Anteprima Sud/ Marek Bienczyk

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Breve storia del travestimento
di
Marek Bienczyk (Traduzione di Paola De Luca)

Il 25° anniversario della nascita del movimento Solidarnoc è stato celebrato con una cerimonia ufficiale grandiosa, ritrasmessa in diretta dalla TV. Gli scioperanti di allora, venuti a celebrare il proprio coraggioso passato, oltre che ai discorsi delle autorità e dei vari segretari di Stato americani, hanno potuto assistere al concerto di Jean-Michel Jarre, la cui presenza ha suscitato vivo interesse in Polonia ; ricevuto, tra gli altri, da Lech Walesa, l’artista ha rilasciato delle interviste e le sue foto hanno tappezzato la stampa « people ».
Dopo avec illustrato altri grandi avvenimenti storici, centenari, bicentenari, liberazioni, rivoluzioni, restituzioni eccetera, passando da Parigi a Mosca, da Mosca a Pechino, e in molte altre città sublimate dalla Storia, Jean-Michel Jarre, molto in forma, ha dispiegato i suoi suoni e echi nella scenografia del cantiere navale di Danzica. Così la cerimonia, portata dalla musica trascendente, emozionante, si è trasformata in una festa universale, come se ne erano viste a Parigi, a Mosca, a Pechino.
Gli scioperanti che prima di allora non avevano mostrato alcun interesse alla musica di Jean-Michel Jarre, hanno potuto sentirsi essi stessi trascendenti e universali.
Tuttavia, alcuni di loro hanno compreso che gli avevano rubato la cerimonia, travestita in festino universale, in festa democratica astratta e eterna, e hanno rinunciato a partecipare.
Come dice Jarry (e Jarre) : « L’azione si svolge in Polonia, cioè in nessun luogo”.

L’agonia e la morte di papa Giovanni Paolo II, come si sa, avevano suscitato nel mondo intero, e nella fattispecie in Polonia, reazioni emozionali profondissime. Tra cui, occorre notare, un repentino desiderio di riconciliazione e di perdono. In piazza San Pietro, a Roma, durante la cerimonia funebre, i due mortali nemici, Lech Walesa et Aleksander Kwasniewsky, Presidente della Polonia, si sono stretti la mano per la prima volta dopo la sconfitta di Walesa alle elezioni presidenziali del 1995 ; l’informazione era sulle prime pagine dei giornali. A ciò si preferisce la riconciliazione dei tifosi delle due squadre nemiche di Cracovia (l’esempio è stato seguito da altri tifosi in tutto il Paese). Insieme, sono andati davanti alla finestra da dove il papa suoleva rivolgersi ai giovani durante i soggiorni in codesta città, hanno annodato le rispettive sciarpe et hanno pregato fianco a fianco. I commentatori hanno parlato di rinnovamento morale, di rivoluzione etica, di bontà naturale dell’uomo, di una nuova e migliore vita che s’apre nel nostro paese, guidato dall’esempio del papa. La stampa settimanale ha pubblicato interviste a filosofi specialisti dell’etica e a sociologi che hanno discettato su tale rinascita morale della nazione. Una settimana dopo, le risse e i disordini di fine partita hanno ripreso gagliardamente, ci sono stati addirittura dei morti, i lupi travestiti momentaneamente da agnelli hanno ritrovato coltelli e identità.

Non c’è parola che ricorra più della parola « trasparenza » nei discorsi politici, economici, etici e sociologici. « La trasparenza non è più negoziabile », scrive Thierry Libaert nel suo libro « Transparence en trompe-l’œil » (2003). « La trasparenza – dicono F. Aubenas et M. Benassayg che egli cita, s’afferma come la sola ideologia che non si può più tradire ».
Ho fatto una minuziosa ricerca su Internet, volendo verificare quante volte il termine è stato usato negli ultimi quindici giorni sulla stampa d’espressione francese. Il programma ha rifiutato di visualizzare i risultati, poiché le referenze erano troppo numerose – migliaia. Nella nostra realtà post-comunista, questa parola è stata a lungo misconosciuta. Poteva funzionare solo nel linguaggio poetico o concreto : un tessuto trasparente, un vetro trasparente. Poi, all’improvviso, da un anno, ha invaso tutti i discorsi ufficiali ; prima delle elezioni legislative di settembre è diventata una delle parole-chiave di tutti i candidati, da sinistra a destra.
All’inizio, qui esisteva solo nella sua forma « internazionale » : si usava il termine transparentny per il contesto politico ; per stoffe, vetri, cristalli et metafore poetiche si preferiva il polacco : przejrzysty o przezroczyst. Attualmente, la versione internazionale sta scomparendo e la parola locale assume tutte le funzioni.

