Senza titolo
di Antonio Moresco
(In questo articolo di Antonio Moresco pubblicato sull’”Unità” sono nominati i libri di Moresco, di Scarpa, miei e un libro collettivo firmato da alcuni collaboratori di Nazione Indiana. Nel postarlo ho avuto perciò qualche perplessità. Tra gli stili di comportamento che Nazione Indiana si è data c’è infatti anche quello di non lodarci e imbrodarci a vicenda, né di recensire libri di amici solo perché sono di amici. Dapprima avevo perciò pensato di tagliarne via un pezzo. Ma poi mi sono accorta che avrei alterato la natura dell’articolo, che è una risposta a ciò che altri ha detto. Ed è una risposta che si ribella al finto galateo di chi gioca con le carte truccate, di chi non fa che ripetere da un po’ di tempo a questa parte che non c’è più nessuno nella stanza, pretendendo che chi è nella stanza nemmeno ribatta qualcosa. “Ah, sì? Tu dici che ci sei? Ah, ti lodi da solo, narcisista!”. Come in quel film di Bunuel, “Abbasso la libertà!”, dove c’è una bambina che tutti danno per dispersa, che tutti cercano, e che continuamente zittiscono quando tenta di dire “Ma io sono qui”. Se quindi in questo pezzo si parla, tra le altre cose, anche di Nazione Indiana e dei suoi collaboratori, è perché altri li ha dati per inesistenti. Perciò mi prendo la responsabilità di pubblicarlo nella sua interezza. Carla Benedetti)
Sono ormai settimane che leggiamo quasi quotidianamente su giornali e riviste interventi e articoli che hanno come unico e generico contenuto il seguente assioma: in Italia non c’è più niente.
Nessuno scrittore, nessun critico, nessun “intellettuale”… A chi osa sostenere il contrario si ribatte che pratica l’intimidazione e l’insulto o che è preda del proprio inguaribile delirio narcisistico autopubblicitario (Lello Voce a Carla Benedetti e ad Aldo Busi sull’Unità). Come se si pretendesse di fare un processo negando la parola agli accusati. Come se si dicesse (mentre si guarda ostentatamente da un’altra parte) che in Piazza dei Miracoli a Pisa non esiste la Torre, e la Torre -potendo parlare- non potesse nemmeno ribattere: “Guardate che io ci sono!”.
Perciò voglio sottrarmi da subito a questo gioco truccato e a questo galateo facendo degli esempi concreti e parlando anche di me stesso e del mio lavoro.
Tutto pensiero debole, scrittori deboli, lingua debole… sentenzia nientemeno che Lello Voce. Bene. Sono decenni, prima come scrittore a lungo inedito e sotterraneo poi come scrittore edito, che mi batto contro tutto questo. Una battaglia che si è configurata in termini artistici e di pensiero anche in numerosi libri pubblicati da editori del tutto visibili (Bollati Boringhieri, Feltrinelli, Rizzoli) e che ciascuno, se lo vuole, può leggere. Alcuni di questi libri prendono di petto anche tutto questo (“Lettere a nessuno”, “Il vulcano”, “L’invasione”), altri, altrettanto interni alla stessa onda, si spingono anche in zone di distruzione-costruzione e prefigurazione (“Gli esordi”, “Canti del Caos”). Non esistono? E’ tutto pensiero debole, lingua debole?
Altro esempio. Carla Benedetti ha pubblicato, negli ultimi anni, alcuni libri assolutamente nevralgici su questi temi (“Pasolini contro Calvino”, “L’ombra lunga dell’autore”, “Il tradimento dei critici”), anche questi pubblicati da editori assolutamente visibili, ma con i quali la cosiddetta intellighentia del nostro paese -accademica e no- ha sempre evitato di fare i conti preferendo le vie del facile sarcasmo e dell’offesa personale, quando non quelle dei tribunali. Non esistono?
Ma ci sono numerose altre persone (oltre a chi -come Aldo Busi– è già intervenuto sulle pagine dell’Unità). Come Tiziano Scarpa, che ha pubblicato un libro (“Cos’è questo fracasso?”) che prende posizione direttamente e senza peli sulla lingua su tutto questo, e interviene su giornali e riviste e anche in rete con intelligenza, anticonformismo e coraggio e che ha pubblicato altri libri che si muovono verso direzioni diverse, fino all’ultimo, sorprendente “Kamikaze d’Occidente”. Non esiste?
E anche molti altri scrittori si muovono (ciascuno a suo modo e con la sua personale sensibilità) in una direzione diversa da quella delle frettolose condanne che vengono continuamente ospitate su giornali e riviste. E ci sono giornalisti coraggiosi, ci sono voci che vengono fuori qua e là dalle zone più impensabili, ci sono libri collettivi (come “Scrivere sul fronte occidentale”, che raccoglie gli interventi di scrittori, critici, poeti, registi e altri all’indomani dell’undici settembre). E siti collettivi come Nazione Indiana, di cui fanno parte Dario Voltolini, Carla Benedetti, Tiziano Scarpa, Helena Janeczek, Renzo Martinelli, Giovanni Davide Maderna, Benedetta Centovalli, Raul Montanari, Aldo Nove, Andrea Inglese e molti altri. E i libri e il lavoro in rete generoso, ardimentoso e instancabile di Giuseppe Genna (“ Miserabili”), quello di Valerio Evangelisti (“Carmilla”) e di molti altri che hanno aperto uno spazio ulteriore e diverso nell’immaginario di questi anni. Non esistono?
In realtà ciò che non si vuole vedere (o si cerca di azzerare) è proprio il fatto che si sta creando in questi anni, proprio in questi anni, uno smottamento profondo. Le pagine culturali di giornali e riviste, tranne poche eccezioni, non se ne rendono conto o cercano di difendere l’esistente in vario modo. Sono talmente chiuse, arroccate e dominate da logiche istituzionali e di casta e da piccole e grandi lobby che è dovuto nascere addirittura un altro medium (in questo caso la rete) perché si potesse finalmente vedere un paesaggio diverso. Non sto dicendo che là è tutto nero e qui è tutto rosa, che qui c’è il paradiso. Ma qui perlomeno i filtri vengono scavalcati, qualcosa passa, tutto è di nuovo in gioco, si può respirare. Certo, la situazione è tragica, e lo è ancora di più se usciamo dalle logiche ideologico-politiche antropocentriche che si sono mangiate tutto e non ci fanno vedere la vera emergenza, che è ormai quella di specie. Ma almeno si ha l’impressione che qualcosa possa aprirsi di nuovo nella cappa soffocante di questi anni, che non è solo quella del potere politico istituzionale. Mentre dalle pagine di giornali e riviste figure di vario tipo, prese dentro un giro di frustrazione e identificazione con l’aggressore, pare ormai riescano solo a dirci che tutto è morto, forse nella speranza che così non si veda che lo sono loro.
All’”Unità” vorrei dire che non basta ripetere che Berlusconi è una vergogna e un disonore per il nostro paese (cosa su cui sono as-solutamente d’accordo) e vivere su questa rendita di posizione, quan-do, in altri ma non estranei campi, passano poi le stesse logiche e le stesse semplificazioni e astrazioni. La tragedia è che non c’è solo Berlusconi (che già sarebbe abbastanza!). C’è anche tutto il resto. Ci sono gli sciocchini protervi, i superficiali, gli ometti, c’è quello che resta dei piccoli poteri ramificati delle cosiddette Avanguardie, che hanno sempre cercato di rendere la vita difficile agli scrittori nel nostro paese, ci sono le piccole e grandi baronìe che attraversano da parte a parte tutto il quadro politico, accademico e culturale, le cricche di piccolo potere ma di grande frustrazione e rancore che prosperano anche a sinistra sotto gli occhi di tutti e sono spesso la nervatura di giornali e riviste che pure, in altri campi, conducono una difficile e coraggiosa opera di opposizione in tempi tanto plumbei e difficili. Piccoli gruppi e congreghe che occupano tenacemente piccoli spazi di potere gregario e praticano l’inclusione e l’esclusione, quando non il lavoro sporco per conto di qualche padrino e il linciaggio. Vecchi intellettuali chierici incattiviti e frustrati che, non potendo più maneggiare precedenti ideologie, maneggiano quelle nuove e terminali variamente riciclate e addobbate. E’ il solito personale intellettuale, erede dei letterati allevati nelle corti e abituati a fare i servi di grandi e piccoli principi e ora in vario modo collusi con i nuovi poteri e le nuove industrie della normalizzazione e dell’intrattenimento, vecchi marpioni e piccoli guardaspalle abituati al gioco della doppia verità e con i piedi in dieci scarpe, gli stessi che già erano stati individuati con lucidità da Leopardi, Pisacane, Gobetti… Non c’è solo Berlusconi. Quando non ci sarà più Berlusconi (speriamo presto) ci sarà ancora una grande e disperata battaglia da fare e un grande sogno da mettere al mondo.
Credo che, nei prossimi anni, questo scontro (perché di questo si tratta) si inasprirà ancora di più, si radicalizzerà. Perché la fenditura che si è aperta è ancora piccola, poco visibile, ma verticale, profonda, e forse non la si potrà più giocare e imbrigliare dentro logiche generazionali e di target poetico o altro, non si potrà continuare a invisibilizzare e ostracizzare a lungo tutta questa incontrollabilità e questa disobbedienza.
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Pubblicato sull’”Unità” del 28 febbraio
I commenti a questo post sono chiusi
Bello il Moresco light, senza più complessi céliniani.
sono d’accordo con molte delle cose che dice scarpa sui padristi, così come con molte delle cose della benedetti, e abbastanza con quelle di moresco. ma provo una sensazione fastidiosa dovuta al fatto di contrapporre alla mancata curiosità altrui, la rivendicazione della propria indianità. vi prego, questa non è una riserva. non mi sembra stiloso (stili di comportamento che non è questione di etichetta) proclamare la propria apertura mentale e culturale e poi esaltare il proprio lavoro e quello di pochi affini. sono franco: secondo me alcuni dei partecipanti a nazione indiana sono tra i più grandi scittori oggi esistenti in italia. (non credo come proclama genna a gran voce che la narrativa italiana oggi fa il culo a quella statunitense. è un problema di mercato, se non di altro. più persone che hanno la possibilità di fare gli scrittori a tempo pieno). ma trovo sinceramente fastidioso prendersi il ruolo delle vittime, degli ostracizzati, dei malgiudicati per attaccare. è quello che fa persino Berlusconi. tutto questo non toglie l’impressione sempre più forte che luoghi presunti deputati per avere il polso di quello che bolle in italia oggi nella scrittura, assolvano poco a questo compito. passi per i media, ma l’università, i critici? pasolini o calvino o chi per loro avevano una grande capacità di interpretare il mondo nella sua complessità. oggi un’operazione di revival di legittimazione vuol dire semplicemente trincerarsi dietro un’analisi già compiuta, semplificata, ed esimersi di confrontarsi con la propria competenza, la propria possibilità di comprensione di quel che accade.
Condivido la reazione di Antonio Moresco a tutte le forme aprioristiche che denunciano il nulla nell’universo intellettuale e letterario, e che manifestano una straordinaria miopia nei confronti della realtà viva, varia e circostante. Ogni giorno i poeti sono abituati a sentire critici di poesia, impegnati in bilanci di fine millenio, che sentenziano sull’inesistenza di nuove e valide generazioni di poeti. E cio’ deriva solo da ignoranza sistematica di tutto cio’ che viene fatto e scritto da poeti che hanno venti, trenta o quarant’anni.
Per altro, ho apprezzato molto un libro non recentissimo di Luperini, “Allegorie della modernità”, e certi suoi interventi critici su “Allegoria”. D’altra parte è innegabile che nonostante una ricchezza di strumenti teorici, Luperini non riesca a “vedere” la molteplice vita della letteratura italiana esistente: una sorta di impossibilità di scendere in acqua e di mettersi a nuotare, pur sapendo eseguire perfettamente i movimenti all’asciuto.
Ma c’è un altro problema. Ogni forma di controdenuncia come quella di Antonio rischia di produrre, per il fatto stesso di essere stata fatta, un nuovo cono d’ombra, d’invisibilità. Il problema non è tanto dire: “Guardate che io ho fatto questo, e pigliatevi almeno la briga di considerare che esiste”. Su questo Moresco ha ragione: bando al galateo, quando è in gioco l’annullamento sistematico della mia e di altre voci. La questione è un’altra: ogni lista, anche la più ineccepibile, è PARZIALE, e lascia fuori sempre MOLTO. E questo bisognerebbe sempre dirlo, per non incorrere nel gesto simmetrico dell’annullatore. “Noi esistiamo e lo diciamo senza falsi ritegni, MA esistono molti ALTRI, di cui noi stessi non sappiamo o di cui non faremo l’elenco” La vitalità della letteratura ammette infatti le più assurde e impensabili convivenze.
Quindi chi dice che la letteratura in Italia è morta, spenta, debole, agonizzante, mente, e mente al quadrato, in quanto NESSUNO di noi è in grado di censire TUTTE le sue forze attualmente attive.
Condivido la reazione di Antonio Moresco a tutte le forme aprioristiche che denunciano il nulla nell’universo intellettuale e letterario, e che manifestano una straordinaria miopia nei confronti della realtà viva, varia e circostante. Ogni giorno i poeti sono abituati a sentire critici di poesia, impegnati in bilanci di fine millenio, che sentenziano sull’inesistenza di nuove e valide generazioni di poeti. E cio’ deriva solo da ignoranza sistematica di tutto cio’ che viene fatto e scritto da poeti che hanno venti, trenta o quarant’anni.
Per altro, ho apprezzato molto un libro non recentissimo di Luperini, “Allegorie della modernità”, e certi suoi interventi critici su “Allegoria”. D’altra parte è innegabile che nonostante una ricchezza di strumenti teorici, Luperini non riesca a “vedere” la molteplice vita della letteratura italiana esistente: una sorta di impossibilità di scendere in acqua e di mettersi a nuotare, pur sapendo eseguire perfettamente i movimenti all’asciuto.
Ma c’è un altro problema. Ogni forma di controdenuncia come quella di Antonio rischia di produrre, per il fatto stesso di essere stata fatta, un nuovo cono d’ombra, d’invisibilità. Il problema non è tanto dire: “Guardate che io ho fatto questo, e pigliatevi almeno la briga di considerare che esiste”. Su questo Moresco ha ragione: bando al galateo, quando è in gioco l’annullamento sistematico della mia e di altre voci. La questione è un’altra: ogni lista, anche la più ineccepibile, è PARZIALE, e lascia fuori sempre MOLTO. E questo bisognerebbe sempre dirlo, per non incorrere nel gesto simmetrico dell’annullatore. “Noi esistiamo e lo diciamo senza falsi ritegni, MA esistono molti ALTRI, di cui noi stessi non sappiamo o di cui non faremo l’elenco” La vitalità della letteratura ammette infatti le più assurde e impensabili convivenze.
Quindi chi dice che la letteratura in Italia è morta, spenta, debole, agonizzante, mente, e mente al quadrato, in quanto NESSUNO di noi è in grado di censire TUTTE le sue forze attualmente attive.
ooops! scusate l’autoclonazione…
“Le pagine culturali di giornali e riviste, tranne poche eccezioni (…) cercano di difendere l’esistente in vario modo. Sono talmente chiuse, arroccate e dominate da logiche istituzionali e di casta…” ecc.
E’ una frase di Antonio Moresco. Se avessi avuto accesso a giornali, o se avessi tematizzato la situazione dall’esterno, avrei potuto scriverla io a partire dagli anni’80. Ma potrei scriverla io ancora oggi. Intendiamoci, sono nato nel 1959, non credo di essere piu’ vecchio di Moresco e altri di Nazione Indiana, ma negli anni ’80 con altri donchisciotteschi amici avevo fatto una casa editrice che si chiamava Aelia Laelia (come una lapide alchemica trovata a Bologna e commentata da Nerval), perché trovavamo soffoccante l’editoria italiana, oltre che idiota, con tutta quella quadrettatura di “generi” e di collane che sembravano esistere soltanto per scoraggiare l’invenzione di forme e di libri. Ovvero di scoraggiare la letteratura. Mi piace ricordare che noi di Aelia Laelia nei nostri aristocratici incoscenti volumetti con le copertine di carta Fedrigoni vergata abbiamo pubblicato per la prima volta Peter Bichsel, abbiamo pubblicato per la prima (e purtroppo ultima) volta Patrizia Vicinelli (che forse molti lettori non conoscono, e sarebbe gravissimo), e le ultime poesie di Amelia Rosselli, e altri deliziosi, ne sono convinto, libri che definivamo “felici e impubblicabili”. Nessuno di noi ahimè era editore, eravamo scrittori e poeti, e fare quella collana-casa editrice era un faticoso prolungamento del nostro gesto di scrittura. Insomma cessò, come le rose. E per un attimo ci sembrava che non fosse piu’ necessaria, che gli spazi si fossero aperti, in Italia. Macché. Aelia Laelia finì appena in tempo per non confondersi con la retorica dei piccoli editori, che imitavano i maggiori ma con meno soldi e piu’ ignoranza. E’ triste, ma i nostri slogan di allora sono oggi ancora validi, perché la stessa idiozia e chiusura governa oggi le case editrici, e io sperimento di continuo sulla mia pelle (come accade ad altri scrittori che conosco) la situazione abnorme che fa sì che devono essere i libri a confermare le collane, e non viceversa. Tremendo.
