Orazio, Odi, I, 11, 17, 37
Traduzioni isometre di Daniele Ventre
XI
Tu ne quaesieris (scire nefas) quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Vt melius quicquid erit pati!
Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare 5
Tyrrhenum, sapias, uina liques et spatio breui
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit inuida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
XI
No, Leucònoe, tu non chiederai (empio conoscere) quale fine a te e me diano gli dèi, né con i calcoli dei Caldei tenterai. Quel che verrà, meglio tenerselo. O più inverni per noi Giove ha fissato, o sarà l’ultimo che alle opposte scogliere ora disfà l’onda tirrenica: saggia, tu mesci il vino, aprila al tuo spazio fuggevole la tua lunga speranza. Ecco, parliamo e va’ via l’invida età: cogli il tuo giorno e nel domani non ci credere!
XVII
Velox amoenum saepe Lucretilem
mutat Lycaeo Faunus et igneam
defendit aestatem capellis
usque meis pluuiosque uentos.
Inpune tutum per nemus arbutos 5
quaerunt latentis et thyma deuiae
olentis uxores mariti
nec uiridis metuunt colubras
nec Martialis haediliae lupos,
utcumque dulci, Tyndari, fistula 10
ualles et Vsticae cubantis
leuia personuere saxa.
Di me tuentur, dis pietas mea
et Musa cordi est. Hic tibi copia
manabit ad plenum benigno
ruris honorum opulenta cornu; 15
hic in reducta ualle Caniculae
uitabis aestus et fide Teia
dices laborantis in uno
Penelopen uitreamque Circen; 20
hic innocentis pocula Lesbii
duces sub umbra nec Semeleius
cum Marte confundet Thyoneus
proelia nec metues proteruum
suspecta Cyrum, ne male dispari 25
incontinentis iniciat manus
et scindat haerentem coronam
crinibus inmeritamque uestem.
XVII
Veloce Fauno spesso al Lucretile ameno dal Liceo viene ed evita alle caprette mie la vampa della calura e i piovosi vènti. Senz’alcun rischio spose dell’olido caprone, al quieto bosco perdendosi, cercano occulti àrbuti e timo, né più paura ai capretti fanno marziali lupi, lividi colubri, finché del dolce flauto riecheggiano le valli, Tindari, e le balze sdrucciole d’Ustica digradante. Gli dèi mi sono scudo: dèi curano la mia pietà e la musa, qui fertile d’onori rustici Abbondanza ne offrirà appieno dal lieto corno. Fuggirai i fuochi della Canicola qui in chiusa valle, poi sulla Teia cetra Penelope e la chiara Circe dirai che hanno pianto un uomo. Dell’innocente Lesbio qui il calice berrai all’ombra e il figlio di Sèmele Tiòneo non verrà con Marte in lizza né temerai guardinga che il fiero Ciro getti i suoi avidi artigli su di te ben più debole e rompa il serto che riposa sulle tue chiome e l’inerme veste.XXXVII
Nunc est bibendum, nunc pede libero
pulsanda tellus, nunc Saliaribus
ornare puluinar deorum
tempus erat dapibus, sodales.
Antehac nefas depromere Caecubum 5
cellis auitis, dum Capitolio
regina dementis ruinas
funus et imperio parabat
contaminato cum grege turpium
morbo uirorum, quidlibet impotens 10
sperare fortunaque dulci
ebria. Sed minuit furorem
uix una sospes nauis ab ignibus,
mentemque lymphatam Mareotico
redegit in ueros timores 15
Caesar, ab Italia uolantem
remis adurgens, accipiter uelut
mollis columbas aut leporem citus
uenator in campis niualis
Haemoniae, daret ut catenis 20
fatale monstrum. Quae generosius
perire quaerens nec muliebriter
expauit ensem nec latentis
classe cita reparauit oras,
ausa et iacentem uisere regiam 25
uoltu sereno, fortis et asperas
tractare serpentes, ut atrum
corpore conbiberet uenenum,
deliberata morte ferocior:
saeuis Liburnis scilicet inuidens 30
priuata deduci superbo,
non humilis mulier, triumpho.
