L’ormai attestata egemonia degli autori sperimentali in Italia

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[Il testo è stato pubblicato su Culturalia.]

di Marco Giovenale

Qua e là in siti web e riviste di letteratura si legge che la scrittura sperimentale, e specialmente la poesia di ricerca, sarebbe “egemone” nel nostro paese.
Trovo sia assolutamente fondato. A fatica la mattina mi faccio strada, in tram, fra gente che tiene ostentatamente aperto davanti a sé “il verri”; alcuni per tutto un viaggio in bus godono a infastidirti urlando al cellulare i propri progetti di traduzione di testi di Robert Smithson, di Kaprow, di Morris. Altri cianciano di Gysin. Viene la nausea. Cosa vogliono? Si ha la sensazione di essere circondati. Si ha questa sensazione, ogni giorno.
Non se ne può più di questi bestseller del cutup. Così come trovo “indegno di un paese civile” (credo si dicesse così, prima che gli Egemoni bandissero espressioni simili) che in edicola con il Corsera + 5 euro diano addirittura libri di Robbe-Grillet, ristampe di Isgrò, di Arno Schmidt. Basta con le prose brevi di Beckett, coi saggi su Christian Dotremont, su Gallizio.
Da Feltrinelli è letteralmente impossibile entrare senza imbattersi in scaffali e scaffali fitti di Costa, Niccolai, Cacciatore, Porta, Cagnone, Mesa, Pizzi, Toti, Reta, Beltrametti, Vicinelli, Spatola, Villa. Praticamente non ti puoi girare da nessuna parte. Villa e Burri, Burri e Villa; e Fontana. È un martellamento senza fine.
In prima e seconda serata sui teleschermi delle tv nazionali e private si sprecano ore sui cento anni di Duchamp. O sulla poesia visiva italiana degli anni Sessanta e Settanta, sui suoi rapporti con Noigandres; in radio ci decantano Blue Lion Books, il neodada, l’assurdismo, Pierre Alferi, Tao Lin, la sperimentazione a Firenze oggi, il Mulino di Bazzano ieri. Continue monografie su Julien Blaine. Su Tom Raworth. I media sono in una morsa. E il 90% del mercato librario italiano è in mano al monopolio Camera verde. Anche Mondadori cede. È di oggi l’annuncio della pubblicazione del meridiano di Lucio Saffaro.
Tentano di stare al passo.
In tv la domenica a pranzo, e nei vari inserti dei quotidiani nazionali considerati maggiori, in manifesti in discoteca, sui mezzi pubblici, nelle aule di tribunale, alla posta, per strada, per proclami pubblicitari, fin nei fogli delle messe sui banchi delle chiese, praticamente ovunque, fioccano adesivi situazionisti, valigette fluxus, traduzioni da Tarkos, da Gleize, da Bernstein, da Hejinian, non si fa che ciarlare di Langpo e Flarf, riandando penosamente a quella piovra dell’Oulipo. La versione italiana dell’antologia In the American Tree, di Ron Silliman, tradotta abbastanza tempestivamente già sul finire degli anni Ottanta da ben tre majors editoriali italiane in concorrenza, è arrivata alla ventesima ristampa. Caso più recente: le traduzioni einaudiane dei due celebri testi di Jean-Michel Espitallier, l’antologia Pièces détachées e la serie di saggi Caisse à outils, non mollano la cima delle classifiche, ormai da mesi. Non si parla d’altro. I nostri figli a scuola imparano Pagliarani a memoria. La corruzione è senza freno. Dilaga in Vaticano, addirittura. È agli ultimi colpi di lima l’enciclica di Benedetto XVI, Manent experimenta verbis, fili. Indirizzata a Nanni Balestrini.
Non c’è corsivista ed editorialista televisivo o radiofonico che non abbia pile e pile di cd di files scaricati da (o riferibili a) Ubuweb, PennSound, EPC. Sono questi i materiali che dettano il ritmo dei rotocalchi, delle colonne di terza e addirittura di prima pagina, dei mensili, dei settimanali più forti anche politicamente.
Si può dire che Rizzoli, Mondadori e Einaudi, per tacere di Bompiani, siano totalmente proni a questa deriva, a questo flusso di sperimentalismo. Non stampano che autori POL, Bleu du ciel e Green Integer. Le copertine sono da decenni ormai tutte affidate o a Magdalo Mussio o agli statunitensi ed europei che fanno nuova poesia verbovisiva o asemic writing. Dove sono finite le belle copertinacce kitsch di una volta, con i rami contorti se il libro è un horror, e le tinte pastello se è un rosa? Apocalisse. Sono finiti i gialli, non ci sono più giallisti, dove sono i giallisti? C’è ancora qualcuno che scrive un giallo in questo paese? Dove siete spariti tutti?
Si deve tornare alla normalità. A un qualche ordine. Come abbiamo potuto tollerare che si sia dedicato un intero paginone di Repubblica a Jeff Derksen e alla Kootenay School of Writing? Siamo alla follia. Gli editori Arcipelago e Camera verde stanno stracciando le vendite di Garzanti, Marsilio e Guanda messi insieme. Siamo a un testa a testa. Gli ex colossi non ce la fanno a tenere il campo. Tentano con ogni manovra di sottrarre spazio ed autori alle edizioni indipendenti ma egemoni. Fioccano contratti a cinque e sei zeri per autori di poesia di ricerca.
Infamanti siti come www.gammm.org sono al centro di convegni e antologie, i suoi autori scalano le classifiche dello Strega, del Campiello, del Viareggio. Non c’è incontro pubblico, specie in sedi prestigiose e in facoltà italiane drammaticamente munifiche di sovvenzioni, in cui i redattori di gammm non siano invitati a parlare, a raccontare balle sulle loro insulse traduzioni, a discettare di poesia contemporanea fingendo di lamentarsi di una disattenzione che non esiste. Scandaloso, “è semplicemente scandaloso”. Un incubo; è come chiedere un caffè, alzare gli occhi, e vedere che a sorriderti non c’è il barista ma Wittgenstein.
Non sei più sicuro di niente.