Scusate questo lungo discorso, ma l’intervento di Moresco mi ha irritato. Non può pretendere di occupare tutti i ruoli: quello di scrittore di cui si parla, visibilissimo, e nello stesso tempo di chi si lamenta della propria invisibilità, o della sua minaccia di esistenza, solo perché un anziano critico (lui sì, a questo punto, da preservare, in via di estinzione come un panda), prova nostalgia per le prese di posizione pubbliche e incisive di Pasolini. Ma allora ha ragione, perché è stato assolutamente frainteso! E’ incredibile già questo: io ero incazzatissimo per l’articolo di Luperini sull’Unità, e gli ho risposto con un lungo pezzo il 21 febbraio (da voi ignorato, che io sappia). Ma ci volevano i vostri lamenti per farmene ora apprezzare certi contenuti. Allora, schematizzando: se voi siete scrittori importanti, se voi esistete, ebbene, Luperini ha ragione nel dire che siete assenti sul piano dell’impegno civile (diceva piu’ o meno questo, no? e se pensiamo a Paolini, beh, di rischi ne ha presi e mostrati parecchi). Se invece non esistete, di cosa vi offendete? (Sto approssimando, lo so, e me ne scuso…). Ma non è vero, come dice Carla Benedetti, di cui ho finora condiviso ogni battaglia, che sembrate la bambina del film di Bunuel, quella che la polizia ricerca ma che ignora nella sua presenza reale, nel suo reclamo di esistere… Nessuno ha emesso verso di voi un mandato di comparizione, un appello, nessuno vi ha espressamente citato o ricercato. Né nessuno vi ha negato. Anzi: come sottolineate voi stessi, siete quasi popolari nel mondo della narrativa, e quegli spazi nei giornali di cui parla Moresco nella frase che ho citato sopra, ebbene, a me sembrano molto occupati da voi. Dalle vostre presenze. E condivido il disagio di un lettore che nello spazio commenti del pezzo di Carla Benedetti cita l’articolo che Genna vi avrebbe scritto sul Financial Times (perbacco!), prontamente ripreso come poubblicità della Rizzoli ai vostri romanzi (Scarpa e Moresco, mi pare) con, come testimonial, frasi di Genna tratte dal Financial Times (se ho capito bene). Ciò che dà effettivamente l’idea di un circuito chiuso e ben funzionante, una buona macchina organizzativa o promozionale. Il che, beninteso, non inficia certo il merito letterario eventuale dei vostri libri, però vi proibirebbe, almeno credo, di lamentarvi di essere degli emarginati, E lasciatelo dire a uno che emarginato lo è davvero, semza lamentarsi da qualche anno. (Parlo ovviamente e inopportunamente di me, colpevole di avere avuto due libri pubblicati nella collana narratori della Feltrinelli, che hanno avuto molti elogi e discreti lettori, ma sono spariti e usciti dal catalogo. Quanto al mio ultimo “romanzo”, dopo anni di silenzio, ho collezionato una bella lista di ostracismi da parte dei quotidiani maggiori. Sono un pessimo scrittore? Non credo. Ma dai tempi di Aelia Laelia, non faccio parte di nessun carro, e i carri che mi hanno entiusiasmato sono sempre stati quelli perdenti. Ma lasciamo perdere.) Il fatto è che a Luperini non avete “risposto”. Non avete preso nessun rischio (e lui se vi accusa di qualcosa, in fondo vi accusa di questo). E se è una buona mossa retorica dire che la politica avviene altrove che nella politica, che parlare di virgole e di punti e virgole è un’azione politicamente piu’ rilevante che avversare Berlusconi, con me sfondereste una porta aperta, perché è da anni che cerco di fare politica parlando di linguaggi non in vendita, inutili, gratuiti, e per questo sovversivi, destabilizzanti, fecondanti… E anche raccontare buone storie è importante (nella mia risposta a Luperini, incidentalmente, parlo anche di storie, e per esempio del mio amato Palahniuk). Ma voi non avete parlato di questo. Solo di voi, senza spiegare perché è importante leggere i libri di cui avete parlato. Questo mi sarebbe piaciuto. C’è invece molta vanità, nel duplice senso, nell’articolo di Moresco. Molta vaghezza. Non credo che la letteratura debba avere niente a che spartire col mondo del Valore. Ma questo l’ho già scritto nella mia rubrica di disoccupato perdigiorno sull’Unità di oggi, lunedì. “Lunedì al sole”, naturalmente… Chiudo, già pentito della mia prolissità inconcludente, che non voglio rileggere. Quello che hannoi scritto Raimo e Inglese era già sufficienbte, forse. Grazie allora dell’ospitalità, con amicizia comunque, e con un caro saluto.
Beppe Sebaste
Eppure Moresco, Scarpa, Genna e compagnia cantante non mi sembrano troppo ostracizzati… Vengono pubblicati da case editrici importanti, scrivono su giornali molto letti e sui siti più bazzicati, sono ospiti di convegni e belle serate letterarie, sono tradotti… insomma, il potere non li castra più di tanto… magari bisognerebbe capire perché li leggono in pochi, in pochissimi… i libri ci sono, la pubblicità anche, eppure non convincono i lettori… le paginone di Moresco sull’Argentina non trovano un cane che dica: però, interessante, bravo… neppure qui su Nazione Indiana, che è come giocare in casa… e se non ti sostiene neppure la tua curva sud, forse c’è qualcosa che non va, e non basta autodefinirsi geni della letteratura contemporanea se non trovi neanche uno striscione di ringraziamenti…
Oggi pomeriggio sono andato al Teatro degli Arcimboldi a vedere una prima mondiale di Michael Nyman. Cosa c’entra? C’entra, c’entra… Nyman, lo sappiamo, per le sue colonne sonore, è una specie di celebrità un po’ in tutto il mondo. Ma non nasce dal nulla, dal vuoto. Non a caso nella prima parte i musicisti sul palco hanno suonato brani di alcuni autori inglesi contemporanei, più o meno giovani (più che meno). In Gran Bretagna la musica “colta” è molto seguita. Si organizzano festival, concorsi, etc.
Oggi a teatro (il “teatro dei teatri” italiani) c’erano solo scolaresche e pensionati. I primi sbadigliavano, i secondi dormivano. (non tutti a dir la verità, e se poi quella musica è “passata” ad almeno il 10% dei presenti, ed erano tantissimi, per me è una bella conquista).
Questa splendida, epocale iniziativa, questo “evento” culturale, unico in Italia, nasce da un gruppo di musicisti italiani (i Sentieri Selvaggi) che hanno circa l’età degli scrittori in questione nella polemica scatenata da Luperini. Lo sapevate? Sapevate che c’è una generazione di musicisti 30-40enni di livello internazionale, che da del tu ai più grandi musicisti del mondo? Qualcuno ce lo racconta?
Non vi sembra curioso che i più innovativi musicisti contemporanei sono o statunitensi o inglesi (con l’eccezione di due vecchi giganti geniali quali Kancheli e Andriessen)? Questo mi fa venire in mente un po’ tutta la questione della fuga dei cervelli. I giovani fisici, chimici, medici, etc. italiani per fare ricerca vanno all’estero (per la precisione, quasi sempre in nazioni dove la ricerca è sostenuta: GB, USA, etc.), se no qui diventano patetici portaborse. Anche Carlo Boccadoro e C., in un certo senso, vanno all’estero. Hanno la fortuna di parlare una lingua universale, quella della musica, e riescono così ad esprimersi, anche come compositori, a livelli “ultranazionali”. (ascoltateli, vi prego. Anche se immagino che Dario, date le sue frequentazioni, sa di che parlo. E non solo lui, ovviamente: ho molta fiducia in questo consesso).
In Italia, nel paese del bel canto, sono cagati a spruzzi. Suonano il pomeriggio di un lunedì davanti a pensionati (che ancora rimpiangono la Callas) e bambinetti (che ascoltano i lunapop). La ricerca musicale in Italia è “ornamento”.
E così è, se mi permettete, la letteratura. Ornamento. E’ un’attività ASSOLUTAMENTE marginale, ornamentale.
Abbiamo perso il centro, l’avete capito? Non ci caga più nessuno, ve ne siete resi conto?
La “lamentela tipo” è quella dello scrittore che non riesce a pubblicare. Bene, ora dirò una cosa: secondo me si pubblica anche troppo. La letteratura vive di una “autorevolezza” che altre discipline umanistiche non hanno più. Ha uno spazio (forse perché costa relativamente poco pubblicare, almeno in confronto ad attività creative quali il cinema, il teatro, l’architettura) fin troppo grande, rispetto all’attenzione (al disinteresse, cioè) che ha nella società reale. (aprite una rivista X: quante recensioni di libri? E quante di architetture o opere d’arte contemporanee?) Perché la “società reale” se ne fotte (dei libri, delle architetture, dell’arte). Pensa che un libro sia intrattenimento. Ornamento. Ma come diceva Adolf Loos: Ornamento è delitto.
A questo punto? Gesù, non c’è più niente da fare! E’ la fine. Muoia Sansone con tutti i filistei…
No.
Semplicemente vediamo lucidamente (come dice Franz) le cosa come stanno.
Sono molto legato alla massima gramsciana: “pessimismo della ragione, ottimismo della volontà”.
So come stanno le cose. Non mi perdo nelle polemicuzze fra chi vuole dividere per imperare, da una parte, e chi pensa che solo l’unione fa la forza, dall’altra. Tanto, sui primi, sapete già come la penso: moriranno. Sono già morti. Non sono nulla. Che passino il tempo a rimembrare il verso del chiurlo. Io non so neppure come cazzo è fatto un chiurlo. Sugli altri, i secondi, dico solo di non cadere in tentazione, di non pensare che, dato che ci vogliamo bene, abbiamo certamente ragione, e siamo i migliori ad ogni costo e in ogni caso.
Dovremmo emigrare, ecco la verità. Scrivere non per il miserabile paesello, non per essere riconosciuti al bar del villaggio(“lo vedi quello? E’ uno scrittore.” “Ma va?”, “Giuro.” “Roba da matti.”), non per farci le guerre dei poveri. Dovremmo confrontarci con il mondo. E, vi dirò, sta proprio accadendo questo. Alcuni (mi pare Scarpa) hanno fatto notare che gli italiani stanno per essere tradotti, sono tradotti. Dopo quanti anni? Ma lo sapete che in Francia sono convinti che Moravia sia un contemporaneo? Bene, bene, c’è carne al fuoco. Confrontiamo la nostra scrittura con i nostri compagni di viaggio europei e americani. Vediamo di capire se possiamo dare loro del tu.
E sgomitiamo. Diamo visibilità politica ai nostri atti. I media esistono, la tv esiste. Non possiamo snobbarla, non possiamo credere che non ci sia. Che facciamo? La lasciamo a Vespa? A Sgarbi?
Quanto meno in un media non ancora blindato come internet molti lo stanno già facendo. Sgomitano. Massimo rispetto, cioè, a chi si sbatte come un pazzo a leggere e recensire gratis libri e libri (dal super Genna in giù, o su, vedete voi).
Ma non caschiamo nelle divisioni intestine assurde. Non giochiamo a “io sono uno scrittore di genere, tu fai letteratura”, o, “Io faccio letteratura, mica roba di genere”. Leggiamo e giudichiamo, OGNI SINGOLA OPERA, per il suo autentico valore. Indipendentemente se l’ha scritta un ultra settantenne, se il libro ha venduto 200.000 copie, se ne ha vendute solo 200, se è di un trentatreenne, se è un giallo, un nero, un rosa, un rosso. Senza il bon ton, senza l’erre moscia, senza i mignolini alzati, la puzzetta sotto il naso ma anche senza volgari, patetiche provocazioni. Senza l’insulto alla persona. Per confrontarci, veramente, sui contenuti. Senza lamentismi da pizzata fra amici (piove, governo ladro).
Fuori le palle, insomma. Politici, non politicanti.
Non oso rileggermi. Vi bacio (ma sì, baciamoci!)
Gianni
Scusa, Mario Zero, le pagine sull’Argentina escono su Fernandel, essendo abbonato le leggo lì con qualche mese d’anticipo. A me è capitato che mi chiedessero in prestito la rivista solo per leggerle le sue pagine. Fortunatamente le pubblicano anche su NI, altrimenti mi sarebbe toccato pure scannerizzarle per altra gente che non abita vicino a me (tipo il ducatista Alessandro Garigliano). Non credo che sia obbligatorio commentarle, a me piacciono molto ma non ho sentito cose da aggiungere, magari è così anche per altri. Piuttosto Marco Drago si chiedeva sul forum di Maltesenarrazioni perché un lavoro così esca per una piccola rivista e non per quotidiano, per esempio.
Sul fatto che Moresco non abbia lettori, boh, forse non sono masse oceaniche, certo non c’è la pubblicità, come potrebbe esserci, Mario Zero, te lo vedi Moresco da Costanzo? Moresco sulla copertina dell’Espresso? Moresco sul paginone centrale di Repubblica? Moresco a Domenica in?Canti del Caos vicino alle casse dell’ipermercato? Ma almeno l’ultimo libro è distribuito, questo fa sì che qualcuno, che non ne ha mai sentito parlare, lo compri e magari lo apprezzi. Ti copio incollo una classifica, anzi una play list perché il sito da cui proviene è dedicato alla musica roots americana, è una play list di libri del 2003, compilata dal nick Seminole:
“-Antonio Moresco Canti del caos seconda parte Rizzoli
-Joyce Carol Oates L’età di mezzo Mondadori
-Stefano D’Arrigo Horcynus orca Rizzoli
-James Atlas Vita di Saul Bellow Mondadori
-Richard Ford Mia madre, un ricordo Archinto
-Jim Thompson L’assassino che è in me Fanucci
-Oreste Del Buono La parte difficile e altri scritti Scheiwiller
-Giorgio Bassani Cinque storie ferraresi Einaudi
-Hubert Selby Jr Requiem per un sogno Fazi
-David Goodis Sparate sul pianista Fanucci
-Charles Willeford Miami blues Marcos Y Marcos
-J.K. Rowling Harry Potter e l’ordine della fenice Salani
-John Cheever Oh città dei sogni infranti Fandango
-John Pilger Agende nascoste Fandango
Queste sono alcune tra le cose più belle che mi è capitato di leggere da settembre ’03 a oggi. Sarei felice di commentarli con chi li ha letto, e sarò altrettanto felice se piaceranno a chi deciderà di leggerli. Buona immersione!”
Seminole è un ragazzo bolognese ventiseienne, scrive critiche musicali per il sito che ospita il forum (ne sa più lui sulla musica americana degli ultimi trent’anni che Tom Waits), è parecchio in gamba, non c’entra una beata mazza con la presunta cricca di Nazione Indiana. Il forum è http://www.freeforumzone.it/viewforum.aspx?f=13473
Gianni Biondillo ha posto questioni che a me sembrano vicine al cuore del problema. Vorrei più tardo tornarci. Intanto dico una cosa nella forma interrogativa. Qualcuno ha una idea di cosa, quanto e come leggono gli insegnanti? di quali sono per loro le letture fondamentali? Sì quelli che insegnano nella scuola e istruiscono i ragazzi. Naturalmente non sto qui generalizzando, ma ho esperienza di contatto con molti insegnanti e sulla base della mia esperienza ho tastato il polso di questa situazione, ricavandone qualche impressione, diciamo pure tendenza, forse trend? Pongo la domanda per sapere se troverò gli stessi riscontri o ciò che ne ho ricavato dalla mia esperienza è privo di fondamento, nel senso che ha non assolutamente valore di campione statistico.
Pardon…nel senso che non ha assolutamente valore di campione statistico
ha ragione mariuccio zero: digitate “tiziano scarpa” e “giuseppe genna” su google e poi vedete quanti risultati escono. 3960 per scarpa. 5580 per genna. aprite via via le voci che parlano di loro, e seguite passo passo il loro percorso. li troverete ovunque. a parlare di qualsiasi cosa. per esempio, scarpa. a rai educational. a frenulo a mano a parlare di elemosina. a varese a recitare un racconto che parla del proprio ombellico. ad arezzo wave in turné con montanari e nove. a mantova al festivaletteratura. nelle pagine della smemoranda. in un’isola della grecia a scrivere un racconto con niccolò ammaniti. e via e via. la domanda sgorga spontanea: ma di che cazzo si lamentano?
scusate, ho appena letto il pezzo che genna ha scritto sui miserabili e devo ricredermi su di lui. andatelo a leggere (è veramente necessario!) e non consideratelo quando leggete il mio post qui sopra. lui non c’entra. c’entra scarpa.
anch’io ho letto quel pezzo di genna. non mi ha detto granché, a parte una polemica a 360 gradi. preferisco quello che ha scritto su cesare battisti. sarà che sono abituato a studiare, e non ho ancora smesso, anche se sono fuori corso. ma di cosa si sta parlando? mi interesserebbe veder discutere di quello che ha scritto sebaste, per esempio. oppure di cesare battisti. oppure del processo di genova. perché nessuno risponde?
