Fors’ we could
di Helena Janeczek
Quando Barak Hussein Obama correva per le elezioni a Presidente degli Stati Uniti oppure subito dopo, i giornali erano pieni di sondaggi che dicevano che se si fosse votato in Europa, l’avrebbero scelto oltre l’80% degli elettori. La cosa che riporto a memoria e dunque in maniera non precisa, mi è tornata in mente oggi, guardando i risultati delle elezioni europee. In Italia e fuori dall’Italia dove si segnala il crollo della sinistra e, soprattutto, l’avanzamento della destra estrema e xenofoba/razzista. In quasi tutti gli stati membri dell’Est, ma anche in Austria (quasi 18% dei voti), in Olanda (quasi 17%) e persino nel Regno Unito, dove il British National Party per la prima volta riesce a mandare due deputati in parlamento. La Lega al 10,2% non è quindi un’eccezione scandalosa.
Scartata la triste e idiota reazione del “mal comune mezzo gaudio”, viene da chiedere: ma noi europei siamo schizofrenici? Sdoppiati in un dottor Jeckyll che segue la corsa alla Casa Bianca come un reality tifando per il candidato più bello, alto e fico che quindi più permettersi pure di essere piuttosto nero e vagamente islamico, e un Mr Hyde che nel suo paese reale e/o nel giardino dietro a casa non vuole né negri né musulmani né rielaborazioni di “I have a dream”? Siamo semplicemente falsi? Ipocriti?
Magari un po’ sarà così, e poi è ovvio che Obama a noi piaceva perché prometteva di finirla con il “Secolo Americano” di George Bush jr., con le sue guerre, le sue Guantanamo, la sua strafottenza nel non voler firmare trattati internazionali come il protocollo sull’ambiente di Kyoto.
Ma forse c’era dell’altro mentre seguivamo ipnotizzati e commossi i suoi “yes we can” e il suo discorso inaugurale. C’era la nostalgia verso un paese che ha un sogno, c’era la malìa di sentire uno slogan (creato, tra l’altro, da un pubblicitario o esperto di comunicazioni) che diventa vero nel momento in cui milioni di persone lo pronunciano credendoci.
Per noi in questo momento la questione non è quanto sarà bravo a governare Barak Obama, quante cose realmente “progressiste” vorrà o riuscirà a fare. La questione è che ciò che Obama ha rappresentato e rianimato è un’idea di politica che qui in Europa, a sinistra, non si vede pressoché da nessuna parte. Non solo il Pd, ma nemmeno la Spd, il Psf, il Labour Party (e pure Zapatero logorato di governo) riescono a entrare in contatto con la realtà in cui si trovano i cittadini proponendo risposte che vi reagiscono non nel senso della chiusura, ma in quello dell’apertura e del rilancio. Perché per fare questo non bastano proposte concrete possibilmente nitide e coraggiose che comunque mancano (anche perché farle, spesso, è oggettivamente, ancor più in tempi di crisi, assai difficile), ma ci vogliono energia, speranza, fiducia.
Noi in Europa in generale e in Italia in particolare ne abbiamo poca, pochissima. E abbiamo, al contrario, molta paura. Quella su cui la controparte va all’incasso. Abbiamo pure ragione ad averne, pur essendo stati toccati meno dalla crisi degli Stati Uniti. Nell’Europa occidentale del dopoguerra abbiamo potuto godere per decenni di un benessere diffuso inaudito. Adesso, da un po’ di tempo da questa parte, la cuccagna sta per finire o è finita. Siamo un continente vecchio. Non siamo quasi mai all’avanguardia della ricerca, dell’utilizzo di nuove tecnologie ecc. Produciamo sempre meno e roba carissima (di cui gran parte delle componenti, incluse quelle di una Mercedes, vengono comunque fabbricate in outsourcing in Cina o altrove). La nostra valuta è troppo forte per l’esportazione e per il turismo (dalle mie parti, nel Varesotto, hanno ripreso ad andare a far benzina e shopping in Svizzera). Il costo della vita è troppo alto. Di che cosa camperanno i nostri figli? Come faremo noi stessi a mantenere i nostri più o meno precari posti di lavoro? Cosa ci daranno – se ce lo daranno- come pensione?
Non è facilissimo che arrivi qualcuno, possibilmente più di uno, che snoccioli l’elenco di tutti questi e altri problemi e alla domanda se sarà possibile affrontarli in modo equo e propositivo, risponda “yes, we can”. Però non è impossibile. Leggo, ad esempio, del successo elettorale per il Pd di una donna con le sembianze di ragazza: Debora Serracchiani di Udine. Che si era segnalata per un discorso all’assemblea del partito più diretto, coraggioso e appassionato del solito. E bastano pochi esempi per poter pensare che “yes, we could”se solo riuscissimo a ritrovare un po’ di smalto e di grinta. Un po’ di voglia di alzare il culo e darci da fare. La destra, soprattutto l’estrema destra, vince perché sa a chi parla. E perché in quel che dice,- purtroppo- ci crede.
Qualcuno obbietterà che questo è un discorso troppo generico, retorico, romantico ecc. Che la politica non si fa coi buoni sentimenti, i buoni propositi, lo spirito da boy-scout (stavo scrivendo “ottimismo della volontà”, ma questa è già un’altra storia) La politica si fa misurandosi coi problemi veri, concreti, pallosi. Sui dati, sui bilanci, sulle statistiche. Indubbiamente. Però se anche hai una macchina col tagliando della revisione e tutti i crismi, ma non ci metti la benzina, non ce ne metti abbastanza o ce ne metti una scadente, quella macchina non parte o non va lontano. La benzina per la politica è la passione per la polis, per la cosa pubblica. Nient’altro. Forse sarebbe il caso cominciare a ricordarselo. Anche se i soliti funzionari ci diranno che il gasolio va benissimo, basta che sparandolo nel serbatoio predisposto per la benzina verde pronunci la parola “rinnovamento”. Ma alla lunga si rovina il motore e l’aria si inquina. E l’idrogeno manco te lo sogni.
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sono molto d’accordo, cara Helena, grazie di questo intervento così diretto. Uno dei problemi principali di questo paese è che quella che tu chiami, sacrosantamente, la “passione per la polis” non è più visibile da nessuna parte, magari ce l’ha qualche giovane di buona volontà, tipo appunto la Debora Serracchiani o altri che non conosco, ma non è visibile nei dirigenti dei partiti tutti: e questo è forse il danno maggiore del berlusconismo imperante (frutto non solo, ma anche, del pessimo di Arcore), il menefreghismo per la cosa pubblica o comunque l’utilizzo di questa per fini personali, il suo strizzar l’occhio alla piccola (?) illegalità eccetera. Per estirpare un “comune sentire” di questo tipo ci vorranno anni molti assai.
