Il film già visto

di Helena Janeczek

“È un film già visto”. Sarà perché pochi giorni prima avevo invocato la fine della fiction, che questo commento, uno dei più ricorrenti sui fatti di Roma, mi è parso tra più insidiosi. Gli infiltrati, i black-bloc, i “nuovi brigatisti” – dopo gli scontri del 15 ottobre è partito un rewind dove lessico e immaginario si sono proiettati indietro di dieci anni o di oltre trenta. Il pericolo non è solo acquisire come note di cronaca che i ragazzi coinvolti nella guerriglia sono quasi tutti troppo giovani per ricordare il G8, e in molta parte sembrano essersi formati negli stadi. La trappola mentale è proprio quella di vedere un film già visto.Non è solo il ministro Sacconi a voler scorgere negli indignati futuri banchieri e finanzieri, falsificando la realtà di una crisi che si abbatte su chi protesta pacificamente e su chi brucia le auto, su chi guarda il tg, perfino su chi plaude alle leggi speciali. E’ per cercare di rispondere globalmente a un processo che colpisce in modo senza precedenti le vite di chi abita anche nel cosiddetto mondo avanzato, che i movimenti sparsi per il pianeta hanno voluto darsi un appuntamento concertato. Solo in Italia, però, sembra essere andato in onda “il film già visto.” La differenza dovrebbe essere politico-culturale visto che non è il versante socio-economico a distinguerci dalla Spagna. Solo in Italia esiste la costante di un potere così opaco e di una politica così scollata e screditata da propagare un senso diffuso di impotenza, alimentando una passività che blocca la consapevolezza critica dal tradursi in impegno condiviso. Chi inscena guerra, vorrebbe di nuovo strappare la maschera a quel palinsesto impermeabile. Non ha alcuna fiducia che altre forme di lotta possano diventare non solo forti e partecipate, ma reali. Sembrano esserlo inconfutabilmente le vetrine infrante, le carcasse d’auto, i volti – anche i propri – insanguinati o tumefatti. Eppure, al tempo stesso, la scena viene rubata ad altri, i corpi e i luoghi fisici trasformati in scenografie e comparse. Si ripropone una logica opposta e speculare dello spettacolo, dove nel ripetersi del “teatro di guerra” va letteralmente in fumo la percezione delle varianti. E’ anche questa la trappola che rende tutto più facile ai padroni del palinsesto.

pubblicato in versione più breve su L’Unità, 18 ottobre 2011.

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36 Commenti

  1. Helena, concordo in pieno. aggiungo: ho la sensazione che il teatro di guerra inscenato a san giovanni debba molto a Mejerchol’d.. forse lo cito a sproposito, ma a che fare con una sorta di automatismo – chiuso, senza dialogo. E che sia schiavo proprio di “loghi” – concettuali, poltici – ormai incapaci di produrre cambiamento – la stagione del conflitto si è esaurita a mio avviso, col 900. E poi tristemente anche di “loghi” iconici, a aprtire dalla felpa e dal sognarsi, autoesaltandosi, come un graffito di Banksy..

  2. Solo in Italia c’è stata la strategia della tensione, solo in Italia c’è stato lo scontro dei terrorismi rosso e nero (in Germania la cosa venne risolta alla svelta, non dimentichiamo come), solo in Italia c’è stata la P2 eccetera eccetera. La Storia (sempre che questo concetto abbia un senso) va avanti per cesure e rivoluzioni ma anche per persistenze di media e lunga durata. Da noi dominano queste ultime perchè è un paese scarsamente dinamico, strutturato intorno a forme sociali dotate di grande forza inerziale (una su tutte:la famiglia. E poi la chiesa cattolica, che non si limita certo ad essere una forma sociale). Da noi i grandi cambiamenti epocali arrivano sotto forma di percolato. Per questo stiamo ancora a rimestare nella stessa pentola gli stessi moti convettivi, anche se la minestra, intanto, ha cambiato in gran parte i suoi ingredienti.

  3. durante le interminabili ore dello spoglio nelle elezioni politche,almeno fino al 1985 ricordo che in tv davano sempre lo stesso film,il capostipite del genere catastrofico:Krakatoa,est di giava(non credo a caso.Per tenerci incollati alle nostre paurose esistenze,temo)

    http://sissis.unipa.it/sito/levis/studenti/AA2007_ind1/thunder/caradonna/HOME%20PAGE/lavori%20prodotti/Colonne%20Sonore%20-%20Documentari%20-%20Theme%20of%20Super%20Quark%20-%20Bach%20-%20Aria%20sulla%20Quarta%20Corda.mp3

  4. Condivido il senso generale di questo articolo.

    Non condivido la frase: “Solo in Italia esiste la costante di un potere così opaco e di una politica così scollata e screditata da propagare un senso diffuso di impotenza.”

    Credo che all’estero non siano per niente messi meglio nel rapporto potere politico/cittadinanza, così come nel rapporto sinistra/cittadinanza. Sono anzi messi peggio (e non solo in questa contingenza, ma storicamente) in USA e in GB, dove praticamente non esiste più (negli USA non è mai esistita) una classe politica di sinistra, e pure in Francia dove vorrei ricordare solo le banlieu e la scarsissima considerazione di cui hanno goduto Chirac e Sarkozy, per non dire dello sfascio totale della sinistra.
    In Italia il problema sappiamo quale è, il signor B. e la sua banda di criminali che governano il paese e controllano l’informazione. E questo problema della politica è esteso all’opinione pubblica, ai giornalisti, che sono il loro braccio propagandistico: è da lì che parte il rewind del lessico. E in questo senso anche i giornalisti non schierati con il regime spesso non fanno di meglio dei servi del padrone – che non sono giornalisti, sono degli squadristi con mezzi di stampa.

  5. Però – anche a torto, Lorenzo – non c’è un senso comune che il cittadino è sempre esautorato dalle trame oscure di un potere nominalmente democratico, ma che sotto fa quel cazzo che gli pare.

