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Avventure 8 – Intimità

di Giacomo Sartori

Il treno rallenta sempre di più come arrivando in stazione, ma nell’umidume d’alabastro del mattino si susseguono ennesime periferie senza attrattive e come invecchiate precocemente. L’uomo fissa i sandali della viaggiatrice seduta di fronte, e le domande gli restano impigliate dietro la lingua, riesumando simulacri che credeva ormai sepolti sotto metri di macerie. I sandali della ragazza sono sandali sfiancati da lunghe marce, ma i piedi sono espressivi e fiduciosi nel futuro: l’ostinata cupezza del viso non ha avuto ragione su di loro. “Vuole qualcosa da me?” gli ha domandato con una voce strascicata di bambina durante una sosta con notturni sbattimenti di portelloni. Lui con una torsione per così dire automatica è entrato tra le sue braccia, e s’è incollato al suo corpo asciutto di ragazza. Nell’oscurità tagliata da sciabolate di luce le ha baciato il naso duro e elastico come gomma, e poi gli occhi e il collo. Quando le ha infilato una mano sotto la maglietta la sua schiena ha tremato di desiderio. Ma anche lui fremeva come una fune troppo tesa che potrebbe spezzarsi. L’altra mano scivolava in esplorazione sotto il suo ginocchio: raggiunta la catenina d’oro lei ha avuto uno scatto di animale impaurito. Lui però non intendeva strappargliela, voleva solo carezzarle la caviglia e poi risalire lungo la gamba liscia e soda. Mentre il catarro metallico del decrepito treno si ispessiva, facendosi quasi parossistico, ha sentito uno schizzo dentro di sé, proprio come da adolescente: rizzandosi seduto s’è pulito con il lenzuolo della cuccetta di fronte, la sua. Anche lei s’è drizzata, di nuovo allarmata. Ma poi si sono incastrati ancora nella strettissima sistemazione di seconda classe, quasi ritrovando un’intimità ormai assodata. Quando però ha sfiorato la cerniera dei jeans, lei ha respinto con dolcezza la sua mano, come allontanando un cagnetto. Allora incuneata una coscia tra le sue gambe ha premuto quelle chiappe che ci stavano quasi in una mano. Le sue mani non sprovviste di esperienza sembravano sapere cosa volevano: erano concentrate e premurose. D’improvviso dalle labbra di gomma umida è sgusciato un gemito, quasi avesse tenuto troppo a lungo il respiro. L’aveva guidata verso la sua parte di piacere. Per molto tempo sono rimasti aggrappati uno all’altra come spaventati dalla notte attraversata dal treno. C’era soprattutto mutua riconoscenza. Adesso però siedono immobili uno di fronte all’altra, e la ragazza fissa i caseggiati squadrati e gli sfiancati giardinetti, è chiaro che non vuole intavolare una conversazione con lui, ne ha anzi timore. Il treno esita, sembra arrivare e non arriva mai: si agglutinano altre sciatte periferie. L’uomo che a forza di indecisioni è restato indigente e solo pensa che forse alla stazione della metropoli l’aspetta un ragazzo ebbro di teorie e di belle speranze, è per quello che non vuole parlargli. Un ragazzo abituato ai battiti da uccellino del suo cuore sul proprio torace. O forse semplicemente per lei lui non ha attrattive, come quelle periferie ancora umide di notte, non orrende ma pur sempre ignare di qualsiasi grazia. Del resto a differenza delle sue mani nemmeno lui è davvero disponibile, sarebbe assurdo mentire.

[l’immagine: Luca Coser, “L’Avventura”, 100 disegni tecnica mista su carta, cm 18×21,5]

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5 Commenti

  1. Gli amori ferroviari sono un genere letterario usurato fino alla corda, tuttavia è giusto tentare. Alle prese con l’impossibile vengono le idee migliori. Sarà sempre avvincente l’effetto del movimento, del tempo e del ritmo nel quale si è portati. Portare ritardo, sferragliare, sferruzzando ragliare. Oppure amare in perfetto orario, precocemente, inebetirsi nel sugo della maglietta d’adolescente, precocissimamente venire… amori inevasi, frettolosi, moderni. Come raccontare nuovi amori ferroviari che esplodano d’un briciolo d’energia, che reggano per una trentina di chilometri? Questo è il problema. Se ne trovano ancora di strepitosi in Boll, in Simenon, entrambi amori ferroviari di guerra, con la guerra è più facile; per non dire dei russi… fino al coraggioso salto della Karenina e oltre. Immagino che in India, dove effettivamente si viaggia parecchio in treno, il genere potrebbe dare ancora qualche sussulto, i treni stessi sussultano e non sempre di piacere, questo comunque aiuta, ma superarsi sarà sempre più difficile. Se cerchiamo di traslocare le nostre modeste stupidità sulla via ferrata, incontriamo venditori di ombrelli, enigmisti e auricolari, fetore urinoso di catacomba, permeabilmente esposti alle aguzzine intercambiabili ciarle. Capita anche una bella donna talvolta, ma è assiepata, impolverata, frettolosa, disfatta dalle brighe plebee del quotidiano. Le servirebbe un’ora e mezza per ricostruirsi e in quell’ora e mezza, chissà, lo scrittore avrà già fantasticato su parecchie altre, concepito mezza tragedia, enumerato gli aggettivi di un racconto su N.I. Tempo perso, a casa, pigiama, niente libro e a nanna.