La « trasparenza », uno dei 63 vocaboli del « dizionario » di Kundera, è divenuto un cliché inevitabile, base di ogni promessa elettorale. Importato (assieme a alcuni importanti casi di corruzione) dall’Occidente, nella fattispecie dalla Francia, leader mondiale del vocabolo, nel giro d’un anno si è intrecciato a titoli di giornali, a nomi di comitati– come, per esempio, « la Polonia trasparente » – azione civica di controllo delle istituzioni pubbliche. Ma la carriera più folgorante è quella fatta nei discorsi di ciò che si chiama qui « la lustrazione », ovvero il processo di verifica del passato delle personalità pubbliche.

Nel numero 42 dell’Atelier du Roman, ho parlato della « lista di Wildestein », lista dei nomi di tutte le persone (agenti, confidenti e vittime senza distinzione) che figuravano negli archivi dei servizi segreti comunisti. Rivelata recentemente, tale lista ha sconvolto la vita politica polacca. In seguito, le cose sono evolute. Dei politici di primo piano, leaders o membri di direzione di partiti (derivati spiritualmente dal movimento Solidarnosc) che hanno vinto le precedenti elezioni, avevano affermato il postulato di una trasparenza totale : dovrebbero essere rivelati pubblicamente e essere accessibili su Internet non soltanto i nomi i cui dossiers si trovano negli archivi dei servizi segreti comunisti, ma anche tutti i documenti relativi, comprese le registrazioni segrete delle loro conversazioni private di venti o trent’anni fa ; ciò col nobile scopo di evitare manipolazioni future. D’ora in poi, dicevano, non si potrà più accusare nessuno innocentemente ; dal momento in cui tutto sarà trasparente, la stessa vita politica sarà più chiara, non ci saranno più ricatti, menzogne, sottintesi, minacce, ecc.
Confessione personale : nel marzo 1981, in pieno periodo Solidarnosc, ci fu una provocazione in una città di provincia di nome Bydgoszcz : dei capi locali del sindacato furono malmenati dalle milizie. I capi di Solidarnosc proclamarono lo sciopero generale. Si era sicuri che l’intervento sovietico fosse imminente e che il caso Bydgoszcz servisse da pretesto, ma non si poteva non reagire. Lo sciopero sarebbe cominciato l’indomani ; ho preparato uno zaino e sono andato all’università ; essendo uno dei capi della “gioventù Solidarnosc” della mia facoltà, volevo essere sul posto di buon’ora. Il cielo era azzurro e limpido, l’università ancora vuota e improvvisamente ho sentito come un’ondata di felicità : per la prima – e forse l’ultima – volta della mia vita, la paura era completamente scomparsa, mi sentivo pronto a tutto e nello stesso tempo spensierato. L’immagine di quei momenti, che ho conservato per anni, è qualla della trasparenza. Un’immagine quasi kantiana : avevo in me una falda d’aria trasparente che respiravo con gioia, e il cielo limpido al di sopra, anche lui trasparente.
Mi è sempre piaciuta la trasparenza, non so perchè : i quadri di Hopper, le grandi vetrate nei ristoranti, le biglie di vetro, le case di vetro ; forse perchè il mio primo ricordo d’infanzia è felice e legato a una sensazione di trasparenza. Due anni fa, ho cominciato a scrivere un saggio sulla trasparenza, ingenuamente, sulla trasparenza che amo, che mi assilla ; mi risulta difficile finirlo, perchè la parola è stata talmente stravolta che non corrisponde più a niente di reale.

