musica, lo indossi ed essa ti penetra dentro e dall’interno di te fuoriesce, eterea e immateriale.. i pensieri si intrecciano alle emozioni, ti fa buttare fuori quello che hai dentro, tutte le sensazioni e le percezioni, e ti permette di rendere evanescente anche la realtà”. Ringraziai Chet, salutai Pesca, raccolsi una nota, me la misi n tasca e continuai a camminare accompagnandomi nell’aria.”(Trout Fishing in America,by Richard Gary Brautigan)
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