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La responsabilità dell’autore: Erri De Luca

[Nell’ambito del dibattito sulla responsabilità dell’autore, dopo gli interventi di Helena Janeczek e Andrea Inglese, rispondendo a una nostra richiesta De Luca ci ha gentilmente mandato il pezzo che segue]

IL CALZOLAIO

di Erri De Luca

Un calzolaio è tenuto a fare bene le scarpe, questo è il suo compito istituzionale. Se poi vuole darsi un supplemento di responsabilità civile, allora deve stargli a cuore la buona causa di dare libertà di scarpa e di cammino a tutti, di più a chi ne è privo.
Lo stesso uno scrittore: è tenuto a scrivere bene le sue storie e se ha fatto questo in buona coscienza, ha meritato il rango e lo stipendio. Ma se ci tiene a darsi un impegno in più, allora gli spetta di promuovere la libertà di parola per chiunque, compresi i suoi avversari. Libertà di parola detta, scritta, letta, cantata: per tutti non solo per qualche collega ristretto da un regime.
In anni passati ho letto di qualche scrittore nostrano che esigeva il silenzio, l’ammutolimento civile per qualcuno a lui sgradito. Questo è rinnegamento puro dell’unico impegno e impiego utile di uno scrittore: garante del diritto di espressione di chiunque.

Al di fuori di questo ambito a me è capitato nella vita di servire qualche buona causa. Ho fatto parte dell’ultima generazione rivoluzionaria di Europa, ho fatto l’autista di convogli di aiuti nella guerra di Bosnia, sono stato a Belgrado nella primavera del ’99 a stare dalla parte del bersaglio degli attacchi aerei della Nato. Queste e altre simili sono state mie mosse di cittadinanza. La scrittura non c’entra e se c’entra, segue come in una cordata su un ghiacciaio. A battere pista davanti ci pensa la vita.
Diffido di scrittori in politica. La lusinga di una tribuna ha rimbambito e deluso più di uno. Uno per tutti, perché lo preferivo, Leonardo Sciascia, finito a occupare da pedone un  banco parlamentare. Se quello è impegno di scrittore, meglio niente. Infatti smise in fretta.

Perciò non vi so dire, donne e uomini affacciati sopra questo schermetto illuminato, in che consiste l’impegno civile di uno scrittore, uno che ha un piccolo diritto di ascolto. Un amico, poeta in Sarajevo negli anni 90 smaltì in città l’assedio, il più lungo del 1900. Rifiutò inviti all’estero presso illustri colleghi, istituzioni. Izet Sarajlic (nato nel 1930, morto nel 2002): coi suoi versi di amore tre generazioni bosniache avevano celebrato fidanzamenti e nozze. Chi è responsabile della festa, lo è pure del dolore. Così restò in città, nelle file per il pane, l’acqua, sotto la dissenteria di colpi dei cecchini e dell’artiglieria. Quello è stato il suo impegno: stare, condividere la malora del suo popolo. Non pubblicare appelli dall’estero, aggiungere una firma  in calce a un manifesto: stare, verbo che a volte copre tutto il da farsi urgente. Stare coi suoi dentro Sarajevo, in quegli anni, come scrive lui: “Il più grande carcere d’Europa”.
E’ solo un esempio di responsabilità civile, io sono uno che scrive storie, cioè che racconta esempi, non so trarre, astrarre alcuna regola di comportamento. Non sono una persona impegnata, sono uno che qualche volta ha preso degli impegni. Non mi piace firmare appelli, petizioni e simili sciacquature di coscienza. Se posso, preferisco stare al pianoterra dove succede attrito tra idee e ordine pubblico. In quei posti, dalla Val di Susa a Termini Imerese, si lavora al pezzo di libertà da custodire, in minoranza contro l’usura della dote assegnata dalla costituzione. La libertà comporta isolamento e rischio feriale, su piste remote e di periferia, non è una passeggiata al centro un fine settimana.

Aggiungo un esempio opposto a quello di Sarajlic: l’effetto letterario di un impegno civile. Quando la mia generazione politica cominciò a entrare in massa nelle prigioni contagiò la popolazione rinchiusa. Scoppiarono rivolte, che produssero poi la riforma carceraria. A volte i traguardi riformisti hanno bisogno di spinte rivoluzionarie. Effetto secondario dell’entrata dei militanti politici in prigione fu l’arrivo dei libri: prima non c’erano. Entrarono coi rivoluzionari e cambiarono il tempo e il luogo delle reclusioni. Fu rotta la privazione supplementare del diritto di leggere: in certi posti è diritto di accesso alla parola. Tra questi due esempi fa la spola il mio pensiero quando rispondo di letteratura e impegno. Non c’è linea prescritta, se c’è non la conosco. Credo nel tentativo giorno dietro giorno di scippare ai poteri costituiti dei pezzi di verità. Oggi compito per me urgente è di sapere quanti stranieri sono stati uccisi a Rosarno nella caccia all’uomo. Nessuno: dice l’autorità. Il  giornalismo attuale, senza spirito di inchiesta non sa e non può smentire la menzogna. Torno al calzolaio: qui si tratta di fare un paio di scarpe buone alla verità scalza che non sa fare un passo.

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186 Commenti

  1. “fare scarpe buone alla verità scalza che non sa fare un passo”. Erri De Luca declina il ruolo dello scrittore nella semplice, minuziosa e paziente opera artigianale del calzolaio. E’ una critica alle cicale firmaiole e canterine e agli scrittori a-sociali, rinchiusi nelle loro storie auliche. E’ l’impegno delle sensibilità, diverse e non classificabili. Fuori dagli schemi fondati su un’appartenenza politica. Lo scrittore è solo dentro il mondo. La sua o è una libertà assoluta o non è. Erri De Luca è uno scrittore libero.

  2. Qui a Venezia gli scrittori prestati alla politica non mancano… Sono stato ai Magazzini del Sale, di recente. Parlavano Cacciari, Orsoni, Bettin, Caccia. Tutti a riempirsi la bocca di espressioni come green economy, net economy, creative city (una gara a chi sfoderava più English). Quello che ci ritroviamo è il Mose, l’inceneritore di Marghera (pattumiera di tutto il Veneto), le Grandi Navi in bacino San Marco, l’Imob (che ha solo complicato la vita agli utenti, a fronte di una spesa di molti milioni di euro), gli hot-spot di Venezia digitale, costati l’ira di Dio per consentire ai turisti di collegarsi in Canal Grande (e chissenefrega???), mentre chi vuole semplicemente navigare a casa propria deve continuare a pagarsi l’ADSL… Insomma è tutto uno sperpero di denaro publico, mentre ai problemi gravi e urgenti non pensa nessuno. Uno per tutti: case ai veneziani a prezzi agevolati, anche per frenarne l’esodo (siamo finiti sotto quota 60.000 abitanti, dai 150.000 degli anni Cinquanta).
    Sul versante opposto, abbiamo il neo-napoleonico Brunetta, a cui non è ancora venuto in mente altro che trasferire la sede municipale a Palazzo Ducale (con il sogno segreto di essere scritturato dal regista Bertolucci per “Il piccolo doge”, dopo “Il piccolo Buddha”).
    Sono davvero sconfortato.

  3. “In anni passati ho letto di qualche scrittore nostrano che esigeva il silenzio, l’ammutolimento civile per qualcuno a lui sgradito”

    di chi parla? non si possono dire frasi a effetto come questa senza fare i nomi.

    E su questo “Ho fatto parte dell’ultima generazione rivoluzionaria di Europa” ci sarebbe molto da discutere.

    C’è molta retorica in questo pezzo, come sempre in De Luca, e la retorica è la principale nemica dell’analisi e dell’intelligenza delle cose.

    L’ultimo paragrafo, poi, delirante.

  4. Insomma bisognerebbe vedersi come un agente contaminante..e si è proprio così, è dal proprio intorno, quotidianamente, che bisogna cominciare; dovrebbe essere scontato..

    .. ma se ogni tanto si sente l’esigenza di far sentire la propria opinione piu’ chiaramente, giusto per non prestarsi ad equivoci, non trovo sia una cosa disdicevole, è un’ingenuità forse, ma non disdicevole;

    ..credo che il volume della voce che ciascuno adotta, dipenda dall’esasperazione a cui è approdato..

    ..non punterei il dito su chi ha una voce più alta di quella che a mè è necessaria, e sufficiente.

  5. Alcor, dov’è l’artifizio, la nebbia che naconde la verità? Piuttosto è la concretezza che emerge in qust’articolo, l’onestà intellettuale senza fronzoli demagogici. Forze Alcor preferisce un Tabucchi tarantolato e un Consolo che a parole scappa dalle città perchè schifato?

  6. Lo so, sì, criticare De Luca è impopolare.

    Ciò non toglie che io lo trovi un tris-nipotino di D’Annunzio sul versante letterario, e uno incapace di interrogarsi lucidamente sulla “generazione rivoluzionaria” sul versante politico, come risulta, ripeto, dall’ultimo paragrafo di questo post, che continuo a considerare delirante.
    Ma non vorrei essere fraintesa, non è certo il progetto di “scippare ai poteri costituiti dei pezzi di verità” che mi trova contraria, è la retorica cieca del mito del rivoluzionario buono. Quei “rivoluzionari” che hanno portato i libri nelle carceri hanno portato anche lutti criminali nel paese.

    Ma non voglio polemizzare con quelli che non la pensano come me, su questo tema sia io che loro resteremmo ognuno ostinatamente sulle sue posizioni. Perciò mi fermo qui.

  7. Sono pienamente d’accordo con Alcor.
    E penso anch’io che De Luca “sia incapace di interrogarsi lucidamente” non soltanto sul suo essere, o essere stato, rivoluzionario, sulla sua attività di pacifista in Bosnia o sul suo “stare dalla parte del bersaglio degli attacchi aerei della Nato”.
    Tris-nipotino di D’annunzio De Luca non lo è stato soltanto sul versante letterario, ma nella sua tendenza ad incarnare, volta volta, il mito del “buono” super. Del “giusto”.
    Fino ad arrivare, in questi tempi spenti, a farsi tentare dal mito del “figlio della madre”. Anche se quel posto, naturalmente, è occupato, da sempre, da un altro personaggio.
    Scommettiamo sul prossimo idiota?

  8. @ Alcor
    solo per precisare che i rivoluzionari finiti nelle carceri non erano solo terroristi. All’epoca si andava in carcere per un semplice sospetto e si aspettavano tre anni prima di subire il processo. Sono migliaia le persone che poi sono state assolte del tutto. E poi si poteva finire in carcere anche per reati d’opinione, per blocco stradale, per resistenza a pubblico ufficiale, per danneggiamento, etc.. Quella generazione fu realmente rivoluzionaria e rinchiuderla nella casella del terrorismo è stupido, oltre che anti-storico. Ma so che lei è legata al grande riformismo pciista che ci ha riformato le coscienze fino a trovare naturale che si bombardi la ex-Jugoslavia o che si applauda Israele come grande democrazia … Questo non è terrorismo, no. Ma è davvero meglio fermarsi qui.

    sp

  9. Il paragone con il cazolaio è l’immagine amata dell’autore che presenta personaggi di artigiani come angeli, anime della cité, dotati del potere di volare, camminare con scarpe senza lacci. Un autore nella bottega inventa scarpe di libertà, che superano la realtà, ma non fanno distanza a questa realtà.

    L’impegno civile riguardo non solamento lo scrittore, ma anche il cittadino, il lettore che entra nella bottega, fa la scelta di camminare
    con gli altri, di agire alla sua manera, con la sua propia energia.
    Il problema è quando l’impegno civile è insabbiato sotto la stanchezza,
    la paura, la facilità di riflessione. Allora è molto difficile trovare il viale
    che conduce alla bottega e vedere la luce in un sole buio.

  10. Uno scrittore sarà anche un calzolaio che fa scarpe e che vuole tutti possano farlo.

    Ma i proprietari dei negozi che vendono scarpe non sono gli scrittori, e senza la vendita delle scarpe nessuno sa dell’esistenza di chi fa le scarpe.

  11. Alcor, a me risulta che criticare Erri De Luca in quanto kitsch e dannunziano sia invece un vezzo popolarissimo tra gli intellettuali…

  12. chissà perchè dannunziano rimane un’offesa bruciante, forse perchè anche lui è uno degli autori su cui è pribito formarsi? … vassapè ….
    Qundo non si sa cosa dire, si da a qualcuno di dannunziano
    Al di là del fatto se a me il pezzo piaccia o meno, sarei curiosa di sapere cosa abbia de luca di dannunziano?
    Forse al limite, fatta la debita differenza di epoche, anche chiedere ad uno scrittore di parlare sulla responsabilità [politica] dell’autore potrebbe essere definito dannunziano.

  13. @ alcor,
    (quisquiglie retrò): nella frase “Ho fatto parte dell’ultima generazione rivoluzionaria di Europa” De Luca ha dimenticato l’aggiunta del predicato “comunista”. Ma forse comunista non lo è mai stato (nulla di male, per carità, basta dirle, le cose). E forse il solo predicato “rivoluzionario” non basta per “ricordare” o ri-evocare quella generazione (à mes yeux). Cmq sia, di De Luca calzolaio sociale apprezzo in assoluto il suo stare “in basso, a sinistra”

  14. a me pare che il testo qui apparso non sia retorico, con tutto che de luca mi piace solo un po’. però, rispetto al problema qui affrontato da versanti contigui molte – troppe – volte in queste settimane, sulla responsabilità- coerenza etc., mi pare non dica niente di particolarmente efficace, tranne che narrare il suo punto di vista e una sua proposta di in-azione rispetto allo stato di cose. mi disturba l’ambiguità di questa affermazione:

    “Lo stesso uno scrittore: è tenuto a scrivere bene le sue storie e se ha fatto questo in buona coscienza, ha meritato il rango e lo stipendio. Ma se ci tiene a darsi un impegno in più, allora gli spetta di promuovere la libertà di parola per chiunque, compresi i suoi avversari”.

    io che pure mi sento soprattutto illuminista, non ho più lo stomaco di affermare questo potente e democratico principio. mi sento di dire che bisognerebbe, poiché si è in guerra, andare in guerra come si va in guerra: è ora di farsi faziosi, partigiani e picchiare duro. a forza di comprensione e tolleranza s’è perso di vista il famoso impegno. impegno: che parola desueta! puzza un po’ di muffa, aria aria!

    dopo di che aggiungo, ché tanto non ve ne fate nulla e non mi risponderete:
    ma questa/o alcor, specie di deus ex machina, è mai possibile che dica sempre male praticamente di tutti, metta la linguetta biforcuta a definire, catalogare, inscatolare, sconcertare, raramente applaudire?
    ma chi è?
    secondo me il diffidare sempre di tutti è una rinuncia personale all’impegno da parte di un intellettuale, rinuncia in cui non vuol stare da solo e cerca di attrarre altri nell’orbita del dubbio a tutti i costi.
    sempre che uno, intellettuale, si meriti di esserlo, non solo di essere considerato tale.

