CHRISTINA ROSSETTI

di Franco Buffoni

Uno dei più famosi quadri di Dante Gabriel Rossetti – Ecce Ancilla Domini (1849-50) – presenta un’immagine davvero inconsueta della Annunciazione. Sulla sinistra, di spalle e a figura intera, si erge un angelo efebico nell’atto di porgere un giglio alla Vergine. Sullo sfondo, al centro, presso il davanzale, la colomba e una tenda azzurra a contrastare il bianco del lettuccio in primo piano e la tunica della fanciulla accoccolata quasi contro la parete. Le sue ginocchia sono ripiegate sotto la veste nel tipico atteggiamento dell’adolescente pensosa: lo sguardo corrucciato, il volto un poco esangue dal profilo ben marcato, più virile – certo – di quello dell’angelo. E si indovina sottile e leggermente spigoloso quel corpo di fanciulla, il mento ripiegato sul petto scarno; tenue e volitiva al contempo, terrorizzata e attratta dal fiore emblema di parole che l’angelo le porge: spirituale e anche tanto concreta, familiare, sorella. La straordinarietà del quadro è data proprio dalla posizione dell’adolescente rannicchiata sul letto, ripiegata in difesa. Una posizione da sorella minore nella “camera delle ragazze”.
Christina Giorgina Rossetti (1830-1894), posando per quel quadro del vivace fratello (di lei maggiore di due anni), contribuì non poco alla caratterizzazione personale della sua pittura, e quindi anche all’effettiva nascita della Confraternita pre-raffaellita, che ufficialmente vide la luce nel 1850 con la pubblicazione della rivista The Germ (Il Germe), recante il significativo sottotitolo di “Pensieri verso la Natura e la Poesia, la Letteratura e l’Arte”. Un po’ in ombra come sempre Christina – educata in casa – a differenza del fratello che aveva frequentato la prestigiosa Sass’s School e quindi la Royal Academy. Ma anch’ella parte della Confraternita, almeno agli inizi; se ne distaccò quando si accorse che l’elemento sensuale andava sempre più prevalendo su quello della purezza delle forme e della mistica dei cuori. Ormai, con l’entrata di William Morris, il movimento poetico-pittorico che si era dato per modello l’arte italiana pre-rinascimentale, si era tinto persino di venature politico-sociali, e probabilmente con Ruskin e Burne-Jones le discussioni erano divenute per lei troppo noiose.
Davvero peculiare la progenie del patriota Gabriele Rossetti, costretto a lasciare la natia Vasto in seguito ai moti napoletani del 1821, per trovare asilo a Londra, dove diviene professore di italiano al King’s College e sposa Francesca Polidori (figlia di Gaetano Polidori, già segretario di Alfieri). Quattro i figli: Maria, nata nel 1827, Dante Gabriel nel ’28, William Michael nel ’29 e infine Christina. Due soli i geni, Dante Gabriel e Christina, anche se non mancano prove artistiche e poetiche – o semplicemente esibizioni – degli altri due: William Michael, per esempio, amava scandalizzare tutti proclamandosi pubblicamente anarchico e ateo. Ferendo in tal modo soprattutto Christina, che dell’assoluta devozione ai principi religiosi più rigidi dell’anglo-cattolicesimo aveva fatto la propria regola di vita. Al punto da rifiutare due ottime proposte di matrimonio, a venti e a trentasei anni, per macerarsene poi sentitamente, come pare testimoniare la sequenza di sonetti Monna Innominata. Verso i quarant’anni cominciò a manifestarsi il morbo di Basedow, che incrinò ma non stroncò la sua fibra già indebolita dalle pratiche ascetiche, se è vero che fu ancora lei nel 1882 ad assistere all’agonia di Dante Gabriel sopravvivendogli di altri dodici anni.
Vera e propria musa in ombra del fratello, Christina appare in ogni momento essenziale della vita di lui, sensuale e dissoluto, vittoriano “caldo” ancora di passioni mediterranee. Come quando sedicenne, nel 1846, obbliga lui diciottenne a distruggere il manoscritto del romanzo “diabolico” (illustrazioni comprese) italianamente intitolato Sorrentino secondo la più pura tradizione “nera” inglese. O anche indirettamente, attraverso il successo, che in poesia arrise a lei ben prima che a lui. Nel 1862 infatti la purezza della poesia di Christina, in particolare nelle composizioni del Mercato di Goblin, rivolte al pubblico più giovane, venne premiata da vendite e riconoscimenti. Contemporaneamente il tenebroso fratello seppelliva assieme alla moglie Lizzie (conosciuta come modella per pittori e morta dopo nemmeno due anni di matrimonio per overdose di laudano), tutti i propri versi. Il successo di Christina come poetessa tuttavia lo indusse – sette anni dopo – a fare disseppellire la moglie per recuperare il librettino manoscritto e darlo finalmente alle stampe, ottenendo egli pure con Poems (1870) un lusinghiero e meritato riconoscimento. Gli eccessi nell’alcool, nelle droghe e negli amori, comunque, avevano ormai consumato Dante Gabriel, al punto da costringerlo a trascinarsi negli ultimi anni come la bolsa e sfatta caricatura di quel principe della bellezza e dell’arte che era stato in gioventù.
Non così Christina, fino all’ultimo asceticamente lucida e purissima. Come la sua poesia, che per certi aspetti può riportarci ad alcuni metafisici del Seicento, come Herbert o Vaugham, e al loro diretto discendente ottocentesco (a Christina assolutamente sconosciuto), l’altrettanto ascetico nonché gesuita G. M. Hopkins: “Ricordati di me quando sarò andata via, / Via nella terra del silenzio”. Per altri e forse più essenziali aspetti, invece, la poesia e la psicologia di Christina Rossetti non possono non richiamare quelle della sua grandiosa (e indubbiamente superiore) controparte americana: Emily Dickinson. In particolare per quell’uso, da entrambe mutuato dalle traduzioni della Bibbia, del congiuntivo al posto dell’indicativo, adattissimo a rendere in modo diretto e bruciante le immagini della natura (“Quando sarò morta, amore mio, non cantare per me tristi canzoni, non piantare rose né cespugli ombrosi: Sii l’erba sopra di me verde, bagnata di rugiada o temporale”) e dell’amore per l’amore, che il canto dell’allodola possiede secondo l’insegnamento keatsiano.