Sono stato ieri sera (per la prima volta dopo dodici anni) a vedere una riunione del consiglio comunale della mia città. Sono stato devastato dalla vuotezza, dalla mancanza di interesse a rispondere ai cittadini, dalla cortina di fumo intorno a fatti e responsabilità. A livello cittadino (200000 abitanti) hai già la sensazione che nessuno possa nulla.
Uno come Obama non l’avremmo eletto perché nessuno si sogna di candidarlo, né di permettergli di candidarsi. A meno che non sia costretto prima a farsi una bella scissione, che lo porta in automatico sotto la soglia di sbaramento.
Scusate, questo sfogo è pura autoterapia.
Vero.Ma il problema resta tutto italiano.Nel resto d’ europa i partiti razzisti non sono al governo,in Italia sì.Avanguardia?
“…se solo riuscissimo a ritrovare un po’ di smalto e di grinta”.
al PD smalto e grinta servirebbero per fare cosa?
la mancanza di smalto e grinta non è la causa del “non-essere” politico del PD: è l’effetto.
come si spera di attrarre, coinvolgere, affascinare le generazioni più giovani con questa non-identità?
con questo non-programma?
con questa non-opposizione?
con questo non-progetto?
e soprattutto, con questo personale politico, con “leader” come fassino, rutelli, franceschini, d’alema, finocchiaro, binetti, eccetera: che interesse può avere questa gente in un rinnovamento del PD se sono proprio loro quelli che devono essere rinnovati?
e quando i candidati capolista sono facce de telegiornale, qual è la logica, qual è il messaggio se non una robetta para-berlusconiana?
Io dico che la politica, PURTROPPO, non si fa affatto con i dati ed i bilanci. Si fa invece coi buoni sentimenti. Mi spiego. Per buoni sentimenti intendo paradossalmente perfino la diffidenza nei confronti dello straniero, i sentimenti più facili, istintivi, non filtrati, popolari nel senso deteriore. Questa è la comunicazine politica che fa vincere le elezioni. Non analisi accurate della realtà, ma retorica bella e buona. Non la noia della descrizione dettagliata della verità, ma il piacere della soluzione rapida e indolore.
La destra vince perchè recide le mediazioni, sa a chi parla perchè il suo interlocutore se lo crea ogni giorno. Noi europei non siamo schizofrenici. Obama e il nostro Pirata sono belle facce, ed oggi conta. Il primo non ha vinto prchè nero ed esotico, ma nonostante fosse nero. Ed entrambi sanno fare due cose: parlare e far sognare. Toccano le viscere, suscitano il mito, diffondono “energia, speranza, fiducia”. Sono oratori, e soprattutto, grandi attori. Recitano e chiedono solo una delega, una semplice delega che esenti la maggioranza proprio da quella “voglia di alzare il culo” che emergerebbe se esistesse ancora quel dnosauro chiamato “bene comune”.
[…] di Helena Janeczek Fonte: Nazione Indiana (link all’articolo) […]
Proprio ieri sera ho letto un messaggio mandato a un po’ di persone il cui autore sosteneva che, a guardar bene i numeri, non era andata così male, anzi, che i risultati ottenuti dai partiti di sinistra e centro sinistra davano conto di un elettorato ancora «vivo e forte», di un popolo non estinto (non diceva così, ma il senso era più o meno questo). Infine diceva che forse sarebbe stato considerato matto, ma lui se la sentiva eccome di dichiarare: «Io ci credo!».
Allora, proprio perché tutti sembravano contagiati dal suo entusiasmo mi sono messa a rispondergli senza pensarci su tanto.
Ho scritto più o meno questo: che il vero problema, per quel che mi riguarda, è che ci vorrebbe «un matto» capace di far ragionare chi sragiona… chi – invece di ripensare profondamente il senso di un pensiero e di una politica democratica, laica e di sinistra – continua a impelagarsi in irrilevanti (politicamente e culturalmente irrilevanti per le sorti comuni) conflitti intestini, senza riuscire (o voler) davvero a progettare il presente e meno che mai il futuro… Ci vorrebbero un bel po’ di matti e visionari con i piedi ben piantati nel presente, nel corpo vivo della contemporaneità, e lo sguardo proiettato verso il futuro… con grandi ambizioni non personali ma collettive… Un miracolo, insomma.
Ora, Helena, leggendo queste tue considerazioni e in particolare il passaggio in cui dici «Ma forse c’era dell’altro mentre seguivamo ipnotizzati e commossi i suoi “yes we can” e il suo discorso inaugurale. C’era la nostalgia verso un paese che ha un sogno, c’era la malìa di sentire uno slogan (creato, tra l’altro, da un pubblicitario o esperto di comunicazioni) che diventa vero nel momento in cui milioni di persone lo pronunciano credendoci», leggendo queste tue considerazioni, aggiungerei che è proprio questo il punto!
La traduzione italiana di quello slogan è stata «si può fare»… Si è cioè trasformato quel «noi» in uno sciapissimo «si» impersonale, come se non fosse in gioco invece proprio il contrario! La capacità di dar forma e vita a un sentimento politico (nel senso più nobile e complesso del termine) in cui milioni di persone potessero riconoscersi e «pronunciarne lo slogan, credendoci».
E «uno slogan che milioni di persone possono pronunciare credendoci» non è altro che la SINTESI di un progetto politico davvero di ampio, ampissimo respiro.
Quel che ci vorrebbe allora è forse proprio uno sforzo straordinario di intelligenza (intesa come comprensione delle dinamiche e dei nodi critici della contemporaneità), di passione e di apertura culturale. Uno sforzo, in cui chiamare in gioco tutte le forze e le intelligenze più vive e diversificate al fine di ripensare radicalmente il RUOLO STORICO (e non OCCASIONALE) che la sinistra (laica, e per questo radicalmente democratica in un mondo plurale qual è il nostro) può e ha il sacrosanto dovere di assumersi OGGI (in Italia come in Europa) IN VISTA DEL DOMANI… smettendola una volta per tutte sia di inseguire consensi aleatori, declinabili in un «si può fare» così generico da includere tutto e anche il contrario di sé, sia di evocare nostalgicamente il ruolo assuntosi ieri o l’altro ieri… in un tempo diverso, in un contesto diverso, in un’Europa e in un mondo diverso.
Anche io non credo minimamente che oggi un pensiero di sinistra abbia bisogno di contabili capaci di soppesare i margini del consenso ottenuto o che si potrebbe ottenere, oggi un pensiero di sinistra, laico e democratico ha bisogno di forze e intelligenze capaci di ripensarlo profondamente, innestandolo nel cuore stesso della contemporaneità, che è poi la sostanza stessa delle nostre vite.
