Piva, Apocalisse da Camera
di Nicola Lagioia
Apocalisse da camera, romanzo d’esordio di Andrea Piva uscito qualche tempo fa per Stile Libero Einaudi, è la storia di Ugo Cenci, assistente di filosofia del diritto all’università di Bari, un giovane campione di analfabetismo etico i cui principali interessi non sono né Beethoven né lo stupro né l’ultraviolenza bensì un uso moderato ma costante di cocaina, la coltivazione di un rapporto nevrotico con la famiglia e, soprattutto, lo scambio di voti con i favori sessuali delle sue studentesse. Questo il primo motivo di interesse del romanzo: la consapevolezza, da parte del suo autore, che dai tempi di Burgess di acqua ne è passata sotto i ponti e che per raccontare il cuore di tenebra della nostra civiltà la cronaca nera sarebbe ormai soltanto un depistaggio da intrattenimento seriale. Basta scandagliare i rapporti “ordinari” tra genitori e figli, o il funzionamento di un ufficio, di un ospedale, di una facoltà universitaria per ottenere già un horror coi fiocchi.Tre almeno sono i livelli di lettura di questo romanzo meritevoli di commento – i primi due abbastanza visibili, il terzo e più importante, ossia quello più squisitamente letterario, nascosto tra le righe. Innanzitutto lo sfascio senza ritorno dell’istituzione culturale per eccellenza. Molti ricordano la vicenda di Ezio Capizzano, il fascinoso ex docente di diritto commerciale all’università di Camerino implicato in una storia di rapporti sessuali con alcune sue allieve che di torbido aveva pochissimo – l’evidenza di una schiacciante, specchiata consensualità fece cadere le accuse di concussione e violenza sessuale lasciando aperto lo spiraglio di un problema che faceva rimare la giurisprudenza con i dubbi amorosi di Pietro Aretino: se un divano di proprietà dell’ateneo / all’intrattenimento erotico è prestato / può definirsi ardore o peculato? Meno nota la vicenda dell’eroico Carlo Sabbà, professore associato di Medicina d’urgenza all’Università di Bari che, esasperato dalle continue richieste di raccomandazione, decise a un certo punto di protestare inaugurando il “trenta politico” per tutti i suoi studenti – la politica, in questo caso, era quella della resa senza condizioni. Le recenti vicende di cronaca rappresentano come al solito la punta dell’iceberg. Chi scrive ha avuto la fortuna di studiare nella stessa facoltà in cui è ambientato il romanzo di Piva ed in effetti Apocalisse da camera inquadra molto bene i meccanismi emotivi che presiedono al suicidio del sistema universitario (indimenticabile e per nulla parodistica la scena in cui, nel corso degli esami, gli assistenti si dividono svogliatamente gli statini degli studenti raccomandati trasformando il brivido del mercimonio in un innocuo scambio di figurine), un’università – ma si potrebbe fare lo stesso discorso per i ministeri o le redazioni dei grandi giornali – che nelle pagine di Piva non è più neanche un troiaio: il troiaio implica vitalismo, scatenamento e sprezzo del pericolo, implica la violazione di una regola che comunque esiste e resiste all’aggressione dei più pavidi o dei meno dotati, è materiale da Prima repubblica insomma, da sabba felliniano. Qui, al contrario, c’è lo sfondamento di una porta aperta, c’è l’umiliazione di un umanesimo ridotto a cadavere attraverso le armi di una piana, agghiacciante catatonia. Secondo motivo d’interesse è il modo in cui Apocalisse da camera si inserisce in quello che negli ultimi anni sta diventando un micro-filone letterario. Basti pensare all’Animale morente di Philip Roth, a Vergogna di JM Coetzee, alle Correzioni di Jonathan Franzen: in ognuno di questi tre romanzi c’è un professore universitario rovinato dalla relazione pericolosa con una sua studentessa. Ma mentre i personaggi di Coetzee e di Roth arrivano distrutti al traguardo, sono cioè anziani professori che hanno vissuto intensamente e “cadono” nel disperato tentativo di strappare alla passione un ultimo accordo, Ugo Cenci – il quale infine rimane anch’egli stritolato nella modesta trappola a orologeria che ha predisposto con tanta dedizione – implode sulla linea di partenza, a un passo dalla soglia oltre la quale si trasformerebbe in individuo adulto e, da individuo adulto, potrebbe seriamente cominciare a rovinarsi. Si potrebbe pensare allora a una parentela con Chip, il giovane docente universitario del romanzo di Franzen le cui ambizioni professionali si infrangono contro lo scoglio del politically correct. Ma neanche questo parallelo tiene, perché Chip vede