Alla fine degli anni ottanta, vale a dire quasi un decennio prima di poter anche solo sospettare che “da grande” avrei scritto narrativa in questa lingua, io leggevo libri italiani per Suhrkamp che fino ad allora della letteratura italiana se ne era bellamente infischiata. Ma era uscito Eco, erano stati tradotti i primi libri di Tabucchi, del Giudice e de Carlo e si parlava – in Italia e all’estero – di boom della letteratura italiana. Solo che il boom, grosso modo, finiva lì. Ovvero: in Italia uscivano ancora nuovi autori spesso sostenuti da questo o quel critico (così come del Giudice e de Carlo erano stati “portati” da Calvino), ma l’interesse oltre frontiera si esauriva. Perché, in molti casi, si trattava di narrazioni molto private o di romanzi e racconti che sembravano scritti in altri tempi e in altri paesi che non soddisfacevano i criteri dell’importazione, cioè che ci fosse qualcosa di specifico, introvabile altrove, fosse anche (purtroppo) un’atmosfera da spaghetti e mandolino. Nel frattempo venivano anche pubblicati i primi libri di Maggiani e de Luca (sono solo gli esempi che la mia memoria restituisce) che nessuno si filava granché.
Il fatto che un libro venga o no tradotto non è ovviamente prova di nulla (non si traducono libri importantissimi perché sono troppo grossi e/o difficili e invece se ne traducono altri perché commerciali); ed è certamente demenziale consegnare, in mancanza di altro, il giudizio critico al mercato, in questo caso dell’import-export. Quindi è meglio che torni a parlare più chiaramente della MIA esperienza. Secondo la mia percezione, allora la letteratura italiana in genere si muoveva poco, osava poco, aveva poca fiducia nella sua capacità inventiva e ancora meno nella sua capacità rappresentativa del mondo (c’era, anche secondo me, quel clima di post-moderno =post-mortem di cui parla Genna) mentre negli ultimi anni accade invece esattamente il contrario. La letteratura che si inventa qualcosa, che si gioca fino in fondo in quello che fa, oggi è TANTA ed è VARIA. C’è gente che spacca il genere e c’è chi lo addomestica; c’è chi si misura con gli americani e chi lavora dentro la tradizione della narrativa epica italiana, ci sono scrittori meridionali impegnati a descrivere un meridione degradato o comunque smitizzato (niente più tarallucci e vino), e scrittori del nord alle prese con personaggi e luoghi e linguaggi stravolti dall’industrializzazione. E si tratta, ovviamente, di un’altra riduzione e schematizzazione di una realtà molto più vasta. Cercare di orientarsi in un simile casino non è facile per niente. E’ verosimile che dal magma in formazione non sia ancora emersa la cima del vulcano e quindi pace a coloro che non vedono i “grandi” scrittori. Sbagliano la prospettiva di partenza. Chi si mette nella prospettiva dei posteri si qualifica da solo come morto che parla. E chiaramente rinuncia a fare critica della letteratura CONTEMPORANEA. La quale, appunto, nei migliore dei casi, si presenta come il caos che abbiamo oggi ed è in questo caos che ci tocca il piacevole dovere di orientarci se è questo, cioè critica della letteratura contemporanea, che vogliamo fare.
Poi noi tutti – critici e scrittori, padri e figli e fratelli e cognati – abbiamo il diritto di stabilire quali sono i nostri compagni di strada e che cosa ci interessa di più. Negli elenchi letti finora a me mancano i nomi di molti scrittori che stimo, ma non ho nessuna intenzione di aggiungerli, vuoi per non creare l’effetto di esclusione di cui parla Andrea (e perché anch’io, lo so, me ne dimenticherei alcuni), vuoi perché in risposta a chi sostiene che non c’è NIENTE bisogna, prima di tutto, rimandare alla quantità, qualità e varietà di quello che invece c’è. Riconoscere l’esistenza anche a scrittori di cui non si condivide la poetica è, in questo contesto di discussione, la base di partenza. Una volta stabilito questo riconoscimento si può passare ad altro, cioè al confronto di come si intende la letteratura e su questo scontrarsi anche aspramente. Ma il fatto di riconoscere l’esistenza legittima di espressioni non condivise non rappresenta, a mio giudizio, quella debolezza postmoderna, quell’accondiscendenza al indifferente ”anything goes” di cui ci ritroviamo spesso accusati, bensì una forza, una conquista. Sul versante politico il movimento per la pace e quello “no-global” è diventato una forza così dirompente perché è stato capace di unire gruppi e persone diversissime. Non devo più negare gli altri per affermare me stesso, posso mettere tutte le mie energie, tutto il mio impegno nell’inventarmi il mio percorso. Il pensiero (o l’arte) è debole quando non osa fare questo. Punto.
Poi è vero ciò che ricorda Gianni, cioè che rispetto a teatranti, musicisti, architetti, registi noi siamo nel paese della cuccagna, ma che al tempo stesso la quantità dell’offerta offusca il quadro, tende a sconcertare e scoglionare i critici (nel panorama della critica, quella sì molto più moribonda che quindici anni fa), rischia di scatenare guerre fra poveri fra noi altri scriventi. Ma temo sia l’inevitabile rovescio della medaglia di un mondo in movimento che mi rende, nonostante tutte le difficoltà, assai contenta di essermi naturalizzata in questa lingua, in controtendenza con le fughe di cervelli.
L’ho già fatta troppo lunga, per ora la pianto.
Come dire:
Seymour Glass ha studiato tanto per l’esame di anatomia ma il professore non ascolta il candidato, butta lì una domanda e guarda fuori della finestra (davanti c’è un poster con una donna nuda che beve il chinotto – il profio pensa che quella è vera anatomia, mica le cose che dice lo sgorbietto antistante). Alla fine dell’esame, solennemente, cioè nel nome dell’università e dei luminari che lo hanno preceduto in cattedra, gli dà un diciotto. Seymour Glass si offende, Ma io sapevo tutto sul ventricolo! gli dice, La medicina è la mia passione!. Il profio lo guarda, guarda il suo libretto e gli risponde, Senta sgorbietto (l’epiteto lo pensa solo) lei ha già avuto dei bei voti, dunque di cosa si lamenta?
Insomma, il problema è chiaro: come mai Catrame di Genna o i racconti di Scarpa o i romanzoni di Moresco non riescono a intercettare le ansie e i pensieri del pubblico dei lettori? Eppure, a sentire tutti i partecipanti “ar dibattito”, nessuno meglio di loro esprime la verità del tempo, le sue istanze poetiche e politiche, il maremoto sociale, le contraddizioni del capitale, i tremori e i timori degli individui… Dov’è la magagna? Le case editrici sono Einaudi, Mondadori, Rizzoli, Feltrinelli, le recensioni positive o entusiaste, il clima superfavorevole, le traduzioni all’estero infinite, ma qui in Italia vengono letti pochissimo. Non mi sembra una questione secondaria. Abbiamo, noi lettori, perso il lume della ragione? Oppure Ctrame e Amore e i canti del Caos sono imbevuti più di letteratura – alta, bassa, nera, sperimentale, fare voi – che di verità, e i lettori scelgono altro, roba fuori lista?
non credo il problema siano i lettori. in fondo in tutto questo discorso, cosa c’entrano i lettori? chi ne ha bisogno? non è una domanda retorica, scandalizzata. lo penso veramente: la vitalità di una scena intellettuale prescinde dal ritorno di pubblico che può avere. imho of course. bye!
E Celan quanti libri ha venduto?
Non aggiungo altro, scusate mi sono un po’ stufato della discussione, mi pare che non ne valga la pena, passo (vado a leggere Sandman).
perché, c’era una discussione? mi sembra che ogni confronto sia evitato come peste
cioè, nessuno risponde. nessuno ha risposto a helena, nessuno ha risposto a sebaste, nessuno ha risposto a raimo e inglese, nessuno ha risposto a moresco (no qualcuno sì) e nessuno ha risposto a luperini. o mi sbaglio?
basta, saluti da pino (che poi si chiama pinardi andrea)
Per Mario Zero: non sono l’avvocato difensore di nessuno ma dici cose veramente inesatte, false.
Per esempio quando scrivi a riguardo di Moresco:”le recensioni (sono) positive o entusiaste, il clima superfavorevole, le traduzioni all’estero infinite.”
Ma ci credi veramente o ti hanno geneticamente modificato?
Io su Moresco ci ho scritto la mia tesi di laurea e ho radunato tutta la rassegna stampa uscita su di lui dai tempi di Clandestinità a Canti del Caos seconda parte. Il numero delle stroncature è imbarazzante. Ci sono libri di Moresco, come Lettere a nessuno, che per la centralità dei temi che pongono, per il modo in cui lo fanno, avrebbero dovuto attirare un oceano di interesse, avrebbero dovuto innescare infinite discussioni.
Vuoi sapere quante recensioni ha avuto Lettere a nessuno? Meno di 20 (quasi tutte negative). Non è uno scherzo.. Non ti sembra incredibile? Non si tratta di un silenzio assordante?
Come fai a parlare di clima favorevole? Come fai a farlo con gente come Scarpa e Moresco?
Quando uscirono gli atti del convegno Scrivere sul fronte occidentale la critica fu pressochè UNANIME (brutto segno)nella condanna dell’operazione: dal Foglio a Il Manifesto. Il corpo estraneo fu rigettato da tutti in modo completamente trasversale. E’ questa l'”accoglienza favorevole” di cui parli? Boh..
Vuoi sapere dov’è la magagna? Butto lì una domanda in forma di risposta, solo a un primo livello: quanti sono gli scrittori che hanno parlato di potere clientelare ANCHE nell’industria cultural – editoriale? Quanti sono quelli che accettano, come si fa qui in NI, stili di comportamento per cui “gli amici non recensiscono gli amici”. E ripeto è solo il primo livello, il più banale e ovvio delle ragioni di un’alterità, si potrebbe andare avanti..
Fatti queste domande quando parli di clima favorevole…
Poi: per quanto riguarda la questione lettori:
leggi l’esordio di Canti del Caos..
leggi l’invocazione all’irredento lettore. Leggi le pagine de l’Invasione in cu Moresco dice la sua sul lettore che desidera, quando dice che non è interessato a tutti i lettori, così ti fai un’idea.
Poi ne riparliamo.
Non rileggo perchè mi sono scaldato troppo.
Scusa se ti ho offeso ma mi sono un po’ incazzato.
Non credo che bisogna necessariamente rispondere. Non è che Helena dica qualcosa in contrasto a quello che dico io. Anzi, la sento come una prosecuzione del mio ragionamento con un altro ragionamento. Si sta intavolando una discussione. Si sono aperti varchi interessanti: lo scrittore ha bisogno del lettore? Qualcuno chiede? Altri dicono 5000 presenze in rete, di che vi lamentate? Qualcun’altro: vado a leggere Sandman.
Bene. Sandman è una gran bella lettura, quindi fai benissimo (e Andrea, oltre Gaiman, l’ultimo percorso narrativo di Alan Moore? Non lo trovi strepitoso?).
5.000 presenze in rete sono una scorreggia se si pensa a quante ne ha Vespa (144.000).
Insisto con Vespa, perché, che vi piaccia o no è in questo momento, per assurdo, il mediatore, il divulgatore, l’intellettuale (brrr), più influente. Perché il mezzo che usa sbaraglia tutti (altro che la rete). Pasolini comprese che doveva passare dai giornali della sinistra al Corrierone, perché doveva riempirsi di tritolo e farsi esplodere nella casa borghese (passatemi la metafora). Usare la sua inevitabile notorietà e i capitali del cinema italiano (all’epoca ricchissimo) per fare propaganda anticapitalista. Ha messo in gioco il suo corpo e la sua faccia. Oggi sul Corrierone abbiamo Alberoni.
Non credo che Joyce abbia mai avuto “un pubblico”. E che neppure il pubblico “colto” che segue in Inghilterra la musica contemporanea (vedi mio post precedente) giustifichi il denaro speso dalla collettività per le iniziative che la tiene in piedi.
Qui è questione di lungimiranza, di saper investire sulla ricerca. Scientifica, estetica, filosofica, artistica.
Oppure ce ne stiamo al traino.
Io dico: è la classe mediamente intellettuale in Italia che è mediamente ignorante. Un manager francese legge 50 libri l’anno. La Francia è un altro pianeta? Beh, uno spagnolo, nostri cugini, 26. Uno italiano 7. Quasi tutti tecnici (cioè inerenti il lavoro che fanno). GLi stessi che si legge il francese. Solo che poi lui si legge anche Foucault o Baudeleaire.
Secondo me anche Luperini (ormai assunto a simbolo, intendiamoci) si legge i suoi bei 7 libri tecnici (Cioè dei suoi 7 amici). Che ne sa lui di Steven Hall? (e voi?).
Non è che se Moresco vendesse 300.000 copie, se avesse l’imprimatur popolare, solo allora sarebbe denso di verità. Perché se no Melissa P. è il Pasolini che ci manca. E neppure, però, il contrario. Vendere 300.000 copie, IN SE, non è un’onta da lavare col sangue. Non è che il fortunato autore non potrà più mangiare la pizza con i suoi amici scrittori.
Io dico, però: almeno noi, vi prego, sfondiamo. Lasciamoci dietro queste farragini. Non facciamo la guerra dei poveri, che chi vince poi sono sempre i ricchi.
byebye, Gianni
In merito all’articolo di Genna su Miserabili non posso che trovarmi d’accordo. Scarpa, Benedetti, Moresco hanno sì ragione a sostenere la vivacità del panorama culturale italiano, tuttavia questo tipo di risposta che hanno messo in moto rischia non solo di non essere produttiva ma può anzi danneggiare. Ha ragione Genna quando dice che “L’ingenuità filosofica di queste prese di posizione (non l’ingenuità tout court: intendo quella filosofica in specifico) emerge per mancanza di cultura filosofica, e dunque anche critica e letteraria”.
Prima che Genna scrivesse l’articolo Unità nella rissa, ho postato qui su Nazione Indiana, sia nei commenti all’articolo di Scarpa, sia in questi commenti, delle considerazioni (solo degli spunti) di carattere filosofico che vanno al cuore dei problemi dei micropoteri, della concezione del dogma della critica, eccetera, eccetera. Si tratta di questioni, che vanno molto al di là dello scontro tra partiti di scrittori e partiti di critici, piuttosto si tratta della necessità di un rovesciamento (l’ho definito antiplatonico o se vogliamo di conversione platonica,come l’ha definito Foucault in un articolo dal titolo Theatrum philosophicum), perché la cultura rimanendo nel mondo delle idee (rimanendo opposta alla vita) rischia la sua morte o la si vuole fare morire. Non è un problema che investe solo la narrativa italiana (che trovo estremamente vitale in questi ultimi dieci anni),riguarda molte altre aree culturali.
Lo scontro poi tra scrittori è funzionale a chi non vuole uscire da una visione dogmatica e paradigmatica di cos’è buona narrativa.
Si tratta piuttosto di rendersi conto che fintantoché lo scontro si muove nei modi, maniere, strategie di pensiero che hanno opposto Luperini agli interventi di Scarpa, Benedetti, Moresco, si alimenta e si autoproduce quella “idea” della cultura (in questo caso letteraria) del simulacro (che tra l’altro ha ormai i suoi referenti più potenti in altri media). Ora, se il simulacro ha avuto, storicamente, una funzione importante e positiva in un mondo dove l’agire era “povero” e il pensare era nell’ordine del fantasma o delle illusione o delle apparenze, e il mondo era “piccolo” e tagliato sul “Mondo delle Idee” come contenitore di un agone tra pretendenti in un mondo spazio-temporale ristretto e ancora lontano dai suoi confini cronotopici, ora c’è un’altra necessità: non far perdere l’infinito in cui il pensiero è immerso in una “dimensione planeteria”. Un problema di immanenza, di taglio nel caos per creare mondo, Terra.L’operazione di rivendicazione di identità compiuta da Scarpa, Moresco è esattamente quella cosa che è ben descritta da Deleuze in Che cos’è la filosofia” e che si chiama “immanenza a qualcosa”, che è essa stessa un’illusione di trascendenza. La vera e unica immanenza è quella che è immanente solo a sé stessa. La conseguenza (ma sono molti i conseguenti) è che per esempio, come dice giustamente Genna, ciò che Scarpa e Moresco debbono fare, è fare quello che sanno fare magnificamente: scrivere narrativa; e togliersi di dosso il complesso che i narratori quando narrano non pensino. Una delle positive conseguenze di scrollarsi di dosso l’illusione di trascendenza è proprio quella di smettere di pensare che i filosofi pensino (o i critici, riflettano) mentre gli scrittori, narrando, non esercitino pensiero, come se la narrazione non sia una pensare. Portino nella narrazione la loro critica (mi sembra che già lo facciano. Allora s’impegnino a farlo ancora e sempre meglio!)