Ora si deve bere, ora battere la terra a piede sciolto, ora il tempio dei numi con banchetti degni dei Salii andava adornato, amici. Da celle avite attingere il Cècubo era empio prima, quando fanatiche rovine al Campidoglio e lutto una regina tramò all’impero, con il perverso gregge suo d’uomini da morbo infetti, pronta a promettersi di tutto, e ubriaca della sorte lieta. Però ne fiaccò il furore la sola nave ai fuochi superstite, la mente ubriaca del Mareòtico gliela svegliò a giusti timori Cesare, a remi incalzò il suo volo via dall’Italia –come le tenere colombe il falco o ai campi d’Emonia nevosi il cacciatore insegue l’agile lepre –a gettare il mostro fatale in ceppi. Lei, cuore nobile, cercò la morte, né come femmina temé la spada, né su navi agili andò per nascosti lidi, ma con sereno volto osò assistere al crollo del palazzo, e inflessibile toccare le aspre serpi, a imbere d’atro veleno le proprie membra, superba nella morte, scegliendola: sfuggendo alle nemiche liburniche, negò così d’essere tratta, lei fiera donna, al trionfo altero
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Cribbio se sei bravo. Mi sembra di leggerle per la prima volta.
Grazie -ma forse si potrebbe aggiustare ancora qualcosa. Si vedrà.
Mi ricordo di te all’università quando mi spiegavi la metabole :-) (è piccolo il mondo – mi ricordo anche degli altri ragazzi di Odradek)
io ho tradotto 86 dei 116 carmi di Catullo (frammenti compresi)
utilizzando vari metri sull’esempio delle traduzioni del primo e secondo libro delle Odi di Orazio
avendo per fine quello di renderli con metri e rime italiane, ho dovuto parafrasare in più punti, però ci sono stati anche alcune *felici* confluenze di metrica, rima e significato letteralmente reso, come il
VERVM DISPEREAM NISI AMO = ma ch’io muoia se non l’amo
(che assegna naturalmente l’ottonario come metro alla traduzione)
quod laudavit A. Cozzolino (vir frugi ac perilluster)
la traduzione questa stessa ode di Orazio (eh, del resto è celebre!) la inviai al professore titolare di questo blog
http://catalepton.altervista.org/analisi-contrastiva-di-traduzioni/hor-carm-i-11/
comincia da questo punto:
Ah! Tu nol chiedere,
(ché non è lecito….
come vedi c’è una discreta quantità di amplificazione e parafrasi in alcuni punti, per poter rispettare il modello di sfrofe usato dal Leopardi nella traduzione dell’ode a Postumio
non mi sgridare troppo, io sono fatto così, Anche Enrico Flores del resto lesse una volta in aula delle sue traduzioni di *cantica* dalle commedie di di Plauto ed erano versi ottonari, ma tutte le censure che mi farai io non posso che accettarle, data la tua preparazione che posso testimoniare a chi non ti conosce
credete a chi na ha fatto esperimento
Ego nunc, hoc tua reliqua in loco, avide lectito lectitaboque
e mi scusi Quintiliano la disconveniente clausola
Bella la tua traduzione in quinari :) (sì il mondo è davvero piccolo)…
aspettiamo altre traduzioni allora; personalmente, a me l’INDEX TRANSLATIONUM dell’unesco
http://portal.unesco.org/culture/en/ev.php-URL_ID=7810&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html
(online solo i dati dal 1979 ad oggi, quelli precedenti vanno cercati in qualche biblioteca che possieda l’edizione cartacea)
è sempre stato di grande utilità più di una volta, per scoprire quei testi e quelle opere mai tradotti prima