rosso Taranto
di Flavia Piccinni
Taranto vista da lontano è un cumulo di fuoco e polvere. Esce dalle ciminiere dell’Ilva per allungarsi verso il cielo e colorarlo di rosso, rosso Riva. Esce dalla raffineria dell’Eni che, quando si blocca, come è successo venerdì 29 luglio, fa tutto nero.
Quello era un guasto temporaneo all’impianto che lo ha fermato improvvisamente e ha sprigionato una fiamma densa, alta, spessa e tanta polvere che si liberava dalla torre centrale a formare nubi lunghe e inquietanti tutto intorno. Un imprevisto che ha mandato in tilt il centralino dei vigili del fuoco e in angoscia la popolazione convinta che fosse successo qualcosa di grave, qualcosa di molto più grave, perché se abiti a Taranto, casomai vicino al porto che è dominato dalla più grande acciaieria d’Italia, qualcosa di grave può sempre succedere. E anche io per un attimo, mentre dalla Statale 172 e dall’immacolata Martina Franca arrivavo verso la città dell’acciaio e delle cozze, e le campagne coltivate con ulivi e viti, con sterminati campi d’anguria e di insalata, si mescolavano con il Mar Piccolo, per un attimo ho pensato a un incidente. Ho pensato a quello che era successo a Seveso, alla nube tossica carica di diossina che era fuoriuscita dalla ICMESA di Meda il 10 luglio 1976 e aveva invaso tutta la Brianza. Allora non c’erano stati morti, ma solo 250 intossicati, e la decontaminazione era stata lunga, con conseguenze per la popolazione ancora non del tutto comprese. Perché se il tuo corpo respira la diossina più pericolosa, la TCDD, se sei un cane puoi morire, ma se sei un uomo porti sotto la pelle, in quegli alveoli che sono come spugne e che formano il corpo e il respiro, i segni per tutta la vita.
Lo sanno proprio bene i tarantini che quotidianamente, da quasi quarant’anni, sono sottoposti al “fuoco amico” della diossina che l’Ilva, da sola, produce in quantità mostruose: il 92% di quella italiana e il 10% di quella europea è firmata dal gruppo Riva a Taranto. Lo sanno bene quelli che abitano a ridosso dell’acciaieria nel quartiere Tamburi, dove un’ordinanza del sindaco dal 2010 impedisce ai bambini di giocare nei parchi per il rischio di contaminazione con sostanze tossiche come il pbc (policlorobifenili) e berillio, e quelli che fanno pascolare le bestie nelle campagne poco distanti l’ex Italsider. L’anno scorso sono stati costretti a uccidere 700 pecore che, pur vegetando entro il limite deciso dalla Regione Puglia di 20 km, erano cariche di diossina. Erano pericolose. Erano letali.
Ora anche le cozze, frutto simbolo della città che da sola ne produce ogni anno 30000 tonnellate, si sono scoperte contaminate. Dopo l’allarme lanciato a più riprese fin da gennaio da PaceLink e Fondo Antidiossina, il 22 luglio l’Azienda sanitaria locale ha emesso un’ordinanza che blocca il prelievo e la vendita dei mitili allevati nel primo seno del Mar Piccolo: la somma dei valori medi di pcb e diossina è risultata superiore agli 8 picogrammi per grammo previsti dalle norme. E così circa un terzo della produzione della zona è stata messa al bando e 24 mitilicoltori, sul totale dei 103 operanti, hanno dovuto consegnare le coltivazioni da distruggere all’Amministrazione Comunale, che ha messo volontariamente a disposizione dei danneggiati un fondo da duecentomila euro.
Il provvedimento ha causato un immediato calo dei prezzi, ha generato diverse proposte – spostare parte dell’allevamento nel Mar Grande, istituire un marchio di qualità, creare un sigillo di tracciabilità – e una polemica notevole, senza dubbio non inferiore a quella sul perché sia stata concessa all’Ilva l’AIA, l’Autorizzazione integrata ambientale, nonostante i recenti rilievi del Nucleo Operativo Ecologico di Lecce che attestano “attività illecite”.
Eppure fra Via di Palma e Via d’Aquino, il cuore della città tirato a lucido dalla berlusconiana Rosanna di Bello, sindaco dal 2000 al 2006, artefice anche di un milionario buco nel bilancio che ha portato al fallimento Taranto, non c’è traccia di ribellione, ma piuttosto sopportazione. Fra i lampioncini francesi e la strada bianca, corre lenta la vita di una città di mare che con l’estate si riscopre godereccia e consuma il tempo fra le spiagge selvagge del Salento e aperitivi sul canale che guarda dritto verso le colonne doriche dell’antico tempio di Poseidone, le uniche testimonianze dell’antica grandezza della città. Di quando i Parteni arrivarono, era il 705 a.C., e fondarono la prima colonia di tutta la Puglia. Quella che senza difficoltà sarebbe diventata la capitale della Magna Grecia.