  15. ma la verità non era di parte?

    per il conflitto di parola cederei con piacere la libertà di parola e ridurre un altro scrittore al silenzio, metaforicamente si intende, non è forse il sogno inconfessabile della scrittura ?

    anche i morti, poi, sono di parte:
    ci sono morti più “morti” di altri
    e verità da poco sepolte, ma che in molti tentano di disseppellire.

  16. Il senso inverso della “responsabilità”, questa oggi è la regola …

    Per pochi “responsabilità” equivale ad obbligo personale verso ciò che si dice e si fa in quanto “responsabili” nel senso positivo del significato

    Per troppi “responsabilità” equivale a colpevolezza, per definizione altrui

    In poche parole il motto è: mai sentirsi “responsabili” in quanto portatori di un impegno da onorare, tanto c’è sempre qualcuno a cui affibiare la “responsabilità” intesa come colpa per azione o omissione

  17. Anch’io come altri chiedo un pò più di serietà e appropriatezza nel esprimere i concetti. Anch’io chiedo, che cosa vuol significare definire De Luca “dannunziano”. E’, forse, come quando si ricorre alla parola “fascista” per rinunciare all’impegno di comprendere, spiegare e persino stroncare. Si prega di sostanziare quello che si dice e non di depositare frammenti di luoghi comuni, che hanno la sola utilità di far riposare il cervello. L’opinione di De Luca è criticabilissima, certo, a patto che si esprimano argomenti.

  18. Non è mica la questione di scrivere bene o no, far le scarpe con gran cura e precisione. Ho rispetto e stima per Erri De Luca però mi sembra che quel che c’è da decidere e fare sia altra cosa.
    A me pare che nel pentolone bolla la solita minestraccia rancida e ci si dimeni per la vecchia palude. Come ai tempi del fascismo, pressoché.
    La maggior parte degli intellettuali a dir male della volgarità del “Buce” nei loro stanzini o nel salotto di Bottai e poi a scrivere pel regime e i suoi giornali e a guadagnarci la prebenda. E nel dopoguerra convertiti: quasi tutti piessei o picici.
    Chissà perché?
    Sarà una sindrome psico/antropologica di amor totalitario?

    Sarà troppo chiedere agli scrittori italiani, quelli che credono nella democrazia e nei diritti dell’uomo, quelli che vendono tante copie, tipo sopra le centomila a libro, quelli che stanno già bene, non i povèr crìst che vivacchiano, di rompere il contratto con Mondadori e Einaudi di cui mister Alì Berlù & conglomerated ladronsky sono proprietari!?

    Non sarebbe ora di smetterla di far fare altri soldi a questa ghenga che ci rovina il paese?!

    Non sarebbe ora di smetterla di far chiacchiere divaganti, lunghissime e far qualche azione chiara, dimostrativa di non complicità, di non collaborazione?
    C’è in giro tanta gente, tanti giovani che tirano la cinghia, senza lavoro, sempre di più, che a sentire certe disquisizioni argomentate da “intellettuali”, gente ben piazzata, gli viene il voltastomaco interiore e esteriore.
    Sto con Galbiati che ha detto e fatto proposte ben chiare.

    Mario Bianco

  19. Errata corrige. nell’esprimere – un po’.
    Della serie “la fretta nello scrivere tra le tante (menate) che il quotidiano c’impone”

  20. per chi pensa che scrivere sia estetizzare una forma o cesellare un oggetto letterario, dannunziano è un complimento.
    dannunziano: creare il “mito” della letteratura, nei termini di barthes, cioè un’idea che la letteratura sia “questa cosa qui” e basta; o farne un simulacro della stessa, se applicassimo la società dei consumi di baudrillard alla critica.
    credere che esista una forma estetica assoluta è dannunziano. invece la bellezza è storicizzabile.

  21. Il pezzo di De Luca è inopinabilmente bello ed anche un po’ romantico (nella sua mite pacatezza di umile rassegnazione). Rimanendo in tema di metafora, è un pezzo che vorrebbe fare le scarpe a chi lo legge: mi si passi questo e vi ripago con un po’ di svogliato buonismo.

    “Lo stesso uno scrittore: è tenuto a scrivere bene le sue storie e se ha fatto questo in buona coscienza, ha meritato il rango e lo stipendio.”

    Se questo è ciò che De Luca pensa, allora il suo articolo ha delle giustificazioni: si rivolge a chi “fa” lo scrittore e il discorso fila. Ma se ci si vuole rivolgere a chi “è” uno scrittore, allora la metafora del calzolaio non può più andare bene e serve ben altro.

    Luigi

  22. Sì, scalza la verità su di un terreno incementato e male.
    C’è da ringraziare, in qualche modo, scrittori (che in tal caso prendono a esempio icalzolai) così; per le scarpe ben allacciate per il proprio cammino civile di scrittore e uomo, uomo e scrittore. Grazie a Nazione indiana per offrirci una lettura così imponente in semplicità di uno scrittore sincero

  23. Non mi pare davvero che Alcor intendesse “dannunziano” nel senso di “feticista cesellatore di parole” (anche perché francamente tutto sembra, De Luca, tranne che questo). Detta così, più o meno metà degli scrittori di ogni tempo rientrerebbe nella definizione. Penso invece che intenda “dannunziano” nel senso che d’Annunzio ha insegnato come estetizzarre direttamente l’esperienza, prima che la sua messa in forma verbale; come proporre a modello la propria “autenticità” in luogo delle vuote retoriche altrui (le retoriche sono sempre vuote, a patto che siano quelle degli altri; questo il senso della formula “vivere inimitabile”, ironica quanto poche altre: nessun autore italiano è stato imitato quanto d’Annunzio). “Andare verso la vita” insomma – come appunto esclamò una volta, volendo fare scandalo e puntualmente facendolo, il giovane d’Annunzio nell’emiciclo parlamentare (che un altro suo discepolo degenere battezzerà “aula sorda e grigia”; a sua volta De Luca, puntualmente, non manca di evocarla in questo pezzo). Una retorica come quella della frase “La scrittura non c’entra e se c’entra, segue come in una cordata su un ghiacciaio. A battere pista davanti ci pensa la vita” è – strutturalmente e fenomelogicamente – una retorica squisitamente dannunziana. E’ la coazione al vitalismo manieristico, al culto del gesto che, prima ancora di eseguirlo, è già atteggiato in forma plastica. E’ la tabe di tanti letterati italiani, fradici di letteratura al punto di ostentare il rifiuto della letterarietà. E’ la tabe di Malaparte; di tanto, tantissimo Pasolini (purtroppo); sempre di Oriana Fallaci (una della quale, chissà perché, nessuno tiene conto come scrittrice).
    Dopo di che, certo, nonostante tutto ciò li si può amare questi scrittori. Non è un caso che siano stati o siano autori tutti popolarissimi, come lo è oggi De Luca e come lo è sempre stato d’Annunzio (il prototripo e il più grande di tutti, ovviamente). Ma non voler riconoscere questo carattere – antropologico, prima che d’elezione stilistica – significa chiudere gli occhi di fronte a quella che è un’evidenza storico-genealogica della cultura italiana.

  24. Un brano sulla responsabilità. Oggi raccontavo a mia figlia che ho comprato il pane in salumeria e ho chiesto di toglierlo dalla busta in cui era sigillato e di metterlo in una busta di carta. Per strada ho pensato di aver sbagliato: perché a casa io avrei riciclato almeno dieci volte quella busta che il salumiere avrà subito gettato. Mia figlia mi ha detto: ma cosa ottieni? Ho risposto che così nascono i grandi eventi, con le piccole testimonianze. Atti di responsabilità, appunto, ad ogni scala e con i propri individuali modi.

  25. “E’ la coazione al vitalismo manieristico, al culto del gesto che, prima ancora di eseguirlo, è già atteggiato in forma plastica. E’ la tabe di tanti letterati italiani, fradici di letteratura al punto di ostentare il rifiuto della letterarietà. E’ la tabe di Malaparte; di tanto, tantissimo Pasolini (purtroppo);”

    attribuire questo proprio a Pasolini è solo una cazzata. Che altro aspettarsi dal critico in circolazione più sofferente di complesso di visibilità ?

  26. per derivazione dannunziana molto di parole e opere nel mondo letterario italiano è cascame: ma molti, grazie a dio, si son da subito sottratti a codesta fascinazione letale. la critica non altrettanto: fatta la scoperta della (per me presunta) paternità dannunziana sul novecento la tirano fuori comunque e ovunque. che sia l’ora di fare un test del dna a campione e vedere se non c’è qualche bastardo, grazie a dio, che s’è salvato, scoprire che magari uno s’è cresciuto da erede ed è stato creduto gabrieldannunziano e magari era pascoliano o sveviano o pirandelliano.
    comunque del beau geste era satura l’epoca, era tutta un’epoca di bojate anche altrove. ne parla in di qua dal paradiso persino quel bel ragazzo, francis scott fitzgerald. solo che “altrove” le mode elle son mode: passano. è qua che mettono radici, o, per pigrizia mentale si finge che siano radicate. trac! e tu tiri fuori el d’annunzio e stai a posto!
    cortellessa, io con lei non mi ci metto nemmeno, per carità, però, credo che sia ora di pensarci, a fare quella cosa, dico, del dna.

  27. @ Morganthal
    Purtroppo non è un’idea mia. Pietro Citati (un critico che in seguito di visibilità ne ha ottenuta davvero molta) la formula a proposito delle Ceneri di Gramsci già nel 1957. Pasolini, che di Citati era amico (in senso tecnico si potrebbe dire che il giovane Citati era, in Garzanti, un suo sottoposto), rifiutò sdegnosamente l’ètimo “dannunziano” (all’epoca, a sinistra, in effetti impronunciabile) ma finì per accettare il resto del ragionamento del critico. In un intervento su Accattone (che resta ciò malgrado – o proprio per questo, chissà – un capolavoro estremo) parlò, PPP, di “livello estetico di un ‘grave estetismo di morte’ come dice il mio amico Pietro Citati”.

  28. su pasolini, purtroppo, tocca convenire. ragazzi di vita e una vita violenta hanno il sapore di sangue di certe novelle della pescara.

  29. @ Cortellessa

    non posso aiutarla, provi a rilggere Pasolini fuori dalle sue categorie critiche

    da dispensa universitaria, magari ne trarrà vantaggio.

    saluti

  30. l’estetizzazione, pensare la letteratura come un problema di lavoro dello e sullo stile al fine di conseguire la pagina bella è il mestiere dello scrittore…dannunziano,
    e in questi termini de luca intendeva l’ esempio:

    Un calzolaio è tenuto a fare bene le scarpe, questo è il suo compito istituzionale. Se poi vuole darsi un supplemento di responsabilità civile, allora deve stargli a cuore la buona causa di dare libertà di scarpa e di cammino a tutti, di più a chi ne è privo.
    Lo stesso uno scrittore: è tenuto a scrivere bene le sue storie e se ha fatto questo in buona coscienza, ha meritato il rango e lo stipendio.

    tant’è che si ricorda dannunzio per la retoricità, la ricercata raffinatezza del suo stile, elaborazione fino allo sfinimento dei sensi e del lettore…che tutta la poesia contemporanea ha poi rigettato, vedi per primo l’esempio di saba.

    ci può essere differenza tra l’essere dannunziani nello stile e nel concepire dannunzianamente la propria scrittura.
    se de luca non lo è nello stile, lo è stato nel momento in cui ha preso posizione nel pensare al proprio lavoro come lavoro sulla pagina.

    sinteticamente l’arte per l’arte è dannunziana.

    pasolini, se è stato vitalistico non per questo il suo era un atteggiamento dannunziano, né nella vita (aveva un concetto corrotto dell’estetico nel reale: la bellezza di riccetto o dei malandrini, bruni, sporchi e non certo biondi), né nello stile (nessun interesse per la forma, versi esteticamente “orribili”).

    chi intende la letteratura come bello scrivere è un calligrafo dannunziano.

    uno scrittore non è tenuto a scrivere bene (bene in rapporto a cosa?), è tenuto a scrivere realmente.

  31. @ Morganthal
    Ha proprio ragione, sa? Oggi in Italia di Pasolini tutti, ma proprio tutti, dicono questa cosa. Sono decisamente un conformista. Per fortuna che c’è lei, a leggere senza paraocchi.

  32. @ Cortellessa

    Lei non è un conformista è solo vorace di vetrina, e lo vedon tutti, cmq non si preoccupi l’ultima parola e la bella figura son sue di diritto. Le lascio anche una scatola di kleenex non sia mai continui a lagnarsi.

  33. Non sono di quelli che amano De Luca, per cui posso peccare di scarsa obbiettività. Osservo comunque che dissenteria dei cecchini è espressione proprio infelice, anche per il fatto che il gran figlio di puttana che è il cecchino è tutto tranne che incontrollato e dissenterico, il cecchino se ne sta gelido, nascosto e acquattato e colpisce preciso non appena la la vittima si mette allo scoperto credendosi sicura. Poi non so se si tratti di dannunzianesimo o meno, ma di De Luca e di altri come scrittori proprio non apprezzo il mettere il peso della propria vita e dei propri atti sulla bilancia della accettazione e della valutazione degli scritti. Il lettore si ritrova lì, con gli occhiali sul naso e con il libro aperto sul tavolo, e gli pare che se rifiutasse il libro si renderebbe anche colpevole dell’affronto di rifiutare una intera umana esistenza. Ma a questo implicito ricatto bisogna ribellarsi e bisogna ricordarsi che, ovvietà tra le ovvietà, vita è una cosa e letteratura è tutta un’altra cosa.

