Tedoldi, Updike

di Francesco Longo

Giordano Tedoldi è uno scrittore che sa cos’è la Letteratura. Il suo libro mette in luce la debolezza strutturale di molti suoi colleghi, gli scrittori che nelle interviste o nelle presentazioni affermano con vanto: “Mi sono formato su fumetti e telefilm”, “Il mio immaginario sono i videogiochi”, “Non leggo narrativa, sono cresciuto con Playstation e cinema”. A questi autori (oggi sono moltissimi) bisognerebbe rispondere: “E si vede”, e non leggerli più.


Tedoldi racconta la stessa identica realtà che raccontano i suoi colleghi (le fidanzate, le auto, il sesso, la città, la vita), ma con mattoni fatti di un altro materiale. Nella bandella di presentazione Marco Lodoli lo definisce “il lato interno di Ammaniti”, definizione oscura, che però si rifà proprio ad uno di quegli scrittori che si vanta dell’abuso di videogiochi. Ma se l’albero di mele origina le mele, la Playstation origina testi bidimensionali (pur bellissimi e scorrevolissimi), la Letteratura può originare (non è detto) altra letteratura. Tedoldi, visti i risultati, deve essersene alimentato.
Questo libro credo vada letto alla luce di questa distinzione fondamentale. Lodoli, per esempio, rintraccia in Tedoldi “spietatezza”, “disgusto”, “disperazione”. Vero, ci sono. Ma usare oggi queste parole vuol dire preparare il lettore a leggere l’ennesimo libro che racconta: “Ho ucciso i miei genitori perché usavano un bagnoschiuma assurdo, Pure&Vegetal” (Aldo Nove, Superwoobinda). L’incipit di Aldo Nove è stato un incipit geniale. Ha creato qualcosa che non esisteva. Ha portato qualcosa che stava fuori dalla letteratura dentro la letteratura. Ma in questo trapianto di organi è avvenuto quello che i trapianti rischiano sempre: il rigetto. Il contrabbando non è riuscito. La letteratura, alla lunga, rifiuta di essere costruita con le marche dei bagnoschiuma, con schizzi di sangue, o con sigle di programmi tv, perché preferisce gli scacchi, le candele, le pistole. E Tedoldi è uno che scrive di scacchi, candele e pistole. La letteratura, alla lunga, non vuole personaggi istintivi, irrazionali, anaffettivi, spinti solo dagli impulsi, illogici (i personaggi cioè che ci hanno avvilito negli ultimi anni), vuole dei disperati veri, che usino parole come “dolore” e “anima”, e Tedoldi, queste due parole le usa.
Se al posto di vagabondare nei centri commerciali si ingoiano i classici russi, la probabilità di dar vita a storie letterarie aumenta. La Letteratura affiora in questi racconti così: “Presero quel treno insieme”; “Chissà se qualcuno mai ci perdonerà”; “Perché siamo tristi?”; “Abbassò lo sguardo e finì le patate”; “Spero proprio che stanotte nevichi”. Tedoldi deve aver mangiato Čechov, non i Mars.
Detto questo bisogna dire che forse a Tedoldi la letteratura non interessa. Non so se la cerchi o no, forse non ne può fare a meno e basta. Anzi, uno dei temi ricorrenti di questi racconti è il disprezzo verso la società intellettuale: “questo sottobosco di intellettuali romani cui appartengo”, contro i quali spara a zero: “amo i miei amici scrittori, gli voglio bene come ai miei piccoli fratellini mongoloidi”; “le donne non sanno scrivere”; “tutti intellettuali senza scampo”.
La seconda cosa che Tedoldi conosce è l’angoscia. Oggi tutti scrivono dell’angoscia. È più facile ostentare l’angoscia che la bellezza, perché risulta più immediata. Non c’è una mostra fotografica che per raccontarci l’angoscia non metta in scena corpi nudi trafitti da spilloni. Very easy. Sembra sia la cosa più facile da descrivere solo perché gli artisti pensano che sia sufficiente sbatterla addosso allo spettatore. L’eleganza, la raffinatezza, o la bellezza si annullano se sono ostentate (l’efficacia arriva proprio nel momento in cui si nasconde il progetto, l’intenzione di essere raffinati o eleganti). Per i prodotti artistici brutti, fastidiosi, si pensa che questo lavoro di nascondimento non vada operato. L’idea è: riempio le scene di sangue e torture, ti ho spaventato. Riempio le pagine di sesso, ti ho mostrato il vuoto esistenziale. Tedoldi riempie le pagine di angoscia proprio perché si preoccupa sempre di servirla coperta, protetta, occultata. Cerca di tenere angoscia e sesso sempre appena visibili. L’angoscia qui dilaga e colpisce duramente proprio perché non è sbattuta in faccia al lettore. Sintesi di quanto dico, mi pare stia in una frase esemplare lasciata tra le pagine del libro: “ho delle bellissime occhiaie”. Questo fa Tedoldi, crea sofferenza perché ne costruisce un’estetica, predica il decoro della disperazione, esige rigore al posto della volgarità, aborrisce la sciatteria, mette in scena sempre personaggi che cercano in qualche modo di “soccombere con dignità”.
Nei racconti di Io odio John Updike al fondo di questa cupezza rimane, è disonesto non dirlo, una fortissima tensione verso la felicità (è anche questo, certo, che mostra l’infelicità). Un personaggio vorrebbe avere sulle pareti di casa un Adamo ed Eva: “quando mi alzo la mattina ed entro in salone voglio vedere una coppia unita da Dio in persona”. Un altro, piagnucoloso come tutti gli altri, si lamenta: “ho bisogno di te come non mai. È quasi peggio che amarti”.

apparso il 29 marzo su “Il riformista”

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14 Commenti

  1. Non sapevo nemmeno che Giordano avesse pubblicato un coso/romanzo: per me lui è bravo; lessi le sue prime cose su Maltesenarrazioni e sempre mi piacque, in particolare un racconto detto “Genius”.
    auguri a lui
    MarioB.

