Meditazioni joxiane #5
di Dario Voltolini
La funzione di Israele, popolo fiero al servizio dell’impero, o dell’impero a servizio di Israele sulla minuscola, riarsa e desertica Palestina mandataria non è più utilizzabile rispetto all’equilibrio regionale. L’unico ruolo di Israele, dunque, sembra risiedere nella creazione di un prototipo di guerra urbana di periferia, priva di prospettive di pace ma in grado di delimitare perimetri di sicurezza in stile apartheid, modello che potrebbe servire a livello globale nella maggior parte delle metropoli del Sud del mondo e tecnicamente interessante per i militari statunitensi. L’asservimento di Israele a un simile interesse imperiale è ormai del tutto suicida.
Il paragrafo riportato qui sopra si trova nella prefazione all’edizione italiana al libro di Joxe [pag.19]. Siccome è stata scritta nel luglio del 2003, è la parte più recente del volume. Sono passati alcuni mesi e l’unica cosa che mi sembra sia cambiata nella situazione che Joxe analizza è che a quel tempo la guerra in Iraq poteva dirsi conclusa, mentre oggi non sappiamo più cosa dire.
Israele è il punto cruciale. Si dice che Israele sia l’unica democrazia da quelle parti. Bene. Vediamo una questione attinente alla democrazia (alle democrazie):
La situazione odierna pone alle democrazie nate dalle rivoluzioni antimonarchiche (inglese, francese o americana) e a tutta la loro discendenza un problema molto serio: decapitando il re (oppure cacciandolo), le democrazie perseguivano l’obiettivo del trasferimento della sovranità al popolo, ai cittadini, diventati per sempre autonomi, liberi dinnanzi allo stato, uguali rispetto ai nobili e persino fraterni con il clero. Questa rappresentazione strategica della pace di stato viene messa in discussione: oggi la sovranità sottratta agli stati-nazione viene per ciò stesso sottratta tanto ai popoli quanto ai re. Non appartiene neppure ai “tecnocrati”, bensì alle grandi imprese e all’interno di queste – per il momento – ai dirigenti piuttosto che agli azionisti, ossia al parlamento delle imprese in cui si vota per censo. Gli azionisti possono sanzionare l’impresa vendendone le azioni, i mercati rifiutando di acquistarle, ma la vera strategia opera attraverso la diplomazia delle fusioni e acquisizioni, una diplomazia più segreta e spettacolare di quella dei re del passato [pag. 38].
Il Potere è dunque per ora in mano ai dirigenti d’azienda. Le dinamiche diplomatiche del Potere sono movimenti di acquisizione e fusione (e fallimento, sovrastima, e così via, verrebbe da dire; o è tecnicamente sbagliato? non lo so). Il potere dei tecnocrati sembra ancillare al Potere, quindi. I tecnocrati per un verso, gli azionisti per un altro verso, non possiedono sovranità. E i militari?
L’evoluzione bombardesca della strategia clintoniana dell’allargamento del mercato delle imprese pone la questione se esista un Potere finanziario e un suo braccio militare, oppure due Poteri, uno finanziario e uno militare, o un solo Potere finanziario e militare e così via. Il fatto principale però resta questo, che sia le imprese, sia i bombardieri, sia la tecnologia, vedono una supremazia totale degli Stati Uniti. L’identificazione degli Stati Uniti con il Potere è dunque quasi impossibile da evitare. Eppure concettualmente bisogna mantenere una distinzione. Infatti in quanto democrazia gli Stati Uniti sono nella condizione delle altre democrazie (tra cui Israele, l’Argentina, noi), che è quella di una perdita di sovranità. La democrazia americana, con tutto il suo indotto simbolico e politico e le sue fondamenta storiche e le ramificazioni nell’immaginario e nella vita culturale dell’occidente e chi più ne ha più ne metta, è ancora sovrana? Pensiamo agli Stati Uniti con schizofrenia palese tutti quanti, destra sinistra sopra e sotto, pensandola come democrazia nei giorni pari e impero nei giorni dispari. L’esito di questa schizofrenia è soltanto riempire palinsesti e colonne, invitare ospiti e dare o togliere la parola. Ma se invece fosse che gli Stati Uniti come concentrazione di aziende leader sono il principale nemico delle democrazie, compresa quella degli Stati Uniti? Quali Stati Uniti starebbero quindi esportando quale democrazia all over the world?