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71 Commenti

  1. Azzo allora corro da Andrea Semerano per beccarmi un po’ de’ sordi (la moneta non l’attore). Comunque Marco più che un sogno è un incubo! se tutti se mettono a ricercà qua nessuno trova una cippa
    effeffe

  2. evvèro, basta, io ne ho veramente le tazzine piene di ritrovarmi quel wittgenstein dietro il banco tutte le mattine, col suo sorriso ebete e le sue miscele incomprensibili

    eccheppàlle, non bastava il duo giovenale-bortolotti tutti i giorni dalla defilippi e alla vitaindiretta in contemporanea, adesso mi ritrovo anche ogni mattina alla messa delle sei il santino di roversi sull’inginocchiatoio

    e, diciàmocela tutta, ne ho pure i tavolini rotti a ritrovarmi tra i piedi, a ogni seduta spiritica, quel simpaticone del mussio che vuole illustrarmi il le pareti del salotto

    ecco cos’è un regime totalitario, altro che papi e il troiaio che lo circonda

    ribelliamoci, il grande fratello ha nome e cognome e sede sociale

  3. e una definizione di “autore sperimentale”? e, soprattutto, tale “autore sperimentale” resta “sperimentale” a vita o poi passa ad altra categoria? ed al vostro buon cuore, quali sono le vie *canoniche* perché ciò avvenga?
    no, perché qui non si capisce più niente e ci si perde, ma di brutto.

  4. una situazione inaccettabile. e che dire di wolfram scazzerberg, ormai nobel annunciato? e del deviazionismo multiprocellare? e della scuola di hundenfleischen? è terribile.

    io quasi quasi mi suicido.

  5. grande mark! finalmente il nostro potere è venuto alla luce. non dobbiamo più nasconderci negli attici newyorkesi, nei nostri aerei privati in rotta sopra il pacifico, nei caveau delle banche che controlliamo. potremo finalmente correre felici per le strade, vestiti di shantung e urlando “viva joyce, viva burroughs, viva l’oulipo!”

  6. questo articolo mi pare un modo moderatamente astuto, moderatamente efficace e vagamente tendenzioso di dare visibilità a ciò che si ama, alla propria idea di poesia, e al proprio gruppo (cfr. le menzioni del gruppo gammm co-fondato da giovenale, con indirizzo internet riportato per esteso, la menzione della Camera Verde, minuscolo editore e centro culturale romano cui fa riferimento il gruppo gammm etc.), prendendo spunto da un “caso” inesistente: “Qua e là in siti web e riviste di letteratura si legge…”.

    non esiste infatti alcuna querelle intorno a una presunta egemonia della poesia di ricerca in italia. “qua e là in siti web e riviste di letteratura si legge” infatti anche l’esatto contrario di quanto riporta giovenale. prendo un esempio a caso, recente e – significativamente – non proveniente da un sito di “poesia sperimentale” (www.rebstein.wordpress.com): a conclusione della nota di presentazione ai testi di una poetessa esordiente, francesco marotta conclude “E’ una poesia in cosciente controtendenza rispetto alla deriva di pura rappresentabilità, cantabilità e affettività che caratterizza come un morbo la produzione italiana degli ultimi anni.”
    siamo quindi davanti alla naturale dialettica dell’arte:
    opinioni divergenti che si confrontano.