Solo una scritta vicino al più bel bar del corso, apparecchiato con tavolini immacolati e camerieri dai grembiuli blu, grida a caratteri cubitali su un muro di calce A quando il registro tumori? Il realtà, il registro tumori esiste ed è stato presentato alla città a fine luglio insieme ai dati elaborati dalla Asl locale che arrivano al 2006. Dati che raccontano quello che, per molti, qui è ovvio: Taranto, con i suoi 3303 casi, è la capitale meridionale dei tumori.
Le ragazze però continuano a passeggiare lente e sinuose con i loro pantaloni attillati, i bambini si rincorrono e le madri provano a fermarli, ma loro si liberano e corrono ancora. Taranto, silenziosa e rassegnata, sembra di nuovo lo specchio dell’Italia, come quando lanciò il telepredicatore Giancarlo Cito molto prima che Telemilano 58 e Berlusconi si trasformassero nel presente, e nel futuro. Solo un gruppo di ottantenni con i capelli cotonati e vestiti lunghi appena sotto le ginocchia parlano animatamente. E intanto sorridono. E intanto respirano.
Forse discutono del nuovo ospedale pubblico che verrà gestito in collaborazione scientifica con il San Raffaele di Milano e comporterà un investimento da 210 milioni. Il Presidente Vendola lo ha annunciato come “la più grande struttura sanitaria pubblica del Sud e tra le più grandi del Mediterraneo”. Sarà.
Per ora, Taranto continua solo a bruciare all’ombra dell’Ilva, che produce il 70% del pil della provincia e occupa direttamente 11.500 persone, senza contare il vastissimo indotto. Continua ad essere schiava di quel mostro, come viene comunemente chiamato qui, che nel 1995 venne privatizzata dal governo Dini a 1700 miliardi di lire e adesso è in mano al gruppo bresciano Riva. Da quell’Ilva che è una metastasi d’acciaio ancorata alle primitive membra della città: 15 chilometri quadrati di superficie, binari ferroviari per 200 km e strade per 50, 190 km di nastri trasportatori e 5 altiforni. Da quell’Ilva cui non sembra riuscire a dare risposta, e che vista da lontano assomiglia a un buco nero. È impossibile percepirla nella sua sterminata grandezza, nella sua agghiacciante imponenza. Ci hanno provato tanti scrittori tarantini a raccontarla, da Giancarlo De Cataldo a Cosimo Argentina, passando per Vito Bruno e Mario Desiati, eppure lei è sempre lì, con le sue infinite ciminiere e la E 312, la più alta di tutta Europa, che misura 220 metri. Lei è sempre lì, perché a Taranto il lavoro e la salute sono in una bilancia perenne che non permette di trovare l’equilibrio. E intanto le famiglie si indebitano – dal 1° gennaio 2002 al 31 dicembre 2010 hanno visto una crescita del debito del 197,8% – e i mitilicoltori sono costretti a sgomberare il loro mare e parte di quel porticciolo che dà sul Mar Piccolo, dove l’acqua tocca la banchina e le cozze ora costano un euro.
Pier Paolo Pasolini e Cesare Brandi per raccontare Taranto non usarono parole gentili, eppure alzare gli occhi al cielo, nei giorni giusti, qui è meraviglioso. Il tramonto è un cumulo di colori e di striature. Quando però, come oggi, le ciminiere dell’Ilva squarciano le nuvole il pensiero corre ancora a Seveso e alla canzone che Venditti per lei scrisse e che strillava: “Voi, che vivete tranquilli nella vostra coscienza di uomini giusti,/che sfruttate la vita per i vostri sporchi giochetti/allora, allora ammazzateci tutti”. Già, allora ammazzateci tutti.
[questo intervento è stato pubblicato su Il Riformista di domenica 14 Agosto 2011]
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Cosimo Argentina (che è un grande poeta “underground”) ha scritto dei libri bellissimi su Taranto, ultimo Vicolo dell’acciaio. Altro che la Avallone e i premi Strega Campiello, tirati al cosmetico. Ma questa è la letteratura che a differenza dei TQ e degli scuoiatori della verità vuole fare poesia coi fantasmi della realtà, non vuole né programmi, né manifesti né politiche dottrinarie. Fa arte (quello che spetta agli artisti), non ciance.
Taranto, come dice la Piccinni, resta lì a fumare, perché non c’è alcuna attinenza tra un libro e una acciaieria.
QUalcosa di più invece penso si potrebbe chiedere a quell’altro signore che ha anche lui come i TQ qualche problema metonimico, perché scambia la politica e la letteratura, la Grande Narrazione e la realtà… Vendola… ha lo stesso disturbo editoriale di Berlusconi, beatolui.
