Il caso Vargas

 di Gianni Biondillo 

pessoa.gif  Fernando Pessoa, Il caso Vargas, edizioni “il Filo”, 2006, cura e traduzione di Simone Celani.

Fa specie vedere come ancora oggi, residuo di un pregiudizio critico assolutamente novecentesco, molta della critica parruccona guardi con disprezzo tutto ciò che è “genere” – e quindi, nella loro schematica divisione del mondo, non appartenente di diritto alla Letteratura con la L maiuscola – mentre proprio in quegli anni del secolo passato, quando la cultura veniva fatta da grandi e più liberi intellettuali, quest’ultimi non avevano  nei confronti del “genere” pregiudizio alcuno: Montale era lettore accanito di gialli; Gadda addirittura scrisse un poliziesco (perché il Pasticciaccio lo è: furto, omicidio, indagine, poliziotto: questo è, a casa mia, un poliziesco) e pensò pure di scriverne il seguito (il sequel!); Walter Benjamin ci lasciò appunti di un Kriminalromane purtroppo incompiuto (e non certo per sua volontà!); Dürrenmatt fu l’autore di uno dei più straordinari noir di tutti i tempi (La promessa); Wittgenstein trovava molta più verità nei romanzi hard boiled che nelle riviste di filosofia accademiche; Jorge Luis Borges scrisse quattro polizieschi (“la serialità”, orrore!) insieme a Bioy Casares (“la scrittura collettiva”, orrore degli orrori!) e – tanto per concludere un elenco molto più lungo e davvero imprevedibile – Pessoa, gigante della poesia lusitana, leggeva con avidità i classici inglesi del genere che lui adorava, reputando fossero una delle più alte espressioni della letteratura contemporanea. La conferma di questa sua “insana passione” è l’aver addirittura programmato di scrivere un intero ciclo di romanzi gialli (e dà da pensare che un grande poeta decidesse di cimentarsi, in prosa, non con chissà quale romanzo borghese ma proprio col vituperato “genere”).
Il caso Vargas è ciò che resta di questo suo progetto e dobbiamo ringraziare Simone Celani, studioso appassionato, se oggi possiamo finalmente leggerlo e scoprirlo. Celani ha assemblato i fogli sparsi nel fondo Pessoa, li ha organizzati e li ha tradotti, dandoci, in oltre, un’ottima introduzione storico-metodologica. Mi rendo conto che questo è un libro più da bibliofilo (testo incompleto in alcune parti, in altre abbozzato appena), sicuramente poco attraente per il lettore distratto, che cerca un momento, legittimo, di svago. Ma vi assicuro che, se vi capiterà di leggerlo, non dimenticherete molto in fretta il protagonista del romanzo: che non è di certo il Vargas del titolo (il quale muore subito, “fuori scena”) ma, senza ombra di dubbio, l’inquietante dottor Abìlio Quaresma, logico deduttivo, scienziato, decrittatore dell’animo umano. Del suo lato più oscuro, ben inteso: quello criminale.

[pubblicato, in forma leggermente ridotta, su Cooperazione, n° 35, del 29-08-2006] 

 

 

 

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34 Commenti

  1. You right.
    Molta letteratura di genere è decisamente migliore della fiction che aspira alla Letteratura.

  2. Pienamente d’accordo con questo pezzo di Biondillo. “Quer pasticciaccio” è uno dei più bei libri del Novecento italiano e non mi si venga a fare questioni di generi e non generi. Anzi peccato che non ne scrisse il “sequel”! ;-)

  3. ciao, vi segnalo su Carmilla un saggio sul noir con alcuni riferimenti uguali a quelli presenti nel pezzo di Biondillo

  4. Le cose non succedono mai per caso, Andrea. Io Girolamo non lo conosco di persona, ma ho sempre più la netta sensazione che leggiamo gli stessi libri (e che quindi, un po’, lo conosco).

    ;-)

    (parto, sarò assente fino a lunedì)

  5. Oh, caro Blondèl,
    citastu bellissimi romanzi ed emeriti autori su cui mi sono assai divertito, siccome Pessoa mi va a sangue mi butterò comunque nel rischio, sperando che i frammenti siano bene incollati e la colla tenga cioè sia buona.
    MarioB.

