Estratti : Giovanni Nuscis
da: La parola data
di
Giovanni Nuscis
Cade in una nicchia
e tace. Dalla parete
vitrea d’una nursery
se non tu, altri
lo attendono nuovo
lo sconosciuto che
dopo un poco
a qualcuno somiglia.
*
Rivoluzioni tra la
calma e il
sopore di
anni senza
tracciati né aiuole.
Potresti adesso dire tuoni
o voci senza trasalire.
Nuotare in un bicchiere
giurando il mondo
d’averlo visto tutto.
La festa di chi è vivo non ostante.
La festa di un potere bardato
di nomi e di speranze d’altri.
Cambiare un dado a una macchina ferma
è roba di leggi e anni e molte mani
e convegni e scritti e sangue e rabbia.
Andremmo tutti volentieri a piedi
come si va infatti anche se è lunga
la strada e piove e ci si bagna e affama.
Altri testi si possono trovare da Francesco Marotta, qui
Nota critica
di
Marco Scalabrino
Ben oltre gli aspetti evidenti, la sobrietà dell’edizione, le due sezioni, la prima più ampia della seconda la quale per converso di metro mediamente più lungo, la totale assenza dei titoli, mi è parso di rilevare alcuni versi-chiave in questa terza silloge di Gianni Nuscis:
Si è smorzata la musica / di anni ritenuti straordinari;
Il passato lo si trova ormai / pressato in pochi bytes;
i tavoli camminano / sotto altri gomiti / verso altre epoche,
note che insistono su un recente passato che dissoltosi si è raggrumato in un minuscolo frantume di silicio, su un presente inimmaginabile appena la generazione prima col quale raffrontarsi, su un futuro che del tutto incurante di noi ci taglia fuori e profila altri protagonisti e altre sfere.
Nel precedente In terza persona, del 2006, si era ragionato dell’“arrembante imbarbarimento sociale, culturale e politico”, e del “tramonto di ogni illusione, del declino di ogni idealità, del dissolvimento di un planetario disegno di società costellata dei valori universali dell’amore, della pace, della libertà.”
Con La parola data, quello stadio è stato valicato: nella tecnologia, il mondo è franto in pixel, nello sfaldamento della società, carcassa, da anni, ad arrugginire, nel disfacimento dell’individuo, Ti scorpori / a poco a poco.
La realtà di oggi, delirio d’aria / che ti avvicina di un morso / all’osso del tramonto, è stata non accettata ma, di necessità facendo virtù, inghiottita d’un sol boccone, digerita, metabolizzata, Non si arrende il quadro alla cornice, l’avversione ad essa accusata e dribblata, gli angoli, / da acuti si fanno ottusi.
L’unico suo irrefutabile retaggio: Ciò che tenevi stretto / l’hai perso.
Cosa rimane? In cosa credere? Da cosa ricominciare?
Non al denaro non all’amore né al cielo, di deandreana memoria.
A guardarsi attorno, lo sguardo lento nel viso di carrubo, c’è poco di consolatorio.
E allora? Allora, Gianni Nuscis, Colpi di tosse / brevi / e vai avanti, riesce ancora a raccapezzarsi e avanza una proposta di resistenza: egli invoca e ci suggerisce la parola. Di più: è pronto a scommettere sulla parola del poeta e sulla sua, addirittura, a giocarsi la faccia. Anzi, ecco, la sua parola è data.
Data perché deputata al Poeta che ne è custode e latore, perché munificamente da questi donata all’umanità intera, perché nell’odierno consorzio sociale le parole assumono il senso e sono valori, dati telematici, data; da raccogliere, elaborare, veicolare organicamente.
La Poesia organizza il cosmos epèon, il perfetto universo di parole; ma, Gianni Nuscis lo sa bene, come per ogni seria disciplina, e la Poesia non sfugge alla regola, occorrono studio, applicazione, consapevolezza.
D’altronde, la parola, la Poesia sono, per lui, prassi necessaria, indifferibile; urgenza di “scovare” una sua propria originale espressione che coniughi il sentire delle “cose” e il dire le stesse in maniera sempre inattesa.
La scommessa è la medesima da migliaia di anni. E la ricerca della parola nuova, da migliaia di anni, è percorso accidentato, faticoso, che impone passi progressivi, che si perlustra in solitaria malgrado tutti e tutto e la cui meta … la cui meta allorché raggiunta, alla luce del poiein, la creazione, è motivo di vivissimo stupore, di indicibile felicità, edifica il Poeta.
E poco importa se qua, nel mondo, egli non raggiungerà mai la “gloria” (appannaggio di pochissimi eletti) ; là, nel Parnaso dei Poeti, uno scranno gli è già stato riservato.
Fatti salvi i contenuti, ciascun poeta si misura sul campo degli esiti concreti, da conquistare individualmente.