  34. @ made in caina
    Stiamo secondo me incrociano due parametri, entrambi validi ma fra loro sostanzialmente alternativi, a circoscrivere con maggior precisione (su suggerimento di Lucy) la nozione di dannunzianesimo. E’ vero che Pasolini era anti-dannunziano nel rifiuto dell’art pour l’art (ed è vero che il feticismo del manufatto, per la calligrafia fine a se stessa, è un altro carattere antropologico che d’Annunzio sintetizza e offre alle generazioni venire), ma lo è stato solo da un certo momento in avanti (letture estese di Gramsci nei primi anni Cinquanta). La poesia in friulano è morbosamente dannunziana (oltre che felibristica e provenzaleggiante; non cade a sproposito la dedica a Contini de lonh), così come certe prove narrative precedenti ai romanzi romani. Ma la tentazione estetizzante, manieristica, torna sempre, in tutto il suo percorso (magari per metterla in scena criticamente, esibendo i propri stessi stracci: cfr. La ricotta).
    Io invece individuo un carattere dannunziano meno esteriore, più sostanziale, che è quello che Lucy ha sintetizzato nella dizione beau geste (dove l’enfasi va posta sull’aggettivo, naturalmente). La calligrafia, il feticismo, non sono più nel manufatto artistico: ma nel bel vivere come opera d’arte a priori (che al limite esenta dal controllo dei vari manufatti artistici effettivamente prodotti; e anzi incoraggia sprezzature e non chalances al limite della sciattezza: come in tanto Pasolini appunto, e in tutto De Luca), nell’offrire esempi di vita, o appunto e definitivamente nel “vivere inimitabile”. Una tentazione che tra l’altro attraversa tutti gli orientamenti politici (c’è persino in certo Toni Negri). Ma che, ricadendo spesso centripetamente nella pulsione di morte (come evidentemente nel Pasolini tardo – e nuovamente grande), finisce spesso per accarezzare fascinazioni fascistoidi.

  35. Tremenda depressione. Se dopo quanto scrive cf05103025 (Mario Bianco) nessuno sente la necessità di cambiare rotta, e anzi la discussione verte vieppiù su D’Annunzio e l’estetizzazione… Sono questi i momenti in cui penso: “è finita, non c’è davvero più nessuna speranza”. E allora forse è meglio fare un passo indietro e tacere, come diceva quello.

  36. Vorrei ricordare che l’art pour l’art è avulsa dal beau geste.
    Sono antitetiche, direi, almeno nella concezione dei poeti simbolisti e poi in George e in Hofmannsthal, la cui ammirazione [molto critica] per D’Annunzio riguardava principalmente la poesia, dove era più facile prendere abbagli.
    Il passaggio dall’arte per l’arte al bel vivere come opera d’arte è tipicamente dannunziana, e vista la sua fertilità direi addirittura tipicamente italiana.

    Questa frase di @Cortellessa (che ringrazio per aver puntualizzato quello che in effetti intendevo dire):

    “Ma non voler riconoscere questo carattere – antropologico, prima che d’elezione stilistica – significa chiudere gli occhi di fronte a quella che è un’evidenza storico-genealogica della cultura italiana.”

    é il centro di una riflessione che sarebbe arrivato il momento di fare un po’ tutti, compresi i lettori innamorati.

  37. Erri De Luca difende “pane e companatico”, come siamo soliti dire.
    Lotta Continua?… Sì, quella dei suoi interessi privati.
    Senza coerenza non si fa un metro di strada.
    La cultura? La si brucerà in trenta secondi netti. Con la contraddittorietà del proprio vivere.
    Veronica Lario dirige la Mondadori. O non vi sovviene?

  38. Dinosauro,

    Non so perché sono la sua vittima preferita.
    Non ho fatto una ricerca del benaltrismo, ma sospetto
    una critica sulla mia scarsa intelligenza.
    Sarebbe tentata di non scrivere più con slancio, ma finalmente lascio perdere. La critica permette di vedere meglio in sé, ma non quella che mi butta un commento diretto.

    Non sono in grado di proseguire una discussione come qualche commentatore
    Il mio commento voleva solo esprimere la mia ammirazione per il lavoro dello scrittore, che in realtà è la sola cosa che mi attrae. Non sono fatta per il dibattito d’idea politica o filosofica.

    E leggendo i commenti, il solo che mi ha toccato il cuore è quello di Davide Vargas.

    Qualcuno puo dirmi che cosa è il benaltrismo?

  39. per me resta puntuale la verifica di fortini delle Ceneri, sull’ esempio del pastiche, dell’antiascetismo letterario di pasolini; tutta una tradizione ben diversa dal dannunzianesimo e dalla tradizione lirica della poesia italiana.
    che poi pasolini utilizzasse schemi ermetici o dannunziani, ciò va visto all’interno del suo sperimentalismo, della tecnica del montaggio e della compositio. affidare a una parte singolare del suo stile (felibrismo) le ragioni della sua poetica significa ridurlo a uno stile. pasolini era troppo intelligente per non capire come non avesse più senso fare della poesia una questione di stile. in definitiva ritengo che la sua ultima produzione, da Poesia in forma di rosa, vada vista come un’elaborazione e una ricerca semiotica dei codici della poesia.

  40. “non apprezzo il mettere il peso della propria vita e dei propri atti sulla bilancia della accettazione e della valutazione degli scritti”

    sottoscrivo, pur non considerando antinomici i due termini.

  41. non vedo ancora come c’entri nel discorso di de luca il concetto di bel gesto, né nella critica fatta all’autore di essere a tratti un pò dannunziano nell’ assolvere alla scrittura il solo compito della buona pagina.

  42. si ma non vedo nessuna valorizzazione dell’ estetizzazione dell’esperienza nelle parole di de luca.

    forse estetizzazione del buon comportamento?

  43. Sul vitalismo, forse un po’ di filologia politica non guasterebbe (oltre a quella estetico-professorale). In soldoni: oltre al suo amore-odio per il Pci (Pasolini era alquanto viscerale, non credo lo si possa negare), l’unico gruppo politico extraparlamentre cui si sentiva vicino era Lotta Continua, al cui giornale offrì il suo servizio di direttore responsabile (allora erano c…i esserlo, ma con la sua autorevolezza Pasolini se lo poteva permettere). E Lotta Continua era il gruppo politico vitalistico-spontaneista per eccellenza. Anche De Luca ne ha fatto parte con grande adesione, e non è un caso che questa sfumatura politica lo accomuni (solo in questo senso) a Pasolini.

  44. @made in caina

    rileggiti senza pregiudizi l’intervento di cortellessa delle 17:52, facendoti magari guidare da questa frase: “proporre a modello la propria “autenticità” in luogo delle vuote retoriche altrui”

    sulla linea dell’ “autenticità” (come pratica retorica e humus antropologico) trovi la già citata fallaci, malaparte, e puoi aggiungerne altri a piacere.

    ma se qui ho trovato una segretaria nella luminosa figura di agenda alcor, non ho ancora trovato una cuoca, perciò, vi saluto.

  45. francesco pecoraro: io non ho paragonato tra loro i romanzi di pasolini, ma quanto di evidentemente dannunziano – cioè primitivo – si può scorgere in quelle opere rispetto al finto verista d’annunzio. c’è sicuramente più compiacimento in una vita violenta che non nel primo. lo dico con lo stesso imbarazzo che provai nel leggerli trentacinque anni fa: sapevo ben poco, e non c’era ‘sto ben di dio di critica, allora, in cui sguazzare: ma avvertii una stonatura. mica me la fece rilevare il buon pazzaglia imperversante. la corroborai solo dopo, con altri studi.

    come sempre, noto anch’io una veloce uscita dal solco.
    le parole semplici di mario bianco, che io avevo solo abbozzato ancor più modestamente, basterebbero per riportare il dibattito sul binario iniziale.

  46. Tutti posseggono un “carattere antropologico”, persino i santi, e non è detto che proprio lo scrittore dovrebbe necessariamente lavorarci fino a estirparlo. Quello che scrive De Luca funziona, è interessante e spesso convincente, non sembra solo un’espressione caratteriale. Ha cose serie da dire e ancora energia per mettere le proprie suole sotto ai piedi della povera fallita: vuoi processarlo? Si regola in quel preciso suo modo (a buonissimo diritto) e ce lo descrive giacché gli viene richiesto. Lo si accusa di atteggiarsi a reduce, di giocare con la propria statuina? Lo si vuole fare davvero così fesso, lui con tutti quelli che lo leggono? Il rischio è sempre in agguato, d’accordo, però… invece di andare a puntualizzargli i marroni, quante occupazioni salubri ci reclamerebbero! La deontologia per la nostra razza non fu trovata ancora. Scrivere per questo o quell’editore non è certo l’estrema fra le nostre contraddizioni, se ne incontrano di più assillanti almeno sei volte al minuto, respirare eccetera. De Luca si è espresso senza odio, forse mentre scrive, anche, respira, dev’essere da lì che vengono quelle trovate un pelo floreali. Di certo non si sente in obbligo di agghiacciarci il sangue con sorrisi da cripta.

  47. alcor, ho capito cosa intendete lei e cortellessa per dannunziano…benché io l’avessi inteso in questi termini:

    “io lo trovi un tris-nipotino di D’Annunzio sul versante letterario”.

    l’autenicità del gesto che precede la scrittura…brutto affare comunque, meglio la metaletteratura.

  48. Probabilmente “proporre a modello la propria “autenticità” in luogo delle vuote retoriche altrui” è dannunzianesimo. Non credo però che Erri De Luca faccia questo. Racconta la sua – anzi, le sue – verità “scalze” tentando di mettergli scarpe buone: insomma, di scriverne il senso nella maniera più adeguata per dirle. (Se poi la sua sia la più adeguata se ne può discutere – ho tentato di farlo in altro post – ma comunque è altro discorso).
    E afferma, poi, che si comincia (e si finisce) a essere cittadini quando si prende parte a una comunità (impossibile?) ovvero si condivide un rischio (il rischio/salvezza di Holderlin tradotto da Erri proprio a Belgrado) – e non si è buoni solo a parole. E’ in questo senso che la scrittura viene dopo. Ciò significa, mi pare, affermare che il suo specifico è quello di tracciare un senso esistenziale/politico. Ancora: “l’impegno in più” dello scrittore è quello di garantire “spazi di espressione a chiunque”: e allora, si tratta anzitutto di far parlare chi non ha voce, di creare spazi in cui quella parola risuoni, e si faccia sentire. Tutto questonon mi pare dannunziano.

  49. Se davvero la vita fosse una cosa e la letteratura tutta un’altra cosa, non me ne fregherebbe proprio nulla. Della letteratura, intendo.

  50. Mi sembra che la presenza costante di Cortellessa su NI e su altri blog sia un gran bene; Cortellessa è un critico preparato e di riconosciuta bravura, e lo sa bene; ma nonostante lo sappia bene non esita a “sporcarsi le mani”, al contrario di tanti suoi supponenti colleghi. E dico questo dopo aver polemizzato con lui abbastanza duramente non più di venti giorni fa. Non credo dunque che Cortellessa intervenga su NI per visibilità, non ne ha alcun bisogno. La sua è passione vera – che alle volte, come quando discutemmo, gli prende forse la mano. Ce ne fossero. In fondo il bello della rete è proprio questo: un avvicinamento fra chi possiede già visibilità (Cortellessa appunto) e chi questa visibilità non ce l’ha ancora e forse non ce l’avrà mai, ma non per questo non è degno di misurarsi.
    Ciò detto l’articolo di De Luca mi sembra, ancora una volta, debole; e non a caso la discussione s’è spostata su D’annunzio et similia. Allora mi adeguo ed espongo. Su D’Annunzio la penso come Berardinelli (fatto raro): poeta e scrittore medio tendente al mediocre. Perchè abbia riscosso in Italia tanto successo popolare e non solo, perché abbia avuto molti epigoni in più rispetto, per esempio, a un gigante come Montale, è da ricondurre in parte alla medietà/mediocrità della sua scrittura in parte a un carattere antropologico italico cui Cortellessa e Alcor hanno giustamente fatto cenno. D’Annunzio solletica da un lato lo scrivere bene, l’ornato che scintilla in superficie ma non rimbomba, non ha eco né profondità; dall’altro titilla il machismo, l’esibizionismo, anche certa faciloneria – perchè se è vero che la sua ricerca stilistica è accurata e frutto di scavo, il suo contenuto cognitivo e la sua originalità sono ben poca cosa rispetto ai grandi contemporanei europei. D’Annunzio è insomma una bella senz’anima – anzi al massimo una carina senz’anima, se mi si passa la freddura.
    ps: l’articolo di De Luca è debole non tanto per colpa di De Luca (la cui forza comunque non è mai stata erculea) ma perchè l’argomento che si discute oramai da un mese a questa parte non ha, temo, soluzioni rintracciabili a tavolino; sarà il tempo, la curvatura culturale e spirituale che prenderà questa nostra tormentata epoca, a stabilire se da un certo vortice vizioso e inestricabile in cui ci troviamo sbalzati come nel maelstrom di Poe è possibile uscire oppure no, anzi se sia giusto uscirne oppure “combatterlo” dall’interno.

  51. enrico macioci, smuà.
    e per aver definito l’argomento in varie salse qui comparso e quasi sempre eluso a favore d’altre disquisizioni con annessi scontri più o meno pertinenti, e per il giudizio su d’annunzio.
    parole decisive sul vate(r), scusate ma è più forte di me, mi è impossibile non fare dell’ironia triviale su di lui, le ho trovate solo in giulio ferroni. aspre, ferree (ferroni!), senza possibilità di replica: perché non c’è replica. e mi rifiuto pertanto di accettare lo stravedimento del passaggio attraverso costui di così tanta parte dei letterati del novecento.
    ci sono passati sì: ma sul suo cadavere.

  52. stacchetto subliminale :)

    Via, via, vieni via di qui,
    niente più ti lega a questi luoghi,
    neanche questi fiori azzurri…
    via, via, neanche questo tempo grigio
    pieno di musiche
    e di uomini che ti sono piaciuti…

    It’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful,
    good luck my babe,
    it’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful,
    I dream of you…
    chips, chips, du-du-du-du-du

    Via, via, vieni via con me,
    entra in questo amore buio,
    non perderti per niente al mondo…
    via, via, non perderti per niente al mondo
    lo spettacolo d’arte varia
    di uno innamorato di te…

    It’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful…

    Via, via, vieni via con me,
    entra in questo amore buio,
    pieno di uomini…
    via, entra e fatti un bagno caldo,
    c’è un accappatoio azzurro,
    fuori piove un mondo freddo…

    It’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful…

    per la gioia di alcor :)
    “soltanto lo scrittore senza pubblico può permettersi il lusso di essere sincero. non si rivolge a nessuno: tutt’alpiù a se stesso”
    cioran, sempre lui:)
    baci
    la fu

  53. macioci non dica così, potrebbe scandalizzare i neodannunziani barocchi (barocco come metafora per siciliano), i conformisti non-conformi e i post-ideologi frustrati dell’ultima ora.
    insomma, tutta l’orda della nuova destra che versa d’orgoglio ancora sul vate.

  54. solo una domanda.
    secondo qualcuno, concentrarsi sul carattere antropologico degli italiani che vedono in dannunzio una figura topica dello scrittore non è fare del sociologismo con la letteratura ?

    non vorrei che tutta la critica si riducesse a questo.