    ovviamente l’ironia che regge il pezzo di giovenale si basa su una fallacia (nella quale di certo l’autore incorre consapevolmente): la scrittura sperimentale, la poesia di ricerca, potrebbero davvero essere “egemoni” nel nostro paese, senza che ciò dovesse comportare una loro visibilità diffusa nei media di massa, e
    tantomeno una awareness del grande pubblico, quali quelle su cui ironizza giovenale.

    l’egemonia della poesia di ricerca in italia si dovrebbe invece misurare in base alle pubblicazioni, agli interventi critici specializzati, alle recensioni (magari anche sulle pagine dei quotidiani nazionali, e.g., del “il manifesto”), ai titoli delle collane di poesia contemporanea di un certo rilievo (e.g., le lettere, luca sossella) etc. non certo in base agli allegati del corriere della sera, ai cartelloni pubblicitari e a ciò che legge la gente in tram. e il risultato dell’indagine saprebbe – probabilmente – rilevare un certo “successo” recente di questa poesia, qualora i fatti venissero misurati con il metro appropriato. forse non si riscontrerebbe una “egemonia”, ma è ovvio che il termine “egemonia” è qui inadeguato: in mancanza di una citazione da una fonte precisa, dobbiamo pensare che lo abbia scelto giovenale stesso, a fini dialettici, per vivacizzare il discorso, che altrimenti avrebbe rivelato ancor di più la propria pretestuosità.

    la realtà – mi sembra – è che esistono differenti correnti nella poesia italiana contemporanea. alcune di queste hanno un’etichetta, e alcune l’hanno perché la vogliono avere: poesia sperimentale, poesia di ricerca (curioso anche come giovenale non metta in dubbio che chi parla di “poesia di ricerca” si stia riferendo a lui e al suo gruppo). l’avere un’etichetta sembra quasi far parte della definizione di questa poesia di ricerca e sperimentale (ansia del manifesto). l’identità della “poesia di ricerca” come la intende giovenale sembra dover essere sempre costituita, non è mai data, sembra voler esistere soltanto per opposizione: oggi che gode di una certa attenzione dal (piccolo) mondo della critica di poesia italiana si deve scagliare contro chi l’accusa di egemonia.

    è forse anche interessante notare che con il recente successo della poesia sperimentale e di ricerca e l’attenzione critica ad essa rivolta siamo di fronte ad un fenomeno di recupero, e non all’emergenza di un impeto inedito: si tratta del tentativo di costituire una tradizione della poesia di ricerca, e questo processo ha connotati evidenti (istituzione della triade genealogica: nonni, padri, figli): l’individuazione dei grandi maestri (Villa, Spatola, Rosselli) e canonizzazione dei padri viventi (Balestrini & Co) vanno di pari passo con la proposta dei nuovi autori, i continuatori della tradizione.

    altre correnti esistono, e non hanno etichetta. esistono nel modo in cui esistono le realtà letterarie: come tratti comuni nella produzione dei poeti, come orizzonti condivisi seppure non messi a tema, come mutuo riconoscersi di poeti che neppure si conoscono se non attraverso le loro opere, e che magari sono assai distanti su un piano stilistico. un riconoscimento che non si traduce nel bisogno di “fare gruppo” attorno a un’idea di poesia, ma in comunicazioni più lente, articolate, sfumate, fragili e sempre a rischio. pericolose.

    forse è vero: una “corrente” così rischia meno di essere accusata d’egemonia, così come rischia meno di finire nella pagina culturale di un quotidiano nazionale, perché – avendo sgasato la lattina futurista – non va arditamente incontro all’ebbrezza di questo rischio.

    saluti,
    lorenzo carlucci

  7. Caro Marco,
    mi sono divertito molto.
    La questione dell’egemonia, già ridicola quando si erano inventati la guerra al gruppo 63 e poi 93, è sullo sfondo attuale, esilarante…
    Eppure continuo a pensare che è più igienico per chi lavora seriamente (cioè alla competenza stilistica associa la forza dell’etica) fare come se queste stupidità non ci fossero.
    L’Itaglia è uno strano paese, dissipa i suoi poeti ma anche le sue risorse migliori.
    Dalla prospettiva di chi fa le cose l’etichetta è inutile e, al limite, viene dopo e te la danno gli altri. L’etichetta non serve a niente. Non ho mai creduto di fare dell’avanguardia, come se si trattasse di un genere: mi sembrava l’unica cosa che potessi fare, una necessità: era la poesia, mentre le cose che definivano ‘nella tradizione’ mi sembravano delle cose da non fare perché , detto sempre banalmente, ‘non erano più necessarie’…A me interessava certa tradizione (Jacopone da Todi) proprio quando non era riuscita a diventare tradizione…Chissà perché….
    Grazie per le tue parole schiette ed esasperate…Un abbraccio, Biagio

