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Elogio del naufragio – Anna Maria Papi (video effeffe)

di
Anna Maria Papi

Golette e velieri, Billy Budd, Benito Cereno, Lord Jim, Joseph Conrad, Herman Melville, fino alla leggenda dentro la leggenda: Sinbad il marinaio, il Flyng Dutchman, e poi la realtà contemporanea; il Titanic, Andrea Doria, il Flyng Enterprise. Le guerre non contano. Ma chi ha detto: “E naufragar m’è dolce in questo mare…” Poeti, poeti, i poeti non contano. Neanche Ulisse conta, un addict del naufragio (zattera), naufragi a puri scopi sessuali. Vent’anni di naufragi pur di non tornare a casa, pur di giacersi con maghe, circi, calipse, nausiche verginali , matrone, veggenti e servette , – un latin lover – che appena ha cominciato a perdere colpi, a battere in testa, ha di colpo ritrovato la strada marina per Itaca, senza spettacolo, liscio liscio, ed eroe per burletta, (ma loro lo credevano eroe) si è riaffondato nell’innaufragabile Penelope mater e magistra ( l’enciclica non c’entra) che lo ha unto e bisunto per la millesima volta e se lo è stravolto che dire allo stralunar di pizzi e ciondoli di veli, i fioretti assaettati negli arrembaggi, ed in salto mortale nella scialuppa strabordante nei flutti, la Lei di Lui, irreversibilmente figlia del suo peggior nemico e per cui lasciata al suo destino, il cuore del Corsaro spezzato, ma neanche un fremere di ciglia.


E cosa poteva fare Shelley, romantico poeta inglese, se non naufragare con un barchino a vela nelle pacifiche acque davanti a un punto imprecisato tra Lerici e Viareggio? Povero Percy Bysshe Shelley, hai fatto persino finta di non saper nuotare, pur di essere immortale e diafano in quella sublime tragicomica performance, “affogato per naufragio barchino – categoria n 1 – con un supplemento categoria semilusso, riservata ai poeti. Puah “ (dal registro delle guardie di Viareggio) .
Ma le stupende carene dei naufragatori solitari, reclinate su un fianco di tropicali isole sconosciute, già aride di sole e di salmastro, depredate dei loro smilzi forzieri, e con il capitano che sembra l’uomo Camel, – levigati e sbiancati tra succo di mango, ananasso, cocco, stravaccati nelle rudimentali amache, in attesa di chissà cosa, forse di nulla: lì lo spettacolo ha del magico perché è offerto solo a loro stessi e neanche, – è un travalicare orizzonti e circostanze: forse bastava che Billy Budd ammainasse i parrocchetti, che la randa fosse sottratta al vento, ed il timone facesse un “avanti tutta” e perché no, un’“operazione uomo a mare”, e il semicerchio, puntuale, avrebbe evitato gli scogli. Ma perché poi evitarli, “in questa rotta sempre uguale, con questa noia che li uccide, da Plymouth a Laggiù?” , e allora che gli scogli siano, e vediamo che effetto che fa. Effetto speciale, senz’altro, le sartie gemono sulla chiglia incastrata, l’albero di poppa spezzato denigra frinzelli di vele, a babordo sciaguatta l’impatto con improvvisati sargassi, son e lumière di barbagli di sole nel mare inferocito, e per loro le amache, il cocco…

I Fenici naufragarono quel tanto che è bastato per ritrovare le loro navi intatte sui fondali tremila anni dopo, e ricostruire così gran parte della loro storia. Erano dei computer della marineria, tecnici insuperabili nella levigatura delle fiancate e nella calibratura del peso degli scafi: arrivavano dovunque con quel loro remare a singhiozzo scadenzato, e se proprio gli andava male si inabissavano senza strapazzi in un lento e bollicinoso gorgogliare di marosi interni trasparenti, anche se occhio umano non vide il superbo palcoscenico che assecondava il loro calare, calare, calare, rendeva lo show un kolossal senza biglietto e senza spettatori.
E i grandi naufragi nelle battaglie di mare? Spettacolari ma non spettacoli, in quanto esperienze collettive senza genialità.
E la piroga che sprofonda nelle rapide senza più riaffiorare? My God, che noia questi indigeni senza storia né futuro, che si inabissano, che spariscono, con la nostra benedizione.
E naufragar m’è dolce in questo mare. Poeti. Che non hanno mai visto l’acqua. Che sospirano alla silenziosa luna, “Conobbi il tremolar della marina”. Poeti. Ma questi poeti, tutti rappresentati dal bravo Percy Bysshe che naufragò davvero per salvare la faccia, che ci hanno dato ? “Soltanto questo: noi possiamo dirvi ciò che non siamo ciò che non sappiamo”. Gli è sfuggita ma aveva ragione. Poteva naufragare, come ha fatto, carico dei suoi inopportuni Nobel che non voleva, in tutta calma il genovese Montale, il cui padre vendeva sartie e cordami. Un Video Game antesignano del maroso che inghiotte.

