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Il tradimento

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di Gian Ruggero Manzoni

“E’ il partito che te lo vieta!”
“Non ti azzardare a fuggire con quella cagna nera!”
“Rischi grosso, Marco … tu stai rischiando grosso!”
“Poi non dire che non ti avevamo avvertito!”
“Se un qualche compagno ti sparerà in bocca lo farà perché così ci tradisci.”
“Noi ti stiamo parlando da amici … da fratelli di fede … non fare una cazzata simile … non buttare via il tuo domani … lasciala perdere … lasciala perdere … non ne vale la pena.”


A quelle parole il venticinquenne Marco Benedetti, militante comunista e Tenente Medaglia d’Oro al valor militare per la lotta condotta contro i fascisti e i tedeschi dal settembre 1943 all’aprile del 1945, uscì dalla sede della Polizia Partigiana sbattendo la porta. Alle sue spalle l’ultimo ponte con il passato era stato definitivamente tagliato o, almeno, così lui credeva.
Le strade di Milano erano vuote e la città si stava mischiando con le prime luci dell’alba. Solo un qualche merlo, scampato alle trappole degli affamati, lanciava richiami striduli in quella mattina di fine maggio ’45. L’Italia era uscita dalla guerra da poco più di un mese e i lutti continuavano a gravare ovunque; ferite profonde, slabbrate, sparse qua e là, come le grosse pietre scalcinate abbandonate sui pavé o fra le rotaie divelte dei tram. Ma Marco, nonostante le minacce dei suoi compagni, aveva deciso. Era stanco di barbarie e uccisioni, di sparare, giustiziare e soffrire. La passione che aveva per Silvia superava ogni barriera ideologica, ogni sanguinosa divisione politica, ogni odio, ogni possibile rancore.
Era stato lui ad arrestare Silvia Romanini lo stesso giorno in cui Mussolini, la Petacci e gli altri gerarchi furono appesi a testa in giù a Piazzale Loreto, poco lontano da dove Marco abitava. Sì, era stato lui a catturarla. L’era andata a prendere da casa – Silvia si era rifugiata dai genitori – e, pistola alla mano, assieme a un compagno, Marco l’aveva condotta al più vicino comando del CLN dove, dopo un breve interrogatorio, la ragazza era stata rasata e, sulla fronte, con l’inchiostro, l’avevano marchiata con la svastica nazista, perché combattente a fianco delle SS italiane, quindi, caricatala su di un furgoncino aperto, le avevano fatto fare il giro del centro cittadino. Assieme a lei altre disgraziate, tutte a cranio rasato e con i volti pesti a seguito degli schiaffi ricevuti. A quella vista, il popolo milanese le aveva insultate, le aveva sputate, aveva lanciato sassi contro di loro, aveva fatto vedere i pugni chiusi e, solo con le armi imbracciate, i partigiani di scorta erano riusciti a evitare il linciaggio. Ma Silvia Romanini, nonostante le grida, gli scherni, le offese, il pericolo, aveva sempre mantenuto un comportamento dignitoso, un certo distacco, un atteggiamento freddo e composto, e non aveva pianto, non aveva giurato falsamente che era stata dalla parte dei fascisti e dei tedeschi perché costretta, perché la Brigata Nera o la Gestapo aveva minacciato di ucciderle il padre e la madre o perché terrorizzata a causa di chissà quali subdoli ricatti, come, del resto, continuavano a urlare le altre sue camerate, nel vano tentativo di scagionarsi davanti ai Tribunali del Popolo. Silvia, dalla cattura, sebbene poco più che ventenne, con coerenza e indubbio coraggio, senza abbandonarsi a fanatici isterismi o a gesti di sfida, con calma, aveva sempre ammesso tutte le sue responsabilità e che, come ausiliaria volontaria, armi alla mano, non aveva che seguito ciò che il suo ideale le aveva imposto di fare. Ciò che l’amor di patria e l’ammirazione nei confronti del Duce le avevano suggerito. E questo fino all’ultimo, fino al 28 aprile.
Ascoltando quelle ammissioni, a volte mormorate con ingenua sincerità, Marco non era rimasto insensibile, come l’aveva colpito il fascino acerbo che la ragazza emanava. Il tenente non aveva potuto sottrarsi agli sguardi di Silvia, a quei suoi occhi verdi e profondi, a quella pelle del volto ambrata, a quelle mani affusolate, a quei capelli lisci, lunghi, castano scuri, portati a concio, quindi violentati e gettati nella spazzatura. Per questo, Benedetti, forte della sua posizione di graduato e decorato, era riuscito a non farla rinchiudere nelle affollate celle del carcere di San Vittore e a farle concedere, sebbene continuamente piantonata, gli arresti domiciliari in attesa del processo e del giudizio definitivo. E da quel giorno, tutti i pomeriggi, se non impegnato, si era recato a trovarla e con lei aveva dialogato a lungo, prima con ovvia difficoltà, considerate le opposte posizioni e le diffidenze reciproche, poi, via via, sempre più con tono amichevole, da coetanei quali erano, fino al punto di ritrovarsi in passioni comuni, come quella del nuoto o delle scalate alpine, nell’amore per i cani e per gli animali in genere, nel piacere del ballo o del leggere.
Ma l’assidua frequentazione di casa Romanini da parte del Benedetti non era passata inosservata ai partigiani i quali, più volte, in sede politica, avevano richiamato all’ordine il tenente, invitandolo ad abbandonare la ragazza al suo destino, fino a quando Marco non decise di sbattere la porta in faccia ai suoi compagni e scegliere la strada del sentimento e della rappacificazione con sé stesso e col mondo.
Allontanatosi dalla sede della Polizia Partigiana, salito in macchina, il ragazzo si precipitò verso la casa di Silvia col proposito di lasciare l’Italia assieme a lei, di espatriare in Svizzera, di ricominciare tutto da capo, forse in Africa, oppure in Australia. Già da una settimana aveva impostato un piano di fuga perfetto. La Confederazione Elvetica era a non più di sessanta chilometri e a Lugano, Marco, aveva uno zio, già esule durante il fascismo, così si era procurato del denaro, delle carte false per Silvia e un lasciapassare a firma delle forze armate alleate e con sigillo dell’Arcivescovado di Milano, in modo da garantirsi una copertura neutra e accettabile da parte degli svizzeri.
Giunto dai Romanini, detto al piantone armato che stazionava sul pianerottolo che doveva prelevare la ragazza per condurla al comando del CLN per un confronto, entrato nell’appartamento, svegliata la giovane, presele le mani, dichiarato il suo amore, perso nello sguardo d’intesa di lei, la invitò a indossare il vestito più bello che possedeva e se la portò via sotto gli occhi smarriti e angustiati dei genitori.
Giunti in strada Marco non si trattenne e abbracciò Silvia. Lei rispose con trasporto. Al che si baciarono, a lungo, profondamente. Più di vent’anni di lotte fratricide si annullarono in quel gesto d’amore, così le atrocità della guerra, le sevizie, le vendette.
Furono quattordici i colpi di pistola che echeggiarono nell’aria mattutina. Marco cadde morto dopo il quinto, Silvia ruzzolò in una pozza di sangue al nono.
“Te l’avevo detto…”, masticò il primo assassino, “che la cagna se la stava facendo con quel rosso. Abbiamo fatto bene a tenerla d’occhio”.
“Dai andiamo!”, abbaiò il secondo assassino, “muoviti, ché rischiamo di beccarci una raffica dal piantone! Quella traditrice ha avuto quello che si meritava…”.
I due fascisti che avevano sparato, come spettri, si dileguarono nei vicoli della Milano vecchia.

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50 Commenti

  1. Il racconto, mi perdoni l’autore, è di una prevedibilità impressionante. Con una scrittura finto letterario di gusto neorealisticheggiante da liceale. Stucchevole nei suoi luoghi comuni. A partire dalla fine, dai “vicoli della vecchia Milano”, che sono proprio curioso di sapere quali siano, a questo punto.

  2. Gianni mi ha battuto sul tempo. Una scrittura, per parlare solo di quella, che finisce prima (molto prima) di iniziare.

  3. A me l’idea è piaciuta, anche se effettivamente la resa narrativa non è eccezionale. Quello che impensierisce è piuttosto la secchezza dei vostri commenti, una bella pietra sopra l’editing, il lavoro redazionale, e la possibilità di riscrivere e migliorare un testo, insieme. Detto questo, spero di non essere incasellato tra chi auspica il tramonto o il crepuscolo di NI2, come ho letto altrove.