  55. Veronique Vergè sa descrivere Napoli con un ‘intensità e una carica affettva che vanno ben oltre le capacità di un madre lingua italiano.

    Dinosà, questo mo’ che è, benoltrismo?

  56. “dinosauro
    Pubblicato 17 Febbraio 2010 alle 09:43 | Permalink
    “fare scarpe buone alla verità scalza che non sa fare un passo”. Erri De Luca declina il ruolo dello scrittore nella semplice, minuziosa e paziente opera artigianale del calzolaio.”

    e io invece son felice di vedere che un tale importante intervento parte dal calzolaio che per sola sorte io cito da sempre su quando rispetto al mio passato lavoro di cantante e ora di musicista altra mi si parlava d’arte, con il voi artisti che tanto non sopporto e io sempre a dirmi artigiana e come un calzolaio, da giudicare solo col criterio delle scarpe fatte o meno bene. Comunque, togliendogli questo mio picco di vanità è intervento che condivido e trovo significativo

  57. e intanto pensavo tra me e me: e se sostituissimo alla parola e ai suoi effetti, la musica, Led Zeppelin, Velvet underground, Rolling stones, suonerebbero dannunziani ? e le interpretazioni di Glenn Gould per un verso, i concerti di Luigi Nono per un altro, sortirebbero lo stesso effetto “abbruzzese”? Vitalista è parola che fa assai paura, forse perché contiene vita così come populismo un tempo. Con tutta la stima che posso avere per molti di voi questa storia del “bisogna essere freddi di chiamata” , molto soggettivamente, mi ha assai stancato,
    effeffe
    ps
    so che rischio di essere impopolare con questa mia nota, però, per me, Erri de Luca, ‘o ttene

  58. a un certo punto di Gita al faro, Lily Briscoe, che non riesce a finire il suo quadro, dice che dipingere non e’ una cosa che si puo’ dire di fare, o si dice o si fa. nonostante io non ami de Luca penso che sia uno che comunque ha scritto piu’ di quando abbia detto di scrivere, e per questo lo leggo sempre con attenzione, e rispetto a questo suo intervento sono anche d’accordo, completamente d’accordo, che l’unico impegno e impiego utile di uno scrittore e’ essere garante del diritto di espressione di chiunque.

    dopodiche’ possiamo giustamente discutere degli atteggiamenti, di certa ieraticita’, di cosa significhi essere dannunziano e quando e dove (e tra l-altro concordo con cortellessa fino all’implicazione pulsione di morte accarezzamento di pulsioni fascistoidi), ma in questo caso Erri de Luca ha risposto, e a viso schietto, alla domanda di Nazione Indiana su quale e se ci sia la responsabilita’ dell’autore e quindi sto con Forlani, o ‘ttene.

    quando al liceo ho letto tu, mio di de Luca ho incontrato la frase In questa citta’ le donne sono urla. e io penso veramente che sia una delle cose piu’ profondamente, descrittivamente onomatopeiche scritte su napoli.

    uno scrittore fa le immagini. e nessuna maniera o ruvidezza cancella le immagini.

    e questo.
    chi

  59. Cortellessa. L’estetica appartiene al concetto di arte? Cosa c’entra la retorica. Sicuramente distiunguere concetti cosi importanti è basilare per continuare a dialogare. Il vitalismo pasoliniano che c’entra con l’estetica e la letteratura?

  60. io continuo a non vedere niente di dannunziano in de luca che a voler forzare le cose assomiglia più a fogazzaro :-)
    A meno che il termine dannunziano non sia ormai una etichetta del tutto avulsa da d’annunzio … come spesso sono oggi le etichette usate dai critici.
    La parola dannunziano a me sembra ormai più una offesa politica che una categoria critica, ed è ormai sinonimo di decadente … altra offesa molto diffusa e con chiare marcature storico-politiche novecentesche … totalitarie.
    geo
    A quando la lotta per Libera letteratura in libera politica?

  61. A me, da ignorantone senza strumenti critici, De Luca non convince del tutto, a volte ha immagini molto belle ed efficaci, come dice mi pare Lucy, ma a mio parere in generale la sua scrittura non scorre, si sente sì il sapore delle cose, la materialità (l’essenza?), ma “gli manca l’olio”, alla lunga risulta stucchevole (come dover masticare di continuo qualcosa, buono ma troppo tenace), e magari come suggerisce qualcuno all’origine c’è proprio la ricerca di un tono di voce “ieratico” che temo assomigli a una posa. Va bene leggere e tradurre la bibbia, ma fossi in lui volerei più basso, anzi, starei più leggero, che si vola meglio. Comunque ho apprezzato molto alcune cose, specie alla prima scoperta. Pure la sua vicenda personale, che lui stesso qui chiama in causa, è interessante finché non viene esibita…
    Ma si va OT, qui il discorso è un altro – scrittori e responsabilità – e lui esprime con onestà un parere che gli è stato richiesto. Nulla di decisivo, mi pare lo ammetta lui stesso, ma in questa vicenda così critica, e tanto piena di anatemi così facili da strumentalizzare… insomma, apprezzo che non pretenda di offrire una Via (nonostante il tono, sempre un po’ troppo sostenuto, ma è parere mio).

  62. @sergio (ma anche a chi voglia dire la sua su questo tema che mi preme molto):

    “non apprezzo il mettere il peso della propria vita e dei propri atti sulla bilancia della accettazione e della valutazione degli scritti”:

    In linea teorica anch’io preferisco tener distinte vita e letteratura. O vita e scienza. O vita e arte. Quando però queste coincidono, il valore di entrambe risulta per me come moltiplicato.

    Forse intimamente, credo che l’unità aggiunga valore all’opera. Non desidero coerenza a tutti i costi. Credo che la parola agisca sulla vita e preferisco sapere a chi concedere la mia piena fiducia come uomo, oltre che come scrittore.

    @Erri
    Il mio ipotetico datore di lavoro non si preoccupa di come io faccia le scarpe, se lavori bene, o male, se sia felice, o infelice: l’importante è che queste vendano. Non è proprio questo, dai piani bassi in cui le scelte sono più limitate, il problema?

    Grazie a tutti,
    Matteo

  63. I padroni hanno vinto. Hanno vinto perché la loro ideologia è penetrata nel profondo della società.
    In altri tempi, in epoca non sospetta, discussioni del genere non avrebbero avuto ragion d’essere.
    Pubblicare per Berlusconi?
    Andatelo a proporre ad intellettuali impegnati, delle generazioni che hanno preceduto le nostre. Giovani, giovanissimi e meno giovani.
    Vi avrebbero riso in faccia.
    Non esiste giustificazione alcuna, se non il fatto che tutti si deve mettere la pentola sul fuoco. Ma, per mettere la pentola sul fuoco, esistono anche altre attività lavorative, meno indecorose che lavorare per Veronica Lario e simili.
    Non esiste giustificazione alcuna, né legittimazione.
    Siete incoerenti.

  64. Matteo scrive
    “@Erri
    Il mio ipotetico datore di lavoro non si preoccupa di come io faccia le scarpe, se lavori bene, o male, se sia felice, o infelice: l’importante è che queste vendano. Non è proprio questo, dai piani bassi in cui le scelte sono più limitate, il problema?”

    In qualche modo credo che un problema fondamentale sia il confondere la letteratura e lo scrivere con il mestiere di scrittore, come quando io cantavo il mio amare e prediligere repertori e il mio mestiere di canatante. Ovvio che io potevo farlo di “mestiere” se vendevo, nel senso che requisito minimo è cantare ciò che ti viene richiesto nel momento concordato e nel posto concordato almeno non facendo scappare il pubblico o non rovinando il lavoro degli altri. E questo è fare i calzolai, poi se io sono in un certo modo sono io ad esserne responsabile, se non vado allo studio del compositore la sera credo che è solo un mio affare privato che certamente determina anche il mio cantare, ma non posso urlare allo schifo se un agente o un ente mi chiama perché riesco a tenergli incollate duemila persone di pubblico e loro vedono in me “soldi, soldi, soldi”. E’ un mestiere e anzi è anch meglio che il rappoprto sia semplicemente commerciale e io son libera di essere solo un vanitoso fringuello o una cantante che fa scelte nel mio cantare. Poi che io ami e cerchi di fare progetti e concerti che reputo importanti non posso pretendere di farlo nello stesso modo, forse verranno venduti e forse no, ma non posso basare il mio mestiere su quello, perché allora divento davvero ricattabile nelle mie scelte profonde e di persona. Quelle, come credo il comporre o la scrittura son scelte della prorpia vita e non del proprio mestiere. Poi si decide che magari per motivi di dissenso profondo con certe modalità non si lavori con alcuni enti o persone e allora se ne paga il prezzo, ma sempre secondo me nell’ambito di una indipendenza tra i progetti e le aspirazioni di un creare per se necessario e un essere un lavoratore di quel necessario. E anche quando le cose coincidono nei fatti credo che dia pulizia il sentirle e pensarle separate ma solo in quel momento coincidenti. Altrimenti per esempio Testa mai sarebbe diventato il cantautore che è.

  65. @ georgia
    Ho capito una cosa, di recente. Che molti commentatori (non voglio dire la maggior parte) postano il proprio commento senza leggere i precedenti. Io invece leggo tutto da cima a fondo, come il bravo secchione che sono sempre stato. Allora, “dannunziano” non è termine impiegato come insulto generico e gratuito. Io di fogazzariano non trovo proprio niente in De Luca, mentre i motivi secondo i quali secondo me è (spesso) dannunziano li ho scritti qui ieri alle 17:52. Si può ovviamente non essere d’accordo, ma non mi pare si possa dire che la qualifica sia stata data a mèntula.
    @ forlani
    Liberissimo di amare i vitalisti e i populisti, ci mancherebbe. Così come, spero, lascerai liberi altri di amare, al loro posto, i “professori di disperazione” (come li chiama Carla Benedetti sulle orme di Nancy Huston). L’affermazione che De Luca “‘o ttenga” mi fa sorridere. Palazzeschi, in un suo delizioso romanzetto uscito postumo, L’interrogatorio della contessa Maria, fa dire alla sua irriverente protagonista, contro i tormenti del poeta che la intervista (e che ovviamente è coll’archimandrita dei “professori di disperazione”, Leopardi), che lei è tutta per d’Annunzio perché lui, vivaddio, “ce l’ha”.
    @ Macioci
    Grazie per quanto dici di me. Ti chiedi come mai d’Annunzio abbia avuto tanti imitatori e Montale, invece, no. Beh, da un punto di vista letterario – passato qualche decennio – si può dire che Montale sia saccheggiato, dagli stenterelli di secondo Novecento almeno quanto d’Annunzio lo sia stato da quelli della prima metà del secolo (specie il Montale che già di suo svilisce e saccheggia se stesso, l’ultimo, che fra l’altro tecnicamente è assai meno arduo da imitare). Il fatto è che mentre la vita al cinque per cento dell’altro “professore” Montale non attrae granché, la biografia in technicolor e al mille per mille di d’Annunzio inevitabilmente risulta più attraente (e dunque l’imitazione è antropologica, oltre che letteraria, come si diceva prima).
    Ma l’aneddoto di Palazzeschi, o il tirare in ballo Montale, ci deve far riflettere sul fatto che anche autori ideologicamente ed esistenzialmente agli antipodi di d’Annunzio abbiano comunque sentito l’esigenza di “attraversarlo” (come Montale una volta disse di sé, per una volta con un po’ di onestà). Voglio dire che d’Annunzio non è così facile da liquidare, e se non ci si fanno i conti non si capisce niente della letteratura italiana, temo.
    @ made in caina
    Certo, se si parla di caratteri antropologici ecc. c’è il rischio di slittare verso la sociologia della letteratura. (Che, però, quanno ce vò, ce vò.) Ma i piani del discorso possono anche restare distinti. E dire per esempio che se la “funzione d’Annunzio”, antropologicamente parlando, è stata e resta perniciosa, lo scrittore d’Annunzio resta uno scrittore importantissimo. Non è un caso che “tecnicamente” lo abbiano dovuto “attraversare” un po’ tutti (Gadda e Joyce, oltre a Montale). Certo, bisogna scavare nel mucchio delle “urne inesauste” e dei “vivere inimitabile”, per trovare le sue perle (bisogna solo scavare un po’ più che dentro Pasolini, per dire). Ma ci sono, le perle, eccome. Forse, anche a scavare dentro l’opera di De Luca qualche luccichino si potrà rintracciare. Lascio volentieri ad altri intraprendenti, però, quest’ultimo gravoso compito.

  66. C’è molta più cultura, per esempio, nelle lotte materiali del Comitato antirazzista milanese, che in tutti i libri di Erri De Luca.
    E molta più verità negli occhi di quell’anziano senzacasa che staziona nei pressi di casa mia, che in tutte queste discussioni, autocelebrative dell’opportunismo dei più.

  67. Pregasi di rileggere d’Annunzio, lo scrittore col vocabolario più ricco dell’intera letteratura italiana.
    Pregasi ai vomitatori mascherati di asciugarsi la bavetta prima di entrare in casa d’altri.
    Grazie.

  68. @ véronique vergé

    benaltrismo, è un neologismo che deriva dalla locuzione “ben altro che” (bien d’autre que); vale a dire quando , rispetto alla sostanza di un ragionamento, interviene qualcuno che dice “ma ci vuole ben altro che questo ragionamento”, “occorre ben altro ” eccetera eccetera; una maniera per sviare dalla sostanza del ragionamento in atto. Poi questo viene fatto assurgere a “forma mentis”, ad atteggiamento generale, da qui, attraverso il suffisso -“ismo”, la sussunzione in categoria ideologica generale “benaltrismo”. Insomma, hai presente celui qui, dans ton language, dit toujours “il faudrait bien d’autre que ça”, ” ça, il fallait bien d’autre!” etc.
    Nelle chiacchiere dell’autismo corale e un po’ snobistico il termine “benaltrismo” viene spesso usato come una clava da agitare qua e là, senza conseguenze per fortuna. Dunque, ma chère véroni’, non te la prendere , a volte ai “dinosauri” piace “sfottere o’ pasticciòtto”, comme on dit chez nous, à Naples. En ce cas là, on agiterait ( à eux) le phantasme du “taguelisme”!.
    Bisous!

    PS . Ha ragione effeffe, de luca “o’ ttene”.

  69. Non mi piace firmare appelli, petizioni e simili sciacquature di coscienza. Se posso, preferisco stare al pianoterra dove succede attrito tra idee e ordine pubblico. In quei posti, dalla Val di Susa.

    profetismo pasoliniano.