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11 Commenti

  1. Si vuol forse alludere che le storie dei poeti sono tutte storie di naufragi (mancati)? Enfer, c’est un ecueil! smadonnò il Francese…

  2. bellissima l’allusione a Gozzano di cui adoro quell’Ulisse così sgradevole e malinconicamente borghese… bel pezzo

  3. Questo post mi ha fatto venire tristezza, una tristezza marina insospettato in me. Ho fiducia in mare, come ho fiducia nella poesia che leggo, e le ombre del mare sono vivi fantasmi della luce, nel blu il dolore è acqua,oblio.
    Ho sempre visto il naufragio di Ulysse come evasione del ricordo, ritorno alla nascita del primo giorno di vita, nudo, abbandonato alla riva di Ithaque sparita. Il eroe scompare per entrare nel regno del sogno marino.
    Nel canto seguente è accolto da Nausicaa, poi racconta al re dei Phéaciens la sua storia. la poesia è nata del naufragio, dell’onda.
    E condivido il commento di Vito.

    Il poeta affronta il naufragio ( naufragio del mondo) si allonta della nave,
    incontra la solitudine, la poesia lenta del marino. Chi a provato di aprire gli occhi sotto mare? Chi a visto l’ombra della nostra vita sotto acqua?
    Anche il brusio del mondo sotto sole muore , un silenzio dove entra la voce dei poeti, dove il freddo ha la palore del sole inverso.

    Forse mi sono allontanata troppo nel commento, che dice altro.
    Quale posto per i poeti nella società?
    Ma amo tanto il mare, anche nel sua versione mesta.

  4. “Vous êtes embarqué”.

    PASCAL

    “L’uomo conduce la sua vita ed erige le sue istituzioni sulla terraferma. Ma il movimento delle propria esistenza cerca di comprenderlo, nella sua totalità, specialmente con la metafora del temerario navigare. Il repertorio di questa metaforica nautica dell’esistenza è ricco. Ci sono coste e isole, porti e alto mare, scogliere e tempeste, secche e bonacce, vele e timoni, timonieri e ancoraggi, bussola e navigazione astronomica, fari e piloti. Spesso la presentazione dei pericoli del mare aperto serve semplicemente a fa vedere la comodità e la calma, la sicurezza e la serenità del porto dove il navigare deve trovare la sua conclusione. Solo dove il giungere a una meta non può venire ammesso, come nel caso degli scettici e degli epicurei, la stessa bonaccia in alto mare può stare per la visione della pura felicità.”

    HANS BLUMENBERG, Naufragio con spettatore. Paradigma di una metafora dell’esistenza. Il Mulino, 1985, pag. 27.

    “Suave, mari magno turbantibus aequora ventis,
    e terra magnum alterius spectare laborem
    non quia velari quemquamst iocunda voluptas
    sed quibus ipse malis careas quia cernere suave est »

    “Bello, quando sul mare si scontrano i venti
    e la cupa vastità delle acque si turba,
    guardare da terra il naufragio lontano:
    non ti rallegra lo spettacolo dell’altrui rovina,
    ma la distanza da una simile sorte.”

    LUCREZIO, De rerum natura, II, 1-4, trad. it. di E. Cetrangolo, Firenze 1969, in op. cit.

  5. E tutto finì in gloria: “Ce toit tranquille, où marchent des colombes, / Entre les pins palpite, entre les tombes”

  6. Mi sembrate un naufrage, detto proprio ieri. La linfa rimane sempre la stessa nei frères de racine. Leggerò, senza lo sconcerto di queste sempre replicate coincidenze, perdono ma per ora ho solo guardato.
    Come interno è divenuto il tuo lavoro effeffe, come la voce di Bene.

  7. se la storia dei naufraghi scatena queste reazioni pseudo letterarie e intimismi preferisco vivere!

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
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Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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