  8. l’equazione: poesia di ricerca = sperimentalismo è un falso storico, un equivoco la cui persistenza inficia alla base l’intelligenza dei fenomeni e la corretta dialettica delle loro articolazioni: un tratto di strada, breve o lungo che sia, non darà mai conto della pluralità dei paesaggi che l’intero percorso attraversa

    comunque le cose stanno cambiando e già si intravedono i segni di una salutare inversione di tendenza: il potere dei gammmisti (e degli automobilisti, dei linotipisti, degli scambisti…) ha le ore contate. stamattina, infatti, dietro il banco del bar non c’era più l’apripista della sovversione sperimentale, quel wittnonsochecosa, ma finalmente, in tutto il loro splendore, sandrobbondi e il suo damigello prefatore

    era ora oramai, cazzo

  9. cara Natalia,
    per certi aspetti l’arco ampio e non definitorio né chiaramente definitivo delle sperimentazioni può esser suggerito dai nomi (di varie culture) scherzosamente elencati o forse affastellati dall’intervento. le direzioni e le correnti e gli stili indicati sono davvero molti. è un po’ il carattere giocoso del pezzo a non prevedere bibliografie (ma volendo le suggerisce, attraverso nomi).

    caro M. Orfeo,
    nel post sono saltati i corsivi, che invece trovi in
    http://mir.it/servizi/ilmanifesto/cultura/?p=296

    questo per dire (anche) che di “sperimentazione” e di “scrittura di ricerca” si parla divaricando molto l’arco delle esperienze, come il pezzo poi dimostra scorrendo come un cursore su parecchi codici.

    caro Biagio,
    grazie per la tua riflessione. trovo anch’io esilarante la questione dell’egemonia o di un qualche [diffuso] “sentire”.
    scrivevo il testo proprio per sorridere. un po’ affidando alla rete qualche traccia di letture non recenti o recenti, un po’ *disincantando* il disco che io stesso suono. (a un ulteriore livello il testo è un tot autoironico, pure, spero).
    ricambio l’abbraccio (esteso a Franz, Gher, Effeffe e a tutti i commentanti di questo brano un po’ matto)
    Marco

  10. gentile marco giovenale, la mia non era assolutamente una critica rivolta a lei, solo la constatazione di quella che è la ricezione ‘comune’ e (erroneamente) diffusa di termini e riferimenti in relazione a queste tematiche. del resto, lei converrà sicuramente, fare *fascio* in ogni campo è oramai prassi consolidata in questa disgraziata landa

    l’articolo l’avevo già letto e, oltretutto, la stimo troppo per non sapere che lei sa benissimo di ciò che parla

    detto questo, mi preme avvertirla che il potere gammmatico, ben visibile e facilmente esperibile in tutti i settori della vita culturale del paese, nonostante la benedizione ponti-fic(i)a è ormai al capolinea, i segni sono inequivocabili. pensi: avevo richiesto a lavieri copia dell’ultimo libro del gentile bortolotti e, invece del postino col manufatto gherardesco, stamattina mi si presenta una ronda di verde vestita che mi consegna un pacco contenente l’opera omnia di giuseppe conte…

    tiri lei le conclusioni. io intanto tremo all’idea di ciò che potrà essermi consegnato, nei prossimi giorni, al posto del libro della vicinelli che avevo richiesto. l’opera omnia della merini?

  11. Mi sono divertita da leggere, come se la luna fosse nel pieno giorno e il sole cacciato. Una luna bellissima. Immaginare un mondo in poesia sperimentale, bagnato di letture strane, di colori mai visti, di cibo raro.
    Un mondo di flusso magnetico, di camera verde allucinante, di GAMM stampato nei cartelli della città, di poeti galleggiando
    nella notte e leggendo poesia sulle terrazze, cupole.

    Incubo o sogno? Sogno…

  12. Dove sono finiti gli ultimi 9-10 commenti?
    Rimasto a Castaldi 12.22.
    E’ solo un problema mio o anche altri hanno problemi a visualizzare?

  13. Si sente spesso nominare su questo sito le edizioni La camera verde. Chiedo se esiste un catalogo delle sue pubblicazioni, anche on-line, dove documentarmi. Grazie; saluti.

  14. Anche se la citazione di alcuni autori può risultare pretestuosa, il pezzo di Giovenale mi ha divertito come pochi. È riuscito. E non ce n’è per nessuno.

    Ho davvero goduto.

  15. Esperimento__
    Chi mi dice in due o tre righe qual’è la poesia sperimentale oggi?
    Chi mi può citare due o tre esempi (autore + opera)?

    MB.