  6. Lo so, la versione che circola è che l’Italia sia indietro, che non riesce a diventare una vera democrazia parlamentare e baggianate simili.
    A me, guarda un po’, mi sembra tutto il contrario, che l’Italia sia la triste avanguardia di questa parte di mondo, che sia insomma la dimostrazione del fallimento di questo strano connubio di principi liberali ed aspirazioni democratiche.
    Rifletteteci per bene, e ditemi se ciò che va succedendo in Italia anche col regime berlusconiano non sia la dimostrazione dimostrata del fallimento dei principi liberali e del loro ripudio di un’etica condivisa come una condizione non richiesta per una civile convivenza.
    Ciò, ovviamente non implica che l’Italia stia meglio di altri paesi, ma al contrario che le cose peggiorano col trascorrere del tempo, e che l’Italia sta peggio degli altri proprio perchè è più avanti: anche questo fa parte del ripudio dell’ideologia nuovista, del considerare automaticamente meglio ciò che è più nuovo.
    Tornando al tema dell’articolo, potremmo dire che il maggiore degrado a mio parere epocale e non contingentemente determinato da Berlusconi come alcuni ancora consolatoriamente credono (Berlusconi appunto come effetto e non causa), determina a sua volta forme di lotta più degradate su cui è importante questo giudizio negativo ma senza isterismi.
    Quando infine, in Italia, o altrove, i principi liberali saranno definitivamente sconfessati (c’è qualcuno che ricorda ancora come il liberalismo sia sorto come giustificazione postuma diu un capitalismo già trionfante?), allora l’umanità potrà andare avanti: a me sembra più probabile che ciò succeda nella mai liberale Italia che altrove.

  7. Il tipo e le modalità della “violenza” del 15 ottobre a Roma, ossia quando la violenza non è insurrezionale, fanno gioco al sistema. C’è stato uno “spreco di violenza”, per dire in termini economici, che non aveva in sé alcuna ragione politica (solo, semmai, “ragioni” di scontro militare), e che ha fatto silenziare le ragioni politiche dei movimenti, mentre stampa e partiti non aspettavano altro per dar fiato alle loro prediche. Così, il risultato politico immediato sono state le invocazioni di una nuova legge Reale (ricordo che quella “vecchia” aveva dato alle forze di polizia la facoltà di sparare sulla gente al primo sospetto), da parte di certi tribuni del “ppoppolo” – che dimostrano così la loro vera caratura – e il divieto di Alemanno di fare manifestazioni a Roma per un mese (perché poi per un mese? mah). E non è escluso che dietro una parte almeno di quella “violenza” ci sia stata una accorta regia politica, come ci fu a Genova nel 2001, col via vai di incontri delle alte cariche istituzionali dello stato – oggi anche all’opposizione – con le alte cariche delle forze dell’”ordine”.
    Bisognerebbe poi distinguere tra violenza alle cose e violenza fisica alle persone, credo sia una distinzione elementare, soprattutto quando ci si dimentica che noi tutti cittadini dello Stato italiano siamo stati e siamo in guerra in Yugoslavia, Irak, Afghanistan, e oggi in Libia, che ci piaccia o no, perché l’unico modo per tirarcene fuori oggettivamente (e non per salvarci l’anima soggettivamente affermando la nostra – peraltro sempre più rara – contrarietà) sarebbe quello di cambiare nazionalità e continente.
    I movimenti attuali dovrebbero fare un bel seminario definitivo sul concetto di violenza e le sue modalità “consentite”. Ma definirla a livello teorico non basta, perché poi nei fatti la violenza resta il nodo scorsoio stretto attorno al collo dei movimenti. Così è stato a Genova, dove i movimenti si sono sbriciolati sullo scoglio della “violenza” di quei giorni, e se ne sono tornati ciascuno al loro ovile, chi nelle parrocchie, chi nelle sedi di partiti “rivoluzionari”, chi in centri sociali e marce di Assisi e Tavole per la pace. Speriamo che quel copione non si ripeta oggi, e che i movimenti si dimostrino più maturi. Perché la posta in gioco non è roba da poco.

  8. A integrazione di ciò che dice Vincenzo, copioincollo questa – per me- folgorante nota di Francesco Pecoraro dal suo profilo fb.

    “Nei fatti di ieri c’era qualcosa di simbolico.
    Da un lato lo Stato, per convenienza politica, non VOLEVA intervenire.
    Dall’altro l’opposizione in piazza, per debolezza politica e organizzativa, non POTEVA impedire quello che stava accadendo.
    Il vuoto in cui i casseurs potevano agire indisturbati era il vuoto politico in cui da anni stanno transitando le nostre stesse esistenze, dove può accadere (ed è accuduto) di tutto.”

    Dopodicché: ammesso che forse siamo tra i primi a sperimentare la rottura dell’equilibrio tra democrazia e capitalismo (per farla ancora più semplice), non credi che laddove è più radicato il sentimento di essere cittadini ossia soggetti politici, non si stia rivelando anche più facile inaugurare nuove forme di prassi politica?
    Volendo poi, per la questione italiana, si può tornare molto più indietro – a Leopardi, Macchiavelli, Guicciardini ecc.

