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Radio Londra: Alessio Arena

Somos el viento
Intermezzo silenzioso dalla Repubblica democratica di Plaça Catalunya
di
Alessio Arena

Gli unici sgomberati fino a pochi giorni fa erano i colombi della piazza. Sporchi, affamati come sempre, zoppicanti, più o meno consci di star perdendo il centro, gradualmente, spintonati verso gli alberi mozzi che costeggiano la Rambla, dove i turisti sono troppo impegnati per dare loro da mangiare, o verso il Passeig de Gràcia, con la sua minacciosa sarabanda di semafori.
La piazza, a partire dalla calorosa mattinata del 15 maggio scorso, s’è vista riempita di tende da campeggio, striscioni, sacchi a pelo, da una variopinta accampata di persone, coordinatesi per mesi attraverso le reti sociali, giovani e meno giovani, unite da una educatissima vocazione al cambiamento.
Non ci sono partiti che rappresentino il popolo degli accampati di Barcellona, Valencia, Madrid, Zaragoza, e delle altre principali città spagnole. Si tratta di gente unita da un precariato sempre più denigrante, da una insofferenza profonda verso il sistema politico attuale dal quale non si sentono rappresentati nemmeno in minima parte.

La presa delle piazze è avvenuta quasi in concomitanza con la fine della campagna elettorale per le elezioni municipali spagnole che hanno visto la clamorosa perdita in tutto il territorio nazionale dei socialisti di Zapatero, rei di essere stati al potere durante la crisi.
Quella che loro chiamano crisi, noi lo chiamiamo sistema, recita uno degli striscioni di Piazza Catalunya, il giorno della vittoria schiacciante del Partido Popular.
Questa è stata Barcellona negli ultimi giorni: una rete di persone perfettamente organizzate che dormono nella piazza, si dividono in comitati organizzativi, sedute di discussione su temi di salute, educazione, ecologia. Il calendario delle attività giornaliere è un crescendo di tweet, attraverso i quali si organizzano anche assemblee di quartiere, si contattano personalità del mondo dell’università, della televisione, della letteratura.
Eduardo Galeano è tra gli accampati il giovedì sera. “Questo mondo è incinto di un altro migliore” dice a dei ragazzi che tra le tende hanno montato una piccola biblioteca con donazioni di privati e di scuole dei quartieri del centro. Il giorno dopo è Eduard Punset, economista e scienziato catalano, a dare il suo grazie al movimento del 15 M per ”mantenere viva una speranza che stiamo coltivando da molto tempo”. Così l’appena acquisita esperienza delle piazze di Tharir, della Puerta del Sol, le discrete ed efficientissime assemblee islandesi, fa di Catalunya un paesaggio di politica attiva che non ha niente dell’ inquietante spettacolarizzazione a cui siamo abituati.

Non è uno show il 15m, un movimento che è già una sigla storica, per la tendenza degli spagnoli a solennizzare date che segnino una qualsiasi inflessione di rotta, lo sanno anche i pakistani che approfittano dell’insediamento permanente per vendere le loro bibite. Alcuni di loro però partecipano, se ne stanno seduti a terra, mentre parla il Professor Manuel Castells, sociologo di fama, che sottolinea l’importanza del cyberspazio in un cambiamento sociale come quello auspicato dal movimento. Quello che succede qui è una cosa simile a quella di Gandhi ma con internet, spiega il professore, e loro si sentono in dovere di applaudire per primi.
È questo tutto ciò che vedo fino alla mattina del 27.
Appena sveglio, verso le otto, comincio a ricevere messaggi da amici che restano la notte accampati nella piazza. Dicono che sono arrivati i Mossos d’Esquadra (il corpo di polizia catalano) con la scusa di ripulire la piazza (mai stata così pulita prima) in vista della finale della Champions.
In pochi minuti inizia un vero pestaggio al quale non si oppone nessuna resistenza. Sono una quarantina i feriti. Su Facebook appaiono come funghi petizioni per le dimissioni del colpevole delle violenze, Felip Puig, capo della polizia del recente governo di Artur Mas. Cominciano a girare alla velocità della luce i video degli scontri, e si proclama un’assemblea generale nella piazza alle 19:00.
È un bagno di folla, di persone immobili, in silenzio, un intermezzo durato circa cinque minuti, capace di far sentire persino come gira, rigira, si divincola, si spezza le ossa, si sporca la faccia il vento in una calorosa giornata di maggio.
Poi iniziano gli applausi.
Questa è Plaça Catalunya: un rumore bellissimo.