Parliamo dei morti americani in Iraq, che Joxe non poteva contare quando scriveva il suo libro. Non sono forse i morti della democrazia americana voluti dall’impero? Quanti dovranno essere prima che la sindrome del Vietnam ritorni a fare capolino nell’elettorato americano?
Un giorno dello scorso anno fui chiamato a “incontrare gli studenti delle scuole” in piena mobilitazione pacifista sventolante dalle finestre delle case italiane. Una cosa organizzata dalle istituzioni (un assessorato, credo all’istruzione, se ricordo bene). Alla massa vociante e pacifista non sapevo cosa dire. Siccome ero contrario all’intervento in Iraq, sono andato a fare quello che ritenevo un atto coerente. Certo che il collega scrittore Tawfik aveva più cose da dire di me, lui che è iracheno (è nato in quella che si chiamava Ninive: questa cosa mi fa sempre una certa impressione). Ma insomma, anche se ormai nessuno ascoltava più – le masse vocianti, pacifiste o no, non hanno mica intenzione di ascoltare niente – borbottai qualcosa di sufficientemente irrilevante da non dovermene vergognare fino al termine dei miei giorni. Ma una cosa mi venne in mente come un’illuminazione, e provai a dirla. Dissi: “Tra qualche tempo, mesi, anni non so, tutte le diverse anime che oggi sono unite nel comune movimento pacifista dovranno confrontarsi non solo tra di loro, ma anche con il problema di come fare a uscire da questo culo di sacco in cui ci stiamo andando a mettere”. Si trattava di mesi.
Oggi persino Silvio è alle prese con questo problema. Figuriamoci i pacifisti.
E Israele?
Di fronte alla “barbarie” delle guerre del nostro tempo, ammettendo che le loro cause siano attuali, si deve anche riconoscere che il peggio è sempre possibile: si può immaginare che in certe condizioni la violenza politica si sviluppi come un inferno razionale, organizzato con una logica fredda, e che i suoi responsabili siano disposti ad accettare di praticare la crudeltà senza odio e senza timore. Il ricordo del nazismo deve aiutarci a immaginare tale evoluzione come globalmente possibile, così come lo fu in Europa sotto il tallone di Hitler, delle Ss, dei campi e della Shoah [pag. 25].
Io ammetto una volta ancora la mia difficoltà a vedere una linea di continuità nella difesa dei valori democratici che passi pel la Shoah e arrivi a vedere Israele come nemico. Questo passaggio mi riesce quasi impossibile. Ma forse intravedo nella dinamica di sottrazione della sovranità agli stati-nazione da parte dell’impero la possibilità di considerare Israele (in quanto democrazia) e gli Stati Uniti (in quanto democrazia) vittime loro pure delle strategie imperiali (degli Stati Uniti come impresa-tecnologia-esercito e di Israele come suo esperimento sul campo). Qual è il soggetto che può opporsi alla politica dell’impero? Secondo Joxe – e qui ammetto di non riuscire a immaginare come – deve rientrare in gioco il concetto di “repubblica”:
…oggi si pone la questione di uno spirito repubblicano di sinistra su scala europea, se vogliamo che l’Europa sia una democrazia e agisca efficacemente sul tipo di globalizzazione imposto attualmente dall’impero [pag. 54].
Joxe si dichiara ottimista. Come conseguenza a una premessa. Ecco premessa e conseguenza:
Già per Aristotele, è sempre la giustizia, nata da un rapporto di forza, che genera la fratellanza, non è la fratellanza che genera la giustizia. Ma secondo Clausewitz, le forze morali concorrono alla costituzione delle forze politiche allo stesso titolo di quelle militari. Le convinzioni etiche veicolate dalle religioni o da qualunque altro sistema di valori fanno certamente parte dei rapporti di forza. Non sono le forze che mancano, si tratta di ripensare la loro organizzazione, a dispetto della rottura del patto tra i popoli e gli stati e malgrado i nuovi patti segreti tra gli stati e le imprese.
Per questa ragione, a dispetto del carattere atroce del mondo contemporaneo, continuo a pensare che si possa fondare una ricerca ottimista, a partire dalle origini stesse della repubblica come protezione del popolo sovrano. Questa definizione di Hobbes è “predemocratica” [pag. 57].