Nota.Platone inventa il concetto di “Idea” perché la città produce l’agone come “regola” di una società di “amici”, cioè la comunità degli uomini liberi in quanto rivali, in cui ogni cittadino che pretende qualcosa incontra dei rivali; così nella democrazia atenese, per come la vede Platone, chiunque può pretendere qualcosa; da qui la necessità, per Platone, di ricreare un ordine in cui si creino le istanze secondo le quali giudicare del giusto fondamento delle pretese: le Idee in quanto concetti. Ma questo è un rimando all’ordine dellle Idee, con le sue illusioni universali: contemplazione, riflessione, comunicazione, che non sono discipline ma macchine per formare degli universali, contemplazione e riflessione sono, ad esempio, l’idealismo oggettivo e l’idealismo soggettivo che vogliono dominare le altre discipline. Ma, oggi, l’agone non è più la città, ma il Mondo, la Terra, non è più quella cerchia ristretta che ha creato un piano di immanenza che ha prodotto tutta una serie di cose; l’agone è si è espanso a poco a poco fino a investire, oggi, i limiti geospaziali e temporali della Terra, i confini non sono più confini, come gli Stati non sono più “enti”, l’ordine platonico non ha più senso, quella suddivisione creata da Platone tra relativo e assoluto è improduttiva, non produce più il “Bene”,si è esaurito quel movimento.
Qui dovrebbe iniziare un nuovo discorso.
Un discorso sull’immanenza.
“Vuoi sapere quante recensioni ha avuto Lettere a nessuno? Meno di 20 (quasi tutte negative). Non è uno scherzo.. Non ti sembra incredibile? Non si tratta di un silenzio assordante?”
Ma che dici? Non sei incazzato, sei fuori. Venti recensioni, per un libro semiclandestino e fuori da ogni schema uscito da un editore giusto allora prestato alla letteratura, sono un vociare assordante.
Esatto. Elio ha perfettamente ragione.
Jacopo, ti stimo molto, ma in questo caso non si può davvero parlare di disinteresse del sistema. Provo a pensare che tutti e 20 i recensori di questo libro molto particolare non abbiano in verità gradito il libro, chi per un verso chi per l’altro. Altrimenti dovremmo pensare a un consorzio della congiura. 20 critici tutti d’accordo nello stroncare? Non è che la stroncatura, a volte, lascia intendere una difficoltà di fruizione del lettore-critico? 20 stroncature possono incattivire ma anche inorgoglire chiunque. Dipende da chi è, da come si chiama. Se chi scrive cerca di essere incisivo ma anche facilmente fruibile, se ha uno stile diciamo così semplice, se (per dirla alla Genna) è poco ultrapsichico ma molto bravo lo stesso, 20 recensioni negative possono farti venire il sangue alla testa, immagino. Se ti chiami Moresco e all’inizio del tuo libro – per iscritto sul TUO libro – preghi il lettore di essere in un dato modo (il modo che vuoi tu, diciamo) 20 recensioni negative possono essere la prova – è paradossale, ma il paradosso è il sale e il pepe al culo della vita – che la strada antagonistica, difficile, solitaria e magari anche triste y final che hai scelto è quelle giusta perchè è quella tua, perchè ti appartiene, perchè non scrivi tanto per il pubblico quanto (com’è giusto, perchè chi dice di scrivere per i lettori epperò anche per amore dell’arte dice un’ipocrisia), per te, solo per te stesso.
Per il resto il discorso di Gianni lo trovo corretto, realistico, onesto.
Un caro saluto.
Questa affermazione di Biondillo fa rabbrividire: “Pasolini comprese che doveva passare dai giornali della sinistra al Corrierone, perché doveva riempirsi di tritolo e farsi esplodere nella casa borghese (passatemi la metafora). Usare la sua inevitabile notorietà e i capitali del cinema italiano (all’epoca ricchissimo) per fare propaganda anticapitalista. Ha messo in gioco il suo corpo e la sua faccia”. Si capisce bene dove vuol andare a parare un certo modo – soft e allegrotto – di parlare familiarmente di letteratura: fuori dalla letteratura alla conquista del potere (vedi anche tutti i discorsi allegrotti di Biondillo sul farsi sapzio, etc). E’ la stessa sindorme che circola in NI: recriminare e fare la guerra al potere costituito per conquistarsi a propria volta la Bastiglia. E’ questa voglia di potenza – di spazio, di recensioni, di attenzioni – che rende edipicamente tragico e ridicolo il favellare di Scarpa, Moresco, Benedetti e compagnia bella. Io troverei molto più edificante e corretto fare esplicitamente, senza ipocrisie ideologiche, una battaglia per il potere, dichiarare apertamente che lo si desidera, piuttosto che fare i libertari (di fuori) e i cacciatori di attenzioni (nel profondo dell’anima). Che poi questa sindorme riguardasse anche Pasolini, non lo so, ma è possibile sospettarlo, come indirettamente si arguisce dalla frase di Biondillo: Pasolini desiderò il potere fino in fondo, perciò arrivò fino alla Bastiglia, è indubbio. Anche se lo stile era ben altro, la potenza ben altra, la visionarietà ben altra. Ma questa è un’altra storia.
Paoloni: non credo si possa dire che Bollati fosse un editore semiclandestino. Al contrario lo definirei un editore di prestigio al di fuori del grande circuito. Poi: parlo per esperienza professionale (lavoro presso l’Ufficio Stampa di nota casa editrice): MENO di 20 recensioni (12 mi pare) per un libro che prende di petto tutti o quasi tutti i senatori della Cultura italiana sono pochissime, sono poco o niente. Quando uscì Lettere a nessuno venne disatteso dai cronisti delle pagine culturali uno dei moduli più classici del giornalismo occidentale: la ricerca del colpo a sensazione. Niente, un dibattito minimo. C’è anche chi (Raboni) ha poi chiesto scusa del disinteresse..
La questione è indubbiamente di ordine infimo (non si dovrebbero contare le recensioni) ma è anche questa una fetta di verità che non va trascurata. Va in pace.
Per Franz: naturalmente noi ce la chiaccheriamo..
Le osservazioni di Franz del suo ultimo commento sono argute, profonde…
scusate, a me sembra chre questa conversazione sia astrattamente cinica e fuori del mondo – a meno che non ci sia troppo dentro, il mondo, questo mondo, dove si confonde la CONSTATAZIONE (del successo) col GIUDIZIO (che impegna ed espone), cose assai opposte. tutto questo sproloquiare di recensioni, quantificandole, enumerandole, parlando male dei critici (ancora? nel 2004),e contemporaneamente dichiararsi d’accordo con l’articolo di genna, che liquida ogni analisi seria dei “mediatori culturali” (i critici lo sono, i consulenti editoriali anche, quin di tanti di nazaione indiana, a quand\to se ne sa)e intanto che c’è anche liquidare foucault, massì. ma come si fa? intendo: come si fa a dire cose tanto reazionarie con l’aria di ci dice cose liberatorie, dire cose retrograde con aria disincantate, far passare il vecchio come nuovo? (già, viene in mente lo sfogo di leopardi nella Ginestra); oppure fare elucubrazioni platoniche per sostenere cose terra terra? (qui mi riferisco a un altro intervento).
davvero pensate che la letteratura e i libri, quelli di cui parlate, siano tanto importanti? ma perchè, poi?(c’è una vertigine di Valorizzazione nei vostri discorsi, usate criteri quantitativi che scambiate disinvoltamente con criteri qualitativi; allo stesso tempo ostentate indifferenza, saltabeccando da un atteggiamento di superiorità a un altro. pensateci, rileggendovi, e prestando attenzione alle tonnellate di presupposizioni che esibite).
la mia reazione è emotiva e intellettualmente indignata (se no non scriverei un cosiddetto post, qui), ma ribadisco ciò di cui sono il primo a stupirmi: luperini, chiunque egli sia, aveva allora ragione, il suo discorso politico (che non faceva nessuno dei nomi di chi gli ha risposto stizzito) è stato inverato da certe reazioni (quelle che risalgono a questo club), e comunque non è stato degnato di una risposta che sia una – etica e/o politica. a parte le giuste riflessioni iniziali di raimo e inglese. un saluto, beppe sebaste
beckett lo diceva. essere artisti significa fallire, come nessun altro osa fallire, significa che il fallimento è il suo mondo ed il rifuggire da esso equivale a una rinuncia. ecco, la cosa che mi dispiace di scarpa, è che lui rifugge come la peste il fallimento, lo nega, e così, rinuncia ad essere artista. perché, mi chiedo? perché lo teme così tanto? e perché lo teme così tanto la maggior parte degli scrittori che scrive qui, su NI? il fallimento è il successo, la sconfitta è la vera vittoria…giulio mozzi, in questo senso, è molto artista. è uno che vive nel fallimento, che ha giurato fedeltà al fallimento, perché sa che il fallimento non è un’occasione persa, ma una nuova occasione, il nuovo termine di un rapporto…
Gentilissimo Altro J.,
non trovi che uno che si fa saltare in aria più che un uomo di potere è un coglione? Anzi, mi verrebbe da dire, come rammenta lucidamente Governi, un fallito? Quindi un artista vero, forse…
Ma questo io non lo so con certezza. So che sui fallimenti ho costruito tutta la mia esistenza. Mi dispiaccio tu creda che desideri il potere. Non so neppure cosa sia, non ho il fisico del ruolo. Di certo essere potente nel piccolo mondo antico degli scrittori (come rammenta Sebaste) è roba da sfigati.
Noi siamo fuori dalle mura, l’avete capito o no? Ma tutti, dico, proprio tutti. I nostri assalti sono patetici. Ma avremmo un’alternativa?
Te lo chiedo seriamente. Da viandante che cerca una via. E’ un appello il mio. Non scherzo, ti giuro, non sono ironico.
Non si direbbe ma sono una persona seria.
un saluto, Gianni
Se l’affermazione che ho fatto elucubrazioni platoniche è rivolta a me, vorrei fare osservare che il problema per come l’ho posto, fuori da personalismi, è proprio raso-terra, mentre l’origine dei problemi è nell’altrove di derivazione platonica, come analisi raffinate, ma terra-terra, posero negli ultimi anni personaggi come Foucault e Deleuze, che tra l’altro di letteratura se ne sono occupati mooltissimo, così come dei rapporti tra sapere e potere (Foucault) e apprendimento e potere (Deleuze). Naturalmente Foucault e Deleuze non sono anch’essi un dogma o l’oracolo delle verità, ma andrebbero discusse le loro tesi in merito proprio al contesto del discorso che qui si fa piuttosto che chiamarle elucubrazioni.
Se poi qualcuno non li conosce a fondo, non li legge, pensa che sia superfluo un pensiero che vada alle radici di quella divisione tra la vita e i simulacri, di cui la letteratura rischia di finire, non è un mio problema. L’affermazione, che avrei fatto elucubrazione platonica è gratuita e priva di fondamento. Tra l’altro Beppe Sebaste dice una cosa che esemplifica la necessità del rovesciamento platonico e che mi trova d’accordo: “davvero pensate che la letteratura e i libri, quelli di cui parlate, siano tanto importanti? ma perchè, poi?”
E’ proprio questo il punto, rompere con una concezione generale del libro (non sto parlando del libro di uno piuttosto che di un altro, di quelli di cui qui si parla o di quelli di cui non si parla, ma del libro e della cultura in sé in relazione ala vita d’oggi)che si è ridotta prima a semplice simulacro, poi sempre più a cattivo simulacro. Come restituire vita alle persone riscoprendo i libri è un PROBLEMA DELLA CRITICA.
per luminamenti: ho una lunga frequentazione e un amore sviscerato per deleuze, che non parla mai di libri, ma di vita – pur avendo scritto libri capitali. ho grande rispetto per foucault, che parla ancora dell’oggi, e non ne vorrei fare a meno. ma qui – qui – siamo anni luce dai loro discorsi e orizzonti. prometto di smettere di interferire nella (vostra) conversazione. ciao, beppe s.
Sulla questione di “prendersi gli spazi” vorrei aggiungere una cosa.
Vediamo di capirci con un esempio.
Nelle facoltà di architettura ti insegnano a progettare musei. Come se nella vita di un medio architetto fare musei sia nella norma. Non è così ovviamente. E poi le città, lo sappiamo, non sono fatte di musei e se lo fossero sarebbero assurde (ma poi non stiamo facendo un po’ questo? Non stiamo musealizzando intere città, uccidendole?)
Le città, però, le periferie, o in generale, il territorio, è nelle mani di altri professionisti. Nelle facoltà nessuno ti dice: “proviamo a ragionare su un tema, che ci piaccia o no, centrale nella contemporaneità. Parliamo di ipermercati.”
No, mai sia, quale orrore. Io sono un architetto, un artista, un umanista, non mi sporco le mani con questo prodotto squallido, borghese, da bottegaio, etc. etc.
Intanto tonnellate di cemento si riversano sul nostro territorio, progettate da professionisti senza particolari scrupoli e senza la dovuta cultura per governare segni così fondanti un paesaggio (i segni che lasceremo in eredità ai posteri). Io dico: ma non è che, alla fine, un ipermercato può diventare una occasione spaziale, un momento dove fare critica operativa, dove bisogna sporcarsi le mani con il mondo? (le nuove dinamiche di aggregazione, la nuova società, etc…)
Progettare un museo è facile, ve lo assicuro. E’ l’ipermercato la vera sfida, se si vuole ragionare di qualità del progetto.
Quando il cinema prese piede il mondo del teatro lo guardava con la puzza sotto il naso. Quale orrore, la morte della recitazione, la fine dell’espressione. “Sei un attore?”, “Sì, ma faccio teatro, cosa credi, mica il cinema.” Ora con i cinefili è lo stesso per la TV. “Sono un regista. Di cinema ben inteso, mica quella robaccia televisiva.”
Insomma la TV c’è, non possiamo far finta di non saperlo. E muove il gusto, l’opinione, i sogni, della moltitudine, di tutti noi. Bisogna farci i conti. Se poi domani mattina sarà il web a farlo, bene. Siamo già pronti (mi auguro). Ma ora no. Ora c’è ancora la TV. Io guardo con disperazione il palinsesto televisivo come fosse una occasione mancata. E, per assurdo, prendo atto che, orribile fin quanto vogliamo, c’è una nuova generazione di tecnici, attori, etc. che sta lavorando alla fiction televisiva, senza una vera generazione di “intellettuali” che scrivano, dirigano, etc. tutto ciò (una volta in RAI c’erano Eco, Gadda. Oggi chi c’è?). Altro che il cinema. Bisognerebbe lavorare, intensamente, per una fabulazione televisiva migliore. Sporcarsi le mani. Un po’ come diceva Scarpa qualche articolo fa. Che ci piaccia o no questa lingua (l’italiano), imposta, fascista, falsa, chiamatela come volete, ce l’abbiamo. E’ nostra. E che cazzo, non la uso neppure? Gioco al lamentismo snob?
Meglio puri nelle nostre torri d’avorio, che sporchi di realtà?
E’ chiaro, sporcarsi vuol dire anche rischiare di apprezzare il sudiciume. Farlo diventare una ragione di vita, lottare per mantenere il potere conquistato, lo so. Il rischio c’è. Ma è un rischio, non una certezza. Di certo so solo che oggi la cultura è sempre più marginale nel mio paese. Ciò che cerco è una lotta contro i mulini a vento, non un guardarli dicendo: “Ma sì, tanto non c’è niente da fare.”
Oppure? Lo chiedo, ripeto, lo chiedo carico di dubbi. Qual è altrimenti l’alternativa?
Gianni
P.S. Beppe, le tue interferenze, così come tutte le altre (quando non sono semplici provocazioni) sono da me sempre graditissime.
A proposito: c’è poco da rispondere a Raimo e Inglese. Hanno semplicemente ragione.
G.
Anche a me fanno piacere i suoi interventi e mi sembrava di aver spostato l’attenzione oltre la contrapposizione tra Scarpa, Moresco da una parte e Luperini dall’altra, come sottilmente ha rilevato Genna parlando di ingenuità filosofica
Gianni, senti l’eco? Sono i miei applausi. Tra parentesi: viva Tony Renis, abbasso il riporto.