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5 Commenti

  1. In questo pezzo non si capisce la cosa piu’ importante: gli sbocchi politici di questo movimento.
    Malgrado abbia una sacco di riserve, non si puo’ negare che gli obbiettivi dell’italico Movimento a 5 Stelle sono chiari.

    L’indignazione deve essere propulsore di qualcosa, ma di che in questo caso? E’ questo che molti si stanno chiedendo.

    E comunque, anziche’ parlare solo di democrazia diretta, partecipazione civile, mondo migliore, etc., facciamolo il nome e rendiamo giustizia a Barcellona: incominciamo a parlare di anarco-comunismo…

  2. Questo movimento è propulsore di moltissime cose, Jacopo. Esiste un’organizzazione interna che sembra migliorare sempre di più. Le accampate si estendono ai quartieri, in forma di assemblee non permanenti, contemporaneamente al continuo lavoro in rete.

  3. Il mondo cambia da una culla : il mare Mediterraneo. Da lungo – paesi abbandonati, sfregiati, trascurati. Oggi si sente un profumo di libertà,
    un profumo mandorlo, un profumo di primavera, un profumo di speranza.
    La piazza, cuore della civiltà latina ritrova la sua vocazione: creare una nuova società, fare circolare le idee, dare uno spazio alla giovinezza. Oggi c’è un desiderio di crescere in paesi del sud, di vivere sulla terra madre, di sperare la felicità ( quella sognata di Roberto Saviano per la sua terra), quella di tanti giovani in terra di sud che sognano un avvenire. Poco a poco i gruppi delle piazze fanno un macchia luminosa che nessuna politica non potrà trascurare.
    A questi giovani: Bravo!

  4. Quello che sta accadendo in Spagna qui in Italia non è comunicato e, sembra, neanche interessa più di tanto a chiunque, il capirlo.
    Risalto è stato dato alla rimonta dei Popolari, di nome, nelle municipali, ma per il resto.. Per il resto c’è chi parla di propaggine della primavera araba, chi parla di influenza greca, chi rimanda alle proteste inglesi e, nel commento precedente, non manca un riferimento al movimentismo italiano.
    Come se quello che sta accadendo in Spagna non fosse altro che una eco di qualcosa di già accaduto e altrove, il che equivale a dire: in Spagna, nelle città spagnole, non sta succedendo niente.
    Al massimo – il messaggio implicito recita questo – è in atto una replica, una imitazione, una eco che come è giunta, passerà e andrà oltre.

    Vorrei invece capire se c’è una identità e una originalità nel movimento spagnolo, se è uno degli “effetti collaterali” della crisi permanente che dura da qualche decade, o se è un nuovo inizio, il principio di una nuova causa.

    Un saluto!
    Antonio Coda

  5. Forse A.Arena, no sa che col suo medesimo titolo da pochissimo c’è un programma televisivo con tutta altra orientazione, e noi qua -.it- si barcolla tra la semantica e la realtà….
    allego un articolo investigativo uscito prima della manifestazione del 15M, che potrebbe aiutare a leggere le moltiplichi causa del movimento, ma non daranno – mi temo- una risposta.
    http://apliweb.uned.es/Comunicacion/Prensa/ficheros_ver.asp?ID=8070311

    Chiarire che il signore Eduard Punset è sì un Economista, fu anche un politico, scelto come Parlamentario Europeo però è molto più noto come giornalista di divulgazione scientifiche, prima con un programma televisivo chiamato “Redes” -RTE 2- e poi con un libro del titolo: “El alma està en el cerebro”.

    Il profesor Manuel Castells ha tenuto una conferenza proprio a Plaça Catalunya:
    http://sociologiac.net/2011/05/29/charla-manuel-castells-acampadabcn-video-integro/
    Buona lettura e visione.

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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