  70. Trovare “l’oro” nell’orto di D’Annunzio è molto meno arduo che trovarlo in quello di Pasolini. Il luccichio è ben diffuso nelle sue opere, senza scavare più di tanto. L’estetica e la bellezza della coincidenza tra vita e arte che si coglie nell’opera “Il Piacere”, non riesco neppure ad intravvederla negli scritti di Pasolini. Questo mio discernere non è fondato? Cortellessa, forse può aiutarmi a vedere ciò che io non vedo.

  71. io leggo sempre, solo che ho il vizio di stare molto attenta ai particolari e a quello che connotano …quidi spesso ricevo solo messaggi non direttamente denotanti.
    Direi che sono una diversamente abile lettrice;-)
    geo

  72. Qual è la responsabilità dell’autore? La sua prassi, mi verrebbe da dire. E la prassi dello scrittore è il linguaggio. Quando esce dall’opera, non è più scrittore, diventa cittadino. Qui, al di là di ogni parola, è nei comportamenti che si agisce la responsabilità. Se la libertà dello scrittore è ben poca cosa di fronte all’illibertà di tutti, allora bisogna assumersi la responsabilità di uscire e negare – coi corpi, prima di tutto – la realtà. Altrimenti resta l’illibertà di tutti e la piccola, insignificante, ambigua e merdosa libertà di qualcuno, scrittore o grande intellettuale che sia. Mi dispiace, ma è ancora la prassi al di fuori dell’opera che determina cosa cambia o cosa s’impone. Ciascuno, davvero, si assuma la sua responsabilità. La prassi dello scrittore è il linguaggio: elle concredit sans cesse le fait, à peine de ne plus etre. Al cittadino il cessante rifiuto dell’esistente.

    sp

  73. Mi sembra che nella tesi di Cortellessa, così ben espressa, della surrettizia ascendenza dannunziana ci sia qualcosa di molto convincente. D’altra parte mi pare che questa ipotesi possa incorrere nei pericoli di chiusura all’effettiva ricchezza dei vari autori recentemente rilevati da Andrea Inglese (https://www.nazioneindiana.com/2010/02/10/per-una-critica-futura-n%C2%B0-56-editoriale/): nel caso presente, in particolare, spiegherebbe solo certi aspetti della scrittura di De Luca e del suo modo di posizionarsi, e non certo tutto.

    Mi domando che senso ha mettere in unico contenitore autori così diversi come quelli che sono stati qui citati, così diversi per poetiche e stili, con modi di presenza – rimanendo al tema della discussione – nei dibattiti culturali e politici del loro tempo. Che senso ha stigmatizzare (in nome a una filiazione più o meno diretta e più o meno ravvicinata) enormi autori, conosciuti e amati anche all’estero? (“che poi li si può anche amare“ concede lo stesso Cortellessa). Da dove viene questa bizzarra attitudine italiana a denigrare o comunque “ridurre” i propri autori, a utilizzare “griglie negative”? (il D’Annunzio narratore lo si può amare o meno, io personalmente lo ho amato incondizionatamente, ma nessuno può nascondersi che se non è riconosciuto fuori dai nostri confini come il gigante che è di fatto, è principalmente per le difficoltà di traduzione; e come dice Cortellessa stesso, tantissimi enormi autori hanno dovuto confrontarsi e fare i conti, e ce ne sono usciti più o meno bene, con lui).

    Restando a De Luca, e sempre ammettendo che la surrettizia ascendenza dannunziana sia reale e verificabile, cosa ci dice questa griglia di interpretazione sull’autore, a parte le generiche affermazioni che sono uscite anche in questo thread? C’è qualche rapporto con l’evoluzione che ha avuto la sua scrittura? (nelle sue prime raccolte di racconti, che restano tra le opere più interessanti degli ultimi vent’anni, in particolare, la “realtà” è più presente che nella produzione posteriore). C’è qualche relazione concreta con il suo modo di posizionarsi sulle questioni civili, con questa o quella sua presa di posizione? Ancora più esplicitamente: cosa “si rimprovera” di preciso ai testi attuali di De Luca (che effettivamente non mi sembrano all’altezza delle prime opere), cosa “si rimprovera” al De Luca “pubblico”? Il fatto di utilizzare il suo stile anche nei suoi interventi sulle questioni civili, può effettivamente essere visto come un nascondersi, un eludere? E come?

    E ancora: se siamo così severi con lui, come la mettiamo con tutti gli altri, che non hanno mai preso posizione su nulla, che non hanno un briciolo della sua coerenza e della sua “rispettabilità”, che non hanno mai abbracciato nessuna causa? Cosa avrebbe dovuto dire in questo intervento, e come? Cosa dovrebbe fare per avere la vostra approvazione? Come e dove potrebbe esprimersi secondo voi? Crediamo forse che i grandi quotidiani, per restare sul concreto, gli darebbero spazio, nonostante sia ora (ma per tanti anni era molto più apprezzato e conosciuto in Francia che in Italia!) agli apici delle classifiche? Cosa dovrebbe fare allora?
    E anche, e questo mi sembra ancora più interessante: il fatto di avere ora molto successo, di avere il favore dei media (ma appunto solo per i suoi aspetti inoffensivi, mi sembra), cambia qualcosa, implica delle responsabilità aggiuntive, la necessità di un riposizionamento?

  74. @ dinosauro
    Non pretendo che si condividano i miei gusti. Io di d’Annunzio amo soprattutto le cosiddette Prose di ricerca (il titolo completo è troppo lungo da trascrivere anche per i secchioni come me), quelle raccolte negli ultimi Meridiani usciti (e che amava molto Joyce, pour cause). Anche lì però c’è una quantità di fuffa nazionalistica e macabro-fascistoide, francamente illeggibile (e non, la prevengo, per censura ideologica: è proprio robaccia, ripetitiva e stentorea). Penso invece che Pasolini (narratore e poeta assai incostante) sia uno dei più grandi saggisti del Novecento, e che abbia fatto due o tre film memorabili. Cioè: anche nella parte più in vista della sua opera, a differenza che in d’Annunzio (a sua volta narratore e poeta incostante, e saggista inconsistente), ci sono delle perle macroscopiche. La differenza qualitativa, fra i due, secondo me è questa. Dopo di che, come già detto in abbondanza, sono entrambi Personaggi Imprescindibili (ma credo che lei non volesse parlare di questo).

  75. Cortellessa mi può indicare l’accecante bagliore letterario della narrativa pasoliniana. Lasciando da parte il cinema ed alcuni saggi.

  76. @lucia: “non posso basare il mio mestiere su quello, perché allora divento davvero ricattabile nelle mie scelte profonde e di persona”.
    Ok, credo di avere capito.

  77. @ Sartori

    tagliando De Luca nettamente in due, molto arbitrariamente, alle tue domande:

    “se siamo così severi con lui, come la mettiamo con tutti gli altri, che non hanno mai preso posizione su nulla, che non hanno un briciolo della sua coerenza e della sua “rispettabilità”, che non hanno mai abbracciato nessuna causa? Cosa avrebbe dovuto dire in questo intervento, e come? Cosa dovrebbe fare per avere la vostra approvazione?”

    io (che allora non ero certo PCI, come ha detto qualcuno di me qui sopra) risponderei che dovrebbe forse rivedere l’esaltazione della “generazione rivoluzionaria”, delle sue mitologie in realtà feroci, che l’energia del katanga che fu a diciott’anni, dovrebbe forse essere impiegata per darci un racconto non tinto ancora di nostalgico bianco e nero degli anni della sua giovinezza.
    Operazione che altri hanno fatto, e che forse ha fatto anche lui, ma che, se l’ha fatta, non emerge.
    Se è uno scrittore civile, e mi pare che voglia arruolarsi in questa categoria, non può esimersi dall’uscire dall’estetismo della rivoluzione dei suoi vent’anni.
    Mentre avendolo seguito un po’ mi pare che non abbia dedicato al passato una critica (doverosa, mi pare, con l’andar degli anni, per tutti, quali che siano gli esiti), ma abbia preferito aggiungere atto a atto, coprendo con ogni nuovo atto, le eventuali crepe del primo.

    Dire, come dice qui sopra:

    “Quando la mia generazione politica cominciò a entrare in massa nelle prigioni contagiò la popolazione rinchiusa. Scoppiarono rivolte, che produssero poi la riforma carceraria.”

    Da un’idea della sua “generazione politica” estremamente idealizzata. E’ vero, finirono in carcere molti innocenti, e gli altri? Che cosa pensa De Luca degli assassini? Il beau geste rivoluzionario è così forte da coprire tutto il resto?

    E qui non parlo del suo stile, anche se mi devo forzare per non farlo.

  78. @effeffe

    un po’ più OT degli altri OT

    scrivi “Con tutta la stima che posso avere per molti di voi questa storia del “bisogna essere freddi di chiamata” , molto soggettivamente, mi ha assai stancato”

    nessuno, mi pare, ha detto che bisogna essere “freddi di chiamata”

    poi, questa distinzione freddo/caldo non ti sembra, al di là dell’espressione, in sé attraente, piuttosto facilona?

    e ancora, non ti sembra che proprio l’ essere “caldi di chiamata”, se posso capovolgere, sia la cosa più diffusa, praticata, vincente a prescindere?

    E ancora, qui il calore non c’entra, c’entra, mi pare, di più il bagnato, di umori i più vari.

  79. @Andrea C.
    io mi auguro che in nessun caso un’idea, o visione del mondo, che sia la tua o la mia, prevalga su un’altra. Detto questo tu sostituisci la dicotomia da me proposta, vitalisti vs freddi di chiamata con vitalisti (e qui vorrei però capire se un Majakovskij rientri o meno per te, come per me, in questa categoria) vs professori della disperazione. Con la disperata vitalità di Pasolini come la mettiamo? e detto tra noi, il Leopardi che ho letto io, mi riesce difficile immaginarlo come professore, speranzoso o disperato che sia…
    effeffe
    per quanto riguarda la malheureuse storia della parola populismo- troppo spesso confuso con demagogia- ti inviterei a leggere alcune illuminanti ipotesi come in questo articolo pubblicato sulla reviue du MAUSS a proposito di Christopher Lasch :

    Ignorant superbement la question de la technique, c’est sous le signe du « populisme », soit comme le formule Michéa, d’un combat radical pour la liberté et l’égalité mené au nom des valeurs populaires, de cette common decency chère à George Orwell, qu’est placée cette critique des idéologies du progrès. De Thomas Paine au populisme agrarien américain ; de Carlyle au transcendantalisme d’Emerson, de Proudhon à Sorel ; du socialisme de la Guilde anglais aux Chevaliers du Travail, à l’origine du syndicalisme américain ; du théologien Reinhold Niebuhrg au mouvement des droits civique mené par Luther King, Lasch nous invite à cheminer avec tous ceux qui n’ont jamais considéré que le pays enchanté du progrès soit le seul et vrai paradis.
    effeffe

    http://www.journaldumauss.net/spip.php?article69

  80. la morte non è
    nel non poter comunicare
    ma nel non poter più essere compresi.

    E questo bestione papalino, non privo
    di grazia -il ricordo
    delle rustiche concessioni padronali,
    innocenti, in fondo, com’erano innocenti
    le rassegnazioni dei servi-
    nel sole che fu,
    nei secoli,
    per migliaia di meriggi,
    qui, il solo ospite,

    questo bestione papalino, merlato
    accucciato tra pioppeti di maremma,
    campi di cocomeri, argini,

    questo bestione papalino blindato
    da contrafforti del dolce color arancio
    di Roma, screpolati
    come costruzioni di etruschi o romani,

    sta per non poter più essere compreso.

    p.p.p.

  81. Alcor
    la questione del freddi di chiamata riguarda una certa reazione, di molti tra cui anche te però solo in questo caso specifico a una dimensione retorica, direi lirica del linguaggio. Ed è questo che incontestabilmente si rimprovera nella maggior parte dei casi, allo stile di erri de luca. Incontestabilmente la generation lirique degli anni settanta ha grosse responsabilità su certi usi del linguaggio (dallo slogan allo spot) sia che si tratti di comunicazioni di massa che di politica, ma quello che ho sempre stimato di Erri de luca è stato proprio il coraggio o semplicemente la capacità di restarne fuori. Che poi “qui”, in questo thread il pro de luca sia maggioritario, non mi sorprende visto che “qui” è assai minoritario
    effeffe

  82. Vorrei scusarmi per il mio commento che si intercala tra commenti che hanno da vedere con l’argomento. Ma è molto importante per me di ringraziare Carlo Capone che sa che il mio cuore è a Napoli, e finalmente queste parole toccano un po’ a Erri de Lucca e al suo romanzo
    Montedidio, incantato dal personaggio “il calzolaio”.
    Grazie a Salvatore per la gentilezza e la sua precisione nella spiegazione del benaltrismo.

    Un abbraccio

    véronique

  83. @cortellessa, sartori, dinosauro, alcor e altri

    Occhio amici, mi pare che si stia debordando dalla sostanza del post che, se non erro, ci invita a discutere sulla responsabilità dell’autore, in rapporto ai precedenti interventi di Helena Janeczek e Andrea Inglese, se pubblicare o meno per Berlusconi.
    Sollecitato, De Luca ha mandato un pezzo dove, in sostanza, dice di trovare la cosa un po’ aleatoria e che quel che conta , per uno scrittore, è fare bene il suo mestiere, così come per ciascuno di noi nelle condizioni date e, in rapporto all’atteggiamento da tenere nei confronti del/i Potere/i Costituito/i conclude dicendo :
    “Credo nel tentativo giorno dietro giorno di scippare ai poteri costituiti dei pezzi di verità. Oggi compito per me urgente è di sapere quanti stranieri sono stati uccisi a Rosarno nella caccia all’uomo. Nessuno: dice l’autorità. Il giornalismo attuale, senza spirito di inchiesta non sa e non può smentire la menzogna.”
    Il che mi pare semplice, sensato, condivisibile. E, sullo specifico, aggiungo ( perchè De Luca signorilmente non lo dice) che lui ha sempre pubblicato per Feltrinelli e per piccole case editrici napoletane, dunque, per lui, il problema non si pone . Personalmente farei come come Gramsci, “ogni soldo dato per il giornale nemico…” (va bbuò, altri tempi).
    Sarebbe interessante continuare ad articolare la discussione su questi temi, magari proponendo possibili vie d’uscita alle forche caudine berlusconiane circa l’editoria, visto che si parla di “impegno civile”.
    Invece debbo dare ragione a biondillo, mi pare, il quale disse in altra occasione che dopo il centesimo commento, si tende a debordare, a parlare d’altro. Come sta accadendo qui: C’è chi , dopo trentacinque-quaranta e passa anni, ancora rinfaccia a de luca i suoi atteggiamenti katanghisti/lottacontinuisti, imputando alla sua letteratura questo permanente peccato d’origine (all’epoca ero in scontro continuo e permanente con i lottacontinuisti n.d.r.); altri si lanciano in un discorso sul
    vizio permanente di d’annunzianesimo negli scrittori italiani, piccoli e grandi; e addirittura sull’incommensurabilità del “Vate” (In proposito, credevo che questa storia vecchia fosse già stata sepolta e che fosse ormai acquisito che le sue insopportabili pose estetizzanti riguardassero anche la sostanza della sua prosa , della sua poesia e dei suoi miti, rimasticature , mutatis mutandis, un po’ provinciali dei temi altrimenti trattati da D.H. Lawrence, ad esempio cfr Il Piacere, Il Fuoco, con L’ Amante di Lady Chatterley, Figli e Amanti, Donne Innamorate, Il Serpente Piumato ecc. ecc.; e sì, che sarebbe interessante farla questa analisi comparata, per vedere da dove attingeva il “Vate”). Altri, invece, ne approfittano per fare una requisitoria sulla scrittura di De Luca e sulle sue pose d’annunziane (?!), a proposito di impegno civile.
    Ora, tutti questi discorsi sono davvero interessanti ( e Cortellessa scrive, in proposito, cose interessanti), ma facciamone oggetto di altri post (Cortellessa, Sartori, Dinosauro ecc., candidatevi: detto senza ironia). Stiamo al tema, dunque, che l’ala del “benaltrismo” incombe minacciosa su di noi!

