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Ecco qua la piccola storia del mio circo
di Alexander Calder

www.calder.org

 
Quando ero bambino, ho avuto molti giocattoli, ma non ero mai contento di loro. Ho sempre abbellito e ampliato il loro repertorio con appendici fatte di fil di ferro, di rame e di altri materiali.
 
In California avevo un amico con cui costruivamo armature e armi di lamiera e di bosso, scudi, corazze, elmi, spade, lance. Io avevo persino un vecchio paio di guanti di mia madre coperti di placche di latta. Lui era sir Lancillotto e io ero sir Tristano. Noi credevamo di fare dei duelli (amichevoli), ma lui era molto più agile di me e una volta mi diede un colpo sulle chiappe con il lato piatto della sua spada (di legno) e così mi ritirai dai tornei per sempre.
 
Poi avevo dei cavalli di cuoio imbottiti di segatura – alti 25 centimetri – una ferrovia meccanica di metallo con vagoni alti 7 centimetri ed ero molto arrabbiato quando i miei vicini venivano a giocarci, tutti assieme.

 
Poi avevamo alcuni ferri per marchiare che avevamo riscaldato sopra una candela. Il ferro era diventato troppo caldo e i cavalli si bruciarono troppo e la segatura fuoriuscì.
 
Mia sorella ha avuto non poche bambole e con del filo di rame fine, raccolto per strada, quando saldavano i cavi elettrici, e con delle perline, abbiamo fatto gioielli straordinari.
               Le filoferriste
 
Più avanti ho giocato un po’ con giocattoli più complicati e meccanizzati.
 
Il primo anno che ero a Parigi (1926-27), ho incontrato un serbo, che sosteneva di essere nel commercio dei giocattoli e mi assicurò che ci si poteva guadagnare da vivere inventando giocattoli meccanici. Poiché non avevo molti soldi, questo mi interessava.
 
Ho cominciato subito usando il fil di ferro come materiale principale e aggiungendo ogni sorta di cose: cordicelle, cuoio, tessuto, legno. Il legno combinato con il fil di ferro (con cui facevo le teste, le code e le zampe degli animali, così come le loro parti articolate) era diventato il mio standard. Un amico mi suggerì di fare dei personaggi interamente di fil di ferro e fu allora che iniziai a fare quella che ho chiamato “Scultura di fil di ferro” e a Montparnasse, hanno cominciato a chiamarmi “Il Re del Fil di Ferro.”
 
Il mio serbo era sparito da molto tempo, ma io ero ormai lanciato nei giocattoli e mi decisi a costruire un intero circo. Avevo già studiato il grande circo Barnum&Bailey e Ringling Brothers durante le sue tappe a New York, le due ultime primavere prima che partissi per la Francia e così gli animali nei giardini zoologici.

 


Le clown

 
Il mio primo acrobata fu un saltatore che aveva gambe fatte di filo di acciaio, mani di piombo, il corpo rivestito di velluto giallo e una testa fatta da una pezzetto di tappo con capelli e baffi dipinti ad acquerello. Lo si lasciava cadere dalla parte dei piedi e dopo molte giravolte e avendo fortuna, lui ricadeva sulle mani. Lo trovai molto riuscito quando un’amica mi disse che assomigliava a suo padre.
 
Così ho fatto dei trapezisti con le mani e i talloni a forma di uncini. I trapezisti naturalmente erano di fil di ferro, tirati con fili di cotone. Farli avanzare era molto facile. Ma ho tentato una modifica affinché la donna saltasse veramente da un posto a un altro, per essere poi riacciuffata fra le braccia del suo compare. Il risultato: lei saltava nel senso opposto a quello che mi aspettavo. Ma tutto ciò che dovetti fare fu di mettere il signore nella posizione opposta.
 
Avevo fatto un cavallo in legno che galoppava e volevo farlo girare in cerchio. Al centro di una pezzo di cartone avevo fissato un frullino per sbattere le uova, che si muoveva al contrario per mezzo di una manovella di fil di ferro messa al di sotto del cartone, da cui spuntava di lato. La vecchia manovella di questa macchina modesta era stata rettificata e prolungata con fil di ferro e così ho potuto far camminare il mio cavallo in cerchio.

 


Le culbuteur

 
Dopo questo ho fatto un acrobata con le gambe divaricate a semicerchio e piedi pesanti e un trampolino che lo lanciava in aria. Il numero consisteva nel far andare il cavallo con la manovella e nel lanciare l’acrobata, tirando un filo che liberava il trampolino, affinché atterrasse in groppa al cavallo.
 
Ho fatto anche una danzatrice del ventre con una specie di elica, che attraversava il suo corpo longitudinalmente e girava, sollecitata dalla stessa specie d’ingranaggio.
 
Ho fatto un cane con tubi di gomma, con tre fili a ogni lato per equilibrare la coda. Andava a fare i suoi bisogni sotto un lampione a gas, quindi rientrava in scena galoppando.
 
Più tardi Paul Fratellini l’ha visto da me e mi ha chiesto di farne uno più grande per lui. Venne chiamato Signorina Tamara e Albert Fratellini l’ha trascinato per anni nei suoi spettacoli.

 

Le dompteur
 
C’era anche un domatore di fiere e il suo leone. Il leone, che aveva un corpo in filo di ferro e una testa di stoffa arancione, faceva molte acrobazie e poi, seduto su una base, mollava 2 o 3 castagne, che io coprivo rapidamente con della segatura. Volevo aggiungere gli odori. Andai per comperare del profumo, di muschio, ma era troppo caro, così mi vendettero un tubo di crema depilatoria (siccome aveva un pessimo odore). Me lo sono preso, ma, quando l’ ho aperto, mi sono rapidamente deciso a lasciar perdere gli odori.
 
Avevo “Il Selvaggio West” con un cowboy che era molto abile con un lazo e che catturava un toro che galoppava in cerchio.
 
C’era anche un “lanciatore di coltelli” e la sua “prima favorita” che veniva finalmente ferita e tolta dalla pista da due barellieri e che rientrava immediatamente sulla pista come “seconda favorita.”

 


Le chef du piste

 
Naturalmente c’era un direttore del circo in alta uniforme fatto con un tappo e un pezzo di cartone e vestito in frac. Aveva un fischietto per fermare la musica, per fare gli annunci e una fisarmonica a bocca come tromba, quando c’era qualcuno d’importante.
 
Cambiavo i tappeti a colori vivaci quasi ad ogni numero perché fossero complementari ai colori con cui erano fatti i costumi degli artisti, che portavano spesso gioielli splendidi di Woolworth. In tutto ci sono circa 20 numeri, con un intervallo, e noccioline, e la musica esotica del grammofono, diretto da mia moglie, che è un superbo direttore d’orchestra e i rumori d’un tamburo, dei piatti, un tubo di cartone per far parlare il leone e se amate il Circo in grande, forse amerete il mio.

 

[ trad. di Orsola Puecher]

 
Voici une petite histoire de mon cirque
par Calder

testo e disegni da
Permanence du Cirque
Revue Neuf Paris
[ 1952 ]

 
[ delizioso e prezioso libro illustrato – ricomparso da un certo scaffale – ora assai squinternato – come si vede – da successivi passaggi fra manine sporchicce – appicicosette e distruttrici di generazioni di bambini – che vi hanno sognato – e segnato – sopra – come solo si sogna su alcuni libri – prima ancora di imparare a leggere – imprimendo indelebilmente nel DNA del proprio immaginario le loro figure ]
 

Le Cirque de Calder
 
di Carlos Vilardebo [ 1961 ]

 

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orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
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