Face to Face
Photoshoperò per una videoconferenza “attorno al corpo di Eluana Englaro“, di Barbara Gozzi che si terrà a Bruxelles il 30 gennaio 2010. Nel rispetto dell’ altrui e della propria sofferenza. Le musiche, originali, sono del mio amico Franck Lassalle e della nostra Georgia la citazione Magritte.
I commenti a questo post sono chiusi
quale onore :-)))))
Non avrei mai immaginato che l’avresti usata, però mi piace molto la cosa.
[…] Su Nazione Indiana. […]
hai trovato la misura giusta per parlare del tema, immagini assai belle, avrei voluto però capire qualcosa di più di guattari…
E’ un post ricco, un albero che ha rami in pieno cielo.
Il volto è la nostra identità, il segno del nostro riconoscimento.
La maschera: Il volto sotto la maschera tragica del destino: un giorno abbiamo
il sentimento di avere perso il nostro volto. Siamo dietro una pelle
morta, rigida, ammalata. Il volto dice della scomparsa del mondo.
Il volto fantasma. Uno non abita il volto che possiede.
E’assorto in una vita altra. L’interiore ha divorato
la sensazione di avere una pelle.
Il volto nell’amore. Solo una carezza o un bacio dà vita
al rifletto che vedo in uno specchio. Odio il mio volto.
Non lo incontro mai.
I volti che incrociamo passano come invisibili,
eccetto uno o due che svegliano la memoria,
uno strappo negli occhi,
o la punta di un amo.
Il scrittore ha il volto del personnagio
che inventa.
Quando si vive in esilio dal suo paese,
il volto ritrova nitidezza.
La morte rende vivo il volto che hanno
custodito gli altri.
Ho trovato il post profundo, l’articolo di Barbara Gozzi
interessante e la musica crea un ambiente poetico.
Complimenti a tutti.
tiziobo è forte! :-)
le conferenze di Vincennes insieme a Deleuze le trovi su You- tube. a me interessa assai questo discorso della visageité, una categoria fondamentale per capire la sottrazione del corpo al reale. Non è l’esperienza che manca ma il corpo che ormai ridotto alla sua viseità non traduce più i suoi linguaggi relazionali autentici. Io quando incrocio una persona che balbetta – e uno scrittore che fa balbettare la sua lingua d’origine direbbe il buon Gilles- ovvero che si ri-volta alla faccia (in francese si usa la parola figure, per faccia, allora perdere a faccia è fare una brutta figura ) resto incantato.
effeffe
Si potrebbe parlare di un’esperienza di identità naufragata nello specchio.
La visagéité non sociale come è analizzata da Deleuze, ma quella solitaria.
Questo volto nel riflesso, non ho la certezza che è il mio.
E’ un esperienza angosciante.
L’intimità del volto che si porta è cosi familiare che diventa straniero.
C’è anche l’abitudine che fa dimenticare il volto, diventa un tessuto
trascurato, deformato. Si sente noia per il suo propio volto che porta nessuno desiderio.
Non si puo credere che qualcuno abbia desiderio per un volto trascurato.
Invece alla mia sperienza, qualche usare del trucco per mettere in festa il volto. Ignoro se Deleuze ha pensato a questo superficie di solitudine che è il volto.
sottile il discorso sulla lingua contro la faccia… l’ff dovrebbe fare però qualche esempio… (la mia esperienza è sul visage di levinas, che ha un senso mi sembra un po’ diverso)
Lascio anche qui i miei ringraziamenti di cuore a Francesco per l’ascolto, il lavoro e l’impegno per questo progetto. Grazie!
Barbara