Quando arrivi alla stazione di Taranto ciò che ti colpisce è la presenza di tante mosche, insistenti, piccole e numerose…come pure l’aria, ha uno strano odore, puzza ecco: ma se lo fai notare in giro ti guardano male; sembra un segreto che i tarantini custodiscono gelosamente, il ricatto della borsa o la vita qui è più forte che altrove, senza Ilva non si mangia e senza l’Eni che riempie l’atmosfera di gas…la gente se ne va al mare, si dimentica la Magna Grecia; le cozze alla diossina? Va beh, la stampa locale indica che così tanta gente che ci campa va in rovina…io non credo che poi passando dal mar Piccolo al mar Grande la situazione cambi di molto. Un insistente pacifista-ecologista di Peacelink, uno che da solo fa il lavoro di mille; qualche sporadica protesta ma l’estate Taranto si spopola, sono tutti al mare, ai fumi dell’Ilva ci penseranno poi…un megaospedale, prospettiva agghiacciante, come se il male, una volta che c’è, si potesse curare…
Il “vastissimo indotto” dell’Ilva è in buona parte apparenza. È gestito da compagnie liguri (ad esempio il ciclo dei trasporti via mare), e quindi parassita la ricchezza prodotta sul territorio per portarla altrove, lasciando a Taranto percentuali di disoccupazione agghiaccianti. Ma discorsi simili mi sono stati fatti, su Riva e il suo gruppo, da un compagno genovese molto ben informato sui processi finanziari: anche lì, a quanto pare, la ricchezza viene rapinata senza lasciare nulla sul territorio.
mai vista taranto. una mia amica tarantina, fino al midollo giacché trova sempre mille pretesti per non lasciare la sua città che sostiene di amare più della sua stessa vita, afferma: “taranto sarebbe un gioiello, se non ci fossero i tarantini”. sarà vero?
Taranto, come spiega Flavia Piccinni, è uno dei Luoghi più rappresentativi dell’ex Belpaese:
disoccupazione e sfruttamento e disastro ambientale.
una delle bellezze cedute al Capitalismo,
e riva come agnelli,
e i reparti confino all’ilva similmente che alla fiat.
– noi meridionali, alla fine, siamo figli in scadenza
Dopo che le classi dirigenti sono scadute molto prima d’adesso
b!
Nunzio Festa
Come definire una persona che a partire da qualsiasi argomento – per esempio Taranto – riesce ad arrivare a parlare della sua ossessione personale, cioè TQ, per poi buttarla, ogni volta, in politica? Certo, se uno ha identificato nei letterati di TQ il principale problema italiano ha il dovere di parlarne sempre e comunque, in qualsiasi contesto. Gli altri hanno però il diritto di girare al largo, come quando si incontra una bruttura sul marciapiede.
Allora. Per chi non c’è stato e magari vuol andarci a rendersi conto di persona…Taranto: una vista che da un vasto colle, dove si trova il centro della Cisl e una villa-masseria dove si proiettano film, si affaccia sul mar Piccolo, come un vasto lago; una città antica ma proprio tanto, un po’ come i quartieri spagnoli di Napoli, stessa decadente miseria e nnotizie di gente che fugge dagli arresti domiciliari saltando da un terrazzo all’altro; ferrovieri nostalgici che ti raccontano di come all’età della loro infanzia si mangiavano ostriche e cozze da far invidia a Parigi e ci sarebbe pure il bateau mouche, dato che poi il canale che immette sul mar Grande non è tanto diverso dalla Senna, stesso blu intenso; volendo, a smentire una certa indolenza, ci sono le edicole-librerie sempre aperte e certe paste con la panna a consolarti di qualsiasi iniquità…ma non di solo pane vive l’uomo. Ecco, appunto. C’è il museo archeologico tanto bello quanto vetusto come le colonne doriche, ben due e in pieno centro che non se le fila nessuno eppure testimoniano di un grande passato. Settecento anni prima di Cristo. Sarà che ogni città ha la sua epoca e Taranto è alla stazione finale. Di certo nel grande mare che si vede da uno dei lungomare più belli d’Italia, con agavi gigantesche che segnano l’orizzonte, accade di vedere scene da 007; un sottomarino scuro si erge come una balena, spionaggio, avamposto orientale…troppo decentrata da tutto, Bari non la vede Taranto, i tarantini si sentono piuttosto partenopei e poi quando tutto manca se ne vanno al mare, poco oltre Taranto il litorale è tutto bello…ma perché hanno messo qui l’lva? Già, e perché a Gioia Tauro hanno deturpato la conca d’oro, quella riserva di arance e mamdarini che comincia qui, lungo lo Ionio e si estende a tutta la Sicilia? Perché? Perché i meridionali amano il loro Sud da lontano, non lottano qui e ora per riscattarlo, a Taranto arrivarono anche i giapponesi per insegnare a lavorare più in fretta, poco ci mancava che ci facessero la centrale nucleare…come se ne esce? forse non se ne esce, l’aria comunque è irrespirabile, se interessa a qualcuno…
@Ottavio
Vedi come è piccolo il mondo! come funziona ? quando vi fa comodo non si deve parlare di TQ e quando fa comodo sì?