Helena, credo che la preseunta intenzione di voto dell’80% degli italiani per Obama si possa spiegare con la costruzione e la novità mediatica del personaggio. Tieni conto che all’epoca tutte le televisioni italiane hanno seguito minuto per minuto tutto il lungo processo elettorale statunitense creandone un evento. Credo che la maggior parte degli italiani che erano disposti a votare Obama, non conoscesse nemmeno una virgola del suo programma elettorale. Insomma, lo vedevano un po’ come il Berlusconi nordamericano, ignorando le differenze reali tra i due. Ma anche qui da noi gli italiani ignorano chi sia veramente Berlusconi. Sanno solo che è il paladino dell’essere se stessi, cioè di fare ciò che vogliono, in barba alle regole della convivenza civile.
ieri sera per motivi adeso ininfluenti mi trovavo in un grande albergo quasi sulla marina di napoli. a un certo punto il livello sonoro, che a napoli è alto, si alza ancora e sale, molta, crea eco, si riproduce. apro la porta della mia stanza e le voci sono assordanti. percorro il breve tratto di corridoio moquettato e arrivo alla tromba delle scale. voci altissime e festanti, penso a un matrimonio. ma poi intuisco il nome del candidato vincitore delle provinciali in campania. scendo tre o quattro rampe, arrivo al primo piano e in effetti c’è una festa elettorale. e per la prima volta capisco l’elettorato, perchè non lo penso, lo vedo. a parte piccolissime modanature di atteggiamenti vocali, e fogge di camicie e pantaloni, a parte che io non porto i sandali o i tacchi ma potrei, e che se fossi un uomo non metterei cravatte con nodi grandi come mutande, a parte il tono di voce e l’azzurro diffuso che non mi appartiene, io potevo essere stata invitata a quella festa. io ero tutto sommato indistinguibile da una parte politica che non avevo votato. e neppure mi appartiene.
io concordo con ogni spazio bianco di helena ma il mio dilemma è se la politica è l’interesse per la cosa pubblica e il mio sè provato è indistinguibile a un primo sguardo dal sè privato della controparte (che va all’incasso) come facciamo a separare, a separarci e quindi a capire cosa è meglio per l’uomo, per il cittadino e per la collettività.
sono inquieta.
Chiaretta: “il mio sè provato” è un bellissimo lapsus…
siamo “indistinguibili” perchè siamo volenti/nolenti nella stessa polis…e in questa polis dobbiamo muoverci, creare energie, unire cuore e mente.. non *separarci* altrimenti lasceremo sempre il 58% in mano a personaggi impresentabili come quello festeggiato l’altra sera a Napoli…V.
@ chi (per accrescerne l’inquietudine),
stasera al telegiornale hanno intervistato la sindachessa di Viggiù: è leghista e nera. Ha detto che i suoi due capi sono Bossi e Obama.
non sento alcuna esigenza di aumentare l’ inquietudine e sull’argomento rinvio a “Depressione” di Carlo Piazza su Il primo amore , qui :www.ilprimoamore.com/testo_1487.html
che mi sembra molto pertinente col discorso di Helena, V.
D’accordissimo sul fatto che Obama sia un personaggio o fenomeno mediatico e in questo somigli a Berlusconi. D’accordo pure che sono entrambi oratori, attori, venditori di sogni, imbanditori di slogan ecc. Anzi: Obama (detto avalutativamente) è molto più avanti nell’uso di tutti i possibili mezzi di comunicazione. Però se vogliamo parlare di un prodotto, cambia la qualità del prodotto. La retorica dei discorsi di Obama (che si farà scrivere) è retorica di un’altro livello. E a partire da questo – ma non solo- cambiano i contenuti. Politici e politici in senso largo, i contenuti “ideali”. E quindi cambia anche ciò che si riflette nel rapporto con i sostenitori.Il sogno interpretato da Obama è diverso da quello interpretato da Berlusconi.
Questa è la politica nella società dello spettacolo, bellezza, e non possiamo farci niente- tranne farne i conti. A questo aspetto, tra l’altro, devono il loro successo Serracchiani e Daniel Cohn-Bendit. Che non è un personaggio-fuffa, ma è uno che, oltre avere delle idee politiche un po’ meno grigie e impaludate, è uno che sa comunicare.
Per quel che riguarda il Pd. Ero fra quelli il cui sentimento più preciso a riguardo era “ma andate pure a…..”, Per tutto quello che tash elenca qui o nel suo pezzo più giù. E la cosa che mi fa più incazzare è che sono così stronzi, arrocati, arroganti (aggiungesi impropreri a volontà) e insieme vigliacchi da non accorgersi che basterebbe non moltissimo per un rilancio. La neo-superstar di Udine sta a indicare questo. E l’ ho citata non perché mi pare sto granché, ma come esempio del “basterebbe poco”.
Poi ci sono i due partitelli della sinistra-sinistra (con i rifondaroli assai peggio per me di Fava/Vendola) che sono cosa analoga in piccolo e ancora più kamikaze.
Io non ho per nulla fiducia che questi si diano una mossa. E non ho nemmeno ben chiaro fino a che punto noi, potenziale elettorato di una sinistra decente, possiamo far qualcosa che somigli rispetto a tutti coloro a un benefico calcio in culo.
Ma chi gli ha votati, gli uni come gli altri, o chi si è astenuto questa rappresentanza amorfa e amebica NON se la merita (non perché la gggente è buona e i politici corrotti)
“basterebbe non moltissimo per un rilancio. La neo-superstar di Udine sta a indicare questo.”
In che cosa, esattamente, il programma, i progetti, l’orizzonte politico della neo superstar di Udine si distingue dai non-programmi, non-progetti, non-orizzonti politici dei vecchi “eroi” della post-bolognina?
magari non ci capiamo o non vogliamo capirci: io non sono tifosa della ragazza. Le quattro cosa sensate e lineari che ha detto sono appena sopra al attuale grado zero.