  2. “… il lungomare pressoché deserto, come al termine della fiera, le bandiere, i padiglioni, le sedie rivoltate dei chioschi, è sabato, è presto, l’indolenza non è un alibi, è giustificata, comprensibile, il vento piega gli alberi, alla stazione compri il giornale, esci fuori a fumarti una sigaretta, torni dentro e aspetti il treno, il marciapiede è affollato di profughi, anche qualche pendolare, una ragazza alta e robusta si accomoda nel sedile di fianco al tuo, trae dalla borsa un notes, riflette un po’ e comincia a scrivere, ma è uno scrivere spezzato, intermittente, punteggiato di pause, forse una poesia, chissà, o una serie di pensieri, forse una lettera d’addio all’innamorato, forse no, adesso non si usa più, si mandano i messaggi per telefono, ritorni senza voglia al tuo giornale, le solite cose, la solita politica strapaesana, nessuna idea forte, nessun personaggio credibile, la devolution è un mistero buffo, anche preoccupante se vogliamo, per te che non hai fatto nemmeno la revolution, o meglio continui la solita rivoluzione intorno al nulla, al nulla dei sentimenti, al nulla della tua vuotezza colma di cianfrusaglie inutili, a devolverti nelle cose e nelle persone sbagliate, quelle che vivono di rapina, che ti sfilano il portafogli con un bacio, a offrirti al miglior sofferente, a devolverti senza evolverti, inchiodato a responsabilità che solo tu hai scelto di sostenere, inutile prendersela con gli altri, pieghi il quotidiano, lo deponi sul sedile, ripieghi sul quotidiano, osservi la campagna, le città che sfilano, le stazioni tutte uguali o quasi, Roma che si approssima, la ragazza del sedile a fianco scende a S. Pietro, ti lancia uno sguardo che a te pare una carezza, la tua ragazza, ti sei fidanzato virtualmente nello spazio di cinquanta minuti, senza che lei sospetti niente, è chiaro, non sono cose che si possano rivelare, la osservi mentre cammina nel marciapiede, vorresti essere con lei, invisibile, ricalcarne i passi, vedere dove va, a fare cosa, le persone che incontrerà, c’è questa fragilità di fondo in chi viaggia, nei senza terra, nella selvaggina di passo, la voglia di attaccarsi ai residenti, agli stanziali, trovare riparo, accoglienza, calore, anche se sei un turista in viaggio di piacere, quasi di lavoro, un turista solitario, puoi chiamarlo bisogno di accettazione, puoi chiamarla insicurezza, oppure ansia di nuova identità, certo lei non ha sospettato, scompare nel sottopassaggio, stringendosi al cappotto, con passo privo di fretta, è un sabato indolente, un sabato romano, la saluti col pensiero mentre il treno imbocca il buio di una galleria…”

    http://www.liberodiscrivere.it/biblio/scheda.asp?OpereID=122854

    per dire…

  3. @maurizio

    non credo, anche se certo un po’ di verità c’è, che ci siano “generi letterari usurati fino alla corda”; come sappiamo tutti alcuni scrittori riescono a far rinascere le cose/situazioni più trite, anzi proprio lì mostrano la loro grandezza; uno specialista di questa fatta è secondo me il grande Henry Calet;

    [cosa che secondo me succede peraltro anche nella vita (= ci sono persone che riescono a dare alle situazioni più banali/scontate molta pregnanza]

    tengo a dirlo perchè davvero scrivere in italiano (non dico Italia, altrimenti c’è sempre il commentatore che tira fuori gli stranieri …), proprio per i tic della nostra cultura, mi appare come una strenua battaglia contro i luoghi comuni, anche appunto “tematici”;

    detto questo il mio racconto è quello che è, intendiamoci;

  4. Il genere ferroviario amoroso è un genere forte, con possibilità di sviluppo quasi illimitate, hai ragione, ma anche con precedenti di eccellenza confrontandosi con i quali tremano i polsi. Ciò che davvero aiuta credo sia scrivere di argomenti ed esperienze profondi e del tutto digeriti, dunque allo scrittore toccherebbe consapevolmente vivere e darsi tempo, due cose che spesso non è in grado di fare.

  5. @ maurizio
    sono d’accordo con i tuoi precetti sulla scrittura, anche se però penso che i precetti, per la scrittura come per il resto, lascino il tempo che trovano;
    del resto ho cominciato a scrivere tardi, e questo racconto risale al 2003;

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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