Stregature: Rosa Matteucci

di Marco Belpoliti

Rosa Matteucci, Tutta mio padre, Bompiani, pp. 286, € 17,50

Il romanzo famigliare non è una specialità italiana, certo, ma tutti i libri che da noi raccontano la famiglia, la sua allegra, oppure funesta, follia, sembrano discendere dal libro più italiano che ci sia: Pinocchio. Così è anche Tutta mio padre di Rosa Matteucci, il cui viso paffuto e bambinesco – ma l’espressione è seria e decisa – campeggia sulla copertina del libro. Una consuetudine, questa, di mettere i volti degli autori, che la Bompiani coltiva da qualche tempo, almeno per gli italoscrittori: Scurati, e ora Matteucci.
La storia, raccontata in prima persona da una voce pinocchiesca, inizia proprio con un calco di Collodi, là dove il burattino arriva alla casina della Fata ed è accolto dalla Bambina morta. Morti qui sono i due genitori di Rosa, morti e sepolti, ma subito ridiventano vivi, anzi vivissimi, nel racconto che prende avvio subito dopo. Ma prima di carburare a pieno, prima di trovare un suo ritmo incalzante, il romanzo impiega quasi una cinquantina di pagine: gira e gira intorno al nocciolo della storia, poi finalmente imbocca la vicenda della decadenza della famiglia nobiliare della madre, col fallimento del nonno e la cacciata dal Paradiso terrestre, dalla Villa dove erano riveriti e serviti. Nel discendere nell’Infernetto, ma subito Purgatorio, della vita di semi-stenti della propria famiglia, la prosa della scrittrice si fa più scattante, più viva, meno debitrice alle citazioni, alle vagonate di libri che deve aver divorato, al gioco di rinvii e sott’intesi che ne formano il substrato. La lingua di Rosa Matteucci è un impasto di colto e pop, lessico forbito e strattonate sintattiche, ma sempre perfetto, tornito, preciso, e insieme arruffato e smosso.
Pinocchio-Rosa racconta la storia della sua vita, come già aveva fatto quasi quarant’anni fa Celati con Banda dei sospiri, tra follie paterne e snobbismi materni, anche se poi il libro è una lunga lettera d’amore al genitore maschio, anche lui in copertina, in mutandoni da bagno, vero oggetto di desiderio di un libro dove l’eros sta tra le righe, nascosto dentro le parole, e nel fiato della voce. Un romanzo comico, e insieme di deformazione: il fallimento come viatico quasi sicuro per la letteratura.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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