  4. a parte la scrittura, anche il tema è del tutto esanime. basta con la seconda guerra mondiale, basta con i soliti discorsi pacifisti e paciosi sull’ingiustizia della morte, della condanna, dell’odio. era guerra. è guerra. si muore, si giustizia, si odia. non c’è altro. e noi dovremmo solo zittire. noi, molli eunuchi che della guerra conosciamo solo l’odore. di celluloide.

  5. Cos’è l’editing, per te, Robertologo?
    Riscrivere tutto, tagliare, sbrecciare, disfare, rifare
    tipo Gordon Lish,
    è quello che vuoi?

    A me non è piaciuto nè lo stile nè la storia,
    e la lascerei lì,
    C’erano nel dopoguerra delle storie già così, sui fotoromanzi.
    Senza offesa per Gianruggiero, dicasi.
    MarioB.

  6. “era guerra. è guerra. si muore, si giustizia, si odia. non c’è altro. e noi dovremmo solo zittire. noi, molli eunuchi che della guerra conosciamo solo l’odore. di celluloide.”

    è bello poter incontrare ancora qualche autentico fascista e constatare che i fasci sono inchiodati sempre lì, a quelle loro quattro ideuzze ottocentesche rigurgitate prima del ’21.

  7. Magari il pezzo l’ha scritto l’on. Violante, sotto pseudonimo…era lui che aveva equiparato – mi pare – i partigiani ai repubblichini di Salò….il problema è sto buonismo de noantri da “volemose bene, l’amor supera ogni ideologia”…ma quando mai!

    Il filone potrebbe comunque essere arricchito dalla storia tra la brigatista e uno di ordine nuovo, tra il leghista e il rifondarolo, il noglobal e la skin di forza nuova…viva l’ammore!

  8. A questo qui dei molli eunuchi
    gli direi se gli piacerebbe annusare la salma di un carrista morto bruciato al posto di guida del carro e vederlo mezzo consumato nero dal fuoco,
    e tirarlo fuori a pezzi dal buco.
    Ci andrebbe della gente coi coglioni quadri a fare ‘sto cristo di lavoro di pietà,
    altro che guerra di celluloide.
    Qualcuno dovrebbe rivedere “lArpa birmana”,
    ma tanto non sanno più cos’è, penso io, male magari.

    MarioB.

  9. Ma, Robertologo, il testo è stato pubblicato, giusto? Non è che è arrivato in redazione con richiesta di editing, o di una riscrittura collettiva. Quindi l’autore lo reputa concluso. Se io lo leggo su una rivista (e NI è, anche, una rivista on line) ho il diritto di dire la mia.
    Insomma, se fai complimenti sei un leccaculo, se fai critiche, sei un disfattista, che palle!

    Marco Albanese: hai ragione tu: “viva l’ammore”!!!! ;-)))

  10. Spero sia una provocazione…altrimenti quello che hai scritto è un prototipo dei mostri che può generare la storia secondo Pansa.:-)

    Ma sei convinto davvero che Marco, pur amandola (ma già su questa eventualità ho dei dubbi), potesse davvero perdonare a Silvia i crimini che aveva commesso?

    Secondo me no e in caso contrario era un uomo di merda!

  11. E io che pensavo che il lavoro redazionale fosse una cosa scontata! Cmq giusto, giusto, qui come i testi arrivano si pubblicano (o non si pubblicano), tel quel, senza ‘passare’ niente. Ma al di là dei vicoletti milanesi la critica dove sarebbe? “Una scrittura finto letterario di gusto neorealisticheggiante da liceale”? Questo al paese mio si chiama stroncare che, insieme al suo opposto speculare, la recensione compiacente, hai perfettamente ragione!, sono proprio le ‘qualità’ di ogni rivista letteraria quotata in Piazza Affari.
    @albanesi
    Sarà pure ‘ammore’, ma il discorso poteva anche essere quello su come si fa una narrazione prendendo spunto da fatti storici, tipo sai tutte quelle menate pallosissime del manzoni e del tommaseo, il vero, il reale e il verosimile? Ma so di chiedere troppo, scusate, scusate l’ammorbo.

  12. Robertologo, a te l’idea è piaciuta, giusto? E, di grazia, quale sarebbe quest’idea? Ne avrò lette a centinaia di storie che si reggono su quell’idea. E’ incredibilimente scontata, come dice Federico “il tema è del tutto esanime”.
    E se, dunque, l’idea non è affatto nuova né vitale e come dici tu la “resa narrativa non è eccezionale”, di che stiamo parlando? Che c’entra tirare fuori Manzoni o Tommaseo? Cos’è questo inalberarsi piccato?

    Devo, allora, tutte le volte fare un saggio critico? Le parole che ho scritto, nella loro secchezza, sono state interpretate da altri molto chiaramente: “scrittura finto letteraria” significa un sacco di cose, nella critica operativa. Così “gusto neorealisticheggiante” e anche “da liceale”.

    Qui ogni redattore fa quello che vuole, ognuno decide se e come fare, o non fare, editing, etc. Io non mi permetto di criticare la scelta di pubblicare o meno questo racconto. Ma da lettore mi prendo la libertà di dire: mi piace, non mi piace. E nota: “stronco” qualcosa di pubblicato qui a casa mia, non cose pubblicate a casa d’altri. (autolesionismo o pluralismo?)

  13. Ri-posto
    —————–
    Per TashTego
    ——————-
    Di grazia, potrebbe gentilmente dirmi quale prova debbo superare per avere autorizzazione a commentare sul Suo blog?:o)
    Chiedo scusa per l’off-topico mio post….

  14. bè, insomma, il tema è scontato per davvero. e poi il racconto è brevissimo per sviluppo dei personaggi. tutto è già dato. il tizio vede la tipa dagli occhi verdi e parte in quarta per salvarla da un tribunale militare. e il tizio è partigiano, tra l’altro. non dico come misha che sia impossibile innamorarsi e perdonare alla persona amata gli errorirorro, dico piuttosto che la questione necessiterebbe di uno sviluppo adeguato. la lacerazione morale a cui è sottoposto il tizio, i dubbi, ma anche lei, che sembra del tutto “esanime”. questa qui dopo aver mitragliato partigiani e gozzovigliato con repubblichini e ss, così di colpo si invaghisce del nemico e se va con lui dopo aver indossato il suo abito migliore. non regge. non regge proprio. anche perchè la memoria torna agli scontri memorabili tra necessità e volontà dei tragici greci, ma anche di pavese con la sua casa in collina. quando dice “per questo ogni guerra è una guerra civile, ogni caduto somiglia a chi resta e gliene chiede la ragione”. ogni caduto somiglia, ma solo dopo essere caduto. fino a poco prima era il nemico. non so. mi sto rintorcinando nelle mie parole. la smetto. colpa di questo barbera, credo.

  15. Misha wrote:
    Ma sei convinto davvero che Marco, pur amandola (ma già su questa eventualità ho dei dubbi), potesse davvero perdonare a Silvia i crimini che aveva commesso?

    Al viva l’ammore, aggiungo “Tira (veramente ed evidentemente) più un pelo di f..a che un carro di buoi”.

  16. Eccomi anche se in ritardo, ma non riuscivo a collegarmi a NI.

    Ovviamente, esponendomi letterariamente, sono uomo che accetta le critiche, quindi non sto a rispondere uno ad uno, ma cercherò di sentetizzare in una risposta accumulatavi certi chiarimenti, poi, magari, si continuerà.

    Per svolgimento: brevità da intendersi quale canovaccio-abbozzo filmico, visto il luogo e come funziona il web-blog, cioè il non tirarla, troppo, per le lunghe (se volete leggere come scrivo con la terza, quarta, quinta, sesta marcia innestate allora vi invito a leggere i miei romanzi pubblicati… in questo racconto ho solo ‘tracciato’, nulla più, è quindi da intendersi come ‘pretesto’ – del resto reputo sia difficile poter esprimere un parere compiuto su di un autore rifacendosi, esclusivamente, a un’idea messa lì per intavolare una eventuale discussione sullo scrivere in prosa o su un tema a mio avviso ancora molto scottante come quello trattato… visto che la guerra, come si è detto, è continua, e non solo quella combattuta con le armi, così come esistono, ancora, degli schieramenti ben netti – per chi ha occhi da vederli).