  16. … un po’ come dire tutto e niente
    l’arte in genere è sempre stata sperimentazione e ricerca, diversamente saremmo ancora fermi agli aedi greci
    se poi si vuole creare una nuova etichetta per una slegata corrente leteraria e di poesia contemporanea e chiamandola “sperimentale”, si dovrebbe – appunto – definirne una poetica in termini di richiami, fine, modi e tendenze.
    Ciò non cambierebbe la sostanza libera ed individiale dell’espressione artistica che transita per sua natura nelle mode consapevolmente o inconsapevolmente assorbite dal proprio tempo.

    ***

    Miguel de Unamuno nel 1923 dopo essersi imbattuto negli scritti di Pirandello, scrive un articolo intitolato Pirandello y Yo, pubblicato nel ‘39 su “la Nacion”, ove sottolinea la medesima lunghezza d’onda circa la visione della vita, dell’arte e della storia da entrambi sviscerata e sviluppata pur non conoscendosi e che appare invece profondamente legata nei due autori da un comune filo conduttore. Egli scrive:

    “È un fenomeno curioso e che si è dato molte volte nella storia della letteratura, dell’arte, della scienza o della filosofia, quello che due spiriti, senza conoscersi né conoscere una per una le loro opere, senza porsi in relazione l’uno con l’altro, abbiano perseguito uno stesso cammino ed abbiano tramato analoghe concezioni o arrivati agli stessi risultati. Si direbbe che è qualcosa che fluttua nell’ambiente. O meglio, qualcosa che è latente nelle profondità della storia e che cerca chi lo riveli” (VIII, 501).

    “C’è un ingegno, X, un io più profondo del mio io empirico o fisiologico e che l’io empirico e fisiologico dello scrittore Pirandello, che ha cercato ingegno in lui ed in me, un Io X, come direbbe Silvio Tissi, un altro scrittore italiano. E questa distinzione fra l’io empirico o fisiologico e l’io trascendente -forse immanente- o storico è ciò che apparenta le nostre singole opere, quella di Pirandello e la mia” (VIII, 501-502).

    Uscendo dal contesto Unamuno-Pirandello ed estendendo questo concetto a tutta la produzione artistica di un dato secolo, sia essa pittura, scultura, cinema, musica, poesia, narrativa …, diremmo, quindi, che il pensiero è un qualcosa di a sé stante, fluttuante ed in costante divenire che va a permeare di epoca in epoca, e quasi inconsapevolmente, l’operato di ogni artista intrecciando nessi e stringendo legami nel simbolo, nell’immagine, nel suono, nel grido che ciascun autore esprime nella propria forma d’arte.

    n.c.

  17. non si capisce poi perché una società politicamente e ideologicamente normalizzata dovrebbe essere un fermento di idee artistiche eterodosse, un contrapporsi incessante di opposti: la rinuncia, di fatto, alla politica intesa come dialettica dei futuri possibili, non può essere senza conseguenze culturali: ma forse è la normalizzazione della cultura che conduce alla normalizzazione della politica, non so: è come se tutto quello che non può essere di massa non possa tout court esistere…

  18. Stavolta m’associo a Pecoraro. Non riesco a dire la mia perchè, forse, si sta parlando di fumo. L’intento dell’autore è provocatorio, ma realmente lo “sperimentale” è un enigma sia da definire, che da individuare e circoscrivere. Specie in presa diretta.

  19. gentile natàlia castaldi, perché ride?

    vediamo se indovino: a lei sembra assurdo che il gentile signor Diamante non sappia definire, individuare e circoscrivere lo “sperimentale”

    per la verità anche ammè: sono convinto che finge, oh sì che finge: lui sa, sa, sa

  20. le dirò, mi fa ridere il fatto che si sia “associato” a Pecoraro – non per il Pecoraro s’intende – ma perché “s’associa” ad uno ripetendo quanto detto da un altro/a.

  21. Mah… Io provo a concentrarmi sulla parola (bellissima) ‘ambiguità’.

    Ambiguità – sf. [dal latino ambiguitas]
    la caratteristica di ciò che è o di chi è ambiguo //
    ambiguità di linguaggio, difetto di chiarezza del linguaggio
    che nasce dal possibile doppio significato
    di una parola o di una frase //
    N. dubbio, dubbioso, sospetto, equivoco,
    incerto, sfuggente, inafferrabile.

    MB.