E come potrei non applaudire anche Beppe, foss’anche soltanto per essersi messo sotto il segno di quella favolosa creatura? Però, Beppe, non ti ho risposto prima perchè anche il tuo sacrosanto sfogo non era immune dall’autoreferenzialità. Capisco che a uno gli girino perchè i divi lamentano scarsa attenzione ma se ognuno si alza a dire: e io? la faccenda rischia di diventare ancora più comica.
“Qui campiamo tutti strizzandoci il cervello”. Al Pacino in “Americani”
Mi riallaccio all’intervento di Gianni. Io personalmente un’occhiata alla tivu la do sempre. Oltretutto è un ottimo sonnifero. Non guardare la tivu, oggi, significa, sotto sotto, non voler capire al fondo del bicchiere la nostra società. La tivu secondo me è lo specchio, fedele fino alla NOSTRA morte, del mondo consumato dal consumo dei consumatori. Dal monitor monitoriamo le scorie azotate del mondo. Le paillettes sanremesi e i riporti (e anche i completi bianchi del Tony Renis) spesso riluccicano ombre. Giorgino è il genero ideale, ma nessuna suocera (almeno finora) se lo è preso in consegna. L’ideale è a prezzo (canonico?…) di canone.
E poi? Le torri d’avorio, essendo troppo alte per le imprese di pulizie, sono notoriamente zozze da far schifo. Lo sporco va evidenziato e non combattuto come fa la tivu che, fino a non molto tempo fa, lo chiamava addirittura “lo sporco più sporco”. Il cinema non è più il nostro evidenziatore panoramico. E dunque, come dice Gianni, abbiamo la tivu. Nel mezzo dei palinsesti possiamo talvolta trovare qualcosa di buono. Penso a Montalbano. Tutto, là, è eccellente. La colonna sonora di Franco Piersanti, poi, è eccezionale; mezzo litro di Piazzolla, un goccio di Rota e una lacrima (postuma) del maestro Rustichelli…
Quante energie sprecate, oggi. E’ vero: gli scrittori, a quest’ora, potrebbero essere chiusi in camere comunicanti scervellandosi con un “trattamento”. Pagamento un tot all’ora. Non sarebbe male, per chi campa grosso modo di espedienti.
Una volta, in Rai, oltre al sommo Gadda, c’era anche Diego Fabbri. Non era un genio, era un ottimo commediografo. Riduceva i Maigret di Gino Cervi (più che di Simenon!) E, a differenza delle stelle di Cronin, il produttore Camilleri non stava a guardare.
Quante energie sprecate, oggi. Quanti scrittori che s’incazzano tra loro per un tozzo di fama. O di fame? E Busi che blatera (come uno Sgarbi qualsiasi) dalla tivu, appunto, che la stessa tivu che gli lecca il culo fa schifo. E perchè ci vai, allora, benedetto uomo? Questo gusto del “paradossarsi” addosso a me, ormai, fa quasi vomitare.
Ma lo scrittore, e con lui la Letteratura, è ALTRO. Dev’esserlo. Non possiamo permetterci di frullare sempre tutto assieme; perchè se ci mischiamo (noi letteratura) con il resto, il resto ci ammazzerà. Il gusto pieno della letteratura sarà svanito nell’Amaro Montenegro delle altre espressioni umane. Non tutti coloro che scrivono libri sono artisti, non tutti coloro che scrivono libri di grande successo e di grande fruibilità sono delle puttane, come Camilleri insegna. La letteratura è altro perchè ingloba tutto il resto e anche sè stessa. Solo la letteratura, infatti, può essere davvero letteraria. E’ una tivu spenta che spesso non abbiamo il coraggio di aprire. Aprite un libro di Moresco la domenica pomeriggio e abbassate l’audio di Bonolis…
per elio paoloni: bisogna ancora essere d’accordo sul rilasciare la patente di divi. chi sarebbero? c’è la possibilità che di divi non ce ne siano, o che non siano quelli che pensi tu.
Franz, anche tu, vedo, ti fai di Gino Cervi con eccipiente Tenco. C’è stato anche un eccipiente Tony Renis, lo sai, vero? Hai ragione, Montalbano è l’impossibile, il miracolo. Un po’ leccate le ambientazioni, a volte, se proprio dobbiamo trovarci un difetto.
Ma ho perso il filo del tuo discorso: dici che bisogna mescolarsi ma anche che bisogna temerlo. Occorre restare puri o dedicarsi alle arti applicate? Gadda non l’ha ammazzato nessuno, no? O sì? Non ricordo le date della collaborazione rispetto alle opere, anche se ricordo bene il carteggio, la fatica degli amici per farlo sopravvivere.
Odio i computer quando ti mandano a puttane le cose che hai appena scritto. Comunque: io non so cusa l’è l’eccipiente Renis, però “Quando quando quando” mi piace molto, mi ricorda “Il sorpasso”, tra l’altro. Niente male anche “Frin frin”, sigla di una delle serie di Maigret, guarda caso. Di Gadda non so le date, io ho parlato di Fabbri che era molto più addentro alle cose, era uno meno fuori dagli schemi. Non credo che abbia fatto la fame, lui. Volevo dire che la letteratura è altra cosa dal resto, è di più. naturalmente ci si può dedicare anche alle arti applicate, se si ha questa fortuna! Cinema, tv, pubblicità, giornalismo. Ma l’approccio è diverso. La letteratura viene pensata, agita e masticata (spesso anche dagli addetti ai lavori) come un soggetto da auditel. Non è così. trovo falso mettere insieme tutto quanto. Nonostante io pensi che anche la pubblicità possa essere arte, non tutte le arti sono di uguale importanza. La letteratura sta “ueber alles”, secondo me. Per cui trattarla con i piedi a me fa girare i coglioni, tanto per parlar chiaro. Dunque lo scrittore moderno e fortunato potrebbe scrivere i suoi romanzi facendo letteratura (se ci riesce…)e allo stesso tempo vivere dignitosamente scrivendo una fiction. Magari, come nel caso di Montalbano o delle fiction di Michele Soavi (un grande…) campandoci più che dignitosamente.
Un caro saluto, buona giornata.
PER LUMINAMENTI
Genna, sottilmente?
Genna, sottilmente?
Ma ti sei accorto come parla di Foucault? Sembra un professorino bizzoso che si riempie di ‘ismi’ a scopo puramente scenografico.
E poi… l’onestà di fondo. Ti sei accorto del retrofront consumatosi nelle ultime 12 ore?
Prima mette su “Miserabili” un pezzo contro “Panorama”. Poi, da “Panorama” (giornale per il quale scrive) (dell’editore per il quale pubblica), da “Panorama”, dicevo, evidentemente lo bacchettano e lui si autocensura.
Ma per favore…
PER LUMINAMENTI
Genna, sottilmente?
Genna, sottilmente?
Ma ti sei accorto come parla di Foucault? Sembra un professorino bizzoso che si riempie di ‘ismi’ a scopo puramente scenografico.
E poi… l’onestà di fondo. Ti sei accorto del retrofront consumatosi nelle ultime 12 ore?
Prima mette su “Miserabili” un pezzo contro “Panorama”. Poi, da “Panorama” (giornale per il quale scrive) (dell’editore per il quale pubblica), da “Panorama”, dicevo, evidentemente lo bacchettano e lui si autocensura.
Ma per favore…
Ehi, è vero… che fine ha fatto l’articolo antiPanorama?
(è una curiosità la mia, non sono malizioso).
G.
Avete visto, uomini di poca fede? L’articolo di Genna è tornato al suo posto…
ciao, G.
nessuna censura da parte dell’editore. Non scrivo per Panorama. Franco Di Vella è un malizioso idiota, nel senso filologico del termine: pensa ai sé, è un turista del niente, stenda guide per andare a pescare le sue banalità con i compagni di Ventura che si merita. Semplicemente, l’articolo era andato in draft per risistemare la sequenza in homepage. Entri in Movable Type Di Vella e poi stenda un help a tutti comprensibile, anziché ricliccare impaziente il solito bottoncino, visto che evidentemente fa così con tutti i bottoncini.
L’amico Genna non ha bisogno delle mie difese, mi attengo a quanto ha scritto nell’articolo unità nella rissa, che per quanto mi riguarda è chiaro. In quanto poi al fatto che una persona possa scrivere (per i suoi personali motivi, a causa eccetera eccetera), dire a voce alta una cosa mentre silenziosamente ne pensa un’altra, io questo non l’ho mai potuto sapere, con quella certezza che si chiama verità, di nessun essere umano che ho incontrato nella vita e ciò mi ha molto facilitato l’esistenza perchè vivo sciolto dalla preoccupazione di dovere credere o non credere a quella o tal altra persona. Te lo sto spiegando terra terra ma saprei teorizzare finemente tutto questo a partire da principi taoisti o archetipici o se vuoi di nuovo che te lo dica terra terra, a partire dall’idea che bisogna solo eliminare la costellazione di menzogne continue, avvelenatrici e ineliminabili (perché immanenti al linguaggio e al pensiero umano), a favore della verità di un’unica grande menzogna complessiva. Quindi, mi attengo a ciò che quelle parole scritte su Miserabili mi dicono, riesco a comprendere. E io le ho penetrate a sufficienza e non vi ho visto nulla da professorino bizzoso. Si trattava piuttosto di un’altra esigenza strategica, di non cadere in un errore che Foucault spese sulla sua pelle e corresse con una profonda teoria della prassi.
E’ evidente che Genna non poteva che andar per accenni.
Franz, eccipiente del preparato Cervi (una delle mie droghe preferite) è la colonna sonora. Che in una serie, appunto, era Frin frin di Tony Renis.
A questo punto devo chiederti: Camilleri fa letteratura o no? E quando scrive, scrive pensando alla storia delle lettere o scrive già per la TV, dalla quale, in fondo, proviene? E qual’è per lui la bassa funzione alimentare, la tv o i tomi? (perché credo che faccia più soldi con i libri che col suo vecchio mestiere). E se la televisione non è un’arte, il cinema sì? E se sì, non vale l’opinione di Gianni che tra qualche anno considereremo stupida la frase “Sono un regista. Di cinema ben inteso, mica quella robaccia televisiva”?
Si, Elio, poi l’ho capito dopo cos’era l’eccipiente. Su Frin Frin siamo d’accordo. Che poi Renis abbia portato al festival la sua cordata è fatto talmente assodato che qui in Italia pare normale perchè E’ normale… Ma non è normale per niente perchè è una schifezza. (Veruska – la cantante del festival – è nipote di mogol, lo sapevi?). Per risponderti come so (magari poco):
1. Camilleri è un grande scrittore
2. Camilleri fa anche le marchette televisive ma le fa molto bene.
3. Non so se pensa allo sfruttamento televisivo. Se lo fa non me ne frega un cazzo. L’importante è il risultato. Di solito chi scrive romanzi pensando alla possibile riduzione cinematografica scrive delle cose così così. Nel suo caso non sarebbe (condizionale d’obbligo) così.
4. La tv è arte in blob…
5. Il cinema è sempre arte quando è Kubrick. Per gli altri dipende.
Ho sempre trovato un po’ idiota cercare di definire, in modo incontrovertibile, ciò che è arte da ciò che non lo è. Così come il classificare le discipline artistiche dall’essere più o meno legate alla materia. Da qui, da un hegelismo un po’ d’accatto, esce fuori (dipende dai gusti personali, poi) che ad esempio, la pittura è più arte della scultura, la quale comunque lo è più dell’architettura, e via cantando. Mentre (dipende sempre dai gusti del classificatore) la medaglia d’oro se la giocano o la musica o la letteratura. Tutte cazzate. Oggi, almeno.
Arte è, per dirla con Formaggio (Dino, non Zola), tutto ciò che noi chiamiamo arte. Cioè ciò che assurge in una comunità di senso a tale compito. Oggi, ad esempio, penso che artisti del calibro di Moore siano narratori geniali. Il fatto che si esprimano col fumetto non li rende inferiori a molti tronfi scrittori di libri.
E non perdiamo di vista il suo essere necessariamente legata a triplo fino con tecnica e tecnologia. Anzi: un artista si libera proprio grazie ad una tecnica e una nuova tecnologia può liberare nuove forme di espressione artistica (io non perderei di vista quanto l’estetica abbia a che fare più che col bello, col sensibile).
In un certo senso la nascita della fotografia (vituperata dai massimi esteti dell’epoca, come mostruosa, gelida, senz’anima, inestetica) ha liberato la pittura dal vincolo figurativo mostrandogli nuovi percorsi artistici.
Proprio per questo non disprezzo nessuna forma di espressione esteticamente creativa. Ci sono tecnologie che inevitabilmente verranno a mancare, per obsolescenza. Questo non vuol dire che verrà a mancare la capacità di espressione. Vedi la letteratura. A pensarci bene essa non nasce sui libri, ma è di tradizione orale. Poi qualcuno ha inventato la scrittura. E via col tango. Qualcun altro i caratteri mobili. La scrittura si è “adattata”, così come oggi si adegua alle nuove tecnologie. Fortuna di una disciplina modellabile. Ma se, chissà perché, domani nessuno scrivesse più… amen! Ci sarà un nuovo modo di esprimersi.
Probabilmente fra 100 anni (ma magari anche 50, se non 30) nessuno farà più cinema, perché le nuove tecnologie lo renderanno obsoleto. Bene. E chi se ne frega. Nascerà una nuova “arte”.
L’ho detto da altre parti: oggi negli USA il miglior prodotto creativo cinematografico (parlo delle Major, intendiamoci, non degli indipendenti) lo trovi nei prodotti a cartoni animati per “l’infanzia”.
Ma, e qui arrivo (finalmente), non solo. Le cose migliori che si stanno facendo negli Stati Uniti oggi sono produzioni di fiction televisiva. Lo sviluppo delle psicologie, delle situazioni, dello studio di un ambiente sociale, delle tecniche di ripresa, etc. OGGI negli USA non li trovi più nel cinema ma nella TV. E loro, pragmatici, se ne fregano: hanno capito che il mezzo è fondamentale e lo usano, usano le loro migliori menti creative (che lo fanno volentierissimo).
Ma questo sguardo attento per la tivù ce l’aveva, credo almeno già 15 anni fa, anche Ken Loach. Quindi, per dire: Sì. Se fatta come si deve ANCHE la TV può essere arte.
Chiudo con Camilleri. Ho avuto la fortuna di leggerlo molto tardi. Questo mi ha permesso di non fare né lo sborone snob che se ne andava in giro “scoprendo” un nuovo autore, né quello che si è fatto travolgere dall’onda modaiola. L’ho letto che ormai i giochi erano fatti. E anche molte posizioni antipatiche di insigni letterati nei suoi confronti prese.
Beh: “Un filo di fumo” l’ho trovato pieno di grazia, “Il birraio di Preston” mi ha fatto fare i salti sulla sedia dall’entusiasmo; i vari di Montalbano mi sono piaciuti molto meno, ma li ho sempre trovati generosi col lettore. Camilleri ha la fortuna di poter fare quello che vuole, è fuori dalle logiche strette di potere (che gliene frega? Ormai è “in pensione”) e quindi è libero. E fa quello che vuole. Strafà… massì, lasciamolo strafare. Secondo me, in ogni caso, alcuni suoi libri resteranno, anche molto dopo di lui.
Il Montalbano televisivo è IL MINIMO che vorrei dalla TV nazionale. Il fatto stesso che “si fa” vuol dire che “si può fare” un minimo di qualità. Ma c’è tanto ancora da percorrere (capire ad esempio, che le logiche narrative televisive, dato il mezzo, sono diverse da quelle cinematografiche. Cioè non riproporre semplicemente film per la tivù ma pensare a serie televisive di qualità costruite in modo diverso…. ma qui mi fermo se no faccio notte).
E meno male che mi ero ripromesso di diradare i miei logorroici interventi!
G.
Gianni, dici cose anche giuste; però fai degli esempi (Loach, certi telefilm americani) che sono eccezioni. La scrittura esisterà sempre, secondo me. Perchè no?
Ciauxxxxx
Tu sei buono e ti tirano le pietre.
Sei cattivo e ti tirano le pietre.
Qualunque cosa fai, dovunque te ne vai,
sempre pietre in faccia prenderai.
Tu sei ricco e ti tirano le pietre
Non sei ricco e ti tirano le pietre
Al mondo non c’è mai qualcosa che gli va
e pietre prenderai senza pietà!
Sarà così
finché vivrai
Sarà così
Se lavori, ti tirano le pietre.
Non fai niente e ti tirano le pietre.
Qualunque cosa fai capire tu non puoi
se è bene o male quello che tu fai.
Tu sei bello e ti tirano le pietre.
Tu sei brutto e ti tirano le pietre.
E il giorno che vorrai difenderti vedrai
che tante pietre in faccia prenderai!
Sarà così
finché vivrai
Sarà così
(Antoine, 1967)
come siete suscettibili (Genna, Scarpa ecc. ecc.)
quanto vi rode il fegato
quanto siete narcisisti
quanto, evidentemente, vi sentite delle nullità per diventare così aggressivi
una montagna di frustrazione che produce topolini
mi dispiace, veramente
Che palle. Avevo scritto e non me l’ha data. Ora lo devo rifare.