    Tenuta narrativa: rimando a una certa filmografia anni ’40 (prima e dopo la guerra – senza tirare in ballo il neorealismo), quindi scrittura ‘mimetica’, cioè ri-facente il verso a un modo e a un ‘mondo’, ingenuità comprese insite in tale modo di narrare x immagini.

    Soggetto: Mai scontato il parlare di certi temi, visto che ovunque, come anche qui in NI, vedo che certe questioni, dal ’45 ad oggi, non sono state ancora digerite… anzi, sono ben vive negli animi anche di chi le ha solo sentite raccontare o lette sui libri di scuola. Altro motivo di un tema come questo è il perché noi italiani non abbiamo mai fatto i conti col nostro passato in toto, non abbiamo avuto una Norimberga, ci hanno abbonato crimini sanguinosi (cosa che non è accaduta per i nostri alleati tedeschi e giapponesi, ma neanche per gli Ustascia croati, le Croci Frecciate ungheresi, i fascisti rumeni, i collaborazionisti francesi etc. – là, anche se non completamente, si è fatta giustizia, qui no… e la storia insegna… e il dibattito si potrebbe anche aprire in tal senso: perché agli altri sì mentre a noi italiani no?).

    Tema Resistenza: di nuovo tutto da affrontare.

    Tema fascismo: di nuovo tutto da affrontare.

    Tema guerra (per chi ha scritto del carrista etc.); beh, io l’ho fatta, Libano ’82-’83, Bosnja ’94, con tanto di ferita al ventre e asportazione di mezzo intestino, quindi, se anche lui ‘reduce’, magari ci potremmo incontrare a viso in una bettola ad Aiaccio così da raccontarci cosa abbiamo visto e, soprattutto, cosa abbiamo fatto in guerra… o dovuto fare (ad Aiaccio perché là c’è ancora la Legione Straniera).

    Per prevedibilità: reputo che il racconto si risolva nell’ultima frase, cioè che infine, quelli che hanno fatto fuoco, non sono stati tanto i comunisti, quanto i fascisti… a voi le ovvie considerazioni. Riguardo vicoli della vecchia Milano: anche se un qualche vicolo allora c’era e ancora c’è (in centro storico o nella prima fascia), logico che, nella brevità/seppure la brevità, ogni parola, come ogni affermazione, deve essere soppesata anche ‘metaforicamente’ (io ho 50anni e nulla do per scontato quando leggo, così come quando scrivo, scontato di solito lo si dà, o il liquidare in due battute, quando si è giovani e si ha poca esperienza – si potrà dire non il tema non piace, non interessa, ma il come e il perché un pezzo è scritto in una certa maniera necessita, appunto, l’entrare nel testo e avere gli strumenti non solo culturali, ma anche storici e umani per poter cogliere la ‘sfumatura’, visto che in 40 righe è comunque di sfumature, seppure ‘abbozzate’, che si parla).

    Riguardo rappacificazione nazionale: lungi da me il predicarla, anzi, sarebbe infine ora che i conti che abbiamo in sospeso venissero per intero saldati.

    Quindi l’amore non è, per il sottoscritto, una possibile soluzione (in questi casi), altrimenti diverso il finale. Qui ci scappano due morti che, per amore, tentavano di scappare… di nuovo cogliere le sfumature.

    Sono due componenti ‘totalitarie’ a confronto, due mondi, due visioni, dove la possibile e credibile congiunzione: nella giovane età di entrambi i protagonisti, ma io non sono più giovane e non credo più alla Befana, quindi l’inizio e il finale del racconto, in mezzo, come in ogni opera in prosa che si rispetti, il ‘riempire’. Del resto chi ha una minima dimestichezza con la narrativa sa bene quello che sto dicendo. Avrei potuto parlare anche di due o tre gay, come Genet in “Pompe funebri” (libro che v’invito a leggere, ambientato in una Parigi in procinto di essere liberata dagli Alleati), e forse, la storia, vi avrebbe attanagliato di più, io mi sono limitato a procedere secondo un filone ‘tradizionale’ (appunto rifacentesi al modo di intendere la narrazione di allora – e avrei anche potuto rigirarla diversamente, visto che mi riconosco un certo ‘mestiere’, ma non era questo che m’interessava: il nocciolo della questione è, a mio/nostro avviso, un altro, così come è stato inteso anche dal redattore di NI che ha inserito questo mio).

    Cmq sono a disposizione. Difficile poter esaurire un discorso come sopra in due buttate. Ovviamente ringrazio chi finora è intervenuto.

  17. PS. @ Albanesi: leggi bene il testo: perché Marco è stato attratto da Silvia? Quali i motivi? Quale l’atteggiamento di Silvia? Due individui che in campi opposti si sono, cmq, comportati con coerenza… o che altro che oggi non si comprende?

  18. Che senso ha postare abbozzi se poi l’autore deve difendere la loro debolezza?
    Un testo o sta in piedi o non sta. E se non sta in piedi non c’è discorso o spiegazione che lo raddrizzi.

  19. A braccetto. Lo dico sempre, certe volte i commenti sono meglio dei post. Come quest’ultimo di Manzoni. A pensarci bene, chi critica la tenuta tematico-narrativa del racconto magari è un po’, dico, solo un po’, cisposo per via dell’ideologia. Ma come sappiamo esiste anche una critica ideologica. Quindi nessuna ripicca. Sul Tommaseo, il vero e il verosimile, mi sembra che ci furono parecchi Romanini (proprio con questo cognome) tra le ‘vittime’ dei partigiani (virgoletto perché non so come le chiamerebbero i censori di Pansa, sono vittime o no?).
    Sul collaborazionismo francese, citato da Manzoni, il film che hanno mandato stanotte su Rete4, “L’affare della Sezione speciale” di Costa-Gavras. I nazisti ne escono meglio dei collaborazionisti.

  20. E soprattutto “L’affare della Sezione speciale” di Costa-Gavras è un bel film, con bei caratteri, bravi attori, la maggior parte caratteristi, e dopo tanti anni tiene ancora. L’ho visto anch’io.

  21. Io vedo il racconto di Manzoni come un cortometraggio. Che ha una sua tenuta e che non è affatto scontato nel finale, almeno per me. Forse sono un ingenuo.
    In quaranta righe s’è raccontata una storia; non facile. Sull’editing: sapessi quante volte sono intervenuto sui testi! Ma con piccole correzioni, sia ben chiaro. Se un testo ha bisogno di mille sforbiciate lascio perdere. Il racconto breve di G.R. Manzoni non aveva bisogno d’interventi, che quelli l’autore se l’era già fatti da sé. Manzoni sa scrivere bene di storia trasponendo nella narrativa: consiglio il suo La banda della croce, uscito l’anno scorso. Possibile che non lo conosciate: forse conoscete la pappaccia di Buttafuoco; ecco, siamo in un rapporto di 1 a 10. Buonanotte.

  22. @ Alcor: non ho mai detto che per me era lavoro non finito, del resto chi ama Baricco (io non sono fra questi) è abituato a certi ‘sunti’ o finto/veri canovacci filmici spacciati per romanzi… almeno io ho il pudore di risolvere tutto in 40 righe e di non dire che è un romanzo (seppur breve) :-)

    @ Albanesi: mi scusi, sopra mi ero sbagliato, la mia ‘biografia’ militare era per il Federico degli eunuchi, non tanto per chi sfila i carristi dal mezzo in fiamme… Federico col quale mi piacerebbe alquanto incontrarmi a viso… così come ho scritto.

