Cesenatico

di Giovanni Catelli

I bambini guardano passare il treno, dal giardino della colonia, e salutano.
Ancora credono all’estate, all’ora del gelato, alla passeggiata serale.
Domani, ancora il bagno, la spiaggia, le corse a perdifiato, la pasta col ragù, l’aranciata, e le partite a calcetto, il profumo della polvere, che sale, dallo spiazzo bianco, innaffiato dal custode.
Il vento del crepuscolo muove le foglie del viale, già porta via le più stanche, annuncia i metalli del treno, le sirene lontane : come dire, che i giorni corrono al mancare, che il nome di settembre s’annuncia, nei colori del cielo, nel vento più crudo al di là della pioggia, nell’ora serale più lesta, e segreta, mentre tutti corrono a mensa, e sognano fritture, patatine, fette di torta senza fine.
Le onde azzurre del mare alle pareti si venano di grigio, alla luce già elettrica, la cassetta dei sogni da esaudire è più leggera, le cuoche silenziose preparano i bagagli, si dirada il sorriso al fornitore, la visita del medico, la conta delle gite, si sparge per le sere un silenzio d’altre voci, d’altre stanze, d’altri cortili ormai deserti.
Ritornano, presto, le ragazze del turno, restano più a lungo a fumare sui terrazzi, a guardare in silenzio il lungomare già spento, i motorini ormai rari all’impennata, le sagome lontane di chi non riconoscono; chiude presto il luna park, i camerieri taciturni rovesciano le sedie sopra i tavoli, fuggono i motori con ultimi ruggiti di rimpianto, qualcosa chiama per sempre lontano dall’estate, come da un sogno disperso, a cui non credere più; com’è profondo il silenzio nel turno di notte, quasi s’avverte la polvere cadere nelle sale, il fruscio della sabbia sui balconi, un distendersi di stanche tapparelle: il buio scivola, pesante, per le scale, luci vane mantengono la vita dentro il buio, come un’onda lontana si sente il vuoto arrivare, premere immenso ai portoni, scavare l’aria nei respiri, attendere, la fine del futuro nelle stanze, il calcolo del tempo nei rumori, l’avanzare delle voci verso il viaggio, lo scadere delle notti verso il nulla : conosco, da sempre, quel mattino bianco che aprirà i portoni sul silenzio, l’aria vuota, la fine degli orari e delle ore, il dissolversi dei volti nel distacco.

Ancora si muove, avanza, la lancetta sul quadrante dell’ingresso, si popola di tazze rovesciate la catena dei tavoli alla mensa, fuma silenzioso il direttore al suo balcone, un riso furtivo sospinge la vita nella tenebra: ora vado, vado, come sempre, per il giro metodico, incessante: ingressi, cucine, lavanderia, primo piano, secondo piano, terrazze.

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3 Commenti

  1. Che bella ! Cesenatico, sono tornata bambina , ricordi malinconici.. Catelli ha descritto benissimo l’atmosfera, regole per me inaccettabili , odiavo il grembiule bianco con il fiocco rosa da indossare alla messa domenicale, la fila del collirio per la sabbia negli occhi . l’infermeria , stavo male e lo scrivevo ai miei genitori per farli soffrire , non capivo che il loro era un gesto d’amore, avevo bisogno di mare e quello era l’unico modo .Quando partivo vedevo mia madre dal finestrino in lacrime e mio padre che si incazzava con lei ,ma avevo le caramelle e cioccolato nello zaino e mi consolavo .bello bello, descrivere le emozioni non è da tutti un grazie di cuore a un bravo scrittore dotato di grande delicatezza

  2. a cesenatico non sono mai stata, ma da come l’ha descritto è come se mi ci trovassi li, come se respirassi quei momenti…
    molto bello…

  3. Leggere questo racconto è come tornare in un tempo di nostalgìa,il tempo che cerca il bambino in noi,è bello ogni tanto saperlo fare ancora,e Catelli,
    con le sue descrizioni di luoghi gioca da maestro con il fantasma del tempo,complimenti,la sua arte di muovere i sentimenti con le parole è sempre raffinata.Ricordo i tempi della colonia tra immaginie profumi ancora vivi: il
    profumo dei bomboloni,delle creme solari,del sale nell’aria,e i capelli della nostra direttrice di un azzurro violetto e la sua borsa rossa,..quanto tempo,
    grazie è sempre un piacere leggerla sig. Catelli

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antonio sparzani
Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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