distrutte le prospettive di una brillante carriera che per Ugo Cenci non sarebbe immaginabile: l’alternativa al crollo è un destino da portaborse, da cultore della materia non retribuito fino a data da destinarsi. Così, se Apocalisse da camera possiede un attributo generazionale e profondamente italiano capace di emanciparlo dai suoi omologhi d’oltreoceano, lo si deve rintracciare nel tema di una generazione bloccata, incapace da una parte di resistere al ricatto del familismo e dall’altra logorata da un “ricambio” che in Italia – dalla politica, al giornalismo, all’università appunto – può confidare soltanto nel lavoro paziente dei processi biologici (morte) o degli scandali pubblici (galera), una generazione nevrotizzata, frustrata e infine sconfitta dall’impossibilità di varcare la linea d’ombra. E veniamo al punto più squisitamente letterario. Benché fuori dal contesto dell’università o da qualunque altro apparato istituzionale, il vero antenato dei personaggi letterari fin qui citati, il più grande, fulgido e struggente esempio di professore alle prese con una creatura femminile tanto lontana per coefficiente anagrafico e culturale quanto vicina nei meccanismi della seduzione e dell’amore è Humbert Humbert, l’indimenticabile protagonista e io narrante di Lolita. Un personaggio sufficientemente complesso da trasformare la sua storia con Dolores Haze in una continua violazione, abbastanza consapevole per infrangere la legge riconoscendosi una colpevolezza, talmente umano da arrivare al delitto. In Roth l’elemento del delitto è impensabile e quello della violazione è destinato al sacrificio sull’altare della piena consensualità mentre in Piva siamo addirittura alla catena di montaggio. Da qui, la facile accusa di bidimensionalità che si potrebbe muovere a Ugo Cenci. Mentre no, il grado di parentela con gli Humbert Humbert è ormai talmente lontano da costringere il lettore a equipaggiarsi con altri strumenti d’indagine. Siamo in un nuovo territorio, un territorio in cui si sta provando a muovere la letteratura più interessante degli ultimi anni e che ha per baricentro un nucleo ambiguo, contraddittorio che a mio parere risulta ancora in parte misterioso e indecifrato per lo stesso Piva e per chi, come lui, si sta cimentando in questo genere di imprese. Provo a spiegarmi. Apocalisse da camera è scritto in terza persona, eppure la distanza narratologica non serve a celare un continuo esercizio di connivenza tra chi racconta e il suo protagonista: è una connivenza voluta, una connivenza per dispetto, la connivenza di un moralista e di un individuo dotato di sensibilità che, esasperato dalla volgarità e dalla totale assenza di moralità che lo circonda, e a cui uno scontro frontale farebbe rischiare il deragliamento retorico, decide di gettarsi in pasto al mostro a braccia aperte. Nello stesso tempo la lingua di questo romanzo – ricca, elegante, letteraria, intelligente e scaltra nel programmare le proprie cadute verso il basso, in pochi casi colpevolmente esasperata fino all’eccesso di artificio – è di per sé una viva e continua protesta contro la volgarità, l’aridità, la miseria del mondo che rappresenta. Ecco, è proprio questo nodo contraddittorio e schizofrenico l’elemento più interessante di Apocalisse da camera. Si potrebbe fare un discorso analogo per Altri paradisi di Walter Siti, di cui pure abbiamo parlato recentemente. Siamo insomma su un suggestivo punto di partenza. Se questo tipo di letteratura ha la speranza di aprire davanti a sé un vero orizzonte, dipenderà dalla capacità dei suoi autori non tanto di scioglierne le contraddizioni (si tratta di un nodo antidialettico, in qualche modo irriducibile) ma di indagarle con ancora maggiore coraggio, forza e lucidità. Anche perché, di strade alternative non se ne vedono poi tante
non sono d’accordo. lo scrittore non può confondersi con un simile personaggio. nemmeno per sbaglio. pollice verso come per Walter Siti. l’autore non deve moraleggiare, ma la condanna deve essere nei fatti e senza appello. la letteratura è materia incandescente, quando ve lo metterete nella zucca.
e stai calmo, eh?
Premetto che non ho letto il romanzo, ma essere connivente significa assistere passivamente e non denunciare. Cosa significa essere connivente (in terza persona)? La connivenza in prima persona mi aiuta ad accettare anche il Jason Bateman di B.E. Ellis, ma in terza… comprendo il rischio del deragliamento retorico della denuncia, ma credo sia un rischio da correre… leggerò, sono curioso… ciao.