  9. @ Helena.
    Probabilmente è il concetto stesso di ‘democrazia’ intesa come stato di diritto, liberale a non avere più senso, ahimé. [rimando a Bifo e a Formenti e al loro interessantissimo “l’eclissi”]
    Il liberismo ha ucciso il liberalismo, e non è la prima volta che questo accade.
    Il problema è enorme e va a braccetto dell’altro, quello della veniente, ma ancora non sopravvenuta, nuova ‘soggettività rivoluzionaria’
    Questo vuoto che acutamente Pecoraro individua, il nodo scorsoio della riflessione sulla ‘violenza’ che ancora una volta rischia di stringersi al collo dei movimenti, evocato da Bugliani, galleggiano forse in questo mare…
    Siamo in una situazione post-democratica? E – nel caso – questo che significherebbe? Quali strategie ci richiederebbe, quali nuovi soggetti del cambiamento sarà capace di produrre, quale violenza ammetterà come necessaria e indispensabile, quale invece ricaccerà nell’inferno del crimine comune?
    Che l’Italia sia ancora una volta il laboratorio nel quale il liberismo verifica in vitro gli effetti del suo pasto cannibalico a base di liberalismo, mi stupisce poco, anche questo ahimé è un ‘film già visto’.
    Non credo che altrove vada meglio, piuttosto che altrove le maschere siano tenute ancora ben strette al viso, qua no, qua, in laboratorio, se ne può fare a meno. Come a Genova. Nel 2001.
    Non credo, si badi, che i fatti di Roma siano in qualche modo paragonabili a Genova, non credo che a Roma ci fossero BB, piuttosto giovani deliranti, passati direttamente dagli stadi e dai videogiochi alla piazza, che si sono assunti una terribile responsabilità, violando la libertà di noi tutti di manifestare in altro modo. Giusto o sbagliato che fosse avevamo diritto a farlo.
    Credo però che non sia un caso che solo a Roma il 15 ottobre sia stato quello che è stato e credo fermamente che occorra fare dei distinguo, tra ciò che è accaduto tra via Cavour e Labicana e gli scontri a San Giovanni, quando, ormai rinchiusi in un ‘cul de sac’, anche i più miti dei manifestanti non hanno potuto che difendersi dalle cariche e dai caroselli, assolutamente inutili e controproducenti, della polizia.
    Fare ordine pubblico non significa chiudere una folla nell’angolo e pestarla a sangue, dopo aver lasciato che qualche centinaio di disgraziati criminali facessero quello che volevano. Significa l’esatto opposto: prendere quei disgraziati e metterli immediatamente (meglio ancora ancor prima ;-) in condizione di non nuocere e permettere alle centinaia di migliaia di persone che volevano manifestare in altro modo, di farlo…
    Ma questo è anche un problema dei movimenti: non si portano 300.000 persone (che sono un mare) in piazza senza uno straccio di servizio d’ordine e di organizzazione.
    A Roma sabato non è stato possibile nemmeno concordare l’ordine in cui i singoli spezzoni del corteo sarebbero sfilati… Tutto ciò è imperdonabile e gravissimo, e questo no, non è ‘un film già visto’, e spero bene che non si dovrà mai più vederlo.
    Infine, forse sono OT, ma una cosa su Er Pelliccia voglio dirla: se era tra quelli che hanno spaccato a Via Cavour, via Labicana, ai Fori, allora che sconti quello che merita. Ma, siccome allo stato ho visto solo foto di San Giovanni, se non è così, non mi sta bene che chi si è difeso a San Giovanni paghi anche per i deliquenti che hanno fatto tutto il disastro precedente. Per chiarezza. I capri espiatori mi hanno sempre fatto orrore.
    Non è stata una buona idea impugnare quell’estintore, povero Er Pelliccia, avesse tirato sanpietrini, sbarre, elefanti, neutrini, passi… Ma un estintore no, per chi tira estintori in Ytaglia vige la pena di morte, o almeno il carcere duro… Che il dio dei ragazzini protegga Er Pelliccia, se davvero se lo merita…

  10. Lello, preferisco evitare la lettura degli articoli sui casi umani, con estintore o senza, kattivi o buoni. Però, certo che è sfiga aver potuto riproporre e ARRESTARE pure uno con l’estintore, a proposito di rewind.

    Formenti, sempre – grazie!

    Ah, vi linko questo articolo di Stefano Chiodi (storico dell’arte e critico) che riprende – con più spazio e spessore del mio pezzullo da giornale – la questione dell’immaginario. C’è una foto che se non ci fosse sullo sfondo un cartello che rimanda a Roma, sarebbe identica a quella finita su x copertine e pure – rielaborata – magliette. Icona, in pratica.
    http://www.doppiozero.com/materiali/fuori-busta/la-violenza-illustrata

  11. Più che articoli sui casi umani direi sui casi ‘antropologici’, ed anche iconici, visto l’estintore seque: quella foto sembra il manifesto de “Il ragazzo con l’estintore 2…”

    L’efficacia dei simboli sui meccanismi di funzionamento dell’immaginario collettivo mi pare confermata :DDD

  12. @ Helena Janeczek
    dici
    “Chi inscena guerra, vorrebbe di nuovo strappare la maschera a quel palinsesto impermeabile. Non ha alcuna fiducia che altre forme di lotta possano diventare non solo forti e partecipate, ma reali. ”

    ma ne sei davvero convinta ?
    e ammesso che cio’ che tu dici sia vero, che facciamo applaudiamo questa messa in scena anche se dovesse costare la vita di qualche ragazzo o di qualche poliziotto ?

    Insomma che differenza c’e’ tra chi vuole ad ogni costo giustificare un comportamento stupido e irresponsabile e quei genitori che picchiano i professori se ai loro figli viene dato un voto cattivo?

  13. @Helena
    Temo che la semplificazione che fai (democrazia contro capitalismo, invece che contro liberalismo) impedisca di seguire il mio ragionamento.
    Seppure è vero che iol liberalismo è sorto come giustificazione del capitalismo, ciononostante esso si è dimostrato in qualche modo capace di vita propria. In particolare la parola d’ordine dell’ “uguale libertà” ha un suo fascino ancora oggi, ed alimenta una sua propria retorica.
    E’ un discorso che ci porterebbe lontano, e non si può assolutamente riassumere in un breve commento.
    In tanti paesi occidentali questa forma di liberalismo libertario ha tanta presa nella popolazione, ancor più se giovane, da essere divenuto senso comune, una forma di ideologia occulta come tale difficile da superare.
    Da noi, è comunque meno forte, un modo di pensare meno ovvio. Sono convinto che tuttora la nostra società, molto conformista, lo è ancora un po’ meno delle altre società occidentali
    Naturalmente, tutto questo ragionamento si basa sulla convinzione che qui non posso argomentare, della negatività deli principi liberali, una malattia da cui l’umanità dovrebbe uscire al più presto.