Con tali premesse, gli esiti a mio avviso più felici di questa silloge si ritrovano alla pagina 20, Cade in una nicchia / e tace. Dalla parete / vitrea d’una nursery / se non tu, altri / lo attendono nuovo / lo sconosciuto che / dopo un poco / a qualcuno somiglia; alla pagina 35, Se fossimo uniti / i pochi condomini che siamo / sarebbe una battaglia vinta. / Ma non c’è grido che si somiglia. / Un’auto abbandonata nel cortile. / Le ruote, prima, poi il motore / rubati, spariti. Rimane / la carcassa, da anni, ad arrugginire / tra proteste continue. / Nessuno che chiami un carro attrezzi / cerchi il proprietario, l’amministrato- / re, spariti chissà dove, e alla pagina 40, Nella periferia di una città / lontana, dura sulle reni, / nella saccenza di mani e voci / sarà dato riconoscerti. / In un tempo che allunga / code e denti taglia / orecchie / la coperta del cielo / tirata via da rondini, là dove l’impianto, i motivi sociali ed esistenziali, la suggestione determinata dalla parola e in sé e in relazione al suono e alla posizione, convincentemente si combinano con gli slanci lirici.
La scrittura, specchio del contesto convulso che la produce, è singultante, strutturata per accumulazione, accentuata dal ricorso al verso libero.
Non c’è aria che non sia stata respirata. Ma, vivaddio, la sintassi rivisitata l’arricchisce di vitale ossigeno e Nei giorni di festa ci si conta.
I commenti a questo post sono chiusi
Ringrazio di cuore l’autore della recensione, Marco Scalabrino, per la sua profonda analisi che realizza una riflessione sullo stile in parte nuovo di Gianni Nuscis. Le parole moderne, talvolta di altra lingua, e l’asprezza interessante e inedita del dettato di questa bella “Parola data”.
Ringrazio poi veramente con entusiasmo Francesco Forlani e tutta la redazione di “Nazione Indiana” per avere ospitato questo mio amatissimo autore.
Un abbraccio dal vostro Gianfranco Fabbri, titolare della casa editrice L’arcolaio.
non mi funziona il link al pezzo su Nuscis postato su rebstein, spero sia solo un mio problema.
Non la parola che salva
o muove ma la puntura di un’argia.
Febbre e agitazione
da una mandorla dolcissima.
Dal giardino di piante inaudite
una mano di terra
sotto un piede di cielo.
Queste basse radici dove inciampi:
la cronaca
gli immancabili morti
le esclamazioni che fai
mentre sbadigli.
*
Se fossimo uniti
i pochi condomini che siamo
sarebbe una battaglia vinta.
Ma non c’è grido che si somiglia.
Un’auto abbandonata nel cortile.
Le ruote, prima, poi il motore
rubati, spartiti. Rimane
la carcassa, da anni, ad arrugginire
tra proteste continue.
Nessuno che chiami un carro attrezzi
cerchi il proprietario, l’amministrato-
re, spariti chissà dove.
le mie preferite.
complimenti a Nuscis e Scalabrino.
Grazie di cuore a Francesco e a Marco per il dono del loro ascolto e del loro tempo.
E grazie a Lucifero
Un abbraccio
Giovanni
Nuscis ha la capacità di collocare le parole nel punto giusto, il che mi si dirà è scontato per un poeta; ma dato che di poeti all’orizzonte ne vedo pochi, tanto di cappello a lui. Ogni sillaba sta dove deve stare. Così il contenuto quotidiano si fa cosmico, nel senso che svela quel mistero celato sotto la superficie delle cose – le cose, quest’enigma. Mi pare, in definitiva, una poesia epifanica. Tutti i giorni, tutto il giorno, dovunque siamo, se fossimo davvero presenti (ma si sa, la vera vita è assente), ci accorgeremmo di quel che Nuscis ausculta per noi.
Ma ‘La parola’ di Giovanni Nuscis, quella ‘dataci’ per resistere, a tutto anche alla sfida del tempo, riluce all’improvviso: in semiversi indimenticabili, come ‘Si muore anche di vita’, in chiusure forti e assolute, come ‘Qui mi pianto, verso un fare di creta’, in tanti versi felici: La pena di quel treno che/non apre, alla fermata. Tu/e altri in lite fino al capolinea; Mi scongelo dal mio tempo/mi adatto alle stagioni di dentro/ridisegnata posa nel deserto; Il sole oltrepassa la lana/dell’abito buono/allentando la cravatta/del giorno; Ritrovare i nomi/e i nostri scordare/come gite impazzite; Noi si affondava nell’erba./Le cicale di notte facevano il verso/ai poeti caduti in fossati di vinile.
Condivido la definizione di poesia ‘epifanica’ ed aggiungo, dopo attenta riflessione, un’altra possibile sintesi: ‘poesia antropologica’ .
Un poesia che, come poche, ‘chiama’, convoca, il lettore.
E lo fa dopo aver messo a posto ogni tassello, ogni rimando intertestuale:dopo che la parola è data.