    @ Robertologo: di ideologia si è campato fino agli anni ’80 e, ancora, come vedi, fa capolino (e per fortuna! Altrimenti il vuoto totale di questa società allo sbando identitario e al soldo degli USA e getta), quindi è argomento assolutamente aperto (e mi trovi d’accordo). Per quel che mi riguarda sono uomo del ‘900, quindi, geneticamente, l’ideologia e il ragionare facendo riferimento a certi modelli-stilemi-posizioni è parte di me e in me, e, infatti, ancora ne parlo e ne scrivo (per un fattore di coerenza e, soprattutto, per non liquidare le questioni con il solito cinismo all’italiana che, per lo più, nasconde, come ben sappiamo, la paura, e non la noia, come alcuni l’hanno posta qui – della serie, per me: 2007, i giochi sono ancora tutti da fare e sempre ai giovani, come ho scritto sopra, il credere alla Befana, cioè che certi tentativi di mettere fine ai giochi, anche con l’ “àmmore-pizza e cuore”, abbiano avuto esito… infatti, e lo ripeto, i giochi sono ancora tutti aperti… della serie: il 50% dell’Italia è a destra, del restante 50% mi fido che siano di sinistra il 25% – a voi le somme – inoltre, per chi non lo sapesse, tutta la ex magistratura fascista e le forze dell’ordine italiane, ps, carabinieri, finanzieri etc. + quadri minesteriali + il 99% degli insegnanti collusi con PNF poi con la RSI, terminata la guerra rimasero al loro posto, a parte alcuni ‘punizioni’ esemplari… solitamente messe in atto nei confronti di chi impossibile da ‘difendere’ per le troppe malefatte perpetrate durante il ventennio e nel corso della guerra civile, archiviata, poi, con l’amnistia De Gasperi-Togliatti – perché, come giustamente anche Pavese aveva già colto, e così altre menti di allora, fino a Pasolini, poi, negli ultimi 15 anni, lo storico Pavone, anche se una certa sinistra non vuole sentirne ancora parlare, di guerra civile si è trattata, quindi di guerra, nei mesi, anni successivi, di classe – perché questa la triade: guerra di Liberazione, guerra Civile, guerra di Classe – il fatto è che, come già ho scritto in un altro commento a un vecchio post qui apparso, domandate ai vostri genitori, ai vostri nonni, se ancora in vita, ai vostri bisnonni, da che parte stavano allora… sarebbe interessante poi tirare le somme, quindi non liquidate con 4 buttate robe che avete ancora nel sangue – o in famiglia -… visto che, da quel che mi risulta, di antifascisti, in Italia, prima dell’entrata in guerra, ce n’erano ben pochi e per lo più neutralizzati o accoppati dal regime – e gli altri tutti zitti o ad applaudire il Duce – così come dopo l’8 sett. 1943 si parla di non più di 10.000 partigiani organizzati in alta Italia – e il sud dov’era? A parte Napoli Centrale e la Brigata Maiella, dov’erano i siciliani, i calabresi, i lucani, i pugliesi, i molisani, i campani? – ad un anno, sett. 1944, si parla di 35.000 partigiani organizzati, mentre il 28 aprile 1945 i partigiani erano diventati 350.000 – su 40 milioni di italioti-idioti – per lo più comunisti, socialisti, azionisti, quindi repubblicani e un qualche cattolico – da aggiungersi a questi 90.000 uomini facenti parte del cosiddetto esercito Sabaudo del Governo del Sud, combattenti al fianco degli Alleati – se la matematica non è un’opinione e stando superlarghi a me risultano, come agli storici seri, non più di 450.000 uomini in armi contro il nazifascismo… ma a fine guerra – e tutti gli altri, i vostri genitori, i vostri nonni, i vostri bisnonni compresi dov’erano? Forse nell’esercito del Generale Graziani? Non a caso l’esercito della RSI contava 650.000 effettivi, ovviamente X MAS e Brigate Nere compresi – quindi non stiamo a liquidare argomentucci di questo genere col solito sbadiglio, perché le storie sono ancora tutte aperte… anche in Jugoslavia si pensava che Tito avesse messo la parola fine, poi si è visto com’è andata a finire per 14 anni… e continuerebbe, se i caschi blu si togliessero dalle scatole).

    @ Riguardo concetto che avete della letteratura: beh, io mi tengo chi ha scritto e chi ancora scrive mosso da un’idea, cioè tenendo presente i Massimi Sistemi, a voi chi scrive pagine e pagine di ‘sfiga’ (più o meno generazionale-intimista), un tempo si diceva, che nulla, come poi è realtà lampante per chi ci capisce, porta… e qui condivido i francesi, forti di un ‘800 letterario che noi non abbiamo avuto (così come non abbiamo avuto una borghesia illuminata – e anche da questo l’avvento del fascismo), quando definiscono la stragrande maggioranza dei narratori italiani come: novellieri.

    @ Riguardo il romanzo storico: ovviamente è sempre stato un pretesto alto per intrecciare più piani di lettura… non come, ad esempio, il giallo o il noir, fino a 15 anni fa considerata letteratura di genere (e giustamente, almeno in Italia… non parlo del mondo anglosassone, o di giganti come Simenon o Friedrich Dürrenmatt, che il loro mestiere lo sapevano fare anche fuori dal ‘genere’) , poi assurta, sempre in Italia (ovviamente a seguito della ‘crisi’ sovracitata), al rango nobile di ‘specchio della società’ (e in questo la complicità di una certa sinistra… forse smemorata quando la definiva letteratura fascista, disimpegnata e di vacua evasione… ma anche questa è un’altra storia… o sempre la stessa?).

    @ Riguardo Pansa: è solo un’opportunista di bassa lega che fa del ‘cronachismo modaiolo’ pruriginoso… nulla più, così come la sua è la scientificità del piffero.

    @ Inoltre, così, tanto per continuare a divertirci, sappiate che la mia famiglia, come molte altre, in quegli anni si spaccò in due, da una parte mio padre Giovanni (Azionista), due volte in carcere sotto il fascismo e, quindi, partigiano combattente croce di Guerra al Merito inquadrato nella 28° Brigata Garibaldi, nome di battaglia ‘Pinto’, distaccamento Celso Strocchi, operante a nord di Lugo di Romagna, sotto il comando di Arrigo Boldrini (Bulow), Medaglia d’Oro al Valor Militare, così come la 28° Brigata Garibaldi, che di morti ce ne ha regalato 164 alla vostra ‘democrazia’ da operetta e ai vostri sbadigli – dall’altra il suo primo cugino Francesco, inquadrato nei Battaglioni M, rastrellatore in Veneto e Friuli – poi, tanto per continuare a dire che questi sono argomenti stantii, noiosi, passati, da vecchie cariatidi, il 7 luglio 1945 quattro furono i miei cugini accoppati dai comunisti a Frascata di Lugo, la madre e i tre figli, perché uno di essi Segretario di Mezzasoma a Salò e perchè proprietari terrieri… quindi stiamo sempre molto attenti… anzi, state sempre molto attenti.

    @ Dimenticavo: per scrivere queste 40 righe mi sono rifatto ad un episodio realmente successo a Lugo di Romagna (non a Milano) nel maggio 1945. In breve: una ragazza (Ausiliaria della RSI) che se l’era ‘spassata’ coi fascisti e con le SS venne salvata da un partigiano comunista che poi diventò suo marito (anche questa è l’Italia… per chi non dovesse crederci) e rideteci poco sopra e fate come vi ho chiesto… domandate a casa vostra da che parte i vostri ‘vecchi’ stavano, poi riportatelo qui, visto che questa è una rivista in cui molti (anche dei redattori) pare abbiano la verità in tasca… o, almeno, così la fanno passare, dai post o dai commenti che qua o là a volte scodellano… così che se non sono stati in grado i vostri ‘vecchi’ di fare il totale a certi conti (cioè di tirare le somme e ricominciare a guardarsi con dignità allo specchio), almeno abbiate il coraggio di farlo voi.

    L’umanità è giovani, cari amici, e la memoria è sempre corta… quando fa comodo così.

  23. Domanda. Ma non c’è qualcosa di sbagliato nel fatto che uno scrittore debba rispiegare, ricommentare, giustificare, difendere, razionalizzare quello che ha scritto una volta pubblicato? Soprattutto quando trattasi di un storia, racconto, narrazione. Non mi va proprio che un lettore mentre legge il libro di un autore abbia accanto pure lo scrittore che gli vocifera nell’orecchio. Già il libro è un eccesso, un sovrappiù rispetto al mondo.
    Un atteggiamento taoista è più prezioso allo scrittore.
    Altra cosa è una discussione o conversazione concettuale o di idee.