Negli ultimi tempi, sfogliando « La vie est ailleurs » per trovare il frammento che preferisco, quello in cui Jaromil ha paura di spogliarsi per fare l’amore con una ragazza a causa di certe mutande cinesi particolarmente brutte (è da dettagli di questo genere che si rivelava, meglio di qualsiasi discorso politico, la realtà comunista), mi sono domandato quale dettaglio d’abbigliamento potrebbe oggi attirare uno scrittore che volesse rendere la realtà postcommunista attraverso un concreto esistenziale. Ho finito per scegliere i vestiti comprati nei negozi chiamati « second hand shop » et che noi in Polonia chiamiamo szmatex, (straccio) o lumpex, (barbone) con il suffisso ex che allude ironicamente al famoso Pewex, magazzino statale di lusso in cui, al tempo de comunismo, si poteva comprare in dollari (o franchi, o altra divisa) della merce inaccessibile nei normali negozi. Da qualche anno, la carriera di questa formula d’acquisto è folgorante. A tal punto che un recente progetto mirante a limitarne l’espansione è stato reso caduco grazie allo sforzo congiunto della lobby lumpex (che ha investito importanti somme di denaro) e del pubblico, che si diletta nel far compere allo szmatex tutti i giorni (gli psicologi parlano addirittura di una nuova droga, la « szmatomania »).
La densità dell’insediamento degli szmatex ha dell’incredibile. Nella zona dove abito io, un quartiere centrale, ce ne sono quattro in duecento metri quadri, giusto accanto ai palazzi dei ministeri. Ogni settimana c’è un nuovo arrivo di merce, di gente (poveri e ricchi senza distinzione) che arriva une mezz’ora prima dell’apertura e poi s’accalca all’interno. I prezzi sono bassissimi, ma la merce è veramente dignitosa. Si possono trovare camicie di gran marca, come Boss e Dior (quella di Boss che porto mentre scrivo, l’ho pagata ottanta centesimo d’euro) e non si tratta mai di roba deteriorata : camicie, pantaloni, giacche, sono per lo più d’origine europea, francese, tedesca, italiana, scandinava. All’improvviso, passeggiando per le strade delle nostre città, ci si rende conto che la gente è vestita bene. Ciò si nota ancor più nelle campagne. Per la verità, vedere contadini con magliette di marca Klein o giacche a logo Boss, dà l’impressione di partecipare a uno spettacolo di Kantor. La gente è ben vestita, ma nello stesso tempo sembrano tutti mascherati ; a volte mi pare d’assistere a un carnevale quotidiano, incessante, in cui niente appartiene a nessuno, eppure tutti hanno l’aria di star bene.
Un uomo nuovo è nato, l’uomo con qualità. Questa qualità esteriore, questa eleganza ugualitaria sembra lo stadio ultimo, estetico, del processo d’uniformizzazione e d’indifferenziazione iniziato in Europa più di un secolo fa.
Delle mutande Klein avrebbero dato più forza al povero Jaromil, avrebbero aggiunto del plusvalore ai suoi svaghi amorosi ; oggi, non lo aiuterebbero per niente. Gli oggetti, nel mondo postcomunista, cominciano a perdere il loro potere magico ; dobbiamo riconoscere in ciò un’altra desacralizzazione del mondo. Perchè vivere sotto il comunismo voleva anche dire : amare gli oggetti. Non soltanto desiderarli (ce ne erano così pochi), ma amarli. Conferirgli un supplemento d’essere, credere a una loro esistenza intrinseca, quale prodotto intermediario tra l’uomo e il mondo. I romanzi di quel tempo riservavano molto spazio agli oggetti. Oggi, gli oggetti spariscono lentamente, surrettiziamente dalla nostra letteratura. Certo, ci sono ancora, ma in quanto gadgets, aggiunte, senza alcuna essenza propria. Dietro, c’è il vuoto, un vuoto mascherato da bella materia e bella forma.

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3 Commenti

  1. Articolo bello quanto denso di contenuti.. mi ha fatto venire in mente l’ultimo passaggio di un testo di T. Scarpa

    “Io sono la Romania dopo la fine
    dell’impero sovietico. È bellissimo
    che arrivino finanziamenti esteri,
    è commovente sentirsi contesi.
    È luminoso, è nuovissimo questo
    supermercato aperto nel mio cuore.”

  2. credo che il piccolo gruppo del KOR (COMITATO DI AUTODIFESA OPERAIA), di ispirazione liberalsocialista e libertaria, che anticipò Solidarnosc, formato da Kuron, Michinik e dal glorioso Marek Edelman (già comndanta della rivolta antinaziasta del Ghetto di Varsavia), non si ritroverebbe nella Polonia “democratica” (e ipercapitalista) di oggi…

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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