  14. Non giustifico nulla, Carmelo. Cercavo di mettere a fuoco uno (uno solo) dei meccanismi che spingono verso quello sfascio e quel disprezzo delle “carnevalate”, per cui ti senti fichissimo se strumentalizzi un corteo in mezzo ai fischi di gran parte del medesimo, fottendotende degli studentelli e delle imbelli donne con bambini che si fanno prendere dal panico, quando comincia il tuo programma bellico. Dovrebbe risultare abbastanza chiaro dalle ultime righe, in cui dico che chi ha usato la violenza, sta facendo il gioco del potere anche sul piano dell’immaginario. Ma forse non lo è….

  15. d’accordo Helana forse ho capito male e me ne scuso.
    In ogni caso io lo trovo un comportamento conseguenza di un modello ocnsumista e vuoto, dove non c’e’ posto per la riflessione politica, il rispetto civico, il senso del bene comune. Lo trovo un comportamento molto vicino alla perversione edonista di berlusconi che ha inculcato il primato dell’interesse personale, che si puo’ persino violare la legge e compiere atti criminali pur di soddisfare i propri desideri.
    Dietro non ci vedo miseria materiale, consapevolezza politica e soprattutto vedo dei ragazzi che non hanno il coraggio di assumersi alcuna responsabilità.

    per inciso chi pagherà i danni materiali ?
    Lo stato e il comune suppongo.
    praticamente i cittadini.
    E mi viene da ridere e da piangere leggendo su l’Unità

    Lui si chiama Fabrizio ed è il black bloc «di buona famiglia» ritratto in piazza mentre lancia un estintore, un 24enne che va all’università privata e gioca partite a tennis arrestato oggi con l’accusa di resistenza pluriaggravata. Lei si chiama Beatrice, 17 anni, era in piazza per una gioiosa indignazione e la sua delusione si è tradotta in lacrime che hanno fatto il giro del web.

  16. A me è stata raccontata un’altra versione. I ragazzini in preda a furore incontenibile, quasi tutti tra i 18 e i 24 anni, erano molti di più che poche centinaia: migliaia e migliaia. Pur deprecando la violenza, mi sento di dire questo: l’unico atteggiamento serio, da parte dei politici, sarebbe quello di fare mea culpa e cercare di rimediare iniziando a dare qualche opportunità reale (altroché legge REALE!) a un’intera generazione lasciata senza prospettive. La lezione vera che dovrebbero trarre da quanto accaduto è che sta circolando una RABBIA vera, che dilagherà sempre di più e spingerà anche i più pacifici a reagire in modo esasperato all’offesa grave e recidiva di governare pensando soltanto ai privilegi personali. Si ritorni all’idea sana di politica: RISOLVERE I PROBLEMI COLLETTIVI E ANDARE INCONTRO AI BISOGNI DELLA GENTE.