  24. non sapendo né di taoismo né di buddismo, mi sembra che Manzoni non giustifichi un bel nulla, se mai prova a spiegare il suo metodo. Mi sembra anche che il discorso, ancora una volta, sia quello sul racconto-documento, il racconto che si fa storia, la Storia come narrazione, argomento che dovrebbe essere nelle corde di questo blog (sursum corda!). A Manzoni risponderei indicando una figura/persona/personaggio che di solito sfugge all’indagine biunivoca partigiano/ragazzo di Salò, e cioé la figura del Disertore, che è cosa un po’ diversa dalla retorica di Cefalonia. Personalmente sto seguendo proprio il consiglio di Manzoni, i nonni, i nonni meridionali, i nonni meridionali intruppati in Grecia e Albania, i nonni meridionali intruppati in Grecia e Albania che dopo l’8 settembre scappano, si nascondono, cercano di salvarsi la vita per tornare a casa. Non scopro niente di nuovo, ovviamente, mi limito a cercare le lettere “d’ammore” che parlano anche di guerra e di morte conservate nei cassetti della nonna. Resta da chiarire perché i romanzi sui Disertori non hanno mai avuto molta fortuna nel nostro panorama editoriale, e una risposta potrebbe essere appunto quella che sfuggono alla dicotomia (ideologica?) del Buono/Cattivo, dell’Eroe/Villano. Voglio dire anche un’altra cosa: Manzoni ha la fortuna, chiamiamola così, di poter lavorare su una base storico-memorialistica che gli permette di analizzare molto attentamente le ‘spaccature’ della sua famiglia. Nel mio caso, trovo maggiori difficoltà a risalire a fonti storiche adeguate, che non siano, appunto, testimonianze familiari: lettere, racconti orali, qualche testo sui fatti di Grecia e d’Albania visti da chi doveva scappare e non aveva il tempo di partecipare al dibattito storico che si agitava all’indomani del biennio terribile.

  25. @ Luminamenti: reputo che oltre al piacere di avere un testo (più o meno scritto come si deve – che piaccia o non piaccia) non sia da sottovalutare il potersi rapportare, anche, con chi lo ha scritto, altrimenti perché i blog o le presentazioni pubbliche, solo per vendere copie? (A me del vendere copie non è mai fregato mezza, altrimenti mi sarei mosso diversamente nel sistema letterario e artistico, ma avrei dovuto pagare un prezzo che non mi andava, cioè sarei dovuto diventare uno dei tanti polli in batteria – finti – che scorrazzano per i corridoi della Mondadori o dell’Einaudi… e per la Mondadori ho anche lavorato, quindi so, ma poi ho scelto, e non a caso, di diventare autore-socio di una casa editrice indipendente come Diabasis). Reputo che se tu avessi avuto modo di incontrare maestri del Tao come Liu Yiming o Ming Wong, che molto hanno scritto e fatto appunto per la filosofia Taoista, li avresti avvicinati e avresti iniziato a parlare con loro del perché. Lo stesso se ti fosse capitata l’occasione di incontrare di persona il Buddha (e non una delle sue presunte re-incarnazioni), o solo di avere un contatto ‘epistolare’ con lui, sono certo che non ti saresti fatto scappare l’occasione, anche se ogni buon buddista è solito dire: “Se incontri il Buddha pre strada uccidilo”, ma anche questa è un’altra storia. Detto ciò non voglio certo paragonarmi ai saggi sovracitati, perché saggio non lo sono (altrimenti avrei, forse, vissuto meglio) e non ho simile caratura. Del resto qui si posta (o si dovrebbe postare) appunto per parlare e, magari, crescere assieme, lasciando da parte cinismo e ironia da 4 soldi, visto che l’oggi, sempre a mio avviso, richiede posizioni ‘forti’… come poi il vivere con dignità sempre lo ha richiesto… e in questo anche la scelta.

    @ Lodevole, Roberto, la ricerca che stai portando avanti. So che non è facile, per i più, poter sapere riguardo il “da dove” si arriva e chi siano coloro che ti hanno dato vita, ma credo che il tuo approccio alla questione sia quello giusto, cioè senza alcun preconcetto e senza, soprattutto, il timore di ritrovarsi uno ‘scannatore’ in famiglia (da quel che ho inteso questo non è il tuo caso)… ma se ciò dovesse essere, come diceva Pasolini, è questione che umanamente e storicamente deve essere affrontata a viso aperto e col cuore in mano (mai nascondere la testa sotto la sabbia… e continuo coi luoghi comuni, ma sono uomo che crede, anche, ai luoghi comuni, visto che il tutto concorre per potersi dire e definire).
    Riguardo al Disertore… beh, è socialmente spiegabile il perché lo si è penalizzato, almeno fino ad oggi (auspicabile è che nel domani ci s’interroghi e si scriva anche su tale figura): il Disertore non piace perché è colui che volta le spalle al nemico (o alle situazioni) e scappa, mentre i suoi compagni ci stanno rimettendo la pelle o stanno sputando il fegato. E’ forse figura ‘troppo’ umana, e il troppo umano, in questo caso, non piace all’umano :-) perché poi un po’ tutti, almeno una volta nella vita, disertori lo siamo stati. Leggi, come ho scritto sopra, l’orrore del ritrovarsi codardi. E’ quindi la Paura (dell’ essere così) che allontana tale figura dal ‘consenso’ (meglio il Traditore, è più letterario)… e di nuovo la paura viene fuori, in questo mondo di paure. Alcuni grandi hanno sfiorato tale personaggio, direttamente o indirettamente: Camus, Celine, Fenoglio, ma mai, ed è vero, lo si è reso protagonista. Ora che mi ci fai pensare non sarebbe male affrontare e interpretare un simile profilo e infine ‘innalzarlo’ (in bene o in male)… perché poi anche a questo serve la letteratura. Cmq la questione meridione d’italia, per quel che riguarda la guerra civile che il nostro paese ha visto, è ancora tutta da scrivere. So per certo che alle forze armate della RSI un grosso contributo la ha dato, appunto, il meridione; invece, per quel che riguarda la guerra partigiana… beh, c’è da dire che noi del centro-nord ce la siamo dovuta gestire più degli altri, in particolare noi sopra la Linea Gotica, e ancor di più noi oltre la Linea del fiume Senio, che, fino al 25 aprile 1945, siamo stati sotto il tallone nazifascista. Ravenna venna liberata il 4 dicembre 1944, poi gli Alleati si fermarono sulla Linea del fiume Senio per tutto l’inverno ’44-’45 (il Senio è un rigagnolo largo sei metri, non aspettatevi il Po), così che Lugo di Romagna, in provincia di Ravenna, venne liberata solo il 24 aprile 1945, e non vi dico quel che è successe in quei 5 mesi di stagnazione del fronte (il mio prossimo romanzo tratterà proprio di questo). E gli Alleati si fermarono per ovvie ragioni politiche (ovvie per loro) non tanto per la resistenza nazifascista che si trovarono di fronte. A Yalta il mondo era già stato spartito, quindi gli angloamericani stavano attendendo l’avanzata russa da est e lo sfondamento dei loro a ovest (le stavano buscando a Bastogne)… tale ‘mossetta’ costò all’Italia del nord un numero di morti, tra militari e civili (combattenti fascisti e antifascisti compresi) avvicinabile alle 400.000 unità.

  26. @Gian Ruggero Manzoni, dici: “altrimenti perché i blog o le presentazioni pubbliche, solo per vendere copie?”

    No, non per vendere copie (anche se non ci sarebbe nulla di male in ciò e però il fatto che lo premetti sembrerebbe proprio il suo contrario dalla tua presenza tra i commenti, ma non è cosa che mi turberebbe, né è ironia da quattro soldi, né tantomeno cinismo) ma per lasciare solo agli altri parlarne. Lo scrittore dovrebbe solo assorbire. Semmai nel rapporto con il suo editor è giusto che lo scrittore lo persuada o si faccia persuadere (anche su questo però avrei molte cose da dire).

    Detto questo, penso che uno scrittore perda forza così (e lasciando da parte taoismo o altro, non mi andrebbe di spiegarlo a partire da ciò).

    La mia persuasione nasce primariamente da scrittori che mi hanno persuaso, anzi, direi, mi hanno fatto vedere e sentire, quanto questo atteggiamento sia avveduto e seminante… cmq si era espressa meglio di me Alcor.

    La mia, cmq, è soltanto la mia convinzione. Assoluta libertà di pensare e fare diversamente. Cmq non c’era cinismo né ironia e talvolta leggendoti altrove ho trovato spunti d’interesse.

    In quanto al tuo testo posso solo dire che scarto dalla mia attenzione gli scritti in qualche modo toccati da passione o finzione politica.