Concordo con Helena sul fatto che chi ancora si indigna o in qualche modo, con i deboli strumenti che ha, cerca di far sentire il suo dissenso al governo attuale e anche alla classe politica in genere, cosiddetta opposizione compresa, non si merita una rappresentaza così infima. Quello che i vari Pd e sinistri vari non capiscono è che non vengono votati per chi sono o per quello che dicono, ma unicamente perchè rappresentano l’unica alternativa sulla carta, e solo sulla carta, per chi crede ancora che votare serva a qualcosa. Ho provato a dire a un vecchio amico direttamente coinvolto nelle dinamiche politiche quali pensavo fossero le cose da cambiare, o almeno cosa si poteva tentare di fare almeno a livello locale a Napoli. Mi sono sentita rispondere che avevo perfettamente ragione, che basta con le pippe mentali, che sì, bisogna tornare tra la gente, iniziare da un minimo pratico di cose. Ma poi la musica non è cambiata in alcun modo nè nei toni tantomeno nei contenuti. Io penso che il vero problema sia che TUTTA la classe politica di questo Paese, nessuno escluso, non ha alcuna voglia di cambiar registro, non ha le palle, il coraggio, la capacità di fare qualcosa di veramente diverso, di spaccare la crosta incancrenita e consolidata che tappa la vita politica italiana e, soprattutto, non ha alcuna voglia di rinunciare ai privilegi e ai vantaggi di essere classe politica in quanto tale e si affanna a tenersi il proprio scranno paralmentare ben attaccato al culo, tutti, nessuno escuso, maggioranza e opposizione insieme appasionatamente. Obama credo stia dimostrando di voler fare scelte di rottura col passato, anche dure o impopolari, è comunque disposto a cambiare le carte. Qui in Italia non mi sembra che nessuno lo possa e lo voglia fare e questa è la cosa più difficile da digerire insieme ad una opinione pubblica che, levati i sostenitori di governo per fede o per comodo, non ha strumenti adeguati per far sentire la sua voce. Una strada senza uscita? Io mi rifiuto di pensare che sarà sempre così, ho ancora la voglia di sperare che un cambiamento sia possibile, oggi direi anche assolutamente necessario per tanti motivi. Come tanti non merito tutto questo, non mi tiro indietro e sono pronta, per quanto posso fare, a rimboccarmi le maniche. Lo so che posso sembrare una povera illusa, ma non ci riesco ad arrendermi. Grazie Helena per questo bel post chiaro e diretto come sempre sono i tuoi scritti.
@ helena e Irene,
perché allora non passiamo a fare una chiacchierata sui movimenti (di ogni tipo, consumatori, utenti, disoccupati, studenti, precari ecc.)? Grosso modo, la fine del secolo XX ci ha lasciato un’eredita: la crisi (a mio avviso irreversibile, anche se con un percorso tortuoso e contraddittorio) della forma-partito. E conseguentemente della democrazia rappresentativa, che non rappresenta più una buona fetta di elettori-cittadini italiani, o quando rappresenta qualcuno, rappresenta solo i suoi interessi di bottega, l’individualismo dell'”essere se stesso” a prescindere dalla convivenza sociale, la sua “libertà” di fare ciò che vuole (attenzione, a questo riguardo, a sbandierare la propria libertà assoluta – di pensiero, di azioni, di gusti e costumi – perché è su questo che la sottocultura del berlusconismo marcia alla grande). Ci sono, oggi, nel mondo, quello “terzo”, per dir così, dei laboratori politici di grandissima importanza per la democrazia, ma al massimo in Europa, quando si lancia lo sguardo oltre l’ombelico eurocentrista, si va a finire sugli SUA o sull’India (beh, certo, oggi i due o tre padroni del mondo non stanno nel “Terzo Mondo”).
Bisognerebbe riappropriarsi dell’unica forma democratica oggi possibile: la resistenza, l’opposizione dal basso. Eppoi, la storia sta a dimostrare che in ogni tempo, con le differenze specifiche dei vari periodi, il vero cambiamento, il cambiamento effettivo, è stato fatto non nelle urne. Le urne offrono solo l’alternanza tra forze o raggruppamenti politici eletti a guidare, o più spesso ad amministrare, lo status quo. E uno status quo magari un po’ meglio imbellettato a me personalmente non interessa affatto. Non vedo attualmente in nessun raggruppamento politico la forza del sogno che la sinistra, quella vera, dovrebbe avere.
Sul mio blog ho fatto alcune riflessioni. Non so se possono interessare, venendo da uno che da qualche tempo ce l’ha con il centrosinistra.
Segnalo, tra le altre riflessioni, queste ultime:
http://www.bartolomeodimonaco.it/online/?p=5113
http://www.bartolomeodimonaco.it/online/?p=5139
Vorrei riflettere anch’io su queste elezioni europee.Mi sembra ci si possano fare sopra riflessioni intriganti.Perché: sembra che i numeri, i grandi numeri, diano un quadro definito e molte certezze. Il Pdl vince ma non disintegra l’avversario come aveva promesso. E poi: ci sono stati generali battuti che hanno avuto accanto luogotenenti vittoriosi. E generali che hanno ottenuto vittorie grandi, ma che rischiano di essere vittorie di Pirro, e hanno avuto accanto luogotenenti che sono i veri vincitori. E bla bla e bla bla e bla bla, le cose che sentiamo ripetere all’infinito in televisione e sui giornali.
Non sono queste le cose che mi interessano.
Mi sembra che nelle pieghe dei grandi numeri, alle spalle dei grandi generali vittoriosi e di quelli sonoramente perdenti, si nasconda un paesaggio interessante. Sì, mi sembra che lo sfondo sia più interessante del soggetto in primo piano.
Mi sembra che troppo spesso trascuriamo questo sfondo perché dimentichiamo che queste sono state elezioni europee.
L’Europa crea molte insofferenze e disaffezioni. Non hanno torto i leghisti a dire che spesso ci appare più come un’Europa dei burocrati che come un’Europa dei popoli. Comunque un’Europa politicamente lontana. Ma l’Europa c’è. Sforna il 70-80% delle leggi sfornate dai parlamenti nazionali. Ci garantisce uno scudo economico che nessuno ha voglia di buttare a mare ecc.
Così, mi sembra, mentre poco alla volta l’Europa prende –lentamente, confusamente e contraddittoriamente- forma, le singole nazioni perdono –confusamente e contraddittoriamente, ma inesorabilmente- terreno.
Se si contrae la funzione degli stati-nazione, perché invece non dovrebbe contrarsi quella di partiti che pretendono di rappresentare quegli stessi stati-nazione? Partiti, voglio dire, il cui identikit politico prende le mosse da un’idea politica di stato-nazione che si sfalda sempre di più?
Ciò che è interessante di queste elezioni europee, mi sembra, è l’apparire, non improvviso, ma veloce e marcato, di due protagonisti.