  22. Ha ragione Giovenale. Questa situazione è ormai insostenibile. Mi ritrovo a leggere Moccia di nascosto, nelle cantine, come un carbonaro…

  23. Bello e divertente questo testo di Giovenale. Che volutamente ironizza sulla difficoltà del cambiamento, dell’affermazione di nuove forme arte o della sperimentazione delle stesse, che destabilizzano, che non vengono comprese. L’uomo, di natura, è timoroso. Vive con paura tutto ciò che non conosce e metabolizza le evoluzioni con tempi biblici.
    La letteratura speculativa del consumismo, questa letteratura tristemente sciapa, dai colori sbiaditi, dalla lettura priva di ritmo, senza alcun moto convulso di pancia , rappresenta purtroppo la quotidianità, la sicurezza, l’abitudine tranquilla.
    La scrittura sperimentale o la poesia di ricerca rappresentano invece una rivoluzione, la voglia di dire qualcosa in più ma soprattutto di dirlo in modo diverso. Raccoglie meno consensi (per ora), rappresenta la letteratura di nicchia, di chi è già pronto, di chi non è spaventato.
    D’altronde, se ci spostiamo dalla letteratura all’architettura, grandi artisti (basti pensare a Le Corbusier, sfacciatamente rivouzionario, con l’uso sfrenato e brutalista del cemento armato, la facciata libera e le finestre a nastro, in continuo conflitto con i committenti per le sue composizioni “futuristiche”, o a Khan, dalla monumentalità commuovente e dalla vita tormentata, morto in un cesso pubblico senza soldi, senza documenti, senza “riconoscibilità) hanno raccolto consensi postumi, o comunque non immediati, perchè troppo eclettici, troppo dinamici, troppo distanti dalla mentalità statica in cui vivevano.
    Il tempo risolve, quasi sempre,ogni incomprensione. E prima o poi – chi lo sa? – i libri di Moccia, o chi per esso, saranno relegati in qualche anfratto delle librerie più prestigiose, coperti di polvere e ragnatele….Troppo ottimismo?

  24. Ciao Marco. Vedo dai commenti numerosi che la tua piccola pièce surrealista ha funzionato. Personalmente credo che le “scuole” siano sempre state una forzatura, l’idea stessa di “ricerca” è stata abusata, un po’ come oggi avviene per quell’altra orrenda e presuntuosissima parola che è “eccellenza”: un sacco di gente che si riempe la bocca di questa parole per non dire alla fine un cazzo di nulla ma pretendere che ciò che fanno sia preso sul serio. In letteatura, in poesia penso che l’unica cosa davvero importante sia la continuità, il lavoro, lo scavo, il mettersi sempre (spesso?) a rischio, scrivere e scrivere, non tanto per dimostrare di essere incontinenti – come qualche critici commenta ogn tanto giusto per depotenziare la fiducia di un poeta che non piace, o che non è simpatico abbastanza – ma perchè il lavoro – da sempre – nobilità l’uomo, e non c’è alcun motivo di pensare che che scrive lo dbba fare col contagoccie perchè così dimostra che è più bravo, o di qualità sopraffina… la poesia la deve smettere di mettersi il vestito buono per la domenica! Per tornare alle tue parole, se poesia di ricerca c’è stata non è vero che sia solo in Pagliarani o Sanguineti o Reta o quel che uno preferisce, quella è stata la poesia di un tipo di ricerca, di un gruppo di pesone che è stata o si è sindacalizzata (non è una parolaccia…). Qualsiasi poeta porta avanti una ricercam di senso, una ricerca linguistica, sia in italiano, in dialetto, in gramlot o quel che sia. Il mondo per fortuna non è mai divisibile soltanto per due. Un abbraccio. Tiziano

  25. @stefania m.
    louis kahn, le corbusier e altri come loro, ottennero in vita un successo planetario.
    kahn morì di infarto nei cessi pubblici della penn station mentre era di ritorno da una delle sue visite periodiche in bangladesh dove stava costruendo il complesso del parlamento di quel paese (islamico, mentre lui era ebreo).
    poi è vero che non aveva documenti ed era pieno di debiti, ma è un’altra storia, che non riguarda il riconoscimento che ottenne in vita: e però niente di più lontano da lui dell'”essere di avanguardia”, mentre le sua architettura fu senz’altro “sperimentale” nel senso di sperimentazione di nuovi linguaggi…
    eccetera.

  26. come fare poesia sperimentale?
    restate in piedi davanti alla scrivania. Acquistate una confezione del piccolo chimico. Disponete gli strumenti accanto a voi (preferibilmente a sinistra) Cominciate a scrivere usando una Olivetti elettrica. Et voilà ecco che vedrete arrivare le prime liriche in provetta
    effeffe
    ps
    della serie, non sparate sul giallista

  27. prot prot prot prot prot
    Et voilà sun chi mi
    el music poetes

    drin drin drin drin drin
    me sona el campanel
    vadi ad aprì

    oi oi oi oi oi
    le el cumenda del tac
    tac se rot il tac

    et ades? le nano!
    oi poer nan me basa
    el bus del gnau.