La letteratura è materia incandescente proprio perché non è condanna senza appello ma qualcosa di molto più grosso e complesso e mostruoso e meraviglioso. La condanna senza appello la fanno i giudici e i giornalisti, e chi è abituato a leggere i romanzi come fossero giornali, pamphlet, manifesti politici. Questo è l’abc, porca miseria. Quando riusciremo ad amarla veramente, la letteratura? A rispettarla, proprio per questo suo carattere imprendibile?
Scusate. Avevo mandato il post dal pc di Christian Raimo e c’era in automatico la sua firma. Il commento precedente non è di Christian Raimo ma il mio. Saluti
Nicola
… i paradisi di Siti erano “troppi”, non “altri”. La differenza mi pare essenziale. Ma, refuso a parte, le considerazioni del pezzo sono interessanti. Questa perversione della normalità, o normalizzazione del perverso, questo abbattimento delle barriere etiche da ultimi giorni dell’impero. A ciò si contrappone la narrazione, la lingua, che con la sua tensione etica – non moralistica – rimane l’ultima, e forse unica, difesa possibile.
lagioia scrive bene quando fa il critico (Dio ci salvi dai suoi romanzetti arbasiniani!). Peccato che cerca nei libri che recensisce se stesso, il proprio asfittico universo. I grandi critici sanno guardarere oltre il proprio naso.
esatto, ha ragione il Ferroni a essere incazzato nero coi Walter Siti di tutte le latitudini e con gli atteggiamenti interlocutori che alcuni critici e siti hanno verso questi personaggi. siamo all’autoassoluzione del reale, altro che balle, giustificato da condivisione degli orrori quotidiani. se guardo attentamente la piastrella su cui il mio piede è appoggiato, magari con la lente di ingrandimento, ci troverò una serie enorme di sozzerie e universi asfittici. i grandi classici sono il punto di riferimento. i piccoli orrori quotidiani fanno parte della vita di tutti noi, inutile dare loro un’importanza superiore a quella che hanno. potrebbe essere anche un’operazione furba. stile libero einaudi farebbero meglio a chiuderla. sei in grado di pubblicare una cosa vera o no? allora ti pubblichiamo, non è che ti mandiamo a stile libero se stai in una posizione intermedia. il libro recensito, non lo leggo e non mi piace. mi basta il poco che ho sentito, e il sospetto che sia grande letteratura personalmente non mi sfiora. ma oggi ti trovi gente che ti scrive, magari, addirittura, su l’Unità, che Borges è “letteratura derivata” e che è roba superata dalla storia, da guardare con un po’ di compatimento. era Montesano. tutti compagnucci vostri. forza Ferroni!
Forza quello, abbasso quell’alltro, la pastetta, i compagnucci vostri… sempre questa tremenda etica da stadio, da curva sud e nord. Così non si fa un ragionamento, non si arriva a niente.
Ferroni ha dissentito dal libro di Walter Siti, lo ha criticato, ma con il rispetto che si deve a un autore importante.
Altrimenti come si spiega che nell’ultima Storia della letteratura italiana dello stesso Giulio Ferroni tra i (pochi) autori dell’ultimo periodo antologizzati c’è proprio Walter Siti (come del resto Lagioia)? Tutti compagnucci?
Ma andiamo: pretendiamo l’impossibile: cresciamo, una volta tanto!
mbeh? Vi siete tutti ammutoliti?
troppi paradisi non altri paradisi
nessuna etica da stadio, Ferroni ha preso delle posizioni, anche etiche e civili e non solo letterarie, intorno alla questione Walter Siti e ai suoi simpatizzanti. non mi sembra di avere per niente forzato alcunché. d’altronde su uno apre l’Unità e legge Montesano che scrive che Borges è letteratura derivata, che ricalca un concetto della matematica, ma non si capisce cosa vuol dire, ne ha ben donde di incazzarsi. siete voialtri che dovete decidere di uscire dal guado. non c’è dubbio che “faccio il tifo” per Ferroni perché finalmente è venuto allo scoperto qualcuno con il coraggio civile di ridimensionare questa roba che voi chiamate letteratura.
caro pippo, quando e dove Ferroni ha preso queste posizioni. Perché non ci metti un virgolettato di questa uscita ferroriana? Grazie
caro/a maritella, basta leggere i giornali ogni tanto. i virgolettati non li ho, non sono Travaglio, ma comunque se uno non ha proprio voglia di menare il can per l’aia, capisce che si parla di cose vere. comunque stacco per un po’ perché la mia l’ho detta e capisco di essere assai fuori linea rispetto al “timone riformista” del sito, tanto da poter apparire un troll. ma non sono un troll, sono solo uno che ha pizzicato la mezza malafede di una certa linea e che poi apre l’Unità e trova qualche frescone che pontifica sulla “letteratura derivata”. saluti per un po’, come al solito! e salutatemi Walter Siti!
effettivamente Siti è la testa di ponte verso la grande coalizione del dopo prodi tra partito democratico e il berlusca. perchè non averci pensato subito?
mi piace pippo, a me.
perché lui assieme alla scrittura vuole il giudizio senza appello.
senza giudizio non gli va giù, a lui.