Prima di vedere più da vicino cosa intende Joxe, vorrei citare ancora due passaggi, a mo’ di pensieri della notte. Sono due pensieri sul socialismo.
Il primo:
I populisti e i socialisti di oggi sono pronti ad affermare, tanto in linea di principio quanto nei fatti, la loro solidarietà con le classi sfruttate del Terzo mondo? Con i gulag cinesi? Con i bordelli thailandesi? con le ragazzine malesi? Con le prigioni dell’Alabama? Non ne sarei per niente sicuro [pag. 53].
Il secondo:
L’analisi imperiale manca di strumenti di analisi a memoria lunga, e coltiva sistematicamente la convinzione che la caduta dell’Urss abbia rappresentato la fine del socialismo reale, mentre si può egualmente pensare che ne costituisca l’inizio [pag. 162].
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Ho provato a leggere con attenzione queste meditazioni, pur non avendo letto prima Joxe, perché anche a me sembra cosa urgente porre rimedio alla sostituzione del Potere fatto di blocchi contrapposti, Occidente liberista, Oriente comunista, da parte di un potere ancora più ottuso e pericoloso, il neoliberismo con l’adorazione del Mercato Unico arbitro delle sorti umane.
Mi chiedo se non sia giunto il momento di provare a pensare i rapporti tra popoli su basi diverse da quelle della reciproca aggressione, che hanno portato sicuramente ad una crescita della tecnologia e della potenza economica , ed in fin dei conti del benessere materiale dell’Uomo Occidentale, ma lo hanno privato della possibilità di arricchire la propria cultura con lo scambio alla pari tra le culture che invece abbiamo brutalmente portato ad estinzione. Parlo ovviamente proprio della Nazione Indiana, ma anche della cultura Maya, dei nativi americani del Centro America e del Sud, di culture a noi ignote nei territori dell’Oriente sovietico, delle tante culture che, per quel che ne sappiamo, forse avrebbero potuto imprimere al pensiero moderno direzioni completamente diverse, se solo avessimo dato loro il tempo di esprimersi…. Dice Kapuscinsky in Ebano “il dramma delle culture è consistito in passato nel fatto che i loro primi contatti reciproci sono stati quasi sempre appannaggio di gente della peggior risma: predoni, soldataglie, avventurieri, criminali, mercanti di schiavi e via dicendo….Questa monopolizzazione dei rapporti interculturali da parte di una classe rozza e ignorante ha determinato la pessima qualità dei rapporti reciproci…il razzismo divenne un’ideologia per definire il posto della gente nell’ordinamento del mondo”- Alla luce della attuale situazione mondiale, non mi pare che le cose siano cambiate considerando quali messaggeri abbiamo inviato a portare la cultura occidentale in Iraq: e, per di più, mi sembra che prenda di nuovo piede una pericolosa radicalizzazione dello scontro di religione, che ricorda il “Deus lo vult” delle Crociate. Mi riferisco qui non solo allo strapotere degli Imam nell’Islam o al Sionismo militarizzato di Sharon, ma anche alla subdola commistione tra potere politico, economico e di persuasione sociale che è alla base ad esempio del successo della Compagnia delle Opere in Italia, o ai Cristiani Nonmiricordocome che sostengono il buon George Dabliù… Non vi pare?
Davanti a tutto questo, forse sarebbe giusto fare piazza pulita non solo dell’ideologia del Mercato motore unico delle cose umane, ma certo anche del “fattore Dio”, come lo ha chiamato Saramago in un’intervista dello scorso anno su Repubblica (cito a memoria, sperando di non sbagliare). Mi piacerebbe che la scala dei valori si potesse rovesciare, abolire la parola guerra dal vocabolario, perché abitudine gravemente nociva alla salute del pianeta. Mi piacerebbe che la curiosità reciproca tra le culture, la ricerca di soluzioni originali alla fatica di vivere di tutti noi, divenissero il motore della conoscenza , sostituendo l’adorazione della tecnologia e la ricerca dell’immortalità che porta avanti oggi l’Uomo Bianco. E mi piacerebbe infine che anche nella remunerazione si invertissero i criteri di merito; e che quindi chi si occupa dell’uomo, dei nostri bambini, dell’educazione e della cultura, guadagnasse solo un pochino di più di chi maneggia il vile denaro…proprio un sogno utopico.
Sono prolissa, scusate…in Rete per ora si può.