  17. Ho letto molti articoli sui fatti di Roma, visto molti video, letto interessanti discussioni e dibattiti su cosa sia andato storto, su come poterlo non far più accadere, su pratiche di metodo che si interrogano su come e quanto usare violenza, se sia giusto, se non sia giusto. Ci ho messo un pò a focalizzare bene le mie domande essendo rimasto affascinato, inizialmente, da questa “poetica” della guerriglia che ha improvvisamente sostituito la “narrazione” della politica, per usare parole vendoliane. Non uso le parole poetica e narrazione a caso, la narrazione richiede ragionamento, metodo, scopi, la poesia è improvvisa, esplosiva, ispirata, raccoglie in pochi segni grafici, in questo caso segni simbolici, dei concetti che la narrazione della politica fatica a esprimere. Questo mi ha portato a guardare la cosa da una posizione, diciamo, più distante dell’immediata fascinazione per le scene di chaos che nessuno sa spiegare perché, tutti più o meno stigmatizziamo ma molti, io almeno, lo confesso, hanno visto (o vissuto) con un brivido sulla schiena, che non era porprio un brivido di piacere ma, diciamo, soddisfazione. Come se vedere quelle vetrine rotte, quella camionetta in fiamme, quei giovani che tiravano sassi come fossero in guerra avesse espresso, in un pomeriggio, la frustrazione, l’impotenza che giovani o meno giovani ci portiamo dentro da troppo tempo. Si è detto che siamo un generazione senza grandi traumi, parlo della mia dai 70 in poi, non abbiamo avuto guerre, terrorismo, antagonisti contro i quali confrontarci che non fossero lo stadio o il politico di turno che man mano che passa il tempo diventa sempre più indistinguibile, politicamente parlando. Il veltrusconismo citato da Pannella mentre riceveva sputi in faccia, per intenderci. Per farla breve, siamo arrabbiati, furiosi, ma non sappiamo bene con chi prendercela. Mi sono chiesto, leggendo le discussioni circa le pratiche sul “come agire”, come mai sembrasse che tutti sapessero benissimo di cosa stessero discutendo, come se si sapesse chiaramente chi è il nemico, anche se non lo leggo mai comparire a chiare a lettere. Mi spiego. Se uno sta perdendo il lavoro, va sotto al posto di lavoro e lotta per averlo. C’è un fine, che è mantenere il proprio posto di lavoro. Idem dicasi per quelli che combattono la TAV, c’è un fine, fermare il cantiere. O gli studenti che si battano per non far passare una riforma scolastica. Ma a Roma, cosa è successo? Qual era il fine? Ho provato a immaginarmi dei poliziotti improvvisamente illuminati che scortassero il corteo fino alle porte di montecitorio, che li facessero entrare. Ho immaginato i giovani scatenare la loro rabbia e distruggere la bouvette, lanciare le poltroncine in aria, mettere a ferro e fuoco il parlamento. E poi? Cosa sarebbe rimasto? Cosa si sarebbe ottenuto? Voglio dire, fatta esclusione per chi intende manifestare pacificamente e ha come obiettivo togliere Berlusconi perché ha la speranza che la Bindi o Bersani o Vendola o Di Pietro siano meglio, gli altri, quelli che questa speranza non ce l’hanno, quelli che vedono i politici “tutti uguali” (presente, questo è il mio partito) cosa cavolo vogliono ottenere? Chi è il nemico? Voi lo sapete? Perché a me sembra che lo sappiano tutti chi è il nemico e cosa vogliono ottenere, perché io non lo so? Quando leggo i manifesti dei ventenni che recitano “noi il vostro debito non lo paghiamo” chi dovrebbe pagarlo? E vostro che vuol dire? Hanno vent’anni, trent’anni, quarant’anni (come me) sono cresciuti a aria o qualcuno li ha fatti crescere, mantenendoli? Quindi il debito è anche loro, nostro. E con chi ce l’abbiamo questo debito? Io ho capito che questo debito ce l’abbiamo con l’europa. Dunque è l’europa il nostro nemico, che ci ha sottratto zitta zitta la sovranità nazionale? No, per capire, perché se è così, bisogna mettere a ferro e fuoco Bruxelles e riprenderci la nostra sovranità nazionale, perché mi pare che il governo berlusconi sia un semplice attuatore della lettera della BCE, e un governo di sinistra avrebbe attuato allo stesso modo alla lettera la lettera della BCE, che a quanto pare è il vero utilizzatore finale. Questo rimanendo sull’idea di individuare un obiettivo politico reale, ma poi c’è anche la fascinazione per il chaos. Mi sofrzo di riconoscere, di ammettere, alla luce dei fatti, che c’è chi mette a ferro e fuoco una città perché gli piace il chaos, lo farebbe comunque altrove, trova solo forme diverse dove sfogarsi. Il chaos è la sua risposta alla domanda che non si è fatto. Stadio o manifestazione poco cambia. E questo gruppo di persone, che sociologicamente mi interessa molto, fatto non di centinaia di ragazzi, o decine, ma di migliaia a quanto pare, è davvero convinto di quello che fa? Er pelliccia, vuole davvero barattare il suo benessere per il chaos, ne è convinto? Vorrei chiederglielo. Oppure è solo annoiato? Perchè potrei rispettare un desiderio di distruzione nichilista, non viviamo in un bel mondo, non c’è giustizia sociale, ci possono essere mille cause che ti portano a pensare meglio distruggere tutto che vivere così. Ma davvero si ha il coraggio di barattare il proprio “benessere” (virgolette volute e marcate) per il chaos? Se la risposta fosse sì, ci si potrebbe aspettare di tutto. Se la risposta, come immagino, è no, queste esplosioni di violenza sono fine a se stesse. Se invece si riuscisse ad individuare un obiettivo politico reale da attuare, valevole per tutti, forse le cose potrebbero cambiare. Ed è qui che secondo me la politica si è fatta di fumo. Non riesce a cristallizare le motivazioni del malessere, a indicare una strada da poter perseguire con forza. La sinistra si sfrega le mani e pensa adesso tocca noi, dopo Berlusconi, ma a molti questo non basta. Vogliono una strada nuova. Purtroppo, a malincuore, mi tocca riconoscere che l’unico che stia provando a cristallizzare queste urgenze sia Grillo, di cui non mi fido. Almeno indica quattro o cinque obiettivi reali, politica partecipativa e reale raprpesentanza dei cittadini, abolizione dei privilegi dei “professinisti della politica” che dovrebbero tornare al ruolo di “prestati alla politica” (i famosi cinque anni e poi a casa) il diktat che vuole fuori i condannati dal parlamento. Sono tre cosette semplici ma almeno sono “diverse” e reali. Ma bastano? O il nemico vero è quello che ci chiede i soldi dall’europa? Scusate il lungo post, ho solo provato a mettere insieme i pensieri confusi di questi giorni.

  18. Grazie, Alessandro. L’articolazione della confusione può essere più illuminante dell’affermazione di semi- (o pseudo-) certezze.
    Perché tocchi molti nodi importanti.
    Questo movimento globale sta cercando di articolare una critica al mondo governato dalle politiche neoliberiste e agli sbocchi devastanti che sta creando. E’ un nemico a sua volta globale, raffigurabile in certi luoghi spesso altrettanto simbolici che reali, dove il massimo della concretezza si tocca a Wall Street o con la BCE intesa come palazzone di Francoforte. Non è il cantiere da bloccare, la fabbrica da tenere aperta, la scuola da difendere.
    Poi, in Italia, le cose si complicano perché si somma lo schifo per la politica nostrana.
    Ma proprio per quel che ho detto sopra, l’obiettivo principale – secondo me – sarebbe aggregare le persone per rendere visibile il rifiuto collettivo di subire tali politiche quali leggi di natura, trovare luoghi per discutere, scambiare conoscenze, formare – scusa l’espressione d’antan- le coscienze. Ed è un lavoro da fare insieme, dove – sempre a mio parere- conta più il work-in-progress per forza faticoso e tentennante che il singolo slogan magari non realisticamente sostenibile. Dico “magari” perché non mi sono ancora fatta un’idea se l’eventualità dell’default per l’Italia sia una prospettiva preferibile (per la Grecia probabilmente le cose stanno diversamente). Insomma, bisognerebbe anche studiare un bel po’ tutti quanti. Ma a parte questo, la carica simbolica di “il debito non è nostro” scandita dai ragazzi mi sembra convincente e, in questa prospettiva, anche veritiera. E’ vero che con i tagli alle scuole si sta appianando qualcosa che al limite (e per questo le cose si complicano) si presenta sotto la forma dei Bot e Btp che possono essere i risparmi dei loro nonni e genitori. (anche qui ci sarebbe da studiare bene chi possiede veramente gran parte del debito italiano).
    In ogni caso, per portare queste problematiche in piazza, ossia farne il centro di un’azione politica condivisa, non c’è bisogno di luoghi particolari. Puerta del Sol, per esempio, è semplicemente una piazza centrale e così e Plaza Catalunya ecc.
    E’ per questa ragione che la violenza mi sembra senza scopo e senza senso. Il fine principale in questa fase è quella di costruire un movimento, far capire che si occupa di questioni che quasi tutti vivono sulla propria pelle. I palazzi del potere li assalti, se pensi di poterli prendere,e cerchi di attaccarli anche solo simbolicamente, se credi di avere tanta forza dietro da farli perlomeno un po’ tremare.
    Quel che è successo a Roma è qualcos’altro. Qualcuno sembra aver avuto la volontà politica di impedire che la manifestazione d’esordio del movimento in Italia fosse non-violenta trovano sponda nella voglia di moltissimi ragazzi di spaccare tutto.
    Il nichilismo del “prendiamoci il presente” a suon di mazzate può essere esercitato in un corteo come fuori da uno stadio, può convivere con la voglia di avere una fidanzata fica e l’Iphone (lo so che mi vengono in mente le cose più banali, scusate)- in pratica si può essere insieme disperatamente incazzati e conformisti.
    Non mi pare per nulla strano e scandaloso che si possa anche scorgere proiettivamente in quei ragazzi scassa tutto delle figurazioni della propria rabbia. Anch’io – per dire – qualche volta avrei voluto strozzare qualcuno o almeno schiaffeggiarlo, ma non l’ho fatto.
    Ma qui si tratta di tenere ben separate le due cose. Anche perché ci sono persone ferite realmente e perché i ragazzi arrestati la pagheranno in termini che oggi mi figuro assai più pesanti per il loro futuro di quanto non sia successo a altre generazioni antagoniste.
    Non è per giustificare, ben inteso, ma per distinguere il piano su cui possiamo provare simpatia o disprezzo da quello reale.
    E’ su quello che la violenza è un mero sfogo distruttivo e autodistruttivo.
    Magari le “carnavalate” non cambiano niente, ma i riots sono uno sfogo cieco che peggiora la situazione. Quindi una manifestazione pacifica okkupata da riottosi è politicamente suicida.