Rinnovo i complimenti a Giovanni Nuscis
complimenti per la recensione e cari saluti a Marco scalabrino
Antonio
Nuscis, come A.Fiori, G.Cerrai, G.Fabbri, G.Lucini e altri che operano nel web poetico senza l’assillo del demone della visibilita’, e’ anzitutto un esempio di decenza. Quando divampa la polemica su poesia & dintorni, uno dei sottesi e’ che non si capisce come questa classe di persone (artisti del cui valore si puo’ discutere) non goda del rispetto -anche editoriale- che tale decenza dovrebbe indurre in una societa’ civile. Manca, per essere piu’ chiaro, un progetto che coaguli tutta una fascia matura di appassionati di livello, non professionisti, come li ha l’opera lirica e come li ha anche il teatro. Ho l’impressione che il non professionismo delle lettere, anche quando di livello e maturo, sia visto oggi come una diminutio invece che una risorsa.
Ringrazio sentitamente NAZIONE INDIANA, per la pubblicazione della mia nota che ha inteso solo essere un omaggio all’ottimo lavoro di Gianni Nuscis, e tutti gli intervenuti. Un cordiale saluto, Marco Scalabrino.
Puntuali queste note di Marco Scalabrino a un libro da leggere e rileggere con i tempi lunghi dell’attenzione.
Versi zeppi di cose, luoghi, azioni, che con la loro compattezza dicono al meglio il “tempo sospeso” e la chiusura dei giorni in cui viviamo.
Nella prima parte lo zoom sui dettagli più che illuminare rivelazioni dice la dispersione, il disagio, l’usura e la fatica a vedere un orizzonte. Mentre il corpo viene in primo piano e ci tentano regressioni, in un precipitare di cui non si vede la fine.
Nella seconda parte la materia viene ripresa con un discorso più disteso che ritrova il “sapere che sei e che resisti sul limo dei giorni”.
La presenza della poesia ormai
più salvatrice in una vita assente
si misura la distanza di una striscia
di sole, tra superficie della vita
e interiore corteccia, tra rumore
assurdo e musica.
La poesia è il rovescio della nostra infelicità.
“Dal giardino di piante inaudite
una mano di terra
sotto un piede di cielo/”
Bellissimo
Scavere la terra e trovare il cielo.
scavare
appoggio pienamente il discorso di giusco. nuscis va letto in tutti i suoi passaggi, come qualcuno ha scritto qui si vede ora un cambiamento forte, ma non snaturante.
non finirò mai di dire, inoltre, che francesco marotta, titolare del blog rebstein, è, oltre che poeta finissimo, anche il “tenutario” del miglior luogo di poesia presente in rete. il suo lavoro di “messa in scena” e di approfondimento è impagabile.
in queste liriche tutto sta dove deve
e affama di altre e altre ancora
c.
@krauspenhaar sono d’accordo su marotta, lavoro straordinario profondissimo il suo
c.
Mi unisco sia nei complimenti a Nuscis, sia in quelli a Marotta.
Francesco t.
con molto piacere noto gli unanimi consensi sucitati dalla scrittura di Giovanni, in particolare sul libro arcolaino (altra nuova e bella realtà dell’editoria), che per dirla alla Scalabrino “avanza propositi di resistenza”.
la scrittura di Giovanni, rispetto ai testi che conoscevo, ha assunto una grumosità e porosità maggiore, una lirica più marcata.
raccolgo il sasso lanciato da Giusco per quanto riguarda “l’esempio di decenza” che ci dà “l’uomo” Nuscis.
un carissimo ed affettuoso saluto a tutti in particolare a Giovanni (ti sono vicino) e Gianfranco.
roberto
Queste nuove poesie di Gianni sono più lancinanti eppure più pure.
“Ecco, il mondo”
Il mondo poetico e vitale di Gianni è una piccola ma non fioca lucciola in questa notte di esistenze disarticolate.
“Ma è veglia anche se buio di tana./ Batte qualcosa sul capo: non lasciare il corpo”.
Il corpo della poesia c’è tutto. Pronto a salvarci.
Un saluto a te e tutti quelli che conosco (in particolare ad Antonio e Franz).
Grazie a FF per la sua consueta risonanza.
Non è facile trovare versi che finalmente tocchino qualcosa che si è sempre saputo ma non si conosce ancora.
Non è facile trovare qualcosa che risuoni in quello che c’è di più antico, disincrostato da tutte le sporche abitudini.
Ci vogliono veri versi. Questi lo sono.
E ci vogliono veri poeti.
Dunque Giovanni Nuscis (che per mia suprema ignoranza non ho mai sentito nominare prima) lo è.
Un vero poeta, voglio dire.
Grazie di cuore.
Vi ringrazio tutti per le vostre parole di apprezzamento.
Concordo pienamente con quanto è stato detto da Franz e da altri su Francesco Marotta, come poeta e come persona: difficile non essergli grato, come autori e lettori di poesia, per il prezioso lavoro che porta avanti ormai da due anni; altrettanto difficile non sentirlo amico, per l’umanità profonda quanto schiva. Un esempio per tutti.
Giovanni
Mi unisco al coro, leggere le poesie di Giovanni è stato un grande privilegio.
grazie FF – grandi versi, di Nuscis – il canto fermo di una fedeltà
poi quel
“Nuotare in un bicchiere
giurando il mondo
d’averlo visto tutto”
è davvero vertiginoso, c’è tanta poesia gnomica del Npvecento, da Fortini a GF Ciabatti..
complimenti, ciao