  2. Se posso dire una cosa, premettendo che questa è un’opinione e che ognuno ha la sua, penso anch’io che l’articolo di Christian Raimo su Liberazione non fosse tanto sensato. Cosa c’entrano il libro di Aldo Nove e il libro di Mario Desiati con “Io odio John Updike”? Se c’entrano qualcosa – se mi do la mia risposta, essa è “Niente!” – non emergeva dall’articolo di Christian, solitamente, invece, penna sensata.

  3. Vorrei anche aggiungere che mi pare però forzato fare di Tedoldi l’anti-Nove, conferendo a Tedoldi il polo positivo e a Nove quello negativo di una letteratura giovan(il)e che tenta di raccontare, sostanzialmente, l’angoscia di essere vivi e giovani e, non direttamente, scrittori. Ciascuno ha la sua forma. In Tedoldi colpisce che il dato “locale e spaziale contemporaneo e autobiografico” (i Parioli, l’essere di destra, e di Roma) non sia puro autocompiacimento. Ma nemmeno in Nove il dato “locale e spaziale contemporaneo” (Viggiù, gli iper, McDonald’s) era puro autocompiacimento. La modalità di elaborazione di questi elementi è diversa, ognuna valida, perché riesce nello scopo di non essere pura e acritica datità. E di lirismo ne sanno parecchio tutti e due.
    Il problema è che in Italia spesso si adopera un approccio contenutistico nei confronti della forma. A quello contenutistico sui contenuti, non voglio nemmeno accennare, tanto è un discorso mai accettato.

  4. chi ha cancellato il commento nel quale si diceva che il mio articolo faceva cacare? io no.

  5. Divertente l’incipit di Francesco Longo. Un bel mattone ai nuovi, giovani, grandi, straordinari scrittori e poeti che si autoproclamano a vicenda grandi, giovani, straordinari interpreti della loro stessa scrittura…

  6. che schifo. c’è la censura pure qui. ma del resto censurava pure scarpa, me lo ricordo bene. FASCISTI DI MERDA.

  7. corvo joe. non so chi l’abbia tolto. io lo rimetterei, vero. a parte il tono, poteva darsi benissimo che il mio articolo sembrasse qualunquistico o che.
    insomma tutt’altro che fascismo. stiamo parlando di idee su un libro e di come uno scrive. e magari – visto che i commenti ci stanno per questo – uno esprime le sue opinioni. voltairrianamente tuo. c.

  8. finalmente un grande pezzo per il grande tedoldi. quello di raimo invece è sciatto (fa cacare) e confuso. si vede che aveva bisogno di 100 carte (non so quanto paga liberazione), il prezzo dell’articolo.

  9. Scusate, va bene che ho scritto in preda al rimbambimento della domenica mattina e ho sforato di anacoluto ogni tanto, ma ripristinata l’opinione del corv(acci)o Joe, parte il DIBATTITO su Giordano Tedoldi? E tu, Christian, ce spieghi o no il tuo articolo?
    No, è che mi interessa l’argomento; ho trovato il libro di Giordano caratterizzato, innanzitutto, da una scrittura davvero consapevole.
    E poi mi mancano quei bei dibattitoni che finiscono a coltellate… :0)
    Salutini, una donna che non sa scrivere.

  10. @ Gianni, OT anzi OB (OFF BLOG)

    Carina la tua battuta sullo scrittore “di peso”… ;0)

  11. non conosco francesco longo, ma condivido tutto ciò che ha scritto su tedoldi, che conosco molto bene.

    complimenti a longo, oltre che per i contenuti, per come ha scritto il pezzo. anche lui evidentemente, invece di giocare alla playstation, ne ha letta di letteratura!

    infine: è triste che, invece di scrivere, vi divertiate a sfogare la vostra frustrazione per l’incapacità di essere originali e geniali, vomitando insulti contro raimo. provate a percorrere la vostra, di liberazione, invece di attaccarlo, dicendogli che aveva bisogno di 100 euro.

    questa offesa è squallida, triste ammissione di un’intelligenza scorticata dalla rabbia di non vedere il vostro nome sul giornale. questa offesa è vigliacca, perchè gioca sul luogo comune per il quale chi scrive sui giornali di letteratura non se la passa bene. questa offesa è stupida, perchè pesa il valore di un commento in funzione del potere economico di chi lo esprime. questa offesa è vigliacca, perchè veicolata tramite il web. vigliacca, sì, perchè se fossi raimo e me la esprimeste in faccia, vi spaccherei il culo.

    un bacio alle donne ed una stretta di mano a chi tra le gambe ha il palo
    henry chinasky

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