  6. Io non credo si tratti di un semplice “pregiudizio critico” (e che ce ne può venire dai pregiudizi dei critici?!!). Credo (ne sono convinto, anzi certo) si tratti piuttosto di questo: prima, però, una parentesi. Gadda non ha scritto propriamente un poliziesco: ha invece usato quel genere che è il poliziesco (perché un genere, e nel senso autoghettizzante della produzione seriale e con l’unico scopo di distrarre nel suo circolo chiuso, anche solo mercantile) come pretesto (struttura di massima etc.) per dire qualcos’altro e ben più sostanzioso di un mero poliziesco. Chiusa parentesi, dicevo che il punto è piutosto questo (notare che io ho iniziato a leggere coi gialli: sia chiaro so bene di cosa parlo ed è fondato quanto dico e ogni distinguo conseguente) e purtroppo solo di striscio lo dici anche tu quando scrivi che “Wittgenstein trovava molta più VERITA’ etc.”: che cosa dice la forma (il genere) giallo? Il cuore della questione è, naturalmente, il porsi la questione stessa: anzi, farla emergere dalle pagine (tra le righe). Che Pessoa, disperso in svariati eteronomi, prediligesse i gialli è proprio per questo più che comprensibile, dato che il giallo per eccellenza è quello dell’esistenza: chi ha ucciso la mia vita, me stesso, il senso della mia vita? (E il colpevole è spesso la vittima). Più avanti centri forse meglio LA questione, scrivendo sull’indagatore (la serie a fumetti di Dylan Dog vive propriamente di questa ricerca infinita):
    “decrittatore dell’animo umano. Del suo lato più oscuro” – peccato che poi ti perdi in un’etichetta aprioristica che condivide col pregiudizio dei critici il senso della perdita della ricerca della verit: “ben inteso: quello criminale.” – perché non è il “genere criminale” ciò che interessa la letteratura (lascio la minuscola ché la maiuscola risiede nel suo senso), ma il genere umano.

  7. se il genere ha leggittimità, al pari della narrativa d’autore, non c’è bisogno di bloggare costantemente a sua difesa. Soprattutto per una questione di stile: ad esempio: non può essere Montale a scrivere costantemente a favore della poesia ermetica vs realismo. Stile.

  8. Mi piacerebbe però vedere una foto di gruppo di critici parrucconi,
    anzi gusterei ancor di più un bel dipinto in stile secentesco, tanto per esagerare, della fulgida mano di Rembrandt o per lo meno di Gian Francesco Guala ove si vedesse bella doppia fila o augusto consesso o senzasesso di parrucconi seriosi assisi intorno ad un tavolo su cui stan posati plichi scartoffie faldoni tomi volumi polverosi et unticci,
    il tutto in luce smorta di tramonto,
    vaso di cristallo con goccioline, due farfalle,
    una lucertola nell’occhio di un teschio su di un tavolinetto o gueridon,
    ecco,
    Sic transit gloria mundi

    MarioB.

  9. Una nota su Gadda e il Pasticciaccio. Nel 1992 (o 94?) ho sentito per la prima volta Pennac (a Bologna) parlare del suo ciclo di Belleville. E dichiarare il suo debito letterario verso il Pasticciaccio, che rileggeva ogni anno. Pennac aveva anche provato a tradurlo, ma non aveva trovato nel francese un idioma dialettale o para-dialettale che rendesse quello di Gadda. Io credo che tanto il Pasticciaccio quanto il ciclo di Belleville siano, dal punto di vista del “genere”, dei veri e propri gialli (del tipo “romanzo a enigma”, ma con un forte sbilanciamento verso il noir). Lo dimostra il fatto che Gadda ha sempre dichiarato di aver ben presente la conclusione del suo romanzo e il nome del colpevole (il Pasticciaccio è incompleto perché ne fu pubblicata solo la prima parte, quello che Gadda non ha più scritto, salvo 40 misteriose pagine che nessuno ha mai visto, non era il sequel, ma la seconda parte). E quando Germi girò il Pasticciaccio, Gadda collaborò alla sceneggiatura risolvendo una serie di nodi e sciogliendo l’enigma finale. Poi, come dice Manchette, ci sono sempre critici che pur di non ammettere che un giallo può essere anche un buon libro dicono che “è più di un giallo” (manchette la mette giù più dura, ma il senso è quello).

    @ Andrea: il pezzo di Biondillo mi è molto piaciuto, quindi è doveroso ringraziarti per il parallelo.