  19. Comunque Helena temo che con la violenza e la rabbia bisognerà farci i conti. O si riesce a canalizzarla, a indirizzarla, (vedi intervento di Bifo appunto) o temo che sarà sempre più nichilista e luddista, fatta per il gusto di farla.

  20. @ alessandro Ardunini
    ho letto con un po’ di fretta, e me en scuso, il tuo lungo post.
    Vorrei provare a soffermarmi su due punti:

    1) l’idea di considerare poetici questi atti di violenza , gratuiti, inconsapevoli e di fatto pericolosissimi, come atti poetici e addirittura capaci di fascinazione, scusami la trovo un po’ decadente, dannunziana….per non dire peggio.

    2) dici
    o ho capito che questo debito ce l’abbiamo con l’europa. Dunque è l’europa il nostro nemico, che ci ha sottratto zitta zitta la sovranità nazionale?

    No , non è così semplice la “narrazione”.

    intanto il debito dello stato italiano è per la metà circa (non sono aggiornatissimo sulle statistiche) domestico, ovvero di persone fisiche ( magari i genitori dei giovani che manifestano) società enti finanziari, banche; l’altra metà è estero. Estero vuol dire per l’appunto, persone fisiche, società, fondi comuni di investimento, etc non necessariamente europee.

    provo a fare un piccolo ragionamento veloce sperando di non annoiare.

    Io, tu, i giovani che manifestavano, Helena, insomma tutte le persone con fascia di reddito medio medio.bassa da decenni comprano l’auto indebitandosi, attarverso i cosiddetti prestiti personali o prestiti al consumo. e magari compriamo cosi’ la tv l’ipod l’ipad la lavatrice etc etc.
    In pratica siamo vittime e complici del sistema di mercato.
    negli ltimi decenni c’e’ stato una aumento spaventoso dei profitti a danno dei salari stipendi. Questa situazione (non solo ma possiamo dirlo) crea uno squilibrio diciamo una eccesso di offerta, di produzione e l’insorgere sempre piu’ minaccioso della disoccupazione.
    Per sostenere la domanda ovvero i consumi e quindi indirettamente le vendite e i profitti, negli ultimi decenni l’economia di mercato ha spinto in modo inverosimile per l’appunto i consumi attraverso i prestiti personali, le carte di credito i mutui prima casa etcetera, specialmente in USA e GB ) confidando in una produzione futura di ricchezza futura capace di rimborsare il debito.
    A rischio di essere banale si puo’ dire che la creazione di sofisticati strumenti finanziari (derivati futures etc) di fatto è servita a moltiplicare la “ricchezza virtuale” confidando nella sua materializzazione futura.
    Lo stesso meccanismo è avvenuto per il debito pubblico.
    Lo stato quando gli incassi (imposte) sono minori dei pagamenti (spesa pubblica, piu’ o meno produttiva, stipendi pubblici, inevstimenti pubblici ovvero scuola, sanita strade professori etc) cosa fa?
    va sul mercato e chiede un prestito confidando di poterlo pagare in futuro grazie alla “crescita” cioe’ alla rcichezza che conta di produrre.
    Se chi presta i soldi (persone fisiche banche fondi etc) ha fiducia di essere rimborsato bene continua a prestare all’infinito, se ha paura di perdere i soldi allora comincia a svendere i titoli. Ovviamente La speculazione puo’ giocare un ruolo importante ma è l’effetto non la causa.
    Il rpoblema aggiuntivo dell’Italia è che la spesa pubblica è improduttiva olter ad essere molto privata (corruzione, tangenti, infiltrazioni mafiose, spese clientelari, elargizioni alla malavita elargizioni clientelari per mantenere il consenso etc etc).
    Il problema dell’italia è cioè gravissimo, come dice Hele4na, la poca richhezza che abbiamo viene rapinata dalle rendite mafiose corporative (farmacie notai oligopoli petroliferi assicurativi) e criminali (mafia e commesse cientelari etc). Siamo cioè un sistema medievale
    Per decenni le classi subalterne in cambio delle bricciole (pensioni di invalidità oppure assunzioni pubbliche inutili insicilia per esempio) hanno dato il loro consenso a una classe politica che ci sta portando a fondo.
    Che fare?
    questo è il punto.
    secondo me bisogna fare due cose.
    allineare l’economia agli standar di efficienza (le competenze, il merito, gl iinvestimenti nella ricerca etc etc etc) agli standard europei, facile a dirsi

    affrontare come tutti i paesi occidentali la crisi sistemica dell’economia di mercato
    che ci deve spingere a elaborare un nuovo pensiero, nuovi comportamenti, nuova scala dei valori (non solo morali ma anche economici: per esempio, l’aria pulita ha un valore? il paesaggio?) che siano in grado di misurare la “crescita” del benessere secondo altri parametri.
    Pe rfare questo ci vuoel passione. rigore, studio, metodo.