Dicevo… come ti permetti? Guarda che Genna è meglio di Contini e Pasolini e De Sanctis e Gentile e Gramsci messi insieme. Una delle menti più alte dell’Europa contemporanea. Il fatto che ancora, ad es., non se lo fili nessuno non vuol dire niente. Un sacco di artisti sono morti sconosciuti (Mozart sepolto in una fossa comune…) e invece… Quindi, sarà vero come diceva pure qualcuno negli altri messaggi che i loro libri non se li compra nessuno (in effetti, i miei amici leggono Baricco e conoscono Eco e Franzen, e poi magari al massimo che so, mentre Genna e gli altri di cui parlate non gli hanno mai sentiti nominare, perché magari leggono letteratura datata). Ma non vuol dire. Quelli che oggi sembrano solo dei poveri sfigati, domani magari saranno riconosciuti come geni assoluti. Forza Giuseppe!
Gianni, a proposito di buona TV, che mi dici di Camera Cafè?
E, a proposito di Camilleri, chi si è reso conto che la Concessione del telefono è un gran libro? Che scolpisce la Sicilia, anzi l’Italia, di un epoca, anzi d’ogni epoca, rivisitando il genere epistolare, anzi ricreandolo in purezza, senza trucchi. I romanzi epistolari, di solito, sono composti da una serie di miniracconti a narratore alternato. Nella Concessione, Camilleri usa “veri” messaggi, documenti d’ogni genere. E non interviene mai. In pratica, il primo romanzo assolutamente sgombro di riempitivi, quei riempitivi che facevanmo disprezzare a Borges il genere romanzesco e che Hemingway si sforzava di annullare (vedi tirata sul pudding).
per Valeria (mi era sfuggito) Divi, senza intenti denigratori, anzi, sono coloro che hanno visibilità e appeal nel ghetto letterario. Occhi sulla graticola, come ha dichiarato Tiziano, è stato il libro più recensito dell’anno, all’epoca. E Moresco, dai tempi delle “misere” 12 recensioni di Lettere a nessuno, un pò di visibilità l’ha acquistata, no?
Calma, Danilo, calma,
certe affermazioni imbarazzerebbero Genna stesso.
Sul fatto, poi, della fama di questi scrittori…
Ho conosciuto un tipo che tiene un corso di scrittura creativa. Non ha mai pubblicato una fava. Però, misteri dell’Italia, il corso lo tiene, ha una mailing list sterminata, contatti in tutta Italia, scrive recensioni a libri, forma nuovi scrittori, etc.
Lo vedo, ho in mano “chiudi gli occhi”, lui legge il nome dell’autore e mi dice, tranquillamente: “Montanari? Non lo conosco.”
Non lo conosco, capito? Non: “Non l’ho letto” che era possibilissimo, ma: “Non lo conosco.” Beh, l’ho, amichevolmente interrogato:
“Scarpa?”
“Boh.”
“Moresco?”
“Bah.”
“Voltolini?”
“Cosa?”
“Genna?”
“E’ sardo?”
Insomma, avete capito. Ecco cos’è l’Italia. Ora: io non pretendo che tutti leggano tutto, ma almeno prendersi la briga di fare un giro su internet, aggiornarsi su chi sono i tuoi (nel suo caso) colleghi, come cazzo si chiamano, che cazzo fanno!!! E per Dio, è proprio questo cialtronismo che mi infastidisce.
Poi ci mettiamo a fare le squadre, a fare i derby: noi di qui, voi di là. Poi gli sberleffi, ma quanto siete narcisi, ma quanto siete mezzeseghe… ma basta! Insomma, un po’ di dignità!
Che Scarpa sia o non sia un narciso io me ne sbatto. (Genna almeno lo dice direttamente nel suo sito. C’è proprio una sezione che si chiama “narcisismi”). Potrebbe andare a Mai dire Gol, Il grande fratello, al telegiornale, a Capri, o dove cazzo gli pare che a me NON ME NE FREGA NIENTE. Io non perdo tempo su di lui e su tutto ciò che gli ruota attorno. io lo perdo SUI SUOI LIBRI. Sono solo quelli che mi interessano, solo di quelli parlo. Solo su quelli io lo giudico.
Magari un giorno mi capiterà di conoscerlo, e mi accorgerò che è una persona amabile, o uno stronzo patentato. Questo non cambierà di un grammo il mio modo di leggere i suoi libri.
Ciao, mi rimetto a lavorare, che qui poi come porto il pane a casa?
G.
Mi piace pescare affermazioni da brivido che circolano nelle vostre parlate logorroiche senza che nemmeno ve ne accorgiate. BOSSARI dixit: “…i miei amici leggono… letteratura datata”. La “letteratura datata”… La BIBBIA, ad esempio, è certamente datata… Dove finisce poi la “datità” di un’opera, per dare inizio alla fremebonda e gaudente “attualità”?
NB: Chi fa un’affermazione del genere, probabilmente, è anche uno SCRITTORE!
Elio, quel libro di Camilleri è una genialata, hai detto quello che c’era da dire col tuo solito Gusto Pieno della Sintesi!
Su quello che dice Gianni nel suo ultimo appassionato intervento: condivido ogni parola. E voglio dire anche un’altra cosa a titolo personale: non sopporto le contrapposizioni create a tavolino. Le guerre EGOlogiche. Ci siamo capiti.
Un caro saluto a tutti
Warhol ha inventato la “Factory”, e Camilleri la “Tractory”, la letteratura da “trattoria”.
In effetti quella della “letteratura datata” non l’ho capita neppure io.
Però, Altro J., smettila di fare un mucchio di persone diverse che, nella maggior parte dei casi neppure si conosce. Cosa accomuna me a Bossari? (o a Luminamenti, o a Vanni, a Di Vella, a Beppe, a Franz, a Elio…) Boh. Il fatto che scriva nei post di questo sito? Ma lo fai anche tu. Quindi anche tu mi sei comune.
Niente guerre egologiche, ti prego, come dice giustamente Franz.
G.
Cioè, a voi l’idea che le mie parole avessero un minimo contenuto ironico neanche vi ha sfiorato.
era anche per alleggerire
kepp it cool
Magari l’ironia non è stata colpa anche per “colpa” tua, non credi Danilo? (E poi comunque si sa, la comunicazione scritta si presta spesso a fraintendimenti).
Keep it cool, brother!
Errata corrige… “…l’ironia non è stata COLTA”, anzichè colpa. Scusate.
Magari l’ironia non è stata Molta, senz’altro direi che è stata Tolta, e che la selva dei messaggi è ormai troppo Folta. Continuiamo un’altra Volta?
Vendi poco e ti tirano le pietre.
Sei un bestseller e ti tirano le pietre.
Scrivi chiaro e ti tirano le pietre.
Sei elitario e ti tirano le pietre.
Qualunque cosa fai, dovunque te ne vai,
sempre pietre in faccia prenderai.
Tu ti impegni e ti tirano le pietre.
Stai in silenzio e ti tirano le pietre.
Vai in tivù e ti tirano le pietre.
Non ci vai e ti tirano le pietre.
Al mondo non c’è mai qualcosa che gli va
e pietre prenderai senza pietà!
Sarà così
finché vivrai
Sarà così
Sei famoso e ti tirano le pietre.
Sei sfigato e ti tirano le pietre.
Sei tradotto, e ti tirano le pietre,
recensito, e ti tirano le pietre.
Qualunque cosa fai capire tu non puoi
se è bene o male quello che tu fai.
Tu hai successo e ti tirano le pietre.
Tu fallisci e ti tirano le pietre.
Te la tiri, e ti tirano le pietre.
Sei modesto, e ti tirano le pietre.
E il giorno che vorrai difenderti vedrai
che tante pietre in faccia prenderai!
Sarà così
finché vivrai
Sarà così
parlando di ironia:
Ma la cover di Antoine non è semplicemente strepitosa? Me la canterò per tutto il pomeriggio…
G.
a biondi’, lavora invece de canta’ e scrive cazzate su ‘sto sito…
Sempre dal vostro affezionato collezionista di affermazioni da brivido, ecco ora una esibizione di Franz: “E poi comunque si sa, la comunicazione scritta si presta spesso a fraintendimenti”. Perché, la comunicazione orale o gestuale o di qualsiasi altro tipo no? Mammmmmmmmmamia……
(E questi miei rilievi, Gianni, hanno un fine…)
A Checco, c’hai raggione. Oggi nun ho voja de lavorà, manco ppe niente…
Altro J. Questo sì che è saper creare la suspance… Ora fremo dalla voglia di sapere qual è il fine dei tuoi rilievi.
(ma sì, sì, ovvio, hai ragione: tutte le forme di comunicazione si prestano, inevitabilmente, a fraintendimenti… precisetto!)
augh, Gianni
Le altre forme di comunicazione si prestano meno di quella scritta a fraintendimenti… Perlomeno su Nazione Indiana…
Sono assolutamente d’accordo con MARIO ZERO (davvero…).
Solo un appunto da fargli. Se usi uno pseudonimo, poi non puoi mettere in Email Address quella che sembrerebbe essere la mail che smaschera la tua vera identità. Ossia: MARCO LODOLI.
Insomma, o ci si occulta bene, oppure è meglio dire le cose in faccia, papale papale.
A parte questo, ripeto, completamente d’accordo con MARCO LODOLI
A Marco Lodoli (Mario Zero) dico che, per quanto mi riguarda, io voglio VOLERE, e non ESSERE VOLUTO. La nostra epoca misura il successo sull’essere VOLUTI (venduti, amati, ecc.). Io mi sento a posto quando son riuscito a VOLERE. Che mi si legga o meno, non me ne frega niente. E’ la mia forma di successo (o di fallimento, secondo i punti di vista, beckettiani o meno): VOLERE nel miglior modo possibile. Riuscire a star dentro a un mio atto di volontà, prenderlo sul serio, dispiegarne le possibilità più belle, portarlo a perfezione: fare un’OPERA. Io rispondo all’arte, non agli acquirenti di libri. Presuntuoso? Può darsi. Ho un’idea presuntuosissima dell’arte.
Strano comunque che Marco faccia questo ragionamento. E’ fin troppo facile ribattergli che il passo successivo alle sue premesse sarebbe celebrare in Pieraccioni Melissa P. Bruno Vespa ecc. i veri geni della nostra epoca: sono i più VOLUTI… Evidentemente il loro gesto estetico non ha “magagne”, come le definisce Lodoli. Altra conseguenza delle premesse di Marco: dovrei cambiare il mio modo di scrivere per assecondare i gusti dei lettori acquirenti? Dovrei dire: “scusate, correggo la mia ‘magagna’ in modo da piacervi di più?”. Marco, che dici, chiediamo a Mannheimer di farci un bel sondaggio per monitorare i gusti del mercato librario del 2005-2006, così sforniamo un bel librotto scritto a quattro mani, io e te, che incontri le aspettative della gente?
Con questo non dico che se non ti leggono è il segno che sei bravo, che il genio è incompreso, ecc.: è altrettanto falso, ovviamente. Dico solo che a me basta VOLERE. Per quanto mi riguarda, una mia opera è riuscita perché l’ho VOLUTA io, non perché è andata a ruba presso la volontà degli altri. (C’è una solitudine assoluta, in questa condizione, si è completamente soli con l’opera: bello; a volte un po’ sgomentante). Se poi sono anche VOLUTO, bah, tanto meglio, o peggio, non lo so. L’arte è la cosa più individualistica che ci sia: dipende dalla volontà (presuntuosissima) dell’artista solitario. Ed è anche la più democratica: possiamo volere (scrivere, fare opere) tutti quanti. Scrivete, vi leggeremo. Ci leggiamo tutti a vicenda. Quando leggo, oltre a pensare sotto dettatura, sotto la dettatura dello scritto, io ammiro un atto di volontà altrui (e, casomai, ne vengo sconvolto, rapito, mutato, metabolizzato).
Sono sorpreso, in generale, della piega che ha preso la discussione. Alla fine si rimprovera SEMPRE agli scrittori: “parli così perché non vendi abbastanza libri, perché non sei famoso; ti esponi per farti pubblicità” ecc. Mi sorprendo che la logica commerciale si sia insinuata in persone che partecipano a dibattiti colti facendo citazioni erudite e difendendo cause nobili, come in questa finestra dei commenti: alla fine, quello che si sa mettere in campo è il solito argomento della popolarità; della vendibilità… Persino gli scrittori introiettano queste logiche. Marco, il tuo è un intervento da troll provocatore o pensi davvero quelle cosette? Non si capisce se hai fatto un lapsus mettendo quell’indirizzo di posta (che è proprio il tuo), o un gesto di lodevole onestà, o se in te convivano due anime: il nickname che ragiona in base alle classifiche dei libri più venduti e l’artista puro e accorato…
Cari amici: vorrei far notare che Antonio Moresco, Carla Benedetti e io abbiamo RISPOSTO a un anziano studioso (Luperini) che ha scritto: in Italia in questi anni non c’è NULLA, la cultura non vale nulla, non si scrive niente di buono, il cinema fa schifo, il teatro non esiste, gli intellettuali tacciono, sotto i cinquant’anni è un deserto, queste generazioni verranno spazzate via, non lasceranno traccia… A voi un’accusa così non fa girare un po’ i coglioni? A me sì (anche perché è da anni che la sento ripetere da un bel po’ di gente, soprattutto da quelli che i libri NON li leggono perché la letteratura contemporanea non gli interessa PIU’: proprio Marco Lodoli descriveva bene – e in termini anche commoventi – questa condizione senile in una finestrella dei commenti di qualche giorno fa). Me li ha fatti girare per amor proprio e della mia generazione, e della cultura italiana, e della gente che fa cose belle e che si impegna (anche in questo sito, anche in questa finestra dei commenti! Secondo me Luperini ha offeso direttamente anche voi). Di QUESTO stiamo parlando. Non stiamo discutendo se i risibili racconti di Scarpa sono carini, popolari, letterariamente inconsistenti, o se vendono, o se Scarpa è un megalomane presenzialista incontentabile che ha migliaia di link su google e fa la vittima ostracizzata. Poi ciascuno è libero di dire quello che vuole, si capisce.
D’accordo su tutta la linea, Scarpa.
Solo che mi pare arrivi un po’ in ritardo. Mi sembrava avessimo superato da tempo certe facili provocazioni. Quanto meno dalla cover di Antoine.
augh, Gianni
No, non mi sembra che sia arrivato in ritardo. Uno arriva quando intende arrivare, quando VUOLE arrivare, insomma Gianni non entrare anche tu in questa logica: sono d’accordo ma…
Non ho avuto il coraggio di entrare in questa discussione che mi sembrava da addetti ai lavori, non riuscivo a trovare le categorie per esprimermi. Per farla breve non sono una scrittrice e non mi sono sentita di esprimere opinioni in merito. Però l’intervento di Tiziano mi ha fatto capire che posso esprimermi come lettrice. Ho sempre snobbato la narrativa italiana, per anni mi sono dedicata a letture filosofiche e psicoanalitiche per studio. Gli scrittori italiani contemporanei che conoscevo e leggevo erano Busi, Baricco, De Luca, Pontiggia e la Merini. Poi ho iniziato a frequentare un corso di scrittura e mi si è aperto un mondo vastissimo. Ho scoperto che esisteva una quantità di scrittori che mi erano totalmente sconosciuti. Ho letto tutti i libri di Montanari e poi Scarpa, Voltolini, Genna, Moresco, Evangelisti, Ammaniti, Nove, Battisti, Bugaro, Krauspenhaar, l’antologia Patrie impure e Scrivere sul fronte occidentale, Franchini e la poesia di Benedetti e Ferrari. L’elenco della spesa non l’ho fatto per avere un applauso come lettrice accanita e pertinace, ma perché mi chiedo come si faccia a dire che in Italia non c’e niente che valga la pena di leggere. Ho trovato alcuni di questi scrittori/autori/narratori geniali, alcuni mi hanno divertito, altri ho fatto più fatica a leggerli, ma alla fine non mi sono mai pentita dell’acquisto: per nessuno di loro. Dove voglio arrivare? A volte leggendo alcune recensioni mi sono accorta che il critico in questione manco aveva letto il libro di cui parlava e allora penso abbia ragione Luminamenti quando parla della necessità di un rovesciamento del punto di vista critico e filosofico. Forse si ritorna al discorso di Scarpa sui padri/padristi e a quanto ha scritto Luperini. Mi irrito come lettrice se un critico afferma che in Italia non c’è nulla, dovrei considerarmi un imbecille perché amo il nulla? Perché tutti gli scrittori che stimo sono il nulla? Chi guarda la televisione è un imbecille, chi va a teatro e al cinema è un imbecille, chi legge narrativa italiana è un imbecille. Siamo tutti imbecilli qualsiasi cosa facciamo… ce n’è da averne le palle piene di tutti ‘sti discorsi fumosi e campati per aria. Ecco, per non parlare del costo dei libri. Conosco un sacco di persone che leggono moltissimo…i libri degli altri o della biblioteca. Si parla tanto del costo della musica che ha abbassato le vendite, e del costo dei libri perché non ne parla mai nessuno? Può uno studente che deve comprare libri universitari a prezzi elevatissimi spendere per romanzi e poesie? Scusate le divagazioni e i pensieri in ordine sparso, un abbraccio.