  10. mi sembra che il problema non sia di “genere” e del maggiore o minore disprezzo che questo susciterebbe nei critici parrucconi, il problema è dei libri in sé. ovvero: gadda si è mosso all’interno di un genere (il giallo) per scrivere un capolavoro, ha sfruttato uno schema tipico senza però appiattirsi nella sua mera applicazione. il pasticciaccio è un giallo ma è anche (soprattutto) molto altro, e lì sta gran parte della sua ricchezza. (pensa: se dovessi descrivere il p. ad un amico che non lo ha letto diresti: “è un giallo” o ti sentiresti come obbligato ad aggiungere mille altre cose più essenziali per la tua descrizione? che so, il pastiche linguistico, la filosofia di ingravallo, il continuo spostamento dei punti di vista del narratore etc.). gadda è gadda e lucarelli (autore più che rispettabile, è solo per fare un esempio) è lucarelli, e c’è una bella differenza.
    il critico parruccone, semplicemente, deve anche lui sopravvivere e mi pare che sia più interessante e ci sia più da studiare in un autore come gadda che in altri. o no?
    (to be continued)
    r.

  11. d’altro canto è vero che spesso c’è un po’ di viltà da parte dei critici “istituzionali”, c’è la paura di dare giudizi positivi su tutto ciò che non sia già stato canonizzato. (gadda stesso è stato lungamente considerato un minore fra i minori, prima delle intuizioni di contini e roscioni).

    in nessun secolo quanto nel ‘900 c’è stata una “dissoluzione” dei generi, a partire dalla prosa d’arte, passando per musil e finendo con magris (per tacere delle – tentate – contaminazioni fra arti diverse); la divisione per generi (a parte, secondo me, quella fra prosa e poesia, che sono due forme, non generi, differenti) è ovviamente una semplificazione capziosa, strumentale ad una (necessaria?) classificazione molto sommaria.
    il riconoscimento di un genere è semplicemente il riconoscimento di uno scheletro che può poi venire rivestito in modi molto differenti; il problema nasce, credo, quando la tassonomia si perverte in scala di valori. per il critico (parruccone, affetto da alopecia galoppante o rasta) dovrebbe venire prima l’opera, e poi questa potrà essere classificata (se e quando necessario, molto raramente) all’interno di un genere. niente di più di un’operazione critica elementare, utile a livello scolastico.
    credo che il significato della (è vero, ricorrente) frase “critica” “è più di un giallo” sia semplicemente che il testo in questione fa di più che ricalcare meccanicamente uno schema prestabilito e facilmente riconoscibile. (e la frase potrebbe, a rigore, essere detta di molti altri generi o sottogeneri, che so il romanzo di formazione ad es.).

    r.

  12. Ovviamente un commento come quello di Luigi me lo aspettavo.
    Leggo e scrivo di libri diversissimi fra loro; raramente di testi di “genere”. Qualcuno però mi spieghi: perché tutte le recensioni che ho postato qui su NI (Alice Munro, Adam Langer, ‘Al Al-Aswani, etc.), tutte su autori NON di genere, (per quel cazzo che significa) hanno ricevuto pochi, rari commenti, mentre appena scrivo di un libro di Pessoa che (maledizione!) vuole essere a tutti gli effetti un romanzo di genere, subito si scatenano le maldicenze?
    Figuriamoci cosa sarebbe accaduto se avessi scritto del succitato Lucarelli!

    Ness1, d’accordissimo che la letteratura indaga il genere umano. Ma così è un po’ vago, no? Non sono neppure dell’idea che debba sempre e necessariamente indagare il suo profondo lato oscuro. Può anche indagare altro dell’umano. Però, in questo caso, l’oscuro implica il criminale. Tutto qui.

    Sono d’accordo con “parruccone in erba”: se tutti dicessero: “è più di un romanzo di formazione”, “è più di un romanzo borghese”, “è più di un romanzo epistolare”, allora non ci sarebbe discussione. Avremmo capito che la centralità sta nel testo, e che dichiarare il genere è solo un modo (vago e non sempre leggittimo) per instradare la discussione, che poi prenderà, approfondendosi, la giusta fisionomia (è bello, brutto, scritto male, bene, colto, bifolco, elegante, rozzo, vero, falso, etc. etc.), avvicinando autori magari di generi diversi ma vicini per visione del mondo e per poetica. Altrimenti è pregiudizio critico. Cioè nulla.

    Ariciao, a lunedì

  13. In effetti Biondillo l’ultima volta che ha parlato di gialli qui su NazioneIndiana è stato quasi un anno fa (novembre 2005, ho controllato). Quindi non mi pare che difenda continuamente la categoria, come è stato insinuato.
    Io comunque sono curiosa. Studio letteratura portoghese e brasiliana a Milano, ma non ne sapevo nulla di questo libro.