Il primo è costituito dai partiti che possiamo chiamare i partiti regionali. Il voto si sta regionalizzando. E, come ogni regionalizzazione, questo voto restringe le prospettive e gli ideali, anche le aspirazioni, unisce in sé insofferenze comprensibili e ottusità ultra-provinciali. Una regionalizzazione che si raggruma attorno a ottusità valligiane, xenofobie e razzismi e neonazismi vari. Una regionalizzazione che si condensa attorno a poche -una, due o tre- questioni che vengono avvertite come cruciali (che ne so, sicurezza, autonomia fiscale e limitazione del numero degli stranieri). Partiti che comunque esprimono costumi, culture, problemi di aree geografiche che non tengono conto dei confini nazionali, ma di aree omogenee. Che si sentono tra loro omogenee.
In Italia uno dei due movimenti politici maggiormente vittoriosi è la Lega di Bossi. Ma anche il movimento autonomista di Lombardo, in Sicilia, ho ottenuto un ottimo risultato e Lombardo, dicono, sta ora pensando di lanciare un movimento che sia l’equivalente meridionale e sudista della Lega.
Se guardiamo a quel che succede nel resto dell’Europa, questa tendenza alla regionalizzazione appare marcata. Successo per il nazionalista antislamico Wilders in Olanda. Successo per il National Party in Inghilterra. Raddoppiano i voti gli eredi di Haider in Austria. Record di preferenze per il partito anti-stranieri in Finlandia. In Ungheria il terzo partito diventa quello di Jobbik, che promette di ripulire l’Europa dagli zingari. Successi analoghi nei paesi baltici.
Lo sfondo segnala, come dicevo, l’apparire -veloce- di altri personaggi, nel quadro. Per esempio il partito ‘specializzato’. Non così connotato geograficamente come quello ‘regionale’, ma non più un partito ‘universale’, come i partiti tradizionali.
In Italia, se mettiamo insieme i radicali (specializzati nella laicità dello stato e dei diritti della persona), socialisti liberi (senza specializzazione definita), rifondatori più o meno puri (specializzati nella difesa dei salari operai e dei precari) ecc, abbiamo un’area estremamente disomogenea, ma che raggruppa comunque un 10% di voti senza destino.
Per non mettere nel conto altre due entità politiche -come dire, più istituzionali?- come l’Idv e l’Udc- che a me paiono pure in cerca di un destino (l’Idv di Di Pietro mi sembra si sia specializzato sui temi della moralità pubblica e l’Udc sui temi relativi alla famiglia) perché, allora i voti per ora senza destino arriverebbero al 25-26% degli aventi diritto.
In Francia, di fronte ad un partito socialista decotto, appare il partito verde di Cohn-Bendit, che raccoglie il 16% dei consensi (ma in tutta Europa la socialdemocrazia è in grave difficoltà, oltre che in Francia, in Spagna, in Germania, in Italia e in Inghilterra). I verdi arrivano al 12% in Germania e al 10% in Austria. Complessivamente i verdi passano nel parlamento europeo da 42 a 52 deputati.
Mi domando se sono queste forze -il voto verde e ‘specializzato’ e il voto che ho definito ‘regionale’- quelle che marcheranno il futuro del nostro paesaggio politico.
Mi pongo insomma una domanda: La politica sta mutando velocemente i propri connotati?
Sta morendo la televisione generalista. La televisione nata negli anni ’50, che pretendeva di sfornare programmi capaci di soddisfare tutti i gusti e tutti gli interessi e di tutti. E’ nata e sta prosperando la televisione ‘ad personam’. Un misto di canali satellitari specializzati e di internet. Ognuno si crea il palinsesto che preferisce. Sta accadendo qualcosa di simile nel mondo della politica?
Stiamo assistendo alla morte dei partiti generalisti? I futuri partiti saranno anch’essi partiti specializzati? Cioè partiti che si addensano non più attorno a idee e ideali di ri-soluzione universale di tutti i problemi di tutto il mondo, ma attorno a poche questioni che i loro elettori sentiranno come cruciali? Che ne so: fare affari senza immolare l’etica; difendere i diritti della persona, degli animali, degli alberi e delle acque; ridurre lo stipendio ai calciatori e aumentarlo agli insegnanti. Non so. Me lo chiedo.
Cara Helena, sono daccordo con te, su tutto. A volte basterebbe poco, basterebbe un po’ più di energia, di fantasia e di libertà… Perché è vero che siamo sempre più liberi di quanto immaginiamo, e sempre troppo schiacciati dall’idea che non si possa, quando invece si potrebbe…
Ma da dove può venire oggi la passione per la polis? Quella che chiamiamo politica non riesce più a far passare quasi nulla di alto e di disinteressato. E la cultura? A me pare che la cultura ufficiale nel nostro paese versi in condizioni altrettanto disastrose, se non peggiori della politica policante. Basta aprire le pagine culturali per trovare il vuoto assoluto. La stessa “Repubblica”, che in queste ultime settimane ha sostenuto una camapagna lodevole contro le menzogne di Berlusconi per inchiodarlo a una verità mai così tanto vilipesa, e alle sue responsabilità del degrado civile del paese, bene, questo stesso giornale, se lo apri nelle pagine centrali, dove sta racchiusa la “cultura”, non dà nulla. Pagine di una tristezza e di un vuoto desolanti.
Nelle pagine politiche trovi magari articoli di D’Avanzo che parlano di “giornalisti stipendiati dal capo dello stato, dimentichi di ogni deontologia e trasformati in agenti provocatori” , di parlamentari “disposti a ogni calunnia” pur di difendere il leader (“Reubblica “del 1.6.09). Ma nelle pagine della cultra cosa trovi? Due intere pagine di anticipazione del libro di Franceco Merlo intitolato “FAQ Italia”… sciocchezze, frivolezze, che trasmettono un’idea caricaturale di cultura. Diciamolo chiaramente. La responsabilità del degrado è anche di questi canali culturali, che da tempo lasciano passare solo scemenze pseudo popular, ma nessuna idea forte o rigenerante. Uno schifo. Davvero peggio che in politica. Le segreterie di partito magari fanno passare la Serracchiani, perché ha raggiunto una popolarità in rete, e Francheschini la candida. Ma giornali come “Repubblica”, il “Corriere” (e persino quelli più piccoli e alternativi come il “manifesto”) non fanno passare proprio niente (o quasi) di quello che di vivo si muove e ancora nasce in Italia.
Forse la passione per la polis, come la chiami tu, o una possibile rigenerazione, come la chiamiamo noi del “Primo amore”, può solo venire dalle persone che fanno, da tutte quelle persone che già fanno qualcosa d’altro, nonostante il degrado, stando in un’altra dimensione, e che reggono miracolosamente il tessuto sociale e di sogno del paese… e ce ne sono tante sparse per l’Italia: associazioni di volontariato, centri di accoglienza, maestri di strada, piccole riviste, gruppi teatrali, scrittori e artisti liberi, non “incordellati”. Dovremmo forse ricominciare da qui, dalle persone che si riconoscono in un comune sentire.