    PS. E tanto per stare in OT, comunque “sulla generazione politica di De Luca” la penso come Alcor, ma al contrario di lei, non sarei così tranciante. Mi pare che , in proposito, De Luca abbia scritto un bel romanzo anni fa (di cui ora mi sfugge il titolo), dove gli assassini non facevano una bella figura.

  84. @ dinosauro
    Penso che Petrolio sia un capolavoro, anche se c’è da credere che – se avesse avuto modo di finirlo, PPP – l’avrebbe con ogni probabilità rovinato. E ritengo assai interessanti, con pagine a tratti splendide, certi torsi narrativi ancora meno compiuti di Petrolio, che si trovano negli incartamenti intitolati Atti impuri, Amado mio e Alì dagli occhi azzurri.

  85. @ Salvatore D’Angelo
    Non ho problemi a chiudere qui la deriva OT su d’Annunzio, Pasolini ecc. Però due obiezioni al suo discorso: che De Luca abbia sempre e solo pubblicato con Feltrinelli e piccole case editrici napoletane non è vero (vedi per es. http://www.ibs.it/code/9788804553465/de-luca-erri/morso-luna-nuova.html; http://www.ibs.it/code/9788804561835/de-luca-erri/sulla-traccia-nives.html). E non è vero che la critica al “dannunzianesimo” vero o presunto di De Luca (introdotta qui da Alcor) non abbia nulla a che fare col suo testo: con la qualità letteraria del suo testo, ovviamente, ma anche con le tesi ivi professate.
    In sostanza cosa ci viene a dire, De Luca? Che la questione della “sede” è indifferente (“allotria”, avrebbe detto qualcun altro) dal momento che lui ha “fatto l’autista di convogli di aiuti nella guerra di Bosnia” e via dicendo. Cioè, esattamente: ha esposto l’esemplarità della sua esistenza – che nessuno ha motivo di mettere in dubbio; o quanto meno non ho motivo di mettere in dubbio io, ché ai tempi dei katanga e dell'”ultima generazione rivoluzionaria in Europa”, fortunatamente per me, non ero in strada a menare e a farmi menare – per tagliare alla radice ogni discussione sul merito e sul senso delle sue scelte di scrittore. Nonché, e soprattutto, delle scelte di altri scrittori.

  86. @ D’Angelo

    se vai a leggere il mio commento delle 11:53 di ieri, quello che toglievo dal discorso, proprio perché anch’io sono d’accordo, era il progetto di “scippare ai poteri costituiti dei pezzi di verità”.

  87. Leggo, da Alcor ore 12.00: “Mentre avendolo seguito un po’ mi pare che non abbia dedicato al passato una critica (doverosa, mi pare, con l’andar degli anni, per tutti, quali che siano gli esiti), ma abbia preferito aggiungere atto a atto, coprendo con ogni nuovo atto, le eventuali crepe del primo.”

    Se capisco bene, per il fatto di essere stato parte – più o meno attiva – di una generazione, uno dovrebbe fare autocritica. E questo vale proprio perché si sta parlando di uno scrittore. Quindi, se io volessi scrivere un romanzo ambientato in quegli anni, e in quegli ambienti, dovrei scriverlo sotto forma di autocritica. Dovrei scrivere un’opera morale di tipo didascalico, mascherata da romanzo, dove agli atti sbagliati sostituisco, o contrappongo, quelli sani.

    Prego iddio, o chiunque altro, di non dovere arrivare mai a un simile zdanovismo letterario.

    Ma non so se ho capito bene.

  88. @ Mauro Baldrati
    E’ vero che l’autocritica programmatica (peraltro oggi diffusissima, specie nella generazione di De Luca) è una nuova forma di zdanovismo. Ma l’autocompiacimento che cos’è?

  89. @effeffe

    io non ho nulla contro il lirismo, trovo che ce ne sia, per esempio, nelle tue composizioni verbo-visuali, se posso definirle così, che apprezzo molto.

    quando però lirismo vuol dire effusione sentimentale maritata a sbrodolamento estetizzante, come se ne vede in giro tanta, allora no, non ci sto.

    questo in generale, quanto alla géneration lirique, intuisco cosa intendi, ma io non l’ho mai conosciuta, quel che vedevo e vivevo aveva assai poco di lirico, ma, di nuovo, parecchio di estetizzante, molto gesto che spesso si è fatto azione, in un equivoco così complesso anche con le tematiche e le tradizioni resistenziali, allora molto forti, che quei ragazzi piuttosto ignoranti che eravamo non erano in grado di leggere lucidamente.

    ma chiudo tutti gli OT aperti anche da me, li chiudo, ma non sono OT di poco interesse, spero che sia chiaro, perché a volte per amore d’ordine, di restare in tema, si tagliano percorsi che sarebbe bene fare tutti insieme.

  90. @baldrati

    “Quindi, se io volessi scrivere un romanzo ambientato in quegli anni, e in quegli ambienti, dovrei scriverlo sotto forma di autocritica. Dovrei scrivere un’opera morale di tipo didascalico, mascherata da romanzo, dove agli atti sbagliati sostituisco, o contrappongo, quelli sani.”

    non so, ti sembro stupida?

  91. L’articolo di Erri De Luca mi ha così irritato ieri, soprattutto quando – assurdamente – proprio parlando di libertà di parola, sminuisce l’importanza degli appelli (“simili sciacquature di coscienza”), che ho deciso di non commentare.

    “Ho capito una cosa, di recente. Che molti commentatori (non voglio dire la maggior parte) postano il proprio commento senza leggere i precedenti. Io invece leggo tutto da cima a fondo”.
    (Cortellessa)

    Già.

  92. Cara Alcor, allora avevo capito bene. Non so se sarebbe stupida (non dico te, ché non lo sei), ma serebbe la morte della scrittura, e torneremmo ai tempi della seconda parte dei soviet. O della seconda parte della rivoluzione maoista. Ma senza spinta rivoluzionaria, così, per i benpensanti. Per cui spero proprio che voi zdanoviani non vinciate, ma che possiamo continuare a scrivere liberi senza trasformarci in moralisti di professione. E a questo punto mi tocca dire: “libertà per Erri De Luca!”

    Ma che poi non c’è pericolo, via, Bersanetti va pure a Sanremo a fare politica…

  93. @ gianni biondillo

    Rivendico il diritto al dissenso. Fossi anche l’unico a non essere con voi d’accordo. Il fantasma di Stalin è sempre in agguato, evidentemente.

  94. @cortellessa, alcor

    il mio non era un invito a chiudere gli OT, per altro interessanti, davvero, ma a proporre idee nuove, diverse, sul come sfuggire alle forche caudine dell’editoria berlusconiana ( e non a caso citavo gramsci).
    Prendo atto di quanto segnalato da cortellessa, a proposito di quanto pubblicato da de luca presso mondadori (la mia labilità mi fa brutti scherzi; è vero, ora che ci penso anche Montedidio, se non erro, è stato pubblicato con Mondadori).
    Quanto alla sostanza degli OT, il mio è davvero un invito ad aprire una interessante discussione sul d’annunzianesimo ” di ritorno”, approfondendo , comparando, entrando nel merito un po’ come ha fatto cortellessa; e mi piacerebbe che alcor , sulla scrittura di de luca, non si trattenesse, anzi….
    Quanto a PETROLIO, di Pasolini, così come è adesso, beh sì, è un grande grandissimo libro, proprio perchè ha tutta la forma “aperta” di abbozzo ispirativo, non compiuto…e dunque offre al lettore “postumo” l’opportunità di interagire attivamente.

  95. @baldrati

    tra il pensare criticamente al passato, compito a mio avviso di ogni cittadino, – e per me addirittura dovere -un lavoro che la maggior parte degli italiani, per esempio, non ha fatto dopo il fascismo, mutando semplicemente d’abito, e che se non altro per quel difetto originale, sarebbe bene che la generazione successiva, la mia e quella di De Luca, facesse, anche per sottoporre meglio a critica l’altra parte, e il fatto che tutto questo debba finire in un romanzo sotto forma di autocritica non c’è alcun rapporto.

    Tu non hai capito molto, mi pare della discussione, e nulla della mia reazione delle 13:59, se rispondi a tua volta come rispondi.

    Se è vero che ogni analisi profonda, ogni critica intellettualmente onesta del proprio passato finisce poi per emergere in qualche modo nella scrittura e la modifica, io non ho mai sostenuto una tale stupidità, e mi sorprende che ti possa venire in mente, visto che ci conosciamo webbicamente da qualche anno.

    L’ “’opera morale di tipo didascalico, mascherata da romanzo, dove agli atti sbagliati sostituisco, o contrappongo, quelli sani.” è ai miei occhi la castrazione di ogni idea di letteratura.

    perciò, non, come dici «Cara Alcor, allora avevo capito bene. », ma decisamente: «Cara Alcor, allora avevo capito male».

    E santa pazienza, aiutami tu.

  96. anch’io rivendico il diritto al dissenso. Non alle pernacchie e le puzzette, però. (a proposito: “voi” chi? Nomi e cognomi.)

  97. Alcor, lascia perdere la discussione della quale non avrei capito nulla, è a un tuo commento che mi riferivo, ed è vero, non avevo capito le tue parole, e ti ringrazio della precisazione. Anche se mi devi concedere la possibilità di una chiarezza non sufficiente da parte tua. E Comunque è di uno scrittore che stiamo parlando, non di un dibattito sugli anni Settanta o gli anni di piombo, e a uno scrittore io non chiedo nessuna autocritica. Semmai uno stile senza compiacimenti, questo gli chiedo.

  98. ma è tutto molto strettamente legato, @baldrati

    ed è tutto molto strettamente legato anche al tema a cui molti qui hanno chiesto di tornare, e cioè se sia più o meno lecito pubblicare per una casa editrice posseduta da Berlusconi, che nasceva a sua volta dalla scelta di Nori di scrivere su Libero.

    Dell’intervento di De Luca qui sopra, io condivido totalmente due cose, una l’ho già detta e riguarda il “tentativo giorno dietro giorno di scippare ai poteri costituiti dei pezzi di verità”, l’altra è l’impegno a “promuovere la libertà di parola per chiunque, compresi i suoi avversari.

    Su questi due punti non c’è discussione, sono punti basilari.

    E neppure io chiedo autocritica allo scrittore, non sono un commissario politico, invito però tutti noi, cittadini, me stessa per prima, a sapere da dove si viene per capire meglio dove si va. Noi italiani abbiamo digerito il fascismo in pochi mesi, per ragioni storico-culturali siamo meno avvezzi a essere critici verso il nostro passato, siamo simpatici, caldi, emotivi, bonari, non ci perdiamo in pedanterie, dovremmo essere anche rigorosi? eccheppalle!

  99. grande georgia!
    condivido l’alcor delle 16.22…’azz’òoh!
    abbiate pietà per il mio reiterato “d’ annunzianesimo” , con l’apostrofo..una traveggola elettronica o uno scherzo del….vate!

  100. @ Alcor
    lei chiede a De Luca, in calce al suo intervento, un’autocritica rispetto al suo periodo “rivoluzionario”. Bene. Dove posso leggere la sua autocritica? È un argomento interessante, sicuramente centrale, per lo meno se preso all’interno di un dibattito più ampio sulle forme dell’opposizione (organizzative, di mobilitazione, di pensiero teorico, etc.). Però, se permette, non è qui il luogo. Va bene che i commenti di un blog sono basati sulla perenne digressione, però, però, però … Le battute che ha fatto sulla questione sono di una banalità sconcertante, e potrebbero benissimo stare nella bocca di un Calderoli qualsiasi. Ma forse mi sono perso la sua analisi sul periodo 68-77. In tal caso, mi scuso e le chiedo: posso leggerla?

    @ Troll
    Ah! Compagno d’arme! È dura avere coltivato, oltre la militanza, il tarlo della letteratura. Per nostra fortuna le opere sono altra cosa dagli scrittori. E in ogni caso, ne conosco un paio che in Valle c’erano. Nessuno di loro, però, si presentava in quanto scrittore, né agli altri importava che lo fossero …

    @ D’Angelo, Baldrati, ancora Alcor e, indirettamente, Cortellessa
    esisteva, ai tempi della generazione di De Luca, una parte di intellettuali-militanti (persone che non facevano distinzione tra le due cose), ben al di là del pressapochismo cui probabilmente si riferisce Alcor. Rossi-Landi, Leonetti, Di Marco, Scalia … Erano interni al movimento, ma distaccati nettamente dal movimentismo. Le riviste “Che fare” e “Ideologie” hanno speso pagine e pagine di analisi critiche, arrivando a superbe sintesi anti-zdanovismo e non auto-compiaciute, con importanti ricadute teoriche anche sul rapporto tra letteratura e politica, cosa di cui qui, in un modo o nell’altro, si discute. Erano auto-critiche in atto, ben consapevoli che la critica dell’esistente non potesse che passare anche dalla critica delle proprie deficienze. E consapevoli che il segno letterario è sempre politico. Una parte minoritaria, ma non per questo meno importante. E in ogni caso, ricordo ai distratti che il 1969 operaio ha dato i natali ai Consigli di fabbrica, la forma più elevata di democrazia mai sperimentata in Italia. Ridurre tutto quel periodo ai moti di strada è riduttivo e – guarda un po’ – fa il gioco della storiografia revisionista à-là Pansa …

    sp

  101. @sp

    ben lieta di rispondere su quel che scrivo, sia pure in un commento, ma vuol segnalarmi, magari con un copia-incolla, dove ho chiesto a De Luca “un’autocritica rispetto al suo periodo “rivoluzionario”?

    ho auspicato una cosa molto diversa, proprio quelle analisi critiche che lei attribuisce alla generazione di alcuni dei nostri fratelli maggiori, come Scalia, a suo volta fratello minore di Pasolini.

    e per la seconda domanda che mi rivolge assieme ad altri, dove avrei tentato di “Ridurre tutto quel periodo ai moti di strada”?