  14. Gianni Biondillo: io non parlavo di “genere umano” in generale come hai inteso tu, ma in contrapposizione al mero “genere criminale” ovvero più in fondo e al di là del mero gioco di scacchi codificato nel “genere giallo”; si indaga la verità di ciò che significa umano (è più chiaro ora?), perché ci può anche illudere d’indagare altro ma questo è il limite e il punto di vista: magari non sarà il lato oscuro, se vuoi prendi il lato grigio, marrone, rosso!

  15. Non c’era nessun ‘attacco’ conro Biondillo. Certo sarebbe ingenuo pensare che ci si riferisse solo ai suoi scritti postati qui su Ni. Ci sono altri lit-blog dove chiunque, compreso il citato, può commentare e intrecciare la rete di difesa a favore del romanzo di genere.
    Più in generale mi sembra che ci sia una diffusa tendenza a focalizzare il discorso narrativo italiano sulla contrapposizione genere-narrativa d’autore. Che fa il palio con quell’altra idiozia: scrittura impegnata o non.
    Vorrei qualche discorso reale e forte sulla lingua, sullo stile. Un romanzo è questo. Uno scrittore lavora innazitutto sulla lingua. Come si fa a dire che il Pasticciaccio di Gadda entra nel romanzo di genere, se non si spiega ed esamina che lo fa con tutta la carica detonante di un linguaggio che un genere vuole sfondarlo o ri-fondarlo?! Allora tanto vale prendere per buone le categorie e dire che esiste un piano orizzontale e su questo piano Genna e Gadda coesistono alla pari.

    Insomma al di là della considerazione ‘etica’, e cioé la mancanza digradevolezza nel leggere articoli che muovono solo un pò d’acqua verso il proprio mulino, le contrapposzioni genere-non genere, realismo-sperimentalismo, sono vecchissime, puzzano d’anni settanta sessanta e non rendono giustizia all’idea che uno scrittore è tale se lavora innazitutto sul come raccontare qualcosa, e non solo su quel qualcosa.
    Fatto questo, stabilito il prinicpio etico del lavoro sulla lingua, che è principio estetico, lo scrittore potrà raccontare anche di come si cucina una pasta alla norma.

  16. Che palle infinite questo “genere”! Tutti i facitori di monnezzoni si sentono Dante! Ma andate a cagare…

  17. @ Luigi

    Concordo anch’io sull’inutilità delle contrapposizioni e dei generi tanto per far piovere sul bagnato: ha cominciato a demolirle Benjamin, nell’introduzione al Dramma barocco). E, per quel che vale, concordo anche sul fatto che uno scrittore lavora sulla lingua, meno sul fatto che se vuole può raccontare come si fa la pasta alla norma. Quello che trovo irritante (non nel tuo post, sia chiaro) è che la considerazione sul “lavoro sulla lingua” viene usata di solito come un randello contro il poliziesco o il noir, senza badare al fatto che molti autori “di genere” hanno lavorato sulla lingua. Per dire, Ellroy, Malet, Pennac, De Cataldo, King, Simenon, Cacucci, Peace, Camilleri, Welsh, ecc. hanno lavorato sulla lingua molto più di una Tamaro, che definiva i suoi libri “scrittura di ricerca” senza suscitare, mi par di ricordare, altrettanta indignazione (qualche risolino sommesso sì, però…). È che, a voler essere buoni, passa in secondo piano un certo lavoro di “sottrazione” sulla lingua, mentre altri sperimentalismi appaiono più evidentii, e sono scambiati per i soli sperimentalismi. Quando un critico (cinematografico) osserva che in Romanzo Criminale i vari personaggi della banda della Magliana si esprimono con sfumature linguistiche che sono percepibili solo da chi, vivendo a Roma, conosce le sfumature delle parlate dei diversi quartieri, non si sta evidenziando una ricerca linguistica importante?

  18. correggo l’incipit:

    Concordo anch’io sull’inutilità delle contrapposizioni e dei generi (tanto per far piovere sul bagnato: ha cominciato a demolirle Benjamin, nell’introduzione al Dramma barocco)

    sorry

  19. Girolamo, però Gadda ha scritto una splendida ricetta del risotto alla milanese. Eh, quando sei il Gaddus…

  20. il critico parruccone, semplicemente, deve anche lui sopravvivere e mi pare che sia più interessante e ci sia più da studiare in un autore come gadda che in altri. o no?”

    Parrucone, no.
    Gadda ha scritto una cosa molto più bella di Lucarelli e non solo più complessa. raffronta meglio.

    sono d’accordo con il monaco: guai mettere sullo stesso piano gadda con quell’altro… l’altro mica fa del pastiche linguistico… non si sa cosa fa l’altro…

  21. Poi che sta battaglia di biondillo…
    lui è uscito dal giallo no?
    Con Per sempre giovane.

    Dimostrando che dentro o fuori dal genere,
    se non sei scrittore d’un certo tipo non lo sei e bon.