Sono d’accordo con te, Carla.
La responsabilità del degrado è anche di questi canali culturali, che da tempo lasciano passare solo scemenze pseudo popular, ma nessuna idea forte o rigenerante. Uno schifo. Davvero peggio che in politica. Le segreterie di partito magari fanno passare la Serracchiani, perché ha raggiunto una popolarità in rete, e Francheschini la candida. Ma giornali come “Repubblica”, il “Corriere” (e persino quelli più piccoli e alternativi come il “manifesto”) non fanno passare proprio niente (o quasi) di quello che di vivo si muove e ancora nasce in Italia.
Infatti lì la desolazione nasce dall’assoluta mancanza di circolazione d’aria di un ambiente che è perfettamente autoreferenziale e stagno, e o si presenta per quel che è, ossia una nicchia elitaria nella stampa più piccola o abbraccia quello che chiami “pseudopopular” con l’attengiamento del signore che si degna, massì, di accontentare il popolo-bue, popolino o chiamalo come vuoi tu. Da una parte con troppa prosopopea nel pensarsi l’ultimo baluardo della critica, mentre ci si muove in territori e con strumenti quasi sempre assai consolidati, dall’altra con lo stanco cinismo di chi non riesce assolutamente (più?) a concepire che il pubblico a cui ci si rivolge è fatto anche di molte persone assai più curiose, intelligenti, aperte, piene di vere domande, capace di appassionarsi di quanto faccia comodo pensare a chi gestisce quegli spazi. E’ che proprio lì non sembra poterci essere nessun correttivo, nessuna pressione dal basso che apra una crepa in quella trincea fatta di falsa coscienza che serve- temo- alla fin fine solo a mantenere una posizione di preminenza, reale o supposta.
infatti, le cose vive facciamole passare sempre per mondadori…!!!
Immagino sia una battuta sarcastica. Magari potresti farci seguire anche un pezzo di ragionamento?
Questo paese è ormai un regime. Una dittatura di destra, dove in teoria vengono ancora affermati i valori della democrazia ( libertà, giustizia,uguaglianza ), nella pratica di tutti i giorni il privilegio, il sopruso, la corruzione, il diritto del più forte, l arbitrarietà regolano ogni nostro atto. L ingiustizia, la disuguaglianza, il privilegio stabiliscono, infatti, la differenza tra una democrazia e una dittatura di destra. Il privilegio di pochi sul sacrificio di molti. E’ stato sempre così. La democrazia è una astrazione, a cui si tende nella speranza di rendere più sopportabili e meno disumane le nostre vite. Se fino a qualche decennio fa questi rapporti di privilegio di una parte del paese sull altra si producevano ancora in maniera implicita, esistevano in maniera sotterranea,erano accettati ma condannati dalla stessa cultura che li produceva, oggi finalmente non sono più rimossi. Sono venuti alla luce, ma senza la mediazione dei sogni, dei brutti sogni, come lo è stata la nostra finta democrazia, e adesso viviamo in un incubo reale. A questo si deve l impazzimento, lo sdoppiamento schizoide di tutto il paese. C è stata come una rivoluzione culturale gestita e imposta dalle stesse classi dirigenti a tutta la popolazione, che l ha accettata passivamente in quanto fruitore della cultura. Ecco il motivo per cui il cittadino medio non si stupisce più di niente o non tenta alcuna ribellione; è assuefatto alla cultura del privilegio, antidemocratica, ma non possiede più una cultura a cui contrapporla. Gli hanno tolto la memoria e con questo la possibilità di un’alternativa. Per questo i migranti ci scandalizzano. Non perchè rubino, ma perchè rappresentano con le loro storie ciò da cui non ci vogliamo più salvare: l ingiustizia, il sopruso, il privilegio. Sono perturbanti. Questa condizione attuale non è accettata da tutti. Tra quelli che non l accettano un ruolo importante è svolto dagli intellettuali. Essi infatti coltivano la memoria. Ovviamente alcuni la mettono scandalosamente a tacere, ma c’è una parte che nel proprio intimo la conserva, la lavora e si rende ostile agli ordini dei privilegiati, denunciandone le contraddizioni, le menzogne, i traffici, i soprusi che quella parte del paese compie a spese dell altra. Infatti nello stato attuale una parte della popolazione, una cospicua minoranza, vive ricattando l altra metà del paese. La ricatta al lavoro, nelle istituzioni, per strada, ovunque. C’è il ricatto quando viene meno lo stato di diritto. Un nuovo feudalesimo, che tanto piace ai tradizionalisti di destra. Ci sono due grandi menzogne che vengono diffuse. La pacificazione tra gli italiani e la libertà di parola. Su queste si misurano il ricatto e il sopruso. Mi fa incazzare che mentre la destra liberal propone un patto di pacificazione storica tra destra e sinistra, una condivisione dei valori dello stato, allo stesso tempo i giovani compagni vengono scannati da dieci anni in tutta italia a colpi di lama nell indifferenza generale. Questa è la loro pacificazione: ammazzarci. Raccontano la favola della postideologia e i loro camerati vanno in giro ammazzando comunisti, zingari, extracomunitari. Che pacificazione ci può essere tra la massa dei lavoratori a tempo determinato, al sud, e i mafiosi che sono i loro datori di lavoro? Questa gente è ricattata ogni giorno, distrutta nella propria dignità, ridotta alla semischiavitù. Dove è la libertà di parola se praticarla è a rischio della vita? Solo in italia può esserci una fatwa criminale su un romanzo. Roba dell altro mondo. E poi andiamo a fare la guerra ai talebani quando siamo noi uno stato terrorista. Dove poteva accadere una cosa del genere? Ma la maggioranza del paese lo ha accettato. E’ la normalità. E’ la norma di vivere nell assenza di uno stato di diritto, dove una parte del paese ricatta l altra metà. Non è più questione di minoranze, su cui si può restare indifferenti. L italia è un paese sempre più diviso. Ci sono due italie, due caste. Una dovrebbe scendere in piazza mentre l altra sta sostenendo un golpe che vanificherà la giustizia di questo paese e renderà il privilegio, il ricatto, il sopruso sempre più invendicati, concentrerà il potere nelle mani di questa parte del paese e ci ridurrà al silenzio, alla servitù. Come può un intellettuale accettare che lo si riduca al silenzio? Eppure è già avvenuto. Ma occorre ricordare, avere memoria. Spesso però ci si dimentica come una parte dei media è implicitamente complice di quella parte del paese a cui ci dichiariamo ostili, e che se da una parte lo denunciamo dall’ altra rimpinguiamo le tasche del Grande Capo e dei suoi accoliti. Purtroppo l anomalia dell italia sta nel fatto che tutto ciò sia di un unico proprietario. Ma un atto di coraggio da parte di quegli intellettuali che non ci stanno sarebbe allora fare obiezione di coscienza. Boicottare. Anche a rischio di ridursi al silenzio. Senza nessuna polemica.