  21. Ma certo, Alessandro. Infatti è per questo che può essere utile riconoscere il piccolo casseur dentro di sé. Anche se proprio questo, forse, può dare adito a malitesi perché non sono proprio sicura sicura che la frustrazione la rabbia gli istinti luddisti e nichilisti che abbiamo dentro noi somiglino davvero a quel che hanno sfogato sabato molti ragazzi politicizzati allo stadio (“politicizzati” è descrittivo non ironico – andrebbe conosciuto meglio anche quel mondo lì, per esempio).
    La vedo assai difficile. Chi ha provato a costruire un riferimento per i questi ragazzi sono troppo pochi – tra di essi, appunto, i centri sociali e sul versante opposto – aihmé- Casa Pound.
    Credo che per riuscirci, tuttavia, dovremmo smetterla di voler anche noi calarci nei loro panni non nei modi della comprensione, ma dell’identificazione di chi vuole sentirsi dentro ancora ggiovane e incazzato. Dovremmo assumerci la posizione che ci compete. Noi (parlo per me, ma immagino che anche tu avrai più di vent’anni) siamo adulti rispetto a loro. Dovremmo dire come la pensiamo in modo netto – anche sul senso di ingaggiare scontri con la polizia e, al tempo stesso, ascoltare, capire, fornire gli strumenti che abbiamo in più, essere disposti a metterli in discussione. C’è troppa paura di essere paternalisti in questo cazzo di paese gerontocratico in cui la forma dominante di esercizio di potere sui giovani – oltre all’esclusione pura e semplice – è il vampirismo. Mazziati e cornuti.

  22. @Carmelo: Ardunini no, dai. Mi hai letto davvero troppo di fretta mi sa.
    @Helena: Mi sembrano parole importanti le tue, soprattutto per quanto riguarda l’assunzione di responsabilità dei ruoli. Io per il momento mi sforzo di interpretare, non avrei davvero la presunzione, dal basso dei miei 37 anni, di indicare qualsivoglia strada. Temo di non avere neanche strumenti migliori dei loro. E sono molto scettico sul fatto che la politica possa risolvere la questione da sola. Per questo la posizione di Bifo mi sembra molto ragionevole, come la tua, d’altronde.

  23. Mi sembra che l’invito di Helena a studiare un po’ di più tutti quanti a proposito del debito, del default, dell’euro e della BCE sia un modo per uscire dal dibattito (e relativo tormentone) sulla violenza, sui casseurs, sul cui prodest e infiltrazioni varie. Gli strumenti ci sono, chi bazzica in rete non può non finire, anche per sbaglio, in questi siti o blog di discussione, le iniziative non mancano, il ventaglio di proposte è piuttosto ricco e articolato, c’è il gruppo di Giulietto Chiesa, ci sono quelli di “Fuori dal debito! Fuori dall’euro!” di Rivoluzione Democratica, quelli di “Il debito non lo paghiamo” di Alternativa, quelli di “Dobbiamo fermarli!” dell’area di Sinistra Critica, quelli della “Campagna per il congelamento del debito”, c’è stato un seminario tenutosi a Madrid, dal 7 al 9 ottobre 2011, con la partecipazione di oltre trecento persone di vari paesi –fra questi economisti e studiosi del problema del debito degli Stati- che ha proposto un audit sulla legittimità del debito contratto dalla Spagna, e il 22 e 23 ottobre ci sarà un convegno a Chianciano sulle stesse problematiche. Per cui chi vuole un’idea se la può fare.

  24. La scritta più rivelatrice è Oggi abbiamo vissuto.
    Un’epoca più impotente di questa non c’è mai stata.
    L’impotenza genera aggressività.
    L’aggressività si sfoga nelle manifestazioni. Violente o non violente. Sulla non-violenza bisognerebbe fare tutto un discorso, ma sarebbe troppo lungo. Rimando al saggio di Losurdo intitolato La non-violenza, appunto.
    Allo sfogo impotente basta aggiungerci il solito meccanismo delle infiltrazioni governative (i black bloc sono questo e niente altro), più le teste di cazzo a sfogo autonomo (anche queste non mancano mai) e il quadretto può ripetersi n volte. Come puntualmente fa.
    Manifestazioni serie sarebbero quelle che mettono in ginocchio il governo. Ma in genere (vedi Argentina et similia) funzionano perché il governo in ginocchio ci sta già per conto suo.
    E non è il caso dell’Italia, nonostante quello che si può pensare.
    Per cui sarebbe ora di comprendere che le manifestazioni NON servono a nulla.
    Il popolo non ha MAI deciso niente dal basso. L’assoluta mancanza di figure carismatiche in questo periodo storico, non lascia presagire nessuna possibilità di organizzare un vero movimento rivoluzionario.
    A conti fatti, poi, una vera rivoluzione è un desiderio di pochissimi. Gli altri borbottano.
    Chi è ancora alle prese con la vecchia dicotomia destra-sinistra si perde in analisi interminabili e non afferra il vero punto della questione: queste forme di lotta (ma lo saranno, poi?) sono obsolete.
    Una televisione estera, magari araba, a cui viene tolto l’audio, potrebbe vedere negli eventi di Roma “il popolo ribelle che tiene testa alle forze del vergognoso satrapo al governo”.
    Proprio come in Libia.
    Grande è la confusione sotto il cielo.