Eppure Mario Zero non sono io…
Bah, chiunque tu sia, mi hai suscitato una risposta. Comunque, Zero, pseudoLodoli o chiunque tu sia, mi rammarico un po’ per te. Mi dà un senso di malinconia constatare che ci sono così tante persone che non hanno il coraggio di prendersi la responsabilità delle proprie parole. Soprattutto quando si indirizzano a qualcuno, polemizzano, criticano persone in carne e ossa… E’ un gioco truccato, asimmetrico. Non vale. sarà anche una consuetudine della rete, il nickname: ma noi di nazioneindiana siamo utopisti, miriamo a cambiare le consuetudini calcificate: non ci piacciono i nickname e gli pseudonimi usati a man salva. Non si tratta di carta d’identità, ma di dichiararsi disposti a sottoscrivere un discorso. I nomi e cognomi non sono nulla in sé, quindi sono simboli, quindi sono cosa realissima, importantissima…
a proposito di asimettria (ce ne sarebbero tante di cose da dire)(e a parte che questo incrocio di voci di cui sono stato qui testimone ha avuto per me aspetti da incubo verbale), avendo appreso solo con questa storia del mario zero che se uno clicca i nomi viene l’indirizzo, com’è che cliccando quello di scarpa non viene niente?
Caro Beppe Sebaste, se si mette l’indirizzo del sito nella casella “URL”, quest’ultimo “prevale” quando si clicca sul nome. Il mio indirizzo di posta lo metto comunque (è richiesto dal sistema automatico), vale come una firma “interna” che i redattori di Nazione Indiana possono verificare accedendo al sistema gestionale del sito tramite password. Mi spiace, ma dopo aver ricevuto 700 (settecento!) mail di virus in due giorni, tempo fa, come regalino durante una polemica da parte di assai signorili interlocutori, i miei indirizzi di posta elettronica li distribuisco a chi decido io. Non capisco i tuoi incubi (ciascuno interviene liberamente, ci sono interventi pertinenti e cazzeggi, il risultato è per forza di cose “incrociato”: è la democrazia, baby. Preferiresti che filtrassimo, che censurassimo?), né le “tante cose” da dire sull’asimmetria. Dille pure, le aspettiamo con interesse.
Comunque, il tuo rilievo “Luperini ha ragione nel dire che siete assenti sul piano dell’impegno civile” è incredibile. Lo vieni a scrivere proprio qui, quando proprio questo sito è una prova (magari piccola) del contrario! Siamo fra i pochi scrittori italiani impegnati. Abbiamo fatto convegni e libri, siti, blog, interventi. E come vedi da alcuni commenti, se si fa troppo si viene tacciati di presenzialismo (tu stesso ce lo rimproveri, ma dal lato pubblicitario: come se fossimo noi a mettere le inserzioni pubblicitarie sui giornali). Insomma, come dice Antoine e il suo coverista, mettetevi d’accordo. Ripeto che la polemica non dovrebbe essere un processo a noi (se poi volete farcelo, liberissimi). Noi siamo solo un esempio (piccolo o grande, infimo o importante, chi lo sa) fra tanti, del fatto che in Italia la gente si dà da fare e fa persino cose belle. Piuttosto resta da verificare chi detiene gli spazi di visibilità. E’ QUESTO il punto! Si VEDE che qualcosa di buono c’è? Evidentemente no, perché per esempio Luperini non l’ha visto. Facciamo tante cose, ma chi le vede? Il convegno sull’11 settembre (su quei temi, letteratura e guerra, incisività dell’arte, estetica e politica) lo avevamo organizzato PRIMA dell’11 settembre! E il libro (“Scrivere sul fronte occidentale”) che ne raccoglie gli atti, è uscito otto mesi dopo: abbiamo fatto la figura dei buoni ultimi. Sono QUESTI i tempi editoriali: questi mezzi abbiamo, questo è ciò che, alle condizioni attuali, ci è dato utilizzare. Quando scriviamo articoli sui giornali dobbiamo stare a concordarli, convincendo un redattore che il tema che proponiamo è importante, mendicando spazio, e poi se va bene ce li tagliano, ci cambiano titolo snaturandone il senso: addirittura NON ce li pubblicano (proprio in questi mesi, alcuni di noi potrebbero elencare contributi GIA’ CONCORDATI con le redazioni dei giornali, scritti, inviati e MAI APPARSI!). Busi ha raccontato la sua esperienza personale, durante questa polemica, proprio sull’Unità: ha raccontato come è stato considerato sui giornali: prese di distanza, tagli, censure, interruzioni improvvise di rapporto, articoli non accettati. Il risultato è che, per questa descrizione di come sono andate le cose a lui (che è o non è un intellettuale? Uno scrittore fra i massimi che abbiamo?), è stato tacciato di narcisismo. Sempre così. Questa parolina usata dagli imbecilli. Ma se uno si impegna, non è forse “narcisista”? Chiunque ritiene di poter “spendersi” per gli altri, diceva Leopardi, vuol dire che si “valuta”, che si “apprezza” da solo. E’ narcisismo? C’è una hybris nello scrivere, nel nascere, nell’occupare posto. Dovremmo non esistere, per non commettere hybris? Se esistiamo, siamo narcisisti. Se scriviamo cose che vengono lette, siamo narcisisti. Se i libri vendono, siamo considerati star mediatiche (mai che si dica che l’intellettuale o lo scrittore ha genialmente trovato un modo di parlare a tutti, e non solo alle persone colte). Seperò scriviamo cose che non sono popolari, ecco che siamo elitari, sfigati, cervellotici, e ogni cosa che facciamo viene giudicata uno scomposto mezzo per mettersi in mostra, da invidiosi frustrati. Se ci diamo da fare nella società intervenendo a convegni, andando nelle scuole, partecipando a rassegne, siamo presenzialisti. Se la nostra presenza si vede poco, ecco improvvisamente che non ci impegnamo! Ma li hai visti QUALI SONO gli intellettuali mediatici veri? Quelli che occupano gli spazi con le loro rubriche e rubrichette sui settimanali e mensili e quotidiani e supplementi? (Per non parlare della tivù, vera centrale nucleare dell’impegno intellettuale irreggimentato). Si chiamano Beppe Severgnini, Barbara Palombelli, Maurizio Costanzo…: gente che scrive mediocremente, spesso anche culturalmente mediocre, convocata e strapagata per la sua “simpatia” mediatica (ci sono anche le eccezioni nobilissime: Eco, Galimberti, Serra, Benni, Sofri…). Ma di cosa stiamo parlando? Ci rendiamo conto della situazione? In che sogno stiamo dibattendo? Com’è che il narcisismo viene sempre e solo rimproverato agli intellettuali, per farli tacere e rimetterli al loro posticino (a “scrivere romanzi”, come persino il generoso e altrimenti lucido Giuseppe Genna, reazionariamente, suggerisce a Moresco nel suo ultimo intervento sui Miserabili)? Caro Beppe, ci siamo dovuti inventare un blog collettivo per avere un po’ di libertà e intervenire come e quando ci piace sui temi che ci interessano. Vuoi continuare a darci dei divetti? Fa’ pure. Però dire “Luperini ha ragione nel dire che siete assenti sul piano dell’impegno civile” è pazzesco. Significa negare la realtà, non avere dato una scorsa alle bibliografie, alle storie personali, a nulla (a meno che tu non intenda che non ci candidiamo in politica: ma per quanto mi riguarda non è la mia vocazione, non è la mia capacità, non è il mio talento. Io scrivo). E pazienza per noi (chissenefrega, andiamo avanti convinti come sempre), ma diventa desolante quando a essere arrogantemente negate sono due o tre generazioni, la vita culturale di un’intera nazione. Vieni qui a parlarci della situazione dei tuoi romanzi. Embe’? Non lo sai che è dura per tutti? Vuoi che ti racconti che dal 1997 al 2000 il mio primo romanzo era esaurito e non ristampato, irriperibile in libreria e magazzino nonostante la bufera mediatica su cannibali, pulp, ecc.? Incredibile, non pensi? Eppure è vero. Dopo otto anni non è ancora in edizione economica, eppure lo stesso editore ha riversato in tascabile molti libri e libretti di minor diffusione. Non lo sai che le logiche editoriali e della distribuzione libraria sono quelle che sono? Chissenefrega! Non sei proiettato sui prossimi libri che scriverai, tu? Io sì, guardo avanti e mi trabocca il cuore di gioia all’idea dei libri che scriverò. Un caro saluto
In effetti non sono Marco Lodoli. Ho ventinove anni e mi chiamo Mario Zerotti, ma mi sembrava che Mario Zero suonasse meglio. Mi dispiace, soprattutto per Lodoli, amico di condominio, aver generato confusione. Mi piace cercare di capire facendo delle domande semplici, quelle che mi ritrovo per prime in testa. Tipo: come mai i lettori, anche quelli più sensibili, non raccolgono in pieno questa nuova ondata di scrittori? Non si scrive per il pubblico, lo so, però quando si scrivono cose importanti di solito il pubblico arriva. Forse ci vuole più tempo, o forse gli scrittori dovrebbero cercare di tradurre i loro pensieri, tutto quello che hanno letto, visto, vissuto in una lingua che non suoni troppo artificiale. Come obiettivo non penso alla letteratura rosa, penso a Raffaello o Giovanni Bellini o Pasolini o De Andrè o Kafka (lista un po’ bislacca, ma forse ci siamo capiti). Ogni opera d’arte evidentemente è frutto di un artificio, ma alla fine le carrucole, gli argani, i doppi fondi, le botole etc. devono diventare invisibili. Mi sembra invece che molti degli scrittori di cui si è parlato ci tengano troppo a tenere bene in vista gli strumenti del mestiere, quasi a sottolineare con soddisfazione quanto tutto è complicato e ardito. Non so se è la strada giusta per arrivare a un senso più ampio, che tocchi e magari modifichi anche solo un poco la sensibilità degli altri. Mi sbaglio? Ricordo un interessante intervento di Moresco contro Simenon, giudicato uno scrittore medio. A me invece sembra che Simenon sappia tutto, abbia davvero capito il cuore della gente e le astuzie della letteratura, ma non metta questa conoscenza troppo in mostra. Per questo si legge con passione. Alla fine appare naturale come l’acqua, il cancro, l’amore, l’odio. Un saluto a tutti voi, e continuiamo a darcele di santa ragione. Santa ragione, bello no?
Caro Mario Zerottodoli, il tuo punto di vista è bello e suggestivo. Non lo so, tu leggi con passione Simenon, io no, preferisco Laurence Sterne, Melville, Dostoevskij. Lì le carrucole, i dibattiti ideologici, la struttura si vede tutta, anzi, è esibita come poesia, è RIMESSA IN CIRCOLO come ingrediente della bellezza stessa. “Moby Dick” è un’enciclopedia del mare, uno sfoggio di sapere, un deposito di trattatelli: non disse nulla ai suoi contemporanei (peggio per loro), ci vollero cinquant’anni perché la critica simbolista gli soffiasse via la polvere e lo riesumasse dall’oblio. Dante per secoli non era considerato un poeta… Personalmente, lo preferisco a Petrearca. Ci sono Stevenson e Cecov, ma ci sono anche Gadda e Queneau. Questione di gusti? Anche. Però io non smetto di considerare belli (o terribili) e naturali l’acqua o il cancro quando ne scruto al microscopio la struttura molecolare o cellulare, né ai miei occhi perdono d’incanto e di mistero l’amore o l’odio quando qualcuno mi descrive la biochimica che li accompagna. Sai qual è il punto, secondo me? Per quanto mi riguarda, mi piacerebbe entrare in un’opera tutto intero, con la mia fantasia ma anche con la mia ragione, con l’immaginazione ma anche con la critica. Senza lasciar fuori niente. Ovvio che poi ci sono opere incantevoli e stilizzate, dove dell’umano si presenta soltanto un aspetto, una semplificazione ben riuscita: a volte sono strepitose, ma certe altre mi danno un senso di alienazione, di falsità. Sento la mancanza di TUTTO IL RESTO. Che ne pensi?
caro tiziano scarpa, a luperini come sai ho risposto anch’io a suo tempo sull’unità. il fastidio me l’hanno dato altre sbavature lette qui e là. vorrei che contestualizzassi meglio quello che ho detto: quella frase che riporti tra virgolette è terribilmente ingiusta e a sproposito così sganciata dal resto. mi piacerebbe che incanalassi meglio a chi dire le cose che dici. non so chi siano i divetti. credo di avere scritto cose un po’ piu’ precise. mi hanno frastornato le “presupposizioni” (o supponenze) di chi ha scritto in questo nastro di commenti. ancora, nulla da dire contro NI, che anzi con ogni evidenza apprezzo(e in piu’ ringrazio per avere ospitato miei articoli passati). e figurati se penso alla censura. i miei “post” scritti sopra erano critici nei confronti del pezzo di moresco, e di come non veniva affrontato nel merito. la mia ingenuità è stato pensare che i “post” si riferissero al pezzo in questione (come i primi due, in effetti: quello di raimo e quello di inglese). comunque, quello che ho screitto su mi sembra chiaro. infine, che dire?, ti prego di non darmi del voi, non mettermi in nessun “voi”. sono beatamente per conto mio. e anch’io preferisco il futuro, e i libri futuri, che potrebbero anche essere libri del passato diventati futuri (non credo al tempo ma a una nomadologia trascenddentale). ma come tu hai girato a luperini una memoria e degli esempi, lascia ad ognuno la libertà e il sentimento di ricordare ed esprimere la propria – di memoria e di storia. ciao, buon lavoro. beppe.
P.S. per il resto, su quello che dici della situazione editoriale (o politica: è la stessa nausea) sono così d’accordo con te che mi da perfino amarezza doverlo (ri)dire. non sfondiamoci reciprocamente porte già aperte, d’accordo?
Caro Beppe, scusa se ho frainteso il senso del tuo intervento. Forse a volte, soprattutto quando il nastro dei commenti è così lungo e affollato, si attribuisono a qualcuno cose dette da altri, o non si capisce bene a chi e a che cosa si indirizzavano alcune frasi di quel qualcuno. Comunque, si tratta di spunti per suscitare argomenti a volte importanti, quindi poco male (faccio un esempio ipotetico) se mi si attribuiscano delle assurdità mai dette, se questo poi suscita reazioni interessanti. Un caro saluto e grazie
Scusate, riprendo da prima del botta e risposta Scarpa-Sebaste. I miei problemi sono di tre tipi: il primo è il tempo, cioè non posso permettermi di leggere più di uno-due libri per volta, ogni uno-due mesi, se voglio leggere per davvero; il secondo è il costo, come dice Fuschini: a parità di prezzo, prendo chi mi dà di più, quindi spesso classici o saggistica, meglio se in remainder; il terzo è la critica, che è spesso marchettara e produce bolle dalle quali ci si disillude presto, senza ritorno. Ecco dunque che dei molti che scrivono su NI, ne leggo davvero solo uno e mezzo e di più non posso fare, indipendentemente da spazi, critiche, battage e polemiche (Luperini può andare al diavolo, come tutti). Ciò non toglie che li segua e presti attenzione all’attività “civile” che fanno, anche quando non condivido un’acca di quello che dicono (ad esempio il movimento pro-battisti o quello degli eghi latranti); basta al sistema per reggere? Non credo: se oggi, sabato, sia su alias che su il domenicale si parla di ballard e del suo libro sulla crisi dei ceti medi, qualcosa di più profondo reclama la mia attenzione. Sbaglio qualcosa?
pas de problèmes… e a proposito: se a qualcuno interessa allargare il tiro, sull’unità di oggi faccio qualche ragionamento a partire dall’appello francese degli amici di Les Inrockuptibles “contro la guerra all’intelligenza” (i francesi, in sostanza, esprimono la paura di diventare come noi in Italia). qualcosa dovremmeo dire/fare anche noi… un caro saluto, beppe s.
chiedo scusa, il mio “nessun problema” era ovviamente rivolto a scarpa, non all’ultimo interessante intervento-problema…
“…chiedo scusa, il mio “nessun problema” era ovviamente rivolto a scarpa, non all’ultimo interessante intervento-problema…” – Ripeto l’ultimo post di SEBASTE perché serve alla galleria di “brividi” da BLOG che sto collezionando. Lo scrittore di post “si rilegge”, si specchia così nel proprio pensiero e – Narciso dell’oggi – chissà cosa pensa, specchiandosi.