sono mesi che NI Lipperatura e tutta la mandria dei blog corretti italioti fanno man bassa su ogni argomento per spacciare un po’ di pubblicità progresso-TQ. Si arriva a citare TQ anche quando si parla d’una partita di hockey su ghiaccio, dell’agrimensura in Bolivia o della legge che riduce gli sconti dei libri su amazon… TQ ha invaso ogni argomento, secondo solo alla grande crisi finanziaria e al calcio mercato agostano.
Insomma, non ho mai sentito nessuno lamentarsi che si facesse il peana a TQ per ogni sbadiglio di benzinaio, all’inverso vi brucia così tanto? Nel discorso che ho inteso fare TQ c’entrava, e l’ho inserito in un’argomentazione; non considero però TQ il male italiano, perché, modestamente, mi interesso a letteratura di ben altra fisionomia. le consiglio però di leggere Cosimo Argentina se ancora non lo legge, può farle bene
Ah, ovviamente faccio presente che potrei dirle che bruttura sul marciapiede lo dice ad un suo amico o alla sua sorella, ma non lo faccio perché a differenza sua, sono persona educata.
mariateresa, grazie per l’impegno. ma, a parer mio e rispetto alle tue considerazioni, è più facile rendersi conto di cosa sia taranto essendo ciechi e girando accompagnati da un cane lupo.
Un applauso a Nazione Indiana che permette a gente come Ottavio di insultare altri commentatori (nel caso specifico il sottoscritto) con compitini allineati al pensiero maggiorante e poi censura le mie risposte. Siete un bell’esempio di libertà d’espressione su internet
Da Taranto. Quanto è bella la Taranto che fu e giù lacrime. Ok bene. Si fa bene a parlare sulle ciance, ma discutiamo nel merito.
Ci sarebbero molti appunti da scrivere.
Ma: perchè a Taranto l’Italsider? Mano pubblica per ovviare la crisi dei cantieri navali e per recuperare parte della manodopera agricola destinata all’emigrazione avviando la cosiddetta modernizzazione. Che poi il quadro sia mutato,che l’industrializzazione sia stata selvaggia -manca(va) un piano regolatore,per dirne una – va bene discutiamone,ma finiamola con le cretinate alla Cito (ed altri…):il turismo ci salverà e nel frattempo che decolla gli operai vengono a mangiare a casa vostra?
Rivoluzionari della domenica:celebriamo il passato glorioso e ed elogiamo il futuro radioso, e il ‘frattempo’ che fine fa? Secchia o Togliatti?
Scrivere su Taranto fa vendere copie di libri,ma dice poco sulla reale situazione,Argentina ha scritto delle operine decenti,ma il cantore di Taranto…forse in certi luoghi di De Michele si comprende meglio l’evoluzione culturale di questa città.
Piccole note senza accuse verso qualcuno.
Piolino
(Provo a non farmi censurare per la quarta volta dalla signora Libertà- Chiara Valerio)
@Ottavio
Vedi come è piccolo il mondo!
sono mesi che NI Lipperatura ecc fanno man bassa su ogni argomento per spacciare un po’ di pubblicità progresso TQ. Si arriva a citare TQ anche quando si parla d’una partita di hockey su ghiaccio, dell’agrimensura in Bolivia o della legge che riduce gli sconti dei libri su amazon… TQ ha invaso ogni argomento, secondo solo alla grande crisi finanziaria e al calcio mercato agostano.
Insomma, non ho mai sentito nessuno lamentarsi che si facesse il peana a TQ per ogni sbadiglio di benzinaio, all’inverso, cioè se io ora ne parlo male dove non viene esplicitamente indicato, è tanto grave?
Nel discorso che ho inteso fare io, TQ c’entrava, e l’ho inserito in un’argomentazione; non considero però TQ il supremo male dell’Italia, perché, modestamente, mi interesso a letteratura di ben altra fisionomia.
Enrico, può bastare l’olfatto? L’aria è brutta, non si discute, senza essere passatisti, è un dato di fatto…certo, poi tra la borsa e la vita…
grazie, mariateresa. la mia era solo una piccola ironia. del resto non pensavo alla qualità dell’aria quanto al fascino dei luoghi. e ancora non ho capito come siano :-)
Caro Enrico, prendi un treno o un pullman o un arereo fino a Bari e vai a renderti conto di persona, Taranto è così defilata…sembra fuori dal tempo!