  25. Ieri ero in giro e non avevo il tempo per rispondere con calma.
    Alessandro, credo che nessuno di noi abbia delle risposte già bell’è pronte – forse nemmeno gli economisti che cercano di elaborare delle alternative ai dogmi neoliberisti, anche se bisognerebbe dar loro molto più spazio nei luoghi di scambio non specialistici.
    Ma per il semplice fatto di avere un po’ più di anni, dunque memoria storica, e cultura (politica e/o non), un po’ di strumenti in più credo che ce li abbiamo. E sarebbe importante che sia chiara l’intenzione di non voler ammaestrare nessuno, proprio perché il percorso è tutto da costruire insieme. Ma mettere a disposizione il proprio cervello con tutto ciò che contiene – anche i dubbi articolati come hai fatto tu – sarebbe una cosa bella e “politica”.
    Poi, come ho detto sopra, la vedo dura. Perché ha ragione Massimo a ritenere significativo uno slogan (o graffito) come “oggi abbiamo vissuto”. Leggi Bifo o altre cose e ti rendi conto – come scrive anche Dazieri – che noi, visti da chi ha sfasciato, siamo un problema. Ci sembra di essere sufficientemente precari e malmessi nonché incazzati per lo stato delle cose, ma da un’altra prospettiva siamo comunque dentro, dall’altra parte della barricata. E’ anche questo che è stato messo in scena a Roma.
    E serve a poco, per ironia della sorte, riuscire a ricondurre questo slogan o altri simili a un’oggettiva convergenza tra il mortuario vitalismo fascista e il nichilismo di cui sopra. Come ci parli con uno che ti dice, ma io non voglio aver ragione, voglio solo spaccare tutto, ora?
    @massimo
    Penso che sia ora di uscire dalla dicotomia rivoluzione o status quo. E persino da quella rivoluzione o riforme. E’ indubbio che le lotte del passato – dei braccianti e operai, delle donne ecc. – ci abbiano consegnato la società ora messa in crisi, posto argini all’allargamento delle diseguagliaze del capitalismo. L’ultima istanza che da esso è stata inglobata, forse, è quella ecologica. Quando ero ragazzina in Germania c’era il forte movimento contro il riarmo e l’energia atomica, i verdi erano un partito nuovo sgorgato dal movimento, molto radicale. Oggi, circa trent’anni dopo, i verdi sono un partito di establishment fortissimo, la Germania ha deciso di smantellare le centrali nucleari perché se lo può permettere (anzi pare che potrebbe guadagnarci). Una parte (di cui purtroppo non so misurarti la consistenza) della sua sconcertante forza economica rispetto all’Europa e persino al resto del mondo avanzato, deriva dal fatto che, proprio per spinta dei cambiamenti culturali e politici che ha innescato il movimento verde, sia all’avanguardia su tutto quel che concerne il know how, la ricerca e produzione, la diffusione delle pratiche ecologiche.
    Le manifestazioni non servono a bloccare guerre decise altrove, né a far cadere i governi se non troppo marci. Vero. Possono però servire a mettere in moto dei cambiamenti nei cittadini (li chiamo così e non opinione pubblica). E’ questo ciò a cui – secondo me – dovrebbe servire anche quest’ultimo. Che si trova ad affrontare una crisi di sistema più grave e quindi dovrebbe elaborare delle risposte che potrebbero, per necessità, avere una sostanza rivoluzionaria.
    Credo che sia evidente che la rivoluzione davvero la vogliano in pochi. Uno perché non abbiamo un modello condiviso di una società del tutto alternativa, un’utopia strutturata. Due: perché credo che sarebbe difficile per tutti riformare le proprie abitudini formate nell’imperfetto mondo binomico di democrazia più capitalismo basato sull’assiome crescita-consumi che, con i correttivi di cui sopra, abbiamo vissuto sino ad ora come il migliore possibile. Uno può fottersene del Suv, dei vestiti di marca, del telefonino cool, ma tante altre cose che – avendoci i soldi- consumiamo, ci piacciono (le vacanze, una buona birra o bottiglia di vino, una serata al cinema, per me – confesso – anche una bistecca.)
    Quindi non è il punto di capire chi ha la volontà rivoluzionaria più pura. Ma capire che davvero sembra venuto il momento di capire che così non si va più avanti, se non sempre peggio.

  26. @Helena
    Però non confondiamo l’aspetto soggettivo e quello oggettivo.
    Poco importa che non siamo pronti, che non rinunceremmo alla birretta (ma davvero saremo così poveri da dovere rinunciare anche a questi piccoli lussi?), che l’utopia non sia strutturata come dici appropriatamente.
    Se l’utopia fosse quella del mantenimento di una società umana civile, se fosse questa la misera, minima utopia che ci resta?
    La spinta può ben essere la sopravvivenza. Forse perchè prigionieri di un immaginario hegeliano, immaginiamo sempre il futuro come miglioramento, forse non comprendiamo come perfino continuare a permetterci un 10% di quanto oggi ci permettiamo potrebbe costituire un obiettivo rivoluzionario.
    La verità è che i pericoli per la sopravvivenza di un’umanità non restituita allo stato selvatico sono noti a tutti, sono perfino evidenti, basterebbe pensare in termini di decenni, mentre si pensa piuttosto in termini di decine di mesi al massimo.
    L’attualità della rivoluzionme è lì tutta di fronte a noi come una necessità oggettiva, ma noi ci voltiamo da un’altra parte come quando spegniamo la sveglia e riprendiamo a dormire.

  27. Perfettamente d’accordo. Era giusto per cercare di dire che ci possono essere delle resistenze soggettive persino in chi si rende conto della necessità oggettiva.
    Esempio un po’ del cavolo. Oggi ho fatto un po’ di spesa in un supermercatino bio, commentando con un’amica che alcuni prodotti non sono nemmeno più cari (o solo in misura trascurabile) dell’Esselunga. Perché non ci vado più spesso? Perché è scomodo, fuori rotta. Dicevo, del cavolo perché mi rendo conto che a questo livello cambia poco.

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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