    [vedo che impazza il “lei”, mi adeguo]

    mozione d’ordine
    @ NI
    che ne dite di fondare una scuola di lettura?

  102. Consigli di fabbrica? .. se ne fanno ancora?.. me ne ha parlato un vecchio zio.. si stà parlando di preistoria, vero?

  103. @ Alcor

    si rilegga:

    17/2, ore 11:53
    “Ciò non toglie che io lo trovi un tris-nipotino di D’Annunzio sul versante letterario, e uno incapace di interrogarsi lucidamente sulla “generazione rivoluzionaria” sul versante politico, come risulta, ripeto, dall’ultimo paragrafo di questo post, che continuo a considerare delirante.”

    18/2:, ore 12:00
    “io (che allora non ero certo PCI, come ha detto qualcuno di me qui sopra) risponderei che dovrebbe forse rivedere l’esaltazione della “generazione rivoluzionaria”, delle sue mitologie in realtà feroci, che l’energia del katanga che fu a diciott’anni, dovrebbe forse essere impiegata per darci un racconto non tinto ancora di nostalgico bianco e nero degli anni della sua giovinezza.
Operazione che altri hanno fatto, e che forse ha fatto anche lui, ma che, se l’ha fatta, non emerge.”
    [•••]
    “Da un’idea della sua “generazione politica” estremamente idealizzata. E’ vero, finirono in carcere molti innocenti, e gli altri? Che cosa pensa De Luca degli assassini?”

    Veda un po’ lei se la mia declinazione è così azzardata.

    Sintetizzare quel periodo con il rimando ai Katanga è ridurre tutto alla brutalità dei servizi d’ordine.

    Qual ora NI fondasse una scuola di lettura, mi propongo come suo insegnante.

    sp

  104. @sp

    declinazione azzardatissima e rozza, sintesi scorrette, pessimo lettore, impossibile proporla come insegnante, e dopo questa prova suprema anche interlocutore inesistente, la saluto

  105. sp, mi chiami in causa , ma lo so bene che negli anni settanta c’erano forti differenziazioni nel movimento, e conosco bene anche il cosiddetto teorema Calogero, per cui erano tutti terroristi o para-terroristi, tutti untorelli ecc. Un teorema cui aderì il PCI, causando danni incalcolabili alla cultura di sinistra di questo paese. Per cui è vero che questa richiesta di autocritica generalizzata oggi è insensata, equivale, più meno, a mettere tutte le droghe sullo stesso piano – che è purtroppo, l’idea statisticamente dominante in Italia. Però anche accettando che ci chiedano di ammettere di avere sbagliato, bene, abbiamo sbagliato, lo ammettiamo; abbiamo sbagliato a simpatizzare con gli autonomi (chi lo ha fatto), perché Autonomia si prendeva con la forza tutte le assemblee, e soffocava la libertà; ma se un autonomo di Via dei Volsci è finito in galera perché conosceva uno che conosceva uno che era un fiancheggiatore delle BR, perché così avveniva, che autocritica deve fare? Di cosa si deve pentire? A me sembra tutta paura, e ottusità, un procedimento di tipo retroattivo che ha come unico sbocco il fatto che, oggi, Bersanetti va a fare politica a Sanremo.

    E comunque, cara Alcor, devo fare autocritica come cittadino? E anche Erri De Luca, come cittadino? E va bene, facciamola pure, ma perché qui? Perché gliela chiedi come scrittore? Perché gliel’hai chiesta, alle ore 12,00. Prova ad ammettere che puoi esserti espressa male, o che hai scritto in preda all’emotività. Quello che vuoi. Io invece voglio che lui, come scrittore, usi uno stile senza compiacimenti, e se lo fa, se si libera dal sentimento basso del compiacimento stilistico, non veicolerà mai dei contenuti bassi, dei quali dovrebbe fare autocritica.

    Ma oggi? Io ho creduto nella controinformazione, nell’editoria alternativa, l’abbiamo praticata, quando c’era una spinta che andava in questa direzione. Oggi si chiedono atti individuali, mi pare. Atti di eroismo. A me mette tristezza che il tale scriva sui bollettini di disinformazione della destra, significa che ha acquisito una forma moderna di qualunquismo, o di cinismo. Oppure di perdita della memoria. E’ uno che cade in miseria. Ma il discorso dell’editore è diverso. Se non nasce qualcosa di nuovo, per esempio una forma di autogestione, una coop editoriale concorrenziale col mercato, il singolo non può fare nulla, da solo. Per esempio, mi pare che l’iniziativa di cui ha parlato Cortellessa di creare un circuito di editori che fanno pubblicazioni di qualità e non hanno la visibilità dei padroni, sia importante.

  106. @ Alcor
    quanta suscettibilità mal riposta … Comunque insisto:

    DECLINAZIONE AZZARDATISSIMA E ROZZA: lei scrive che De Luca è “incapace di interrogarsi lucidamente sulla generazione rivoluzionaria sul versante politico”; lei ne è capace? dove lo ha fatto? Magari la mia declinazione è rozza, ma non azzardata;
    SINTESI SCORRETTE: qui eccede nel giudizio; mi sono limitato al copia-incolla di sue frasi sulla questione da lei posta in precedenza; dov’è la scorrettezza?
    PESSIMO LETTORE: confermo la mia lettura (e il mio pessimismo).

    Sull’INTERLOCUTORE INESISTENTE, pazienza. Di tutto mi cruccio, meno che di risultare simpatico.

    Ricambio il saluto con un abbraccio stritolante.

    sp

  107. Effettivamente i “copia e incolla” sono parziali e non rendono giustizia alla complessità e ai distinguo che Alcor ha espresso.

  108. @ Baldrati
    condivido, tutto.

    Sp (ovvero uno che condivise, con altri, e che non rinnega – per quanto abbia ripensato radicalmente certe pratiche – il percorso dell’Autonomia torinese)

  109. @ Ares
    rispetto a cosa i copia-incolla non rendono giustizia? Guardi che mi riferivo solo e solamente alla mancanza, in De Luca (secundum Alcor), di critica del periodo rivoluzionario e non a tutto il resto. La invito a rileggere, come già indicato da Baldrati, il commento di Alcor delle 12:00, là dove è scritto:

    “Mentre avendolo seguito un po’ [De Luca] mi pare che non abbia dedicato al passato una critica (doverosa, mi pare, con l’andar degli anni, per tutti, quali che siano gli esiti), ma abbia preferito aggiungere atto a atto, coprendo con ogni nuovo atto, le eventuali crepe del primo”.

    Ma chiudo su ciò, ché son piccolezze.

    sp

  110. @ gianni biondillo

    Pernacchie? Puzzette?… Inutile il tentativo di minimizzare e ridicolizzare. Le questioni che ho sollevato sono gravi. Riguardano valori come la coerenza, l’etica e l’onestà, umana ed intellettuale. Ma evidentemente sono valori desueti, a giudicare dal tono del dibattito.
    I nomi? Ritengo inutile fare elenchi. Son tutti quelli che amano avere il piede in due, se non in tre scarpe. Antagonisti a parole, e magari si espongono anche, firmando appelli e documenti, e raccomandati dalle più “importanti” case editrici italiote. Ce n’è quanti ne vuoi, purtroppo.

  111. Cito la coda dell’intervento di @baldrati:

    “Ma il discorso dell’editore è diverso. Se non nasce qualcosa di nuovo, per esempio una forma di autogestione, una coop editoriale concorrenziale col mercato, il singolo non può fare nulla, da solo. Per esempio, mi pare che l’iniziativa di cui ha parlato Cortellessa di creare un circuito di editori che fanno pubblicazioni di qualità e non hanno la visibilità dei padroni, sia importante.”
    Per dire che, in definitiva, QUESTO E’ IL NOCCIOLO della discussione. Di proposte come queste si dovrebbe parlare ,arricchendo la discussione. Il resto è solo “confusione”, se permettete: non si può, a ogni commento, esibire il proprio pedigree; io non penso affatto che il periodo 68-77 sia stato solo “moti di strada” (quelli sono stati insensati, infimamente minoritari e -giustamente- perdenti. Quel periodo ha prodotto moltissime cose interessanti e un grande rinnovamento, anche in letteratura e nelle altre arti, così come nella società e nel costume, ivi incluse le forme della democrazia, come i Consigli di Fabbrica e lo Statuto dei diritti dei lavoratori eccetera eccetera. Resta da capire unitariamente come mai tutto questo – ora – si è praticamente dissolto. E questa è una autocritica che , sul piano politico, deve fare TUTTA la sinistra e non solo quel che resta del vecchio Pci nei suoi vari frammenti o eredi politici.
    Ma, ripeto, qui il problema è di discutere sulla proposta di Andrea Cortellessa o su altre che vanno in tal senso. Possiamo discutere di questo e su questo terreno senza permalosità e senza che si debba tirar fuori il pedigree di purezza? Sennò m’impermalisco pur’io, fondo l’ EMMEBIERRE – MBR (Movimento Benaltrista Rivoluzionario) e per gli Ipsediticisti, i Cerchiobottisti, i Sanfedisti, i Reducisti, I Narcisisti, i Dannunzisti eccetera eccetera saran cavoli amari! “O povo co eMe-eFe-A!” Ve lo ricordate lo slogan della rivoluzione dei garofani portoghesi del 1974? Vai, una botta d’umore…

  112. @ sp

    … infatti. Alla letteratura in quanto tale, antepongo la vita. E, siccome viviamo in un mondo che più ingiusto non si può, l’adoperarsi contro chi coltiva ingiustizie a danno dei semplici.
    Purtroppo, come tu dici, accanto all’indignazione politica, coltivo anche l’amore per la letteratura. Come sostiene un certo Sergio Falcone, nei commenti al post di Helena Janeczek, Pubblicare per Berlusconi?, anch’io, come lui, conosco bene quanto siano schifosi gli ambienti di cosiddetti intellettuali. A cominciare da quelli “contro”. A Sergio, la mia stima e la mia solidarietà.
    Nanni Balestrini dice di essere ostacolato, addirittura “perseguitato”. E se ne va in giro con macchina di grossa cilindrata. Lui, l’organizzatore di Romapoesia e Milanopoesia e Veneziapoesia e Vattelapescapoesia.
    Toni Negri vive a Cannaregio, zona chic di Venezia, ed ha al suo fianco donna giovane, coltissima e ricchissima. E già, perché, a detta di chi lo conosce bene, se non sono ricchissime lui, le donne che gli si avvicinano, non le degna nemmeno d’uno sguardo. Il “Rivoluzionario”, il “nuovo Marx”… Ma suvvia, cerchiamo d’esser seri!
    Due nomi a casaccio. Signori che, in quanto membri della Comunità Intellettuale Internazionale, hanno tutte le porte aperte, e in tutti i paesi, o quasi. E godono di privilegi sconosciuti alla gente comune.
    Vorrei anch’io essere stato in esilio come loro. So di esiliati che, invece, se la passano male, se non malissimo.
    Come dicevo stamane ad un caro amico, preferisco fare e tacere, piuttosto che blahterare e non fare.
    Non abbiamo bisogno di parolai, abbiamo bisogno di persone che abbiano cuore e sentimenti, piuttosto.
    Altrimenti le nostre vite saranno soltanto l’ennesima messa sull’altare della falsa coscienza (ipocrita).

  113. @ al compagno Erri De Luca

    Hai mai sentito parlare di critica della vita quotidiana?
    Evidentemente, ti è sconosciuta.
    Ti lascio i ed ai tuoi allori.

  114. @ troll
    Io non so nulla del vissuto concreto di Erri De Luca, tranne quel che lui stesso esibisce a garanzia della sua letteratura, dunque non lo commento. Ma conosco bene Nanni Balestrini. Il quale venne davvero perseguitato in nome del “teorema Calogero”, davvero dovette espatriare nottetempo, portando con sé una valigia, davvero è stato in esilio per anni, davvero è stato scagionato a posteriori senza uno straccio di scuse. E’ anche vero che ha amici illustri, all’estero e in Italia. Si vede che qualcosa ha fatto, come scrittore e come uomo, per meritarseli. Sulla “macchina di grossa cilindrata” ci ho viaggiato, una volta. Sarà del 1988; di “grosso” le restano solo i consumi. Chi lo insulta firmandosi “troll”, qui, non ha la minima idea della casa in cui vive, il signor Balestrini: col passato che ha e con l’importanza che ha tuttora. Vorrei proprio vedere Troll, a 72 anni, se sarà soddisfatto di un tenore di vita simile.

  115. a ragione troll: gli intellettuali e i loro ambienti (terrazze romane, altane veneziane, ville de palladio, ville al mare nsacoste nella macchia mediterranea, spiaggette private, yacht, bmw, palazzi sette-centeschi affrescati, hotel a cinque stelle de miami, saint moritz e gstaad, sorcone giovani e ingrifate e ricchissime, motoscafi, harr, moto di grossa cilindrata, jet set, gattinoni, hogan, crociere di lusso, bastoni con pomello d’argento, rolex d’oro veri, cravatte di marinella & foulard di hermès, rembrandt in salotto, camice bianche di seta aperte sul torasce abbronzato et catena d’oro al collo, ristoranti con piatti quadrati e camerieri col codino in completo nero, harr,) sono schifosi, repellenti.
    c’è gente autentica là fuori, che ha cuore e sentimenti VERI, smettetela di blaterare, abbandonate le vostre ricchezze e unitevi a loro piuttosto, altrimenti le vostre vite saranno piena di falsa coscienza, invece che della coscienza vera della gente vera.
    harr.