Il 22 settembre del 1976 Jorge Luis Borges si intrattenne a pranzo col generale Pinochet. Al termine di quel momento conviviale ebbe a dichiarare:
“Yo soy una persona muy tímida, pero él (Pinochet) se encargó de que mi timidez desapareciera, y todo resultó muy fácil. El es una excelente persona, su cordialidad, su bondad… Estoy muy satisfecho… El hecho de que aquí, también en mi patria, y en Uruguay, se esté salvando la libertad y el orden, sobre todo en un continente anarquizado, en un continente socavado por el comunismo. Yo expresé mi satisfacción, como argentino, de que tuviéramos aquí al lado un país de orden y paz que no es anárquico ni está comunizado”.
Queste sono le posizioni “anche etiche e civili e non solo letterarie” di Borges, che probabilmente gli costarono anche il Nobel.
Delle due l’una. O giudichiamo le opere letterarie per la maggiore o minore possibilità di espressione dei loro autori, inserendole in un adeguato contesto storico-critico; o giudichiamo le persone sulla base delle loro scelte politico-esistenziali e da queste deriviamo il giudizio sulle loro produzioni.
caro/a Pippo, io i giornali li leggo, ma mi è sfuggito questo intervento di Ferroni che sarei curiosissima di leggere, in quanto Troppi Paradisi di Walter Siti mi è sembrato molto sopravvalutato, anche in questo sito e proprio da Lagioia.
Insomma a Lagioia piace Siti, a Lagioia piace anche Piva, Bari li unisce; a Pippo invece non piace Siti e a quanto pare a “La croce del sud” non garbano molto i romanzi di Lagioia. Embè? Come diceva il vecchio detto? I mondo l’è belo perchè l’è vario, no? Mamma mia, che sarà mai! A me piace il gelato alla nocciola, e spesso mischio i gusti alla crema con quelli alla frutta. Oh, mica bisogna arrabbiarsi tanto perchè Francè – poverino – domenica scorsa ha sbagliato il rigore… che sarà mai! Colpa de Ilari, colpa de Ilari
Ecco che finalmente arriva uno sano. Chiunque tu sia, portiere della Reggina: grazie.
avevo postato precedentemente un bel pò di righe e non so che fine hanno fatto. peccato
A leggerli, per davvero, i libri, si possono anche avanzare collazioni, le più ardue e impervie; così possono scorgersi anche fili sottilissimi, quasi invisibili, parentele discutibili e antenati di autorevole schiatta. A leggerli, i libri.
E non nominarli. Elencarli o rendicontare date di nascita e ultime uscite, la tendenza, il filone. Una volta canone.
Voglio essere polemico.
A leggerlo Lagioia, per davvero.
Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj? Folgorante.
Con un po’ di memoria e di buon senso e di onestà e di senso critico TSPSDT è l’imprescindibile e troppo poco evidenziato perno della letteratura degli ultimi 15 anni, talmente sfaldata che solo da un punto doveva ripartire: frammenti, torsi, impossibilità per la struttura e per la forma romanzo di reggersi, e di sorreggere; e una voce, un modo, una visione per aprire la porta a tutto questo. C’è sempre uno scoppio da qualche parte. Lontano. Poi si propaga. TSPSDT è stato un vagito, un bel vagito. Frammenti e singhiozzi. E se ora e oggi (forse, chissà, ancora nei prossimi mesi?) parliamo di opera-mondo, TSPSDT ha contribuito, e non poco. Gli inizi sono sempre inconoscibili. Fra poco mi fermo. Solo un altro poco. Voglio essere polemico, ho avvertito.