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8 Commenti

  1. Ho sempre trovato ripugnante l’episodio del disseppellimento del quaderno di poesie da parte di Rossetti per destinarle alla pubblica diffusione: una prova di egocentrismo che mi ha sempre lasciato allibita. E in tutta sincerità non sono mai riuscita a considerarlo un grande artista, semmai un meticoloso illustratore.
    Anche questo articolo mi fa pensare che le persone nell’ombra accanto a lui avessero di più, di meglio da dare, per cui penso che mi dedicherò un po’ alla scoperta della poesia di Christina Rossetti.

  2. Molto bello il quadro bagnato di pallore e di malinconia. Anche il colore rosso ha un discreto profumo di sacrificio. Franco Buffoni dipinge i misteri della bellezza e fa sorgere l’ombra di Christina Rossetti nel tempo
    dove le donne erano fiori mangiati dall’oscurità, in un destino di tristezza,
    di assoluta povertà del corpo.
    Visitando il museo degli uffici, ho trovato una mostra su Caravage e scoperto una pittrice: Artemisia Gentileschi. Ecco una pittrice che si è buttata nella vita artistica in uno slancio vitale e il suo destino fu crudele.
    Fu stuprata. In questi quadri brucia violenza. Ho negli occhi l’immagine di una donna con capelli in disordine, occhi verso il cielo, aria sperduto: mi sembra essere l’immagine stessa dello stupro, il senso di follia che abita nella mente. Si perde il senso di tutto.
    Niente da vedere con le madonne dal volto liscio, tranquillo, sempre chinato verso il bambino, tratti eterni.
    Il giglio come simbolo di purezza, quasi celeste che non si sente il profumo. Forse la pittura di Rossetti ritrova l’assenza di carne nel corpo femminile, nel pallore della pelle, in una luce sottile, scarnata.

  3. Grazie a te Franco. Hai sempre una parola dolce per chi scrive un commento. Il quadro è sempre tornato verso il passato: elementi della pittura fanno accenno agli altri quadri, piccoli segni come il giglio o nel fondo, il paesaggio, si indovina blu, forse si crede intravedere un cipresso,
    non è dipinto, è la tua memoria che fa la traccia della storia che racconta il quadro. Il quadro dice della bellezza, ma anche è la voce segreta della tua storia. Viene una commozione di fronte a una bellezza che guarda in te, come un giglio scappato dalla luca per venire trovarti.
    E’ vero, la bellezza è simplice: Ti dà un respiro di infanzia, un sentimento
    di mare, di va e vieni, di felicità.
    véronique

  4. I miei complimenti alla dolcezza, profondità e sensibilità di lettura di Véronique, che ha fatto anche passi da gigante nell’italiano scritto. E’ una grande commentatrice!. Le voglio dedicare questo omaggio musicale, che secondo me non guasta in ambito di rilettura/interpretazione di arte preraffaellita:

    Lyrics:
    (Anderson/Wakeman)

    I will be there said my friend of a distant life
    Covered in greens of a golden age, set in stone
    Follow me “he sounded of dreams supreme” follow me
    Drifting within the glow and the after-glow of the eve

    And if that firelight, I could match the inner flame

    Sacred ships do sail the seventh age

    Cast off your garments of fear, replace them with love
    Most of all play with the game of the age
    Highest of places remain all as one with you
    Giving us light and the freedom of the day

    And if that firelight, I could match the inner flame

    Sacred ships do sail the seventh age
    And have always been here

    Celestial travelers have always been here with us
    Set in the homes of the Universe we have yet to go
    Countless expansions will arrive and flow inside of us
    My friend, he of fantasy, dancing with the spirit of the age

    http://www.youtube.com/watch?v=R1895UNiB28

    Buon ascolto e buona visione, a Véronique a Franco e a tutti gli altri commentatori .

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franco buffoni
franco buffonihttp://www.francobuffoni.it/
Franco Buffoni ha pubblicato raccolte di poesia per Guanda, Mondadori e Donzelli. Per Mondadori ha tradotto Poeti romantici inglesi (2005). L’ultimo suo romanzo è Zamel (Marcos y Marcos 2009). Sito personale: www.francobuffoni.it
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