  28. Natàlia, a chi avrei dovuto associarmi anziché a Pecoraro?
    Orfeo, grazie della fiducia.
    Riguardo al tema: credo che si potrebbe cominciare col dire che un conto è sperimentare, un altro è innovare. Cioé: chiunque di noi in qualsiasi momento può sperimentare, ma innoverà? Sarà capace d’imprimere una svolta? Temo che nella sperimentazione possa rientrare tanta, troppa roba. Faccio qualche nome che magari susciterà scandalo: a me lo Zanzotto sperimentale non piace – e stiamo parlando di un signor scrittore. Non mi piace nemmeno il Pasolini sperimentatore (sì invece Gadda). Non mi piace Pynchon (sì invece Wallace). Eccetera. Se poi a sperimentare si mette un pinco pallo qualunque, la questione è ancora più delicata. Sperimentare in superficie – ecco il problema. Un po’ come smuovere il lago con un rametto e gridare alla tempesta.

  29. Vorrei chiedere a Giovenale (o a Bortolotti) qualche referenza bibliografica di sintesi, magari sotto forma di saggio, per entrare nei dettagli della poetica che portate avanti. Ricordo che tempo fa se ne discusse con Bortolotti su un altro topic qui in NI, e lui cito’ un articolo di scuola francese disponibile in internet, ma ho perso i riferimenti. Grazie.

  30. si compie l’esperimento per comprovare il dato teorico.
    è esperimento solo ciò che si prefigge la dimostrazione nella pratica di ciò che si afferma in via teorica e, di rimando, si aggiusta la teoria sul dato sperimentale.
    ricerca è una sequenza teorico sperimentale che dovrebbe condurre a nuove attestazioni paradigmatiche, e così via.
    sovente questo procedimento è stato saltato del tutto, sperimentandosi per così dire a-cazzo, cioè senza direzione alcuna, così, tanto per fare fuffa innovativa, tanto per guadagnarsi spazioe e visibilità falsificando il “vecchio”: puro Novecento (novecenteschi sono gli autori citati da Giovenale): oggi tutto convive con tutto, un establishment culturale non esiste più, ognuno per sé e ciao.

  31. paradigma in atto n.1 (tash t.)

    ad mentula canis. e.v. 2009 – il 20 di luglio.

    sintesi (a.p.)
    …desiderantur, desiderantur.. (essi)

  32. paradigma in atto n.2 (tash t. + alcor)

    [l’unica cosa che capisco]
    – ad mentula canis. e.v. 2009 – il 20 di luglio. poco dopo.
    [del commento] che va componendoSi.

    sintesi (a.p. + alcor)
    …desiderantur, (forse) desiderantur.. (essi)

  33. ” Il loro pranzo era alla fine. Gli avanzi erano abbondanti. Non rifiutammo un dolce, ma no! E il porto da berci insieme. Da un sacco di tempo, non avevo sentito voci così signorili io. Ha un certo modo di parlare la gente distinta che intimidisce e che mio spaventa, a me, semplicemente, soprattutto le loro donne, saranno pure solo frasi mal combinate e pretenziose, ma lucidate come dei vecchi mobili. Fanno paura le loro frasi anche quando sono insignificanti. Si ha paura di scivolarci sopra, solo a rispondere. E anche quando prendono dei toni canaglieschi per cantare le canzoni dei poveri tanto per distrarsi, lo mantengono quell’accento distinto che ti mette diffidenza e schifo, un accento che ha come uno staffile dentro, sempre, quello che ci vuole, sempre, per parlare ai domestici. E’ eccitante, ma ti fa anche venir voglia di tirargli su le sottane alle loro donne solo per vederla andare a picco, la loro dignità, come dicono loro…”

    LOUIS-FERDINAND CÉLINE, Viaggio al termine della notte, trad. Ernesto Ferrero, Corbaccio 1992.

  34. Shakespeare’s crying
    somebody said ….
    ma la poesia vive e vive ancora e vivrà sempre nella libera espressione del pensiero sulle labbra, scevra da ogni costrizione, da ogni ingabbiatura di maniera, da ogni etichetta di confine.
    la tecnica è arte quando non la si percepisce, quando l’occhio di chi legge, la bocca di chi pronunzia, l’orecchio di chi ascolta, si immerge nel pensiero, nella musica del suono modulato nella mente …
    tutto il resto è “logopedia” applicata.