E se a nominare Lagioia spunta Arbasino, bene. Però ad averlo letto Duddù di Voghera, per davvero, e non solo Fratelli d’Italia, ma anche Le piccole vacanze e SuperEliogabalo e La Narcisata e La bella di Lodi. Allora si possono fare anche comparazioni o aggredire figli e figliastri, nipoti e vicini di pianerottolo. Però ad averli letti, per davvero. Così potrebbe capitare che si scopre che ha stile, voce, coraggio, ritmo, tocco e parole puntute – Lagioia. Tutti suoi. Due frammenti preziosi: Piccolo diario cinese e Dieci anni, il primo, soprattutto, con quella sterzata, nel suo mezzo, improvvisa e dolce: una precisa scudisciata all’intera storia italiana che ha creato una voragine, e ha sparso macerie. Che ci sono state conservate e consegnate. Ah, ad averlo letto…
Frammenti e torsi, frantumi che vagano… Lo so, fra poco smetto. Solo un altro poco.
Sparsa fragmenta recolligam. Occidente per principianti, ad averlo letto. Con la consapevolezza della forma romanzo a brandelli i pezzetti, dopotutto, devono essere raccolti? Certo. E badate bene all’anno. E al coraggio. E ad alcune pagine. Bastano poche righe dove combattono e ci frastornano Mefistofele e l’Orso Yoghi, Tonio Kroger e Mister No. Tutto bollato troppo presto (troppo presto, e grossolanamente) con il cliché del trentenne precario giornalista nostalgico puerile intasato di fumetti e cineforum. Neanche il tempo di legittimarsi come topos e subito sedimentato come matrice già obsoleta. Una lastra di calcare sopra e via.
Solo che OPP ha legittimato, ha sentito e raccontato, aggrappato al volo l’umore, l’aria che galleggiava sopra le nostre teste, prima che scendesse su di noi. Quell’aria di passaggio, di mutamento, che solo alcuni colgono, prima del tempo. Gli inizi sono sempre inconoscibili…
Ah, ad averlo letto.
Poi possiamo pure nominare ed elencare e imparentare.
Poi.
Pier Luigi, alias lagioia, falla finita di dire sciocchezze. I romanzi di Lagioia se sono costituiti da “Frammenti e singhiozzi”, come dici, è solo perché non sa raccontare, il lagioia, è noioso e presuntuoso, proprio come l’umanità insulsa di intellettualini replicanti (come lui) che rappresenta. La letteratura italiana è sempre stata gravata da una zavorra di frammentismo e dilettantismo.
Peccato che questo sito, in sé interessante, e vario di ispirazione checché ne dicano i soliti Io-contro-Voi, raccolga quasi esclusivamente la spazzatura di tutti i possibili commenti. Piuttosto triste.
Lagioia parla di un libro (altrui), e subito il punto diventa se Lagioia abbia scritto lui bei libri o meno. è come rinfacciare a Gianni Clerici di essere stato troppo scarso come tennista per potere commentare un bel colpo. O un brutto colpo. La sostanza non cambia. Neanche la solfa dei soliti livorosi.
la colpa è di Pier Luigi – alias Lagioia – che ha eretto un monumento a Nicola Lagioia (a se medesimo), ai suoi romanzetti arbasiniani. Peraltro il pezzo di Lagioia su Piva è ben scritto e interessante, così possiamo confermarci nell’idea che Lagioia è critico e non scrittore.
Sono Pier Luigi, non Lagioia. Pier Luigi. E ho scritto una serie di cose senza livore, solo per contrastare l’espressione romanzetti arbasiniani. Arbasino è un’altra cosa. Lagioia è un’altra cosa. Basta leggerli. Senza livore. Solo onestà. Occidente per principianti è un grande romanzo, e prima di tutto è un grande racconto, ben raccontato. Romanzo di formazione, picaresco e soprattutto un contenitore, resitente, forte, della REALTA’ FRAMMENTARIA RIDOTTA A MACERIE. Lui l’ha saputa ben raccontare.
Pier Luigi
“realtà frammentaria ridotta a macerie”, scrive l’ineffabile Pier Luigi. Chissà perché quando la narrazione è faticosa involuta e statica si dice che la realtà è frammentata e ridotta in macerie. Mah!
@ Cristoforo Prodan
l’etica del testo letterario, caro furbacchione, le giravolte degli uomini per carità, lasciamo stare, ti rispondo con il testo della canzone Rotolando verso Sud dei Negrita, veramente più perspicace di voialtri tromboni alla moda che vivacchiate intorno a questo sitazzo: la libertà della poesia, al di là dei tradimenti degli uomini. Borges tradisce come uomo, ma come poeta è libero, ed è un grande poeta.
…Sopra a un’onda stanca che mi tira su
mentre muovo verso Sud
Sopra a un’onda che mi tira su
Rotolando verso Sud
Long way home
SOL Y SANGRE, SEXO Y SUR
La dignità degli elementi
la libertà della poesia,
al di là dei tradimenti degli uomini
è magia, è magia, è magia…