  116. @ Andrea Cortellessa

    Vallo a raccontare a chi, in queste ore drammatiche, si sta adopendando contro il progetto “Alta Velocità”.
    Dove sono finiti gli intellettuali impegnati?
    Dov’è Nanni Balestrini & co.?
    Il loro silenzio è emblematico e sospetto.
    Mai che si espongano più di tanto.
    Dov’è finito quel cenacolo di letterati, anche, di nome Gruppo ’63?
    Caro Andrea, negare una realtà, nel nome dell’amicizia, può essere commovente ed umano, ma non è giusto.
    E proseguo. Dov’erano durante le tragiche giornate genovesi del 2001?
    So di comuni cittadini che sono insorti contro quella mattanza cilena. Se lo avesse fatto qualche fine intellettuale “impegnato”, avrebbe avuto, nella società dello spettacolo, ben altra rilevanza.
    Non intendo scatenare polemiche personali. Non mi interessa. Ho fatto soltanto due esempi. Sono solidale col Balestrini costretto alla fuga. Ma ben altro destino hanno avuto compagni che avevano la colpa di non essere scrittori.
    Basta scindere la teoria dalla pratica.
    Se ne avessi l’occasione, eviterei anche di andare al bar con costoro, a prendere il solito caffè. Tanto sono insopportabili.
    Giorgio Gaber li chiamava “professionisti della solidarietà”. E ne aveva tutte le ragioni.
    Falli andare al potere, come hanno sempre desiderato… Accanto al popolo che soffre e lavora, ma pur sempre da casta dirigente. E mica so’ scemi!
    Costoro non fanno che perpetuare l’ingiustizia e l’osceno balletto del Potere.

  117. @ francesco pecoraro

    Ti ringrazio per la tua ironia, molto ben esercitata. Cosa vorresti dire, che gli intellettuali affermati non sono dei privilegiati?
    So di onesti che, piuttosto che finire “ingoiati” dalla stampa di regime, affidano le loro opere a piccole imprese editoriali. Eppure, in epoca passata, hanno goduto di ben altri riconoscimenti.
    Uno per tutti, Gaspare De Caro.
    Gaspare, quando la Giulio Einaudi editore era degna di questo nome, scrisse, tra l’altro, la prefazione a La Rivoluzione Liberale di Piero Gobetti. Ma egli è d’altra generazione, ahimé!

  118. @ Andrea Cortellessa

    Tutto qua? Mi sembrava di aver portato alla tua cortese attenzione degli argomenti ben “gravi”…
    Alla larga dagli “amici del popolo”!

  119. @baldrati

    [poi però, visto che tra i miei diritti c’è quello di evitare la noia, a queste catene di fraintendimenti non rispondo più]

    io non ho mai chiesto a nessuno, e vista l’età che ho e la memoria ancora buona mai succederà, di fare “autocritica”. Sono vaccinata, capisci? Anche se non ci sono mai passata, a parte oggi, quando un troll che si firma sp me lo ha chiesto, qui sopra.

    Trovo invece che la esaltazione di De Luca qui, nel suo pezzo, della generazione “rivoluzionaria”, sia pessima.
    Pessima perché De Luca mi sembra uno di quei reduci che, mentre altri analizzano, elaborano, sottopongono a critica [attenzione, sottopongono a critica, che se poi decidono di fare anche autocritica son fatti loro] il tempo, si attaccano al fiasco della nostalgia come gli alpini al fiasco di vino.

    Ti copincollo una frase dal commento delle 16:22 a te diretto e che evidentemente non hai letto [ma mi chiedo allora perché mi interpelli ancora]:

    “E neppure io chiedo autocritica allo scrittore, non sono un commissario politico, invito però tutti noi, cittadini, me stessa per prima, a sapere da dove si viene per capire meglio dove si va. ”

    Ti è chiaro adesso? o mi chiederai per la terza volta perché lo invito a fare autocritica?

  120. troll
    Pernacchie? Puzzette?… Inutile il tentativo di minimizzare e ridicolizzare. Le questioni che ho sollevato sono gravi.

    Sei grave, vero, ma visto l’anonimato non possiamo aiutarti.

  121. Tutti quelli che hanno qualcosa da conservare (conservatori) o da far fruttare (capitalisti) o da vendicare (reazionari), hanno sempre da mettere la “vita” – la loro esemplare vita, i. e. la morale – davanti a tutto quello che dicono o scrivono (o che fanno in generale). L’esempio primo, illustre e da meditare, italico per eccellenza, è, per rimanere nel campo del “dire e scrivere” in generale, nella massima di Catone: “vir bonus, dicendi peritus”. Ecco qua la paradossale e migliore insegna di chi vanta o millanta qualsiasi tipo di bontà che oltrepassi o venga prima delle parole. Chissà perché, ma dai tempi di Catone, gli “impegnati”, a vario titolo e posizione e settore, hanno avuto sempre da dichiarare, con grande enfasi, che essi sono innanzitutto “buoni” e veri “uomini” (vir – virtus…), autori autorizzati da un qualche mos maiorum insomma. Poi vengono il saper scrivere, il saper parlare, etc. Che non vuol dire NON SAPER scrivere o NON SAPER parlare – ma solo che scrivere e parlare sono come degli strumenti al servizio della morale, come la Bibbia in mano ai preti (ecco perché nella scrittura degli “impegnati” alligna spesso una retorica pretesca!). E la morale, poi, sappiamo tutti che cos’è – basta prendere, neanche a farlo apposta, quello che dice Plutarco di Catone (usuraio, sfruttatore, vanitoso), che è l’esatto opposto di quello che vorrebbe farci credere Cicerone. Mutatis mutandis… considerate un po’ con quanti conservatori e reazionari sotto mentite spoglie ci tocca aver a che fare… (e scusate tutto questo latinorum, ma alle volte torna ancora utile, checché ne dicano le ministresse).

  122. Noto solo adesso che secondo troll Cannaregio è una zona chic di Venezia.

    Non ho la minima idea di come e dove viva Toni Negri, ma certo viene da ridere, Cannaregio zona chic di Venezia fa il paio – come spia di quanti fumi alberghino in certe menti – con l’auto di grossa cilindrata di Balestrini.

    Parlate di quello che sapete, questo continuo sostituire il pettegolezzo al ragionamento alla lunga fa male principalmente a voi. Inquina.

  123. Nel mio mondo ideale gli scrittori dovrebbero essere tutti pseudonimi, tipo Elena Ferrante. Nessuna verifica, nessun dato biografico a disposizione, puri nomi, solo scrittura. C’è stato un momento di estasi, per me, qualche anno fa, quando durante uno sciopero dei giornalisti uscirono i quotidiani con gli articoli privi di firma. Curioso che proprio qui, in rete, la comunità di puri spiriti per eccellenza, dove l’assenza dei tratti soprasegmentali e l’anonimato non è un mero accidente ma un tratto costitutivo e una ricchezza, si sviluppi invece una curiosità morbosa verso la biografia di chi scrive. Anzi no, non è curioso, è perfettamente conseguente.

  124. “e un cazzo in culo e accuse d’ arrivismo, dubbi di qualunquismo, son quello che mi resta…
    Voi critici, voi personaggi austeri, militanti severi, chiedo scusa a vossìa”

    Verrebbe da pensare

  125. è impressionante la mole di commenti “fuori tema” che si accumulano sotto gli articoli di NI (specialmente alcuni). Se non fossero sproloqui da genietti alle elementari da mandare a Mike Bongiorno (che riposi in pace) rappresenterebbero una apologia dell’arte per l’arte.
    (Visto che ce n’erano tanti, ho pensato bene di aggiungerne uno mio).
    Luigi

  126. L’impressione è fantastica. L’ossessione del posizionamento. A destra o a sinistra di del (d)io minimo di Pierferdinando Casini.
    Ma perchè non pubblicate ogni tanto qualche buona storia invece di queste pippe e contropippe che vanno avanti da due mesi?

  127. Un consiglio a Cortellessa: i commenti sono frequentati da pochissime persone, praticamente tutte per più versi tarate: regolarsi di conseguenza!

  128. @Alcor, insomma, se uno ti chiede spiegazioni, subito ti annoi. Vabbeh, raccolgo la tua richiesta di non interpellarti più direttamente (però in futuro, se troverò commenti che mi coinvolgono personalmente, rivendico il diritto democratico di “affermare”), e come si dice in Romagna, at’salùt!

  129. Leggo solo ora; leggo – specifico – il pezzo e una parte (forse metà) dei commenti. alcor ha perfettamente ragione: dannunziano è la parola giusta, è quel tanto (molto) dell’artiere carducciano che passa in D’Annunzio, e la metafora del calzolajo, oltreché non calzante raramente ripugnante, mi ricorda la critica fascista incantata dall’arrotino di Petrolini: altro che Alfieri, altro che i tragici greci, che volevano farci intendere che la gente parlasse, agisse, fosse diversamente rispetto a quello che siamo noi (alla merda che dobbiamo essere).
    Non so che ‘stipendio’ prendano gli scrittori. Non so in che cosa si assomigljno un libro e una scarpa.
    A Biondillo vorrei dire che, a conferma del lustro in gran parte solo apparente di D’Annunzio, non credo sia lui l’autore più lessicalmente ricco della letteratura italiana: sospetto che la palma spetti a Imbriani, a Dossi. Rilessi di recente Il fuoco, che peraltro mi piace (se non altro perché D’Annunzio vi mostra il suo laboratorio, e s’ispira alla vita, vera, che faceva, con qualche occhiata anche alle sue miserie – più a quelle della Duse che alle proprie, ma tant’è). Di là da questo, anche fosse il linguajolo meglio fornito delle patrie lettere, non sarebbe pacchiano, volgare, piccoloborghese esaltarsene per questo? La lingua non appartiene a nessun autore, è strumento comune; un uso particolarmente estensivo, o ambizioso, non necessariamente coincide con un buon uso – anzi. E lo dico senza affatto pensare che la ricchezza, e persin la dismisura lessicale sia un difetto, tutt’altro. Solo che diffido, come credo debba fare chiunque abbia un minimo di buonsenso, dei cultori del tanto.
    Quanto all’ultimo paragrafo, che è veramente e del tutto entassé e delirante, contiene una notazione, quella sull’ingresso dei libri nelle carceri come conseguenza dell’osculazione di due piani, quello degli studenti contestatori e quello dei criminali comuni. Molta di quella letteratura, ma più ancòra un certo proselitismo, ha prodotto la falsa convinzione in molti delinquenti comuni di star facendo politica, come per esempio avviene in alcuni romanzi di Cesare Battisti, o affiora in tante biografie di Sguardi ritrovati (ma anche in Fascisteria di Tassinari). Che poi alcuni si siano messi al servizio di una causa magari è un fatto; ma se questa è politica il mio culo – con rispetto parlando – è un giardino. A parte il fatto che ho conosciuto fin troppi tossici storici esaltarsi all’idea della ‘politica’ che hanno fatto – e m’hanno detto anche quale -, anche questo valore ‘a prescindere’ dato alla carta stampata, alla parola scritta, è roba da zia Caterina.
    E non è quantomeno riduttivo parlare di appelli e petizioni, che sono uno strumento, difettoso quanto si vuole ma uno strumento, come di ‘sciacquature di coscienza’?

  130. @ Alcor

    Chi non conosce Venezia è bene che taccia.
    Trovo inutile continuare ad intervenire. Tempo sprecato.
    Si nega addirittura l’evidenza dei fatti.

    Per una analisi di Nazione Indiana.

    A scrive, B e C plaudono,
    B scrive, A e C approvano,
    C scrive, A e B esultano… e via cantando.

    Un perfetto circolo vizioso. E’ bene che continuiate a cuocere nella vostra broda. Glu! Glu! Glu!
    Abbassate l’ego… Di grandi scrittori io qua dentro non ne vedo.

  131. @baldrati

    ti offro il calumet della pace, e ti prego di accettarlo ma spero che tu capisca che è fastidioso sentisi mettere continuamente in bocca cose che non si son dette, avendole dette poche righe sopra.

  132. Sergio Garufi mi ha fatto piacere di citare Elena Ferrante, il mio autore favorito, in grande parte per il suo mistero e la sua manera di scrivere una realtà strana dentro i suoi libri, la sua sensibilità ai voci napoletani che accompagnano la sua scrittura.

    Ma tornando alla metafora del calzaio, penso che accenna agli artigiani
    di Napoli pieni di talento, che operano in silenzio. L’amore del lavoro ben fatto, del tempo minuto dedicato all’opera. Lo scrittore prende la misura della sua storia, taglia nella stoffa, crea modello unico per offrire ai piedi
    che non hanno trovato scarpe, quelle che andano bene per entrare nel mondo, guardare il mondo, la gente con cuore nuovo.

    L’autore non propone una verità unica, ma un riflesso di verità come un raggio di sole puo dare al mare la sua complessità.

  133. Vergé, ti sembra di aver aggiunto qualcosa che valesse la pena di essere detto, di essere letto?
    Che minchia c’entrano i voci napolitani, qui? Gli artigiani di Napoli?

  134. Anfiosso,

    C’entra con l’amore del lavoro ben fatto. Lo scrittore puo essere paragonato a un artigiano che fa con umilità il suo lavoro. Era la mi a lettura. Non ho la pretesa di aggiungere qualcosa che merita discussione.
    E’ solo che il calzolaio entra nella mia anima.

    Per fortuna, il tuo commento dà uno slancio alla discussione.

  135. A parte il fatto che intervenire collo scopo di dare ‘slancio alla discussione’ può essere solo o socievolezza o esibizionismo, e sono due cose che mi mancano, basterebbe solo intervenire in modo sensato, magari meno ma dicendo cose che stiano in piedi. De Luca non è in rappresentanza sindacale, ha solo usato una (infelice) metafora: tutto qui.
    Ma se il calzolajo t’è entrato fino all’anima, allora pace.

  136. Anfiosso,

    Preferisco quando tu mi parli gentilmente come nel commento sopra.
    Riconosco che a volte sono fuori tema o piuttosto ho molto difficoltà da esprimere un ‘idea con chiarezza.
    Ho capito che la responsabilità dell’autore è di parlare in nome di quelli
    che non hanno la possibilità di scrivere, di cogliere l’umanità in noi nella sua complessità in manera di fare emergere la bellezza, la diversità.
    In Montedidio, il calzolaio va a fare andare i ragazzi che non hanno scarpe, vanno piedi nudi: è questo nostra umanità andare come si puo nella vita.

    Anfiosso ho provato ha dire la mia idea no ? ;

  137. Non entro sulla responsabilità dell’autore,ho già espresso il mio commento all’intervento di Trevi.Noto solo,e son d’accordo,con chi sostiene che non è poi così facile liquidar D’Annunzio.Un tempo troppo esaltato ed ora troppo trascurato.Forse un riequilibrio è opportuno.

    Quanto all’intervento di Erri,mi par inzuppato di retorica,pro domo sua.

  138. @ alcor

    Concordo su quanto detto su erri de luca,e se permette,pessimo anche nel suo ultimo libro di versi,dove quanto lei va dicendo,il reducismo al fiasco,è ancora più accentuato.

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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