Grazie per il tuo lungo commento. Alcune cose che scrivi mi hanno colpito molto, tipo queste.
“è assuefatto alla cultura del privilegio, antidemocratica, ma non possiede più una cultura a cui contrapporla. Gli hanno tolto la memoria e con questo la possibilità di un’alternativa. Per questo i migranti ci scandalizzano. Non perchè rubino, ma perchè rappresentano con le loro storie ciò da cui non ci vogliamo più salvare: l ingiustizia, il sopruso, il privilegio. Sono perturbanti.”
Non so se per quel che concerte i migranti, la cosa che tu rilevi sia l’unico aspetto che spiega il razzismo imperante, ma certo è uno degli aspetti, un’aspetto importante e in genere non visto.
Condivido il sentimento del tuo pezzo, ma non so se è giusto e soprattutto utile – mi riferisco anche a commenti nel post sopra dedicato alla raccolta firme contro il ddl Alfano- parlare di democrazia morta, regime, fascismo o altri. Vuoi perché così cominciamo a farci il funerale noi da soli, vuoi perché questo schifo è frutto di elezioni democratiche.
Ed è certo che lo strapotere mediatico di Berlusconi prima e dopo la sua entrata in politica ha avuto un suo peso enorme, per permettere alla sua compagine, una volta arrivata al governo, di usare la democrazia per politiche inique e autoritarie.
Poi sai c’è il rischio che quando definisci una cosa paragonandola con un altra ti sfugga la specificità di questa cosa nuova, e secondo me avviene quando viene usata la parola regime (o analoghe). Mi colpisce di più, trovo più verità ed esattezza nel richiamo al feudalesimo. Direi anch’io che stiamo in una democrazia dal volto populista e dall’anima feudale. Il che per certi aspetti potrebbe – o è- pure peggio del fascismo.
Sul perché molti intellettuali, pur professandosi appartenenti alla sinistra, abbiano non solo abdicato ad ogni forma di insubordinazione, ma riproducano loro stessi delle logiche feudali: nelle università, nei giornali ecc. ecc. Probabilmente è anche questo ciò che comporta il clima da basso impero, da prevaricazione e marcescenza.
E così vengono fuori delle assurdità apparenti, come il fatto che a volte- non sempre- la grande editoria, persino Mondadori si riveli più permeabile di altri ambienti culturali, che il più grande successo degli ultimi anni di una casa editrice di tradizione di sinistra e indipendente come Feltrinelli sia Moccia e il più grande successo di Mondadori sia Saviano.
O che sempre Mondadori, probabilmente per ragioni che non esulano anche dall’impegno editoriale e hanno ha che fare con una ricettività nel frattempo si è rafforzata, riesca a ottenere risultati di pubblico e critica assai buoni per scrittori come Moresco o Walter Siti. Com’è possibile?
E’ possibile per tante ragioni fra le quali – te lo dico lavorandoci- la più importante sono le persone che ci lavorano e che compiono delle scelte editoriali che continuano a volersi permettere qualche volta di fare un libro perché lo consideri bello e importante.
Ed è possibile perché i funzionari di altre case editrici hanno dovuto seguire direttive di editoria di mercato del tutto analoghe, forse con meno spazio di manovra, non so (non vorrei fare un torto a nessuno quando so che le cose sono complicate) e comunque nell’assecondarle hanno finito di somigliare in qualche modo al Pd. Cito sempre come esempio Feltrinelli che Moresco dopo due libri ha deciso di non pubblicarlo più, che ha puntato sulle librerie e il potenziale di baluardo antiberlusconiano che avrebbe avuto, lo ha saputo sfruttare solo in pochissimi casi. Nel frattempo la saggistica più scomoda e/o attuale è stata pubblicata da BUR di Rizzoli o dalla neonata Chiarelettere, la narrativa italiana più interessante da Minimum Fax, talvolta Fazi e altre. O entrambe sempre da Einaudi e Mondadori, sempre che non si dia direttemente addosso a Berlusconi (vedi il recente caso di Saramago).
Io credo che fino a quando questi spazi resteranno aperti (e lo sono rimasti visto che il cavaliere di quattro gatti che leggono libri se ne sbatte), e fino a quando non c’è per gli scrittori un’alternativa equivalente o migliore (non sto parlando di quattrini che un autore letterario non ne prende comunque molti), non abbia senso boicottare.
Insomma, fino a quando, col pessismo del sentimento e della ragione e col ottimismo delle volontà, possiamo ancora lottare dentro a questa democrazia acciacata per cambiare, non credo che questo sia una delle prime cose da fare. Scusa se mi sono tanto dilungata
“Io credo che fino a quando questi spazi resteranno aperti (e lo sono rimasti visto che il cavaliere di quattro gatti che leggono libri se ne sbatte), e fino a quando non c’è per gli scrittori un’alternativa equivalente o migliore (non sto parlando di quattrini che un autore letterario non ne prende comunque molti), non abbia senso boicottare.”
Signora Janeczek, non è credibile. Lei e indistintamente tutti gli autori che fanno capo al colosso editoriale per cui lavora. Inoltre non è d’ora la situazione di stretta contiguità fra i due blocchi politici maggioritari. La mia impressione è che, dinanzi al completato scollamento dal paese reale, il vostro peso sia nullo e che siate complici del declino di una nazione (di una provincia?). L’alta borghesia, poi, si pasce del prestigio derivante dalla letteratura intesa come forma scritta ormai disinnescata, mondana e destinata a canali sotto controllo e fossilizzati. Se le cose stanno così, se tutto può ridursi ai quattro gatti che leggono e nessuna altra intrapresa è possibile, beh sarebbe meglio iniziare a risparmiare gli alberi. Che lei attenda la manna dell’alternativa dal cielo, infine, mi lascia ulteriormente basito. Chi dovrebbe crearla, questa alternativa, me lo dica, per cortesia! Saluti.
E’ sempre assai difficile rispondere a interventi come i tuoi, arendo.
Viene l’istinto di giustificarsi, di dire: io nella vita ho fatto tot scelte che dimostrano una coerenza anche a discapito del ritorno più immediato, però non serve.