    vs. Lucifero

  35. gentile lucifero, io credo che lei sia ispirato direttamente d’ad(d)io

    oremus et aramus. et amamus. et ananus. magna cum voluptuosa luce

  36. @francesco pecoraro
    Ho parlato di ” consensi postumi, o comunque non immediati”, il che presuppone la possibilità, in alcuni casi, che, tali consensi, li abbiano avuti anche in vita. Ma tardi, lottando con fatica, urlando ( a volte nel vuoto) per essere ascoltati. Il successo planetario è un’altra cosa, molto più veloce, semplificato, pienamente condiviso. Poi.
    Mi soffermo su Khahn. E’ ampiamente documentato. Non ha goduto di successo immediato, complice il suo atteggiamento refrattario, il suo aspetto dimesso, la timidezza scostante, il rapporto conflittuale con il denaro. Tutto questo non può prescindere dalle sue creazioni. Per questo mi sono permessa di sottolineare il suo privato, raccontandone la morte (ciò che tu definisci “un’altra storia”, per me non è un’altra storia, ma complice dell’attività lavorativa), per spiegare le motivazione del suo essere incompreso. Ha aperto il suo studio molto tardi, a 46 anni, e ha realizzato le sue più grandi opere solo alla fine della sua tormentata vita e carriera (tra cui il Parlamento in Bangladesh, da te citato). Pochi hanno saputo rendere onore alle sue opere da vivo. Solo il tempo ha potuto dargli il giusto peso e ne ha valorizzato la grandezza (difatti, “Buoni edifici, meravigliose rovine” come rivela la monografia di Nicola Brughieri).
    Viene descritto dagli storici come “elegantemente inattuale”. E, si sa, l'”inattualità” non viene mai capita, o semmai viene compresa più tardi, quando forse diviene attuale. O, nel caso specifico di Khahn, senza tempo, senza data di scadenza.
    Continuo a pensare che il mio paragone (architettura – letteratura) non fosse inappropriato. Perchè, in entrambi i casi, si parla di “incomprensione”. Premiata poi dal tempo.
    Chiedo scusa per la lunga dissertazione su Khahn, ma…lo dovevo a Francesco. ;-)

  37. @stefania m.
    difficile il discorso su kahn, la cui parabola artistica e umana ancora mi commuove.
    posso solo dire che quando in tutto il mondo gli studenti che apprendono la tua disciplina ti vedono come una specie di faro, ti imitano nei loro lavori, ti citano e ti leggono, ti decifrano, sanno disegnare a memoria le tue opere e infine, se per caso vai a trovarli, ti si accalcano attorno, allora vuol dire che nel tuo lavoro il “successo” (l’unico tipo di successo che conti) è arrivato.
    per un architetto il successo è fondamentale, senza sucesso non hai il potere di gestire fino in fondo le tue opere: chi dava incarichi a kahn lo faceva perché desiderava un edificio di kahn.
    e anche questo è segno di successo.
    insomma se mi citavi sant’elia ti avrei seguito senza problemi.

  38. In effetti, Stefania, quando ti danno da fare il parlamento di una nazione, non si può dire che tu non sia un architetto di successo. In quegli anni nel mondo c’erano migliaia di architetti “famosi” o “bravi”, ma solo Khan ha avuto questa opportunità (e prima di lui Le Corbusier).
    La generazione di architetti che ha conosciuto le opere di Khan, quando lui era in vita, l’ha semplicemente ADORATO. Il successo in architettura (tranne oggi, con il delirio delle archistar) non è mai stato “popolare”, ma semre “di settore”.

  39. “Quando non possono ottenere il cibo desiderato, i piccioni (Columba livia) beccano ripetutamente il terreno, anche qualora sul terreno non si trovi alcun oggetto commestibile. Oltre ad abbandonarsi a questo beccare indiscriminato, essi si danno anche a un frenetico lisciamento delle penne; tale comportamento insensato, frequente nelle situazioni che implichino frustazione e conflitto, viene definito ‘attività di sostituzione’ “. (M. Houellebecq, Le particelle elementari, pp. 178-179).

    Ecco: questo credo sia l’esatto contrario del lavoro portato avanti da un autore come Giovenale.

    Un saluto,

    Fabio

  40. @ francesco pecoraro, gianni biondillo
    D’accordo, mi avete convinto (quasi…!), soprattutto perchè vi avvalete dell’esempio più calzante per questo tipo di discorso, ovvero del grandissimo Sant’Elia.
    Inoltre, il fatto che, come dici tu, Gianni, il successo in architettura è sempre stato di “settore” e non “popolare” mi fa ripensare, ahimè, all’appropriatezza del paragone tra architettura e letteratura, dove, in genere, il successo conclamato deriva soprattutto dalla “gente”. Sempre di arte si parla, ma effettivamente con modalità di riscontro diverse.Touchè.;-)

  41. Solo per dire che un tempo anche il successo letterario era di settore. Forse oggi gli scrittori più famosi sono esattamente come gli Archistar.

    Circa Sant’Elia… Forse all’estero avrebbe realizzato qualcosa. Come diversi Archistar italiani che oggi lavorano prevalentemente fuori.

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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