  27. @ Luminamenti: d’accordo col tipo di impostazione e di approccio che proponi, infine è l’opera che deve parlare, cmq questo è luogo anche di ‘spiegazioni’ (qualora necessitino, o ti vengano richieste, così come se si muove critica; in quest’ultimo caso mi pare più che doveroso parlare, anche in funzione del rispetto che uno può portare nei confronti di quel che fa e di quel che è), nonché è luogo d’incontro, dove ognuno di noi porta avanti un suo percorso, un suo modo di vedere, e se ciò, civilmente, può incontrare l’attenzione di altri più che bene, è un cibare la pluralità, poi ognuno resti nelle idee che sostiene, ma, almeno, un qualcosa si è detto e, in questo caso, si è ricordato assieme.
    Comprendo, anche, il non amare scritti toccati da passione, io li amo, ma si è diversi, meno comprendo quando usi la parola ‘finzione’ per quel che riguarda la politica. C’è chi fa politica fingendo, vedi la maggior parte della nostra attuale classe dirigente, ma c’è anche gente che ci crede ancora, forse poca, visto che i più sono in linea col seguire la propria tasca (il proprio tornaconto personale), ma c’è ancora chi si muove sostenuto da ideali, moderati, radicali o estremi che siano.
    Se continuiamo a pensare che la politica sia solo finzione… teatrino… così come la maggior parte della nostra e delle altrui esistenze, allora si rischia che i vendifumo la facciano da padroni. Ed io sono stanco di vendifumo e ladri, visto che me li sto sciroppando da 50anni e che per dirlo e per lottarci contro ho anche sgrugnato contro l’italica giustizia; a parte questo un qualche nome di politico (vecchio stampo, cioè prima repubblica) potrei fartelo, quale esempio di coerenza, onestà e di ‘amor patrio’ (un tempo si diceva) in base, ovviamente, alla visione che aveva del sociale e dello Stato: Pietro Nenni, Enrico Berlinguer, Don Giuseppe Dossetti, Ugo La Malfa, Ferruccio Parri, Piero Calamandrei, Benigno Zaccagnini, Aldo Moro, Tina Anselmi, il fascista Giorgio Almirante… di quest’ultimo si potrà dire che è stato fucilatore e quant’altro, ma la guerra è guerra, come un qualcuno sopra ha scritto, e lui stava da una parte e mai lo ha rinnegato, quindi tanto di cappello (e questo gli veniva ricnosciuto anche dai comunisti e da altri avversari); ciò non toglie che sarebbe stato messo al muro se solo gli avessero potuto mettere le mani addosso nei mesi successivi la guerra… e ci hanno anche provato, ovviamente i comunisti (infine, per loro, era nella prassi – resta il domandarci il perché fosse nella prassi, e anche questa è o, meglio, sarebbe storia).

  28. PREMESSA: ho scritto questo commento leggendo sostanzialmente solo il primo dei commenti di Gian Ruggero Manzoni. Non avevo visto quegli altri suoi in coda, altrettanto lunghi. Non ho ora il tempo di leggerli e commentarli.

    GRM ha scritto:
    brevità da intendersi quale canovaccio-abbozzo filmico, visto il luogo e come funziona il web-blog, cioè il non tirarla, troppo, per le lunghe

    GB risponde:
    Ci sono autori che in poche righe hanno aperto mondi. La brevità non significa abbassamento della tensione e della qualità estetica.

    GRM
    se volete leggere come scrivo con la terza, quarta, quinta, sesta marcia innestate allora vi invito a leggere i miei romanzi pubblicati

    GB
    Quindi qui ci hai dato uno scarto di produzione?

    GRM
    reputo sia difficile poter esprimere un parere compiuto su di un autore rifacendosi, esclusivamente, a un’idea messa lì per intavolare una eventuale discussione

    GB
    Ma io non discuto l’autore (che magari, in altre lettura, potrebbe farmi cadere in amore). Discuto QUESTO racconto.

    GRM
    rimando a una certa filmografia anni ‘40 (…), quindi scrittura ‘mimetica’, cioè ri-facente il verso a un modo e a un ‘mondo’, ingenuità comprese insite in tale modo di narrare x immagini.

    GB
    Se ti rifai a una filmografia sei mimetico di una mimesi. Quindi non sei mimetico della realtà ma di una finzione. E poi bisogna vedere a QUALE filmografia ti rifai. O a quale fotoromanzo.

    GRM
    Mai scontato il parlare di certi temi

    GB
    Il tema non è mai scontato. Lo è, semmai, lo svolgimento.

    GRM
    noi italiani non abbiamo mai fatto i conti col nostro passato in toto, non abbiamo avuto una Norimberga (etc.etc.)

    GB
    E che c’entra? (vedi supra)

    GRM
    Tema Resistenza: di nuovo tutto da affrontare.
    Tema fascismo: di nuovo tutto da affrontare.

    GB
    (vedi supra)
    E poi: affrontarlo proprio con quella retorica degli anni ’40 che, a tuo dire, non servì ad affrontarlo mi pare ‘NU POCO (ma proprio n’anticchia) contraddittorio, no? Dici: la cultura italica non ha risolto quei temi. Io li risolvo utilizzando tutto quel culturame italico. Boh.

    GRM
    Riguardo vicoli della vecchia Milano: anche se un qualche vicolo allora c’era e ancora c’è (in centro storico o nella prima fascia), logico che, nella brevità/seppure la brevità, ogni parola, come ogni affermazione, deve essere soppesata anche ‘metaforicamente’

    GB
    Cos’è la prima fascia, perdonami?
    E poi: se vuoi, come dici da subito, una scrittura “mimetica” non puoi, poi, definirla metaforica. Parlare di montagne a Milano, o di oceani a Como, in una scrittura mimetica è ‘nu poco (ma proprio n’anticchia) raffazzonato. E nei particolari c’è Dio, tu m’insegni.

    GRM
    io ho 50anni e nulla do per scontato quando leggo, così come quando scrivo, scontato di solito lo si dà, o il liquidare in due battute, quando si è giovani e si ha poca esperienza

    GB
    Ho 41 anni, una moglie, due figlie, e se mi dai del giovane rido fino a farmi crepare le rughe. Questo sfoderare principi d’autorità e saggezza a piene mani è davvero esilarante.

    GRM
    si potrà dire non il tema non piace, non interessa,

    GB
    Mai detto, insisto.

    GRM
    ma il come e il perché un pezzo è scritto in una certa maniera necessita, appunto, l’entrare nel testo e avere gli strumenti non solo culturali, ma anche storici e umani per poter cogliere la ’sfumatura’

    GB
    Cazzo. Allora non potremo mai godere della Divina Commedia o Dell’Iliade, che sfiga!

    GRM
    Quindi l’amore non è, per il sottoscritto, una possibile soluzione (in questi casi), altrimenti diverso il finale. Qui ci scappano due morti che, per amore, tentavano di scappare… di nuovo cogliere le sfumature.

    GB
    “Viva l’ammore”, non so se l’avevi capito, era ironico. O davvero credi che non ce ne eravamo accorti che i due alla fine morivano? Io, tra l’altro, glielo auguravo già dalla quarta riga.

    GRM
    l’inizio e il finale del racconto, in mezzo, come in ogni opera in prosa che si rispetti, il ‘riempire’.

    GB
    Mai prendere sotto gamba la farcitura, nell’arte culinaria. E la cottura. Per dirla con Pasquale Panella: “Se non si cuoce a fuoco lento, rimane cruda dentro”.

    GRM
    chi ha una minima dimestichezza con la narrativa sa bene quello che sto dicendo

    GB
    Per dire che noi la dimestichezza non ce l’abbiamo? Hélas, e come mai? Ci mancano gli strumenti culturali, storici o umani?

    GRM
    Avrei potuto parlare anche di due o tre gay, come Genet in “Pompe funebri” (libro che v’invito a leggere, ambientato in una Parigi in procinto di essere liberata dagli Alleati), e forse, la storia, vi avrebbe attanagliato di più

    GB
    E perché mai? Su quali elementi fondi questa illazione?

    GRM
    mi sono limitato a procedere secondo un filone ‘tradizionale’

    GB
    Quale? Quello mimetico? Quello che non ha risposto, a detta tua, ai temi profondi della storia nazionale?

    GRM
    visto che mi riconosco un certo ‘mestiere’

    GB
    Beato te.

    Poi, ancora…
    Alcor ha scritto:
    “Che senso ha postare abbozzi se poi l’autore deve difendere la loro debolezza? Un testo o sta in piedi o non sta. E se non sta in piedi non c’è discorso o spiegazione che lo raddrizzi.”