  22. Ho controllato: Biondillo su altri lit-blog ha parlato di gialli, l’ultima volta, nel dicembre 2005 (su carmilla on line). E basta. Non è che forse ha ragione lui? Che vedete solo quello che volete vedere?
    Io comunque il libro di Pessoa l’ho ordinato: non so se è giallo o no, so che lui è un grande. :-)))

  23. A Girolamo:

    Se è per quello, quando Susanna Tamaro parlava di scrittura di ricerca non faceva ridere solo i “giallisti”.

    *

    E anche se non c’entra niente, regalo agli intenditori di ogni appartenenza una chicca che da anni conservo gelosamente nei miei archivi. A parlare è un agente della CIA che sta ripassando il russo in vista di una missione:

    “Sto rileggendo Dostoievski. I fratelli K. Solo per confermarmi che è davvero un pessimo scrittore. Un intrigo a colpi di scena di bassa lega, una lezione di morale pesante, e uno stile da settimanale scandalistico.”

    Robert Ludlum, The Prometheus Deception, 2000

  24. L’assioma Genna-Gadda era chiaramente ironico, quindi non aggiungo altro. Non per mancanza di rispetto a Genna, ma per ragioni banalissime di gusto; e visto che siamo nel campo aperto dei generi andrebbe distinta la letteratura – come ricerca dei modi di raccontare una cosa – e qui mi sentirei di aprire anche un fronte un pò polemico con Saviano – andrebbe distinta dicevo dalla pastiche o dal cut-up gioranlistico-cronachistico sul genere L’anno luce.
    Da amante di Izzo, come di King, non condividerei nessuna pretesa di ulteriore contrapposizione per cui la legittimazione della scrittura come ricerca (ma anche questa è un’altra parola che non condivido, perché chiunque sieda ad una sedia per dar vita ad un progetto libro fa automaticamente ricerca – semmai sono gli esiti che vanno giudicati, ma la scrittura è innatamente sempre ricerca) dicevo che non userei quella come grimaldello contro il noir ecc… il problema dei generi è banalmente un problemino; per ogni scrittore il vero problema è scrivere: cioé creare un qualcosa che abbia una portata morale: riprendo dalla Valduga: ‘la grande letteratura ha una portata morale, il che significa che deve insegnare qualcosa, deve commuovere e deve dare piacere; ha una funzione conoscitiva, emotiva, erogena.’
    Io ci credo.

  25. “Noir” vende perché è lì, nell’amigdala, boh, chi ci capisce nulla col cervello? da quelle parti insomma s’assomma la somma di tutte l’altre cose del mondo. La televisione. Noir è televisivo come l’ispettore Derrick. Dunque è. Pulsatilla è fucsia come le sciarpe degli ospiti di quella androconduttrice a cui manca il rutto libero dopo la Peroni gelata. Noir va bene insomma. Noir vende. Così dicono. Poi vai a leggere Un giorno dopo l’altro e ti domandi E i correttori? Ma a Einaudi qualcuno l’ha letto? chi l’ha emendato? Hanno fatto la sana recensio? macché.
    Un errore dopo l’altro sarebbe stato più appropriato. Gadda fa accedere l’alba dalle persiane mezze rotte, dunque non v’era dubbio che fosse stato usato a effetto.
    Ripeto: mi pare la classe dei primi della classe. Non per criticare. Magari molti lo saranno. E infatti dall’alto dei loro scritti guardano passare miserrimi commenda commentatori che azzardano guadare. A volte qualcuno fa la fine dei clandestini gommonati… aiut glu glu glu…___________________________________________

  26. il critico parruccone, semplicemente, deve anche lui sopravvivere e mi pare che sia più interessante e ci sia più da studiare in un autore come gadda che in altri. o no?”

    Parrucone, no.

    sì, lo so anche io che gadda “ha scritto qualcosa di più bello”, semplicemente mi sembrava inutile sottolinearlo.

  27. con-cordo con luigi almeno su una cosa: non occorre tutte le volte che si parla di un libro giallo (genere è sinonimo solo di giallo, da queste parti, o noir, e non per esempio pornografico e non rosa e non fantascienza, per dire, o spionaggio, o guerra, sempre per dire) impostare tutta la tiritera sui generei, contro i critisci parrucconi, ecc.
    un po’ perché è noiosa.
    e un po’ perché suona come un’excusatio non petita.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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