Forse bisognerebbe avere tutti un po’ di carità cristiana e comprensione degli altri, perdonando le strane contorsioni sintattiche che a volte vengono fuori nella fretta, caro Altro J. facile al brivido.
Molto probabilmente Sebaste ha letto il commento di Scarpa, gli ha risposto e poi si è accorto che un altro commento si è infilato in mezzo. Ecco perché il suo “pas de problèmes”. Certe volte c’è un eccesso di malizia in tutto quello, più che si scrive, che si legge, no Altro J.?
D’atra parte io devo tacere. Chi di equivoco ferisce di ecquivoco perisce. Parlo con Gabriella: ehm… io stavo scherzando prima con Scarpa, il mio era un appunto tanto per dire… resto dell’idea che dopo la cover di Antoine (per me inno di questa colonna di post se non di tutta Naz. Ind.) tutta la questione deve prendere un’altra piega. Lì tutto è già, sagacemene, detto. Quello che ha poi ribadito Scarpa non è nient’altro che la perifrasi del poemetto. Anzi: secondo me la cover l’ha fatta proprio lui. O forse Voltolini (ha la sua grazia). Ma ovviamente la cosa non ha nessuna importanza…
Mario Zero, a proposito, mi sembra uno di quelli che va sull’autobus senza biglietto poi quando lo beccano dà le generalità del suo vicino di casa. Il suo condòmino immagiono sia felicissimo di beccarsi la multa.
Nelle discussioni il punto di partenza si perde, dopo un po’, e si evolvono in qualcosa d’altro. O forse si guardano da un altro punto di vista. bello quello di gabriella. “E io lettrice? Che sono? Una stupida, perché leggo l’inesistente?” Quali sono i diritti del lettore, non di fronte lo scrittore, ma il critico?
Vabbuò devo fare merenda con mia figlia, baci a tutti, Gianni
Marco Lodoli è falso come Giuda. L’hanno capito tutti che è lui Mario Zero, con quale faccia nega?
Piano con le offese. Marco Lodoli si firma sempre, e mette il suo indirizzo di posta. Probabilmente ha giocato con uno pseudonimo, ma di fatto si è firmato con la sua mail. Evidentemente, nella risposta di “smentita” si è divertito un po’, del tutto innocentemente. Chi ha voglia di insultare, per favore vada altrove. Noi non ci divertiamo con queste fregnacce. Siamo adulti, siamo qui per discutere, non per perdere tempo e far montare la schiuma dei rinfacci.
grazie Tiziano. In ogni caso, fermo restando che non sono Mario Zero, non mi pare che il buon Mariuccio abbia lanciato improperi: solo argomenti su cui eventualmente discutere. Magari un po’ ingenui, ma di certo non offensivi.
Scarpa, Lodoli, non badate ad Altroandrea (letto il provocatorio indirizzo email?), guardate e passate…
G.
acc… ancora un po’ di sforzo e potevamo arrivare a 100… vi siete già ammosciati?
tié! 100!
Ma dove sono finito? Mi sono letto tutta sta storia. A me sembra abbastanza chiara una cosa: C’è chi ha le idee chiare e chi le ha ben confuse e chi si bea della sua scrittura (e qui niente di male, ci mancherebbe). Ma insomma, questa di cui avete parlato (con gli intermezzi dei cazzeggi che in fondo non sono stati male) è la solita annosa storia: questa è una delle solite lotte per il potere. Mettetela come volete, giratela col girarrosto e con la spatola, ma la verità è una sola: qui si parla di scannamento intellettuale. Moresco vuole fottersi il resto dall’alto, Scarpa soffre di delirio di onnipotenza, gli altri fanno le loro schermaglie chi per un motivo chi per l’altro, e poi ci sono, a me pare di capire, anche quelli che dicono quello che pensano, e magari pensano male o distorto ma almeno mi pare siano sinceri. Sono pochi, almeno qui in questa discussione, in verità. Ma questa sta diventando, a mio modestissimo parere di lettore ma di uomo navigato e non solo in senso figurato, una lotta dura con molta paura. Questo è il paese delle mafiette: e anche gli spiriti più illuminati, e qui ce ne sono, alla fine nel meccanismo perverso delle cricche ci cadono. L’unione fa la forza? Dipende, miei cari. Se ci si deve unire per contrastare uno come Luporini che in fondo non è nemmeno questo granchè, se ci si deve fare loggia e fare urli e strepiti da checche isteriche (mi perdonino le eventuali checche, magari non isteriche, presenti)sulle pagine dell’Unità che oltretutto è un giornale che, con tutti i suoi difetti, il dibattito lo ha raccolto e pubblicato (qualcuno delle checche isteriche ci ha messo lo zampino?). E ancora vi lamentate? Urlate per farvi vedere! Per farvi sentire! Esistete anche voi? E allora? Lo sapevamo già. Mettere in mezzo Luporini ( ma potrebbe essere un altro, di Luporini non mi importa, so a malapena chi è)e fargli il tiro incrociato è anche un’operazioncina non proprio bella. Questo volevo dire da non addetto ai lavori. Per qyello che vale, naturalmente, cioè zero. Comunque complimenti perchè su qusto blog ci sono anche cose interessanti e non solo risse da cortile.Salve.
Bravo, Zurlo, dici bene, vale zero quello che hai detto. Luperini ha scritto che tu vali zero, che noi tutti valiamo zero. E siamo pure orgogliosi di esserlo! Lo rivendichiamo! Che meraviglia…
Chi fosse interessato al dibattito, può andarsi a guardare qualche domandina che Lello Voce ha rivolto a Moresco sul suo sito (www.lellovoce.it).
Caro Giorgione, il dibattito è stato segnalato fin da subito, qualche giorno fa, in home page di Nazione Indiana con un link diretto alla pagina del sito di Lello Voce. Grazie comunque per il supplemento di segnalazione.
Caro Tiziano Scarpa,
posto qui perché leggo un suo intervento delle 15:16. Non si sarà mica perso la discussione Luperini-Berardinelli-Genna su radiorai, alle 15:15? Io, a dire il vero, mi sono collegato tardi e ne ho ascoltato solo l’ultima parte. Genna non si è comportato male (a parte un momento in cui ha dato fondo alle sue capacità cripto-ermetizzanti), ma anche Luperini e Berardinelli non hanno detto solo astruserie (Berardinelli, poi, è molto più clemente di Luperini). Ha ascoltato il dibattito? Che ne pensa?
Caro Tiziano Scarpa,
posto qui perché leggo un suo intervento delle 15:16. Non si sarà mica perso la discussione Luperini-Berardinelli-Genna su radiorai, alle 15:15? Io, a dire il vero, mi sono collegato tardi e ne ho ascoltato solo l’ultima parte. Genna non si è comportato male (a parte un momento in cui ha dato fondo alle sue capacità cripto-ermetizzanti), ma anche Luperini e Berardinelli non hanno detto solo astruserie (Berardinelli, poi, è molto più clemente di Luperini). Ha ascoltato il dibattito? Che ne pensa?
Caro Tiziano Scarpa,
posto qui perché leggo un suo intervento delle 15:16. Non si sarà mica perso la discussione Luperini-Berardinelli-Genna su radiorai, alle 15:15? Io, a dire il vero, mi sono collegato tardi e ne ho ascoltato solo l’ultima parte. Genna non si è comportato male (a parte un momento in cui ha dato fondo alle sue capacità cripto-ermetizzanti), ma anche Luperini e Berardinelli non hanno detto solo astruserie (Berardinelli, poi, è molto più clemente di Luperini). Ha ascoltato il dibattito? Che ne pensa?
Caro Tiziano Scarpa,
posto qui perché leggo un suo intervento delle 15:16. Non si sarà mica perso la discussione Luperini-Berardinelli-Genna su radiorai, alle 15:15? Io, a dire il vero, mi sono collegato tardi e ne ho ascoltato solo l’ultima parte. Genna non si è comportato male (a parte un momento in cui ha dato fondo alle sue capacità cripto-ermetizzanti), ma anche Luperini e Berardinelli non hanno detto solo astruserie (Berardinelli, poi, è molto più clemente di Luperini). Ha ascoltato il dibattito? Che ne pensa?
Caro Tiziano Scarpa,
posto qui perché leggo un suo intervento delle 15:16. Non si sarà mica perso la discussione Luperini-Berardinelli-Genna su radiorai, alle 15:15? Io, a dire il vero, mi sono collegato tardi e ne ho ascoltato solo l’ultima parte. Genna non si è comportato male (a parte un momento in cui ha dato fondo alle sue capacità cripto-ermetizzanti), ma anche Luperini e Berardinelli non hanno detto solo astruserie (Berardinelli, poi, è molto più clemente di Luperini). Ha ascoltato il dibattito? Che ne pensa?
Caro Tiziano Scarpa,
posto qui perché leggo un suo intervento delle 15:16. Non si sarà mica perso la discussione Luperini-Berardinelli-Genna su radiorai, alle 15:15? Io, a dire il vero, mi sono collegato tardi e ne ho ascoltato solo l’ultima parte. Genna non si è comportato male (a parte un momento in cui ha dato fondo alle sue capacità cripto-ermetizzanti), ma anche Luperini e Berardinelli non hanno detto solo astruserie (Berardinelli, poi, è molto più clemente di Luperini). Ha ascoltato il dibattito? Che ne pensa?
Caro Tiziano Scarpa,
posto qui perché leggo un suo intervento delle 15:16. Non si sarà mica perso la discussione Luperini-Berardinelli-Genna su radiorai, alle 15:15? Io, a dire il vero, mi sono collegato tardi e ne ho ascoltato solo l’ultima parte. Genna non si è comportato male (a parte un momento in cui ha dato fondo alle sue capacità cripto-ermetizzanti), ma anche Luperini e Berardinelli non hanno detto solo astruserie (Berardinelli, poi, è molto più clemente di Luperini). Ha ascoltato il dibattito? Che ne pensa?
Caro Tiziano Scarpa,
posto qui perché leggo un suo intervento delle 15:16. Non si sarà mica perso la discussione Luperini-Berardinelli-Genna su radiorai, alle 15:15? Io, a dire il vero, mi sono collegato tardi e ne ho ascoltato solo l’ultima parte. Genna non si è comportato male (a parte un momento in cui ha dato fondo alle sue capacità cripto-ermetizzanti), ma anche Luperini e Berardinelli non hanno detto solo astruserie (Berardinelli, poi, è molto più clemente di Luperini). Ha ascoltato il dibattito? Che ne pensa?
Caro Tiziano Scarpa,
posto qui perché leggo un suo intervento delle 15:16. Non si sarà mica perso la discussione Luperini-Berardinelli-Genna su radiorai, alle 15:15? Io, a dire il vero, mi sono collegato tardi e ne ho ascoltato solo l’ultima parte. Genna non si è comportato male (a parte un momento in cui ha dato fondo alle sue capacità cripto-ermetizzanti), ma anche Luperini e Berardinelli non hanno detto solo astruserie (Berardinelli, poi, è molto più clemente di Luperini). Ha ascoltato il dibattito? Che ne pensa?
Caro Tiziano Scarpa,
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Caro Tiziano Scarpa,
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Caro Tiziano Scarpa,
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Caro Tiziano Scarpa,
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Caro Tiziano Scarpa,
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Caro Tiziano Scarpa,
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Caro Tiziano Scarpa,
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Caro Tiziano Scarpa,
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Caro Tiziano Scarpa,
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Caro Tiziano Scarpa,
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Caro Tiziano Scarpa,
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Caro Tiziano Scarpa,
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Caro Tiziano Scarpa,
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Caro Tiziano Scarpa,
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Caro Tiziano Scarpa,
posto qui perché leggo un suo intervento delle 15:16. Non si sarà mica perso la discussione Luperini-Berardinelli-Genna su radiorai, alle 15:15? Io, a dire il vero, mi sono collegato tardi e ne ho ascoltato solo l’ultima parte. Genna non si è comportato male (a parte un momento in cui ha dato fondo alle sue capacità cripto-ermetizzanti), ma anche Luperini e Berardinelli non hanno detto solo astruserie (Berardinelli, poi, è molto più clemente di Luperini). Ha ascoltato il dibattito? Che ne pensa?
Scusatemi tutti, ma – davvero – mi si è incantato il tasto sinistro del mouse!
All’anima del “repetita iuvant”!!!
G.
Repetita tremens, direi. Comunque mica male questa lista di ripetizioni dello stesso post. Il primo è come una specie di matrice, tutti gli altri la serie (in fondo a tiratura limitata) delle litografie…
Cazzo come sono fuori stasera, qui si va ancora può fuori!
Alfonso Berardinelli è stato il relatore della mia tesi di laurea, da lui all’Università ho imparato moltissimo, e continuo a imparare dai suoi libri e dai suoi interventi. Ci credo eccome che oggi non abbia detto cose sciocche o inclementi, e altrettanto vale per Luperini e Genna. L’intervento di Luperini sull’Unità comunque era una dichiarazione di inesistenza affibbiata a TUTTA la cultura italiana attuale, un porsi in una cattedra altolocata a dare degli inconsistenti ad almeno DUE generazioni… (dai 50enni in giù) e siccome era l’ennesimo intervento desertificante di una lunga serie pronunciata in questi ultimi anni da quelli che ho chiamato “padristi”, mi sono sentito di intervenire. Purtroppo mi sono perso la discussione alla radio perché avevo un impegno e sono uscito di casa.
Caro Marco Lodoli (Mario Zero). Per fare narrazioni mitiche bisogna essere narratori mitici. Per fare opere geniali bisogna essere geni. E così via. “Avere il respiro di una grande opera” non significa “essere una grande opera”. Non si può produrre un capolavoro, bisogna prima di tutto esserlo. (Sai chi diceva queste cose). Bene.
Si riduce sempre tutto a qualche formuletta… non è vero? Se il genio parla per ossimori, allora è semplice: basta parlare per ossimori per essere un genio. Se la grande opera letteraria in media ha 450 pagine allora basta scrivere un’opera di 450 pagine, “che abbia il respiro di una grande opera” – dimenticavo! -, e posso scrivere nel risvolto di copertina del libro che questa è una grande opera letteraria.
Io dico che gli scrittori dovrebbero darsi una mossa e moltiplicare gli sforzi. Che si trovino un lavoro. Che si inseriscano nella società. E parlo di lavori veri: non editorie, librerie, biblioteche… Tolgano il naso dai libri e lo mettano nella realtà. E poi scrivano. La realtà insegna anche la profondità di pensiero. Insegna a ‘vedere’, una caratteristica che gli intellettuali di oggi hanno smarrito del tutto. Che gli intellettuali si trasformino in manovali. Forse la strada è questa. Scrittore e basta non basta. Lo scrittore deve sempre essere seguito da un trattino. Scrittore trattino giornalista. Scrittore trattino impiegato. Scrittore trattino professore.
Ciao, Marco.
Non sai quanto ti stimo.
E se non rispondi, oh be’… in teologia si danno solo domande non risposte.
Lo sai.
“Attualmente ci sono alcune migliaia di scrittori. Sono davvero molti. Questa di per sé non è una grande disgrazia, perché si potrebbero sempre costruire caserme speciali per gli scrittori. Ma il problema è che in queste caserme agli scrittori mancherà il materiale di cui scrivere. Per poter scrivere è necessario avere un’altra professione, oltre alla letteratura, perché chi possiede una sua professione descrive le cose a modo suo”.
Viktor Sklovskij
Caro Marco Candida, che dire? Io sicuramente lavoro da più di vent’anni nella scuola, però non sono proprio sicuro che tutto ciò che so venga dal mio mescolamento con il mondo reale. Per essere più chiaro: quando ho scritto il Millennio avevo venticinque anni e non facevo niente. Soffrivo sui bordi, mi tormentavo da solo. E la prima volta che ho scritto qualcosa, il racconto “Il mio amico Max”, ho iniziato così, senza esitazioni: “Io mi chiamo Tommaso e non so fare niente”. Insomma, le parole vengono da dove vogliono loro, anche dal niente. Poi si cresce e ci si trova un lavoro, ma le parole arrivano sempre da quel buco nero che non ha nome. Credimi: I fiori, il romanzo che io amo di più, l’ho incontrato in un sogno. Tutto va come deve andare, e regole non ce ne sono. Bisogna comunque soffrire, temo. Grazie per le belle parole, Marco
Candida, il tuo è moralismo da due lire. Io ho fatto lo scrittore-senza-trattini tutta la vita. Cresci, scrivi anche tu qualche cosa di buono, e poi si vedrà
Rompi.
Bboni… state bboni…
Uffa. Anche io voglio essere nominato. Io e Galiazzo reclamiamo un posto nella Letteratura Italiana di Fine Novecento!
scrivi troppo tradizionale ultimamente, drago. ritorna ai tuoi folli racconti beckettiani!