    GB
    Vabbe’, se avessi letto prima questo commento mi sarei evitato tutta ‘sta spataffiata. Sei il mio mito! ;-)

    Robertologo ha scritto: “chi critica la tenuta tematico-narrativa del racconto magari è un po’, dico, solo un po’, cisposo per via dell’ideologia.”

    GB
    Cosa sai tu della mia ideologia? E chi ha mai fatto questioni ideologiche sul racconto in questione? Ma per chi mi hai preso?

    A proposito, Manzoni: nulla di personale, sia ben chiaro. Capace che appena capiti ci si beve pure una birretta assieme. Magari in qualche vicolo milanese. ;-)

  29. Se ti senti tirato in ballo sull’ideologia non è affar mio.
    Mica c’era scritto Gb for president.
    Rob

    @manzoni
    Se ti va, pensiamoci ai disertori.

  30. @GRM Intendevo passione politica. La passione m’interessa. Non mi riferivo a te per quanto riguarda la finzione politica. Intendevo dire che in giro ci sono troppi scritti pieni di finzione politica. Cmq la passione storica al modo del fu Carl Schmitt m’intriga molto. Lo stesso potrei dire di Carlo Ginzburg. Ma non scrivi più nel tuo blog Oltre il tempo? lo leggevo.

    P.S quando tu dici a @ Albanesi: “leggi bene il testo” mi stupisco. C’è un modo, esiste, per leggere bene un testo? occorre leggerlo così come lo legge chi lo scrive?
    Non penso proprio!

  31. Ma quando funziona questo vostro blog? Solo ora ho potuto entrare e leggere. Forse è colpa del dove abito… qui in campagna l’ADSL non è ancora arrivata, quindi perdonate se non ho potuto rispondervi prima.

    @ Ringrazio Biondillo per quel che ha scritto. Vedo che finalmente si è impegnato, e questo è lodevole.
    Dopo il suo primo commento alla liquida in breve l’intruso di turno con le 4 battute fenomenali, ha fatto, infine, una sana lettura-analisi (ironica, come pare sia nelle sue corde migliori). Un bel monta e rimonta (il groppone del pellegrino), quel tanto filmico anch’esso (…ti ho letto nel post sopra… hai più la penna da giornalista che da scrittore, ma ciò non guasta, anche se per me il ‘pathos’ dimora altrove, cmq hai fatto una bella cronaca, e del resto è da una certa cronaca che molta dell’odierna narrativa, definiamola ‘leggera’, prende spunto, appunto montando e rimontando… e vedo che anche tu non la tiri per le brevi, almeno quando posti!).
    Ma ora comprendo meglio, non avevo associato (subito… forse anche questa una svista dovuta all’età? Oppure ai troppi che ci provano?) il tuo nome a uno dei tanti scrittori noir germogliati in questa Italia ormai livellata alla Camilleri e alla Lucarelli, che, per la cronaca, essendo un mio ‘cugino’ acquisito, posso tranquillamente definirlo un buon ragazzo, anch’egli affascinato da certe trame ‘giovanil-evasive’.
    Cmq una birra ce la possiamo fare, se ci sarà l’occasione. Parleremo dei vicoli della prima fascia, anche se il tuo cognome non rivela delle vere e proprie origini lombarde-milanesi… o sbaglio? Forse sei di prima generazione? O di seconda? No, di prima, sei di prima… i tuoi sono arrivati al nord nel dopoguerra. Lo sento a naso. E’ per questo che non ti appartengono certe storie… dovresti fare anche tu un po’ d’indagine come il Rob, poi raccontarcela qui, così da mettere a confronto il nostro passato (più o meno comune).
    E sempre riguardo l’età, non sei tu che hai scritto “Per sempre giovane”?… si può avere 41 anni, moglie e figli e restare, appunto, eternamente giovane (esiste anche una sorta di sindrome, se non erro). Da parte mia sono nato già vecchio (e anche questa è una sindrome – reputo che si sia inteso). Quindi (e forse) è meglio che tu ti faccia delle birre con quelli della tua ‘generazione’, io non sono persona con la quale si ride molto… all’infuori che non sia tu a prenderti la briga di farmi ridere, allora posso anche starci. Anzi… :-) Ma i presupposti ci sono. Sì, ho già visto che ci sono. Possiamo bere assieme. Ti starò a guardare e ti ascolterò e mi divertirò anche.

    @ Rob: possiamo pensarci. Nel mio sito la mia e-mail.

    @ Luminamenti: ora ho inteso a quale passione ti riferivi, ma eri stato vago, non avevo capito, perdonami (…sempre colpa del mio troppo vissuto che mi ha rintronato quel tanto, o quel molto).
    Riguardo al “leggi bene” non era intimidatorio, è modo di dire romagnolo, è un invito ad approfondire gl’intenti. Ovvio che ognuno in prima battuta intenda uno scritto altrui tramite un sentire-capire-sapere soggettivo, cmq reputo ci siano dei ‘canoni’ (definiamoli così) che sfociano o dovrebbero sfociare anche nell’oggettivo (o in una possibile oggettività critica – e questo può avvenire in seconda battuta). Quei ‘canoni’ che, ad esempio, prendendo un libro o uno scritto di Biondillo, me/ce lo fanno inquadrare, culturalmente e umanamente, in un certo genere del ‘fare’ (del concepire) il letterario, e dell’essere (del dirsi, del porsi come) uomo. Lo stesso vale per tutti coloro che raccontano. Per l’arte (cioè per chi scrive artisticamente – e qui la differenza fra narratore e scrittore) scatta, ovviamente per me, il meccanismo inverso: si parte da un oggettivo per poi soggettivare… ma forse andiamo su argomenti troppo ostici, continuiamo a stare sul ‘leggero’.
    Su Carl Schmitt potremmo parlare per giorni (visto la mole ‘oggettiva’ di pensiero che ha svolto – e te lo dice chi, seppure ‘altro’ da lui, lo considera uno dei maestri del ‘900… da prendersi con le molle… con molle molto lunghe… ma non si può non passarci per capire).
    No, ho chiuso il mio blog, le energie (seppure la foga e i super commenti sopra) è pari all’età e all’esperienza. Ora preferisco rompere le scatole a casa d’altri. cmq mi fa piacere che tu abbia fatto un salto là, magari, se ci ritorni e di nuovo spulci, trovi robe che possono interessarti… visto gl’interessi che hai e il personaggio che interpreti :-)

    @ Franz mica mi avevi detto che tutti ‘sti figli di Mozzi, Nove, Scarpa & C. NI 0.1 deambulavano, ancora, in questi spazi!? Eccheccazzo… avrei frequentato un po’ di serali prima di venire… ma Mozzi non se n’è andato per altri lidi? E allora cosa sono questi strascichi?

    @ Cmq birra per tutti… o latte, visto come se la passano certuni.

    @ Vi saluto.

  32. Bene, GRM, vedo che google lo sai usare.
    Ora magari leggili pure i miei libri prima di inquadrarmi nelle tue categoriucce patetiche. Io ho criticato un racconto (che ho letto), tu uno scrittore (che non hai letto).
    Datti da fare prima di dare fiato alle trombe. E ricordati del motto dei Borromeo, riprodotto “a fresco” per un’intera facciata del cortile del palazzo omonimo, in uno di quei vicoletti meneghini che tu sai.
    Inutile rammentartelo, se non lo conosci google ti verrà in aiuto di certo.

  33. @ Hai ragione, Bill, dopo un po’ lo spettacolini stanca.

    @ L’hai detto, Alcor, ma qui non c’è gente da meno.

    @ Biondillo, e dove altro avrei potuto trovarti se non in Google? :-) ovviamente tento anch’io di fare dell’ironia, ma tu sei imbattibile… vale sempre la birra, magari ci troviamo a metà strada… che ne dici di Parma? Cmq leggerò i tuoi libri, nell’informarmi sul tuo conto ho avuto pareri positivi sulla tuo modo d’intendere una certa scrittura dall’amico Antonio Franchini. Da quel che mi ha detto almeno tu riesci a far scorrere la pagina e a costruire situazioni interessanti, altri, del ‘genere’, sono come muli sfiatati.

  34. Caro Gian Ruggero, leggo solo ora il tuo racconto e i commenti. Mi era venuto un sospetto, che è diventato più o meno una certezza: dunque sei un componente dei mitici conti Manzoni di Lugo? Bene, se è così ti saluta un ex alfonsinese.

