Le nudecrude cose
di Viola Amarelli
a. Le nudecrude cose se ne fottono o, più esattamente, restano imperturbabili. Hai voglia a ricoprirle con tappezzieri, pittori, arredatori. C’è sempre la carta vetrata, al fondo il muro, l’asse maestro. Dietro, l’oceano.
b. Molti, furbissimi, ne profittano occultandole a proprio uso e consumo. I più infilano occhiali, rosa nera, ignavi. Per paura. Un tacito patto a ignorarle finché è possibile: è possibile per poco.
c. Se immagina l’intelaiatura, lo scheletro, è di silice e di titanio. Le nudecrude sono pietre dure, che durano, adattandosi con impercettibili variazioni. Lo stato dei fatti cambia continuamente, più non le guardi, più spiazzano.
d. Hanno una loro bellezza, anche quando distorte, lesive, a volte mortali. Non dipende da loro, sospetta, un ponte è un ponte, come lo attraversi è un tuo problema.
e. L’armonia c’entra poco, è la compiutezza che leva il fiato, l’esattezza millimetrica: nulla da aggiungere né da sottrarre. Il resto, superfluo di disturbo.
f. Esplodono violentemente, sembra, quando è il momento, quando il marciume già esonda e si vanno polverizzando le vecchie imbracature mentre si formano le nuove. Sembrano esplodere, invece continuano bellamente a stare lì, le stesse, nuove di muta
g. Sa che non la guardano. Neppure l’ascoltano. Distolgono gli occhi e si tappano le orecchie. Si è sgolata per avvertire, inutilmente, si rifiutano. La rifiutano. Ha smesso, registra i ritmi e i cedimenti. E’ un compito, a qualcosa servirà. La stanchezza.
h. Netta, tagliente. E spigolosa, un elefante tra i cristalli. Come le nudecrude, stessa razza. Un dio malvagia la abita. Davvero, hanno scritto così. Tre secoli prima un bel rogo l’avrebbero trovato. Ora possono solo sbuffare.
i. Che qualcuno l’abbia scritta, questa proposizione sulle divinità e la possessione e il male, le sembra strambo, ma ancor di più che quel qualcuno l’abbia pensata. Almeno, ha dentro un dio, che non è poco, si consola.
l. Ci sono i ciottoli, le schegge, i sassi, i massi, le selci, le rupi, dall’himalaya alla polvere. Per non parlare del borace, della nierite, del platino e del crisoberillo. Una semplice questione di struttura cristallina. Roba solida, all’ingrosso. Le piace mangiare i cibi meno cotti possibili, sentirli sotto i denti, la consistenza. Mai sopportato couscous e semolino. Soltanto una questione cristallina. La fanno così difficile.
m. Le formalità, le perifrasi, i saluti sempre di circostanza, i silenzi diplomatici. Tutto l’armamentario, l’ha bruciato. Si sente meglio, coltiva gentilezza, roba diversa. Da piccola rubava i fossili dalla collezione del fratello. Suo padre aveva iniziato a regalarli anche a lei. A volte l’affetto è molto semplice.
n. Seguire il filo, lo schema, impossibile, per ora, forse dopo. Talmente addobbate e rigonfie, lacere e stucchevoli o peggio, sfarzose. Riesce a intravedere pezzetti, raramente, frantumi di linearità abbagliante. L’unica è far pochissimo, potrebbe rovinare anche loro, e ritrovarsi contro il muro, spiaccicata, accade. Far cose a cuore aperto, nudo, far cose inutili. Gentilmente.
o. Catrame e catarifrangente, stelle e pelle. Le endiadi brillano, almeno per stanotte. Radiografia celeste, rotte già percorse. Può fermarsi, l’oscurità un attimo riposa. Si dessero una calmata anche le cellule, le sciocche.
p. Faccenda delle mappe, viuzze e curve doppie. Telecomandano dall’alto se non ci sono temporali e ammassi. Per abitudine controlla i cartelli. Spesso anche questi contorti, rare le frecce diritte. Persino i nastri d’autostrada bucano tornanti in giravolta. Segue la strada, scontando di partenza le giostre di rotonde, le vie cieche.
q. Liscio, rugoso, scabro, levigato. I sassi rispondono al tocco. Toccando vi aderisce, al sicuro tra le sterpaglie e i rovi. Il ragazzo porta il geiger: rame e ferro continuano a brillare nei secoli, tra le serpi. Genealogie di bisce, a strisce e vipere. Ha i guanti, gli stivali e una bussola. Per puntare i segnii, per il reticolo. Sua la collina, le tombe nude dei padri. Le madri meno ossa, cumuli d’ambra. Li ha trovati anni fa. Scaveranno domani.
r. Le nudecrude cose. Una punta, un dente di pettine d’osso, l’ansa di un vaso. E’ il suo mestiere. Necrofora. Si sta meglio coi morti millenari. Aleggiano pacifici, da un pezzo diventati potassi e magnesio. È un’amicizia tacita tra lei e le crete e le arenarie. Si annusano a vicenda. Il cane arriva randagio e forestico. Gli operai lo scacciano. Non hanno capito che è lui la guida, guaisce tra un’orma e le tracce.
s. I picchetti, le foto e i setacci. Gli strati. Ha la cazzuola, la spazzola e i secchi. Nulla d’importante, povera gente, terrracotte e fibule. Questo al massimo resta.
t. Gli schemi del reticolo, a ricalco. Ci si trova. Le nudecrude cose. Una cucina. Un buco per il fuoco. Sapevano già tutto, fruscia tra i rovi soltanto una lucertola. Coda, beata lei, nuova e fiammante.
u. E’ quasi tutto a posto. Completato. I reperti portati via. Non vale la pena conservare altro. Tra un paio di mesi gli sterpi torneranno a dominare, fatica brevilinea delle zappe. Le linee delle case. Le tre tombe. La struttura, fotografata, le carte in autocad. Linee perfette, qui sempre le stesse. La nudacruda fine. Dietro, l’oceano
v. Un dio, disperso.
z. Grosso modo, pensa, è andata, va, così.
Tanto di cappello.
viola, senza parole. bellissimo.
c.
Inaspettate le “nudecrude cose”. Graffiante, un saluto.
mmh Viola, che delizia!
splendida!
Ecco, la materia-madre che, senza meno, è parola. Non: diventa parola. E’. Il dio-parola (il Logos giovanneo) qui è materia-parola. E Viola scava, scava. Dentro la materia-parola. Esatto/a: va, così. La gentilezza è davvero radicale, e minerale, sta dove la materia organica non si distingue dal minerale. Eccetera. Brava.
thanx, per l’ospitalità e la lettura, V.
chapeau.
Bellissimo