Se tu pensi che siano colpevoli di collusione tutti coloro che lavorano e/o pubblicano per Mondadori, Einaudi ecc (tutti tutti no: fermati almeno al livello del redattore a cottimo, del correttore di bozze:-))), non posso che prenderne atto. Evidentemente abbiamo idee diverse, ma vorrei che tu almeno riesca a riconoscere a me o altri la buona fede delle nostre posizioni. Ossia che c’è gente, nome e cognome, che in Einaudi e Mondadori ha pubblicato Moresco perché credeva nell’importanza dello scrittore. E che per questa scelta si è assunta anche dei rischi.
Per me esiste un sistema ed esistono le scelte e le responsabilità dei singoli che non sono capaci di cambiare il mondo, ma che non sono nemmeno zero. Altrimenti, sì, meglio non abbattere più alberi, non fare più nulla darsi per vinti. Forse non si è capito, ma io l’alternativa non l’aspetto come manna dal cielo, sennò non starei qui a scrivere e a discutere, non starei altrove dove mi sembra di poter fare qualcosa, non cercherei di coltivare i rapporti, gli scambi di idee e di inziative, con tutti quei colleghi e scrittori che non somigliano alla stanca classe autoreferenziale che tu dipingi.
ps. mi fa un po’ tristezza vedermi apostrafata con il lei e come Signora solo perché lavoro in Mondadori.
Sì, occorre ricordare, avere memoria, come dice No/Made. Per esempio di quando si diceva che socialdemocrazia era uguale al socialfascismo. Bisognerebbe ricordarsi di quando Brecht scriveva: Hanno scritto sul muro-Vogliono la guerra-Chi l’ha l’ha scritto è già caduto. Ciò che mi spaventa non è solo la bruttura, ma chi ha un atteggiamento nichilistico e vede solo dittatura e ottusità, come se dittatura e ottusità avessero già vinto. Completamente vinto. e allora, di conseguenza, non restasse più modo e spazio per combattere le brutture e le ottusità. Con questo atteggiamento, in effetti, brutture e ottusità hanno già effettivamente vinto. Ci sono voci che parlano, e scrivono e pensano, ma non vengono ascoltate. Cosa sono le parole? Sono niente. quando ci si riduce a dire che scrivere e pensare, usufruendo di spazi, che sono grandi e per fortuna ancora aperti, sono niente, sono cosa inutile, sento già -come è accaduto in passato- il rumore delle corazze di chi si prepara a combattere battaglie largamente inutili, già perse in partenza. mi spaventa chi considera il paese diviso in due caste, una peggiore dell’altra. Chi vede il paese diviso solo o principalmente tra queste due caste, nutre disprezzo per gli uomini. e il disprezzo non è mai un buono strumento per capire. infatti il disprezzo nasce da cecità. chi vede solo queste due caste, pensa di essere un eroe puro. ma gli eroi puri non hanno mai salvato nulla nè nessuno.
Io credo che per prima cosa bisogna umilmente cercare di capire, invece di gettare disprezzo attorno a sè, a piene mani. E, certo, una delle prime cose da capire è come gli intellettuali possono contribuire a cancellare un po’ delle brutture e delle ottusità che ci circondano.
Frasi come: ‘forma scritta ormai disinnescata’ mi sembrano invece frasi altisonanti ma inerti, come quelle che invitavano a colpire il cuore del sistema imperialista delle multinazionali.
Io non credo negli eroi, in chi si ritiene al di fuori e al di sopra di ogni lordura del mondo.
Credo in chi onestamente sa e vede di essere parte del mondo e sa e vede di vivere i normali e quotidiani compromessi cui il mondo ci obbliga
Sono cresciuto “all’antica” e tuttora ho grosse difficoltà a discostarmene. Non me ne volere. Mi scuso per il “Signora”.
Quanto al resto: il problema è appunto sistemico, il motore è rotto.
Se andiamo alla radice, è evidente che la pubblicazione dell’opera di Moresco avrebbe potuto fare a meno di nascere dove è nata, se prestiamo fede ad istanze di natura liberale.
D’altra parte, non credo vi siano dei singoli individui operanti in Mondadori a valore zero, solo vedo mancare l’ “élan” verso una nuova verifica dei rapporti.
Mi pare, ad es., che il “codificato” si serva promozionalmente del web, in definitiva. Tanto di cappello per il fatto che tu stia qui a discutere, tuttavia l’alternativa “tua” per iniziare a compiersi dovrebbe dislocarsi, e non servire due “fonti”.
Ed è chiaro, poi, che si torni sempre a battere sul nesso “autorizzati/non autorizzati”, a riconfermare il micropotere, l’avvenuto, la reazione. E questo è il cancro del paese castale Italia: una volta entrato, non esci più.
Sulla categoria alla quale appartieni, infine, permettimi di dubitare, me ne assumo la responsabilità, mi avvolgo col pregiudizio: vi sono molte contraddizioni.
No, Claudio, non vincerà mai nessuno, come è ciclico destino. Si tentava di fare un salto ulteriore, che prescindesse dalle parole.
D’accordo. Mi sta bene la diffidenza nei confronti della categoria, mi sta bene la verifica dei rapporti di potere. Ma se parli di sistema, non fermarti a Mondadori. Non lo dico “pro domo”, non me ne frega un tubo. Qui c’è da guardare a come funziona l’insieme: l’editoria di mercato, la stampa, l’università, la scuola ecc. Berlusconi non è soltanto dove detiene pacchetti di maggioranza azionaria, e quel che l’ha fatto ingrassare, la mentalità che ritiene lecito piegare il pubblico all’interesse privato, l’acquiescenza al feudalesimo la trovi ovunque nel funzionamento base della nostra cultura.
Qui non ci sono autorizzati e non autorizzati, non c’è più nessuno status dei cosidetti intellettuali che regga. E non è un male.
Quel che sostengo io vale quel che sostieni tu, Claudio, chiunque altro. Sennò che senso ha discutere in questo modo.
Tutti possono usare tutto per fare o per farsi promozione, ma credo che si noti la differenza fra uno spot pubblicitario e un ragionamento che metta qualcosa in gioco. Tra l’altro fa parte della deontologia di Nazione Indiana (che ho co-fondato) non farlo.
Va da sé che l’uso promozionale/ricreativo del web non era riferito ad un caso specifico, ma a una tendenza. E di verifica di rapporti parlavo, non di verifica di rapporti di potere.
Ancora: una responsabilità che nasce e prospera in un sistema feudale è schiavitù (in ogni parte e ramo del sistema). Discutiamo di una libertà che cade dal tavolo, di briciole. V’è la concessione di uno spazio di manovra, meno o nulla importanza ha la manovra in sé. In questo recinto marciano relativismo > indistinzione > coda passata sotto il naso.