    Per quanto riguarda il tuo racconto, sono abbastanza d’accordo con le critiche che ti ha rivolto Biondillo, che ti invito a prendere molto seriamente, con umiltà – scusa la parola – senza difenderti né risentirti. Chi scrive non si deve difendere, ma soprattutto ascoltare (“assorbire” come mi pare abbia scritto Luminamenti), anche le critiche di chi sembra non avere capito nulla di un testo (e questo accade abbastanza frequentemente). Chi dice “il tuo racconto è brutto, è banale” non dice “tu, autore, sei brutto e banale”, ma solo il “tuo racconto”. Quindi, niente reazioni difensive, ma di ascolto, perché il testo ha generato una risposta, che può essere fuori luogo, fuori fase, anche di indifferenza, ma è comunque una risposta che ci insegna qualcosa sui codici nascosti del racconto, e dell’effetto che questi codici provocano sui ricettori dei lettori.

    Detto questo, una frase come questa: “Ma Marco, nonostante le minacce dei suoi compagni, aveva deciso. Era stanco di barbarie e uccisioni, di sparare, giustiziare e soffrire. La passione che aveva per Silvia superava ogni barriera ideologica, ogni sanguinosa divisione politica, ogni odio, ogni possibile rancore.” è secondo me giornalistica, che ha poco a che fare con la narrativa. Questo però non toglie che molti libri di successo, oggi, siano scritti in uno stile giornalistico abbastanza banale.

    E questa: “Giunti in strada Marco non si trattenne e abbracciò Silvia. Lei rispose con trasporto. Al che si baciarono, a lungo, profondamente. Più di vent’anni di lotte fratricide si annullarono in quel gesto d’amore, così le atrocità della guerra, le sevizie, le vendette.” sembra una parodia alla Mel Brooks, invece ha l’aria di essere seria.

    Quindi, caro Gian Ruggero, tu che per il popolo della bassaromagna, come lughese sei sempre stato un metropolitano, mentre noi alfonsinesi eravamo i campagnoli col cappellaccio e gli scarponi, ascolta le critiche e usale!

    Un saluto campagnolo.

  35. @ Cara Mauro grazie del commento. Sì, sono parente dei Manzoni Ansidei, quelli di Frascata. Fattaccio di quelli che noi della Bassa Romagnola conosciamo bene, visto che non è stato l’unico… è stato fra quelli che ha fatto maggiormente scalpore, considerato chi erano gli ammazzati, ma ce ne sono stati tanti altri di questi regolamenti di conti, più o meno motivati, più o meno condivisibili, più o meno sconcertanti, e chi non è delle nostre parti forse ancora poco sa, se non tramite letteratura o speculazioni di bassa lega, quando il fenomeno, a mio avviso, dovrebbe, nel vero, venire affrontato una volta per tutte. E di nuovo tiro in ballo uno storico coi fiocchi come Claudio Pavone.

    Riguardo le critiche… sempre bene accette, se impostate nella giusta maniera e col giusto garbo, e, soprattutto, senza fare il giochino con gli amici di turno da goliardo-saccentino con tanto di strizzata d’occhi e via così. l Biondillo è partito con il passo sbagliato (è innegabile, ma non tanto per quel che riguarda le osservazione, ma, e di nuovo lo ripeto, per il modo, per il tono – e noi sai come siamo fatti, alla romagnola, appunto), poi ha tentato di rimediare (o mi è parso così, ma sempre con quella puzzetta sotto il naso che porta male), ma la botta da ‘fenomeno’ non gliel’ho lasciata passare, del resto anche lui sta ancora correndo, quindi vada piano a spararle da arrivato. Il noirista scrive come primo commento in assoluto: “Il racconto, mi perdoni l’autore, è di una prevedibilità impressionante. Con una scrittura finto letterario di gusto neorealisticheggiante da liceale. Stucchevole nei suoi luoghi comuni. A partire dalla fine, dai “vicoli della vecchia Milano”, che sono proprio curioso di sapere quali siano, a questo punto.” (ma l’autore non gliel’ha perdonata, non tanto l’analisi, quanto il come). Se avesse formulato il tutto senza fare il ‘fenomeno’, allora avrei iniziato a parlare non da ‘fenomeno’ anch’io, tutto qui, ma molte volte, in questi luoghi dove bazzicano narratori o poeti vari, e di vario spessore, tale modo di affrontare la situazione sta diventando di prassi. 2 battute e via, al limite del ‘gargarismo’, come ha sottolineato Segio Garufi sopra, poi avanti col proporsi… e col prossimo da prendere per il culo.

    Per ciò che riguarda il sottoscritto… io sono di San Lorenzo di Lugo, 900 abitanti, quindi non di Lugo ‘centro’, perciò ho anch’io gli scarponi da campagnolo e ne vado orgoglioso… detto questo: mia nonna materna era di Alfonsine e un tot di cugini ancora vi abitano.

    Leggerò il tuo blog e quel che scrivi. Ho intravisto un pezzo su Pinochet che mi pare messo giù nella giusta maniera

    Ma tu abiti-bazzichi ancora ad Alfonsine?

  36. A me il racconto non mi è dispiaciuto anche se condivido certe critiche. Di Manzoni ho letto Il Morbo è l’ho trovato un bel libro. Mi manca La banda della croce che qualcuno qui ha segnalato. Il racconto mi è piaciuto perché parla di fatti veri che hanno segnato la nostra storia. Da quello che ho inteso mi avvicino per anni ai suoi quindi certe situazioni le porto dentro. Io sono stato tesserato PCI per anni e anni, come non sentirle? Oggi l’oblio.

  37. gian ruggero, non abito più ad Alfonsine (sembra che mi sia fermato a Bologna) da una ventina d’anni. Ma ci vivono i miei. Vengo un paio di volte di mese.

    Non sarebbe un brutto posto, per uno in età adulta (per un giovane era – forse lo è ancora – il paese più infelice del mondo). Il problema sono le zanzare tigre, che hanno rovinato l’estate.

  38. Sia chiaro: non per dare un giudizio (è una semplice osservazione). Ma a me pare che la scrittura di Manzoni sia molto migliore in questi commenti che nel Racconto postato. La tenzone Biondillo/Manzoni, poi, ha delle sfumature teatrali che la rendono molto interessante. In fondo il punto è sempre questo: scrivere cose che abbiano un cosiddetto “interesse universale”.
    Ho seguito in un’altra stanza il duello Biondillo/Borso. Anche quello molto vitale.

  39. @ Caro Mauro ho parlato di te con Guido Pasi, e mi ha detto che ora stai a Bologna. Ho anche trovato il tuo libro edito da Allori. Lo leggerò. In effetti la Bassa non è che ci abbia regalato granché, se non la ‘scorza dura’, un tempo si diceva. Se passi da queste parti fatti sentire. Trovi il mio numero tel. nel mio sito. Magari ci andiamo a bere qualcosa alla ex Casa del Popolo di Alfonsine… che bazzicavo quando, giusto vent’anni fa, seguivo l’ARCI anche in quelle zone.
    Non parlarmi della zanzare tigre: io che ancora vado a pescare nel Reno ne so qualcosa… ma poi le abbiamo anche a San Lorenzo…. fidati! Forano i copertoni delle biciclette e mordono come cani lupi :-)

    @ Vanini. Beh, Biodillo ed io almeno abbiamo sortito a un qualcosa. Riguardo al racconto in questione è stato scritto così per alcuni motivi espressi anche sopra. Ovvio che poi si rflette, sempre, sulle critiche chi ti portano… ma è stato posto (l’ho posto) un questo modo e un motivo ci sarà, e questo lo dico non tanto per difendere ad oltranza le possibili scivolate, quanto per sostenere, quall’altrettanto quanto, una riflessione che cmq sta sempre a monte di quel che si scrive, cioè il come scriverlo. Mi si conceda, infine, non tanto la formula dubitativa, ma quella interrogativa… cioè: perché? Null’altro. “Il tradimento” resta a sé come una scelta fatta da Franz e da me al fine di intavolare un possibile dialogo su certe tematiche, fino ovviamente a giungere al parlare, anche, di scrittura. Nessuna pretesa, quindi, da parte mia, di essere un’evangelista del Verbo, quanto un praticante d’esso, sempre desideroso di migliorare (se possibile).

    Grazie